𝚠𝚒𝚕𝚕 𝚜𝚒𝚗𝚐 𝚊𝚕𝚘𝚗𝚐
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Bokuto mangia come se non lo facesse da settimane.
Bokuto parla, mentre mangia, certe volte anche con la bocca piena, perché sembra che i suoi pensieri siano un fiume che non riesce a contenere in alcun modo.
Bokuto ha un fisico davvero improbabile, per qualcuno che mangia a quel modo.
Bokuto è adorabile con i camerieri, ringrazia e lascia le mance abbinate ad un "grazie" scritto sullo scontrino, dice di portare i complimenti allo chef anche se sta mangiando un muffin confezionato, si siede con le gambe larghe sulle sedie perché se no gli sbattono le ginocchia sotto il tavolo.
Bokuto si preoccupa.
Se prendi un biscottino di frolla senza gocce di cioccolato e un tè senza zucchero, lui ti chiede se hai fame, se hai dimenticato il portafogli a casa, se vuoi un pezzo del suo pasto da morto di fame.
Bokuto ti mette una bustina di zucchero nel tè mentre non guardi, e quando te ne accorgi e chiedi spiegazioni, risponde che "nessun umano sopravvive senza zucchero, Akaashi, mangia che poi ti viene sonno".
Bokuto ride ad alta voce, quando ti si appannano gli occhiali perché soffi sul liquido bollente, ride tanto da far tremare il tavolo, fa girare tutti che non possono fare a meno di sorridere con lui.
Bokuto ti guarda ti striscio, quando entri in un posto qualsiasi, e se tremi ti prende per le spalle e ti mette sul posto vicino al calorifero, ti chiede se vuoi i suoi guanti.
Bokuto è un po' casinista, quando si muove, sbatte con le spalle dovunque, non riesce ad alzarsi senza dare una schienata alle persone sedute dietro, arruffa la tovaglia e aggrotta le sopracciglia quando cerca di metterla a posto con le mani troppo grandi per i lavori di precisione.
Bokuto ti offre la colazione, perché non riesce a fare a mente il calcolo diviso e non si ricorda i prezzi delle cose che prende.
Bokuto è, miseria, è davvero una delle creature più adorabili che abbia mai visto.
È grande e grosso, persino troppo se posso azzardare, ma non sembra neppure rendersene conto. È come quei cuccioli di cane di grossa taglia che passano dall'essere un batuffolino di pelo ad un bestione di settanta chili ed eppure credono ancora di avere le zampette corte e il musino sottile.
Identico.
Mette allegria.
Mette... davvero tanta allegria.
− Akaashi, posso attaccare il cellulare alle casse? –
Ora come ora, è seduto sul sedile di una volante della polizia, le ginocchia quasi in gola perché non sa come mandare indietro il sedile e non riesco a spiegarglielo, che agita il cellulare in mano.
Infilo le chiavi, le giro fino a metà corsa per azionare l'impianto elettronico, mi volto dalla sua parte.
Ha le ciglia chiare.
Con la luce che entra dal finestrino dietro di me, si vedono bene.
Lunghe e chiare.
− Dammi qua. –
Me lo appoggia in mano.
Ha lo schermo distrutto, il suo cellulare. È il tipo, in effetti, quello che fa sempre cadere tutto e si dimentica sempre di dove l'ha messo.
Mi sporgo e sgancio il vano portaoggetti di fronte alle sue gambe, caccio dentro la mano e ne tiro fuori un cavo.
Non uso sempre questa volante, ma quando c'è, la preferisco.
È per gli appostamenti, quindi non ha scritto ovunque "polizia" ma è nera, sobria, passa molto inosservata.
Attacco il cavo, lo collego al suo cellulare, glielo ridò.
− Che musica ti piace, Akaashi? –
− Non ho particolari preferenze, Bokuto-san. –
È una bugia.
Ma della musica classica o cantautoriale triste che piace a me, non credo ci sia qualcosa che si sposa con l'animo allegro ed esplosivo di un uomo troppo grosso e troppo sorridente.
− Posso mettere quello che mi pare? –
− Certo. –
Annuisce tutto soddisfatto, accende il telefono che dà sulla foto di un cucciolo di cane, apre l'app di Spotify.
− La cintura, Bokuto-san. – gli faccio notare, prendendo la mia e facendola scattare a posto.
È tutto preso dal telefono, mi sente ma non mi guarda.
Prende la cintura con la mano libera, ma quando prova a tirarsela addosso, la incastra col cavo del cellulare e cercando di passarsela oltre il corpo gli sfugge dalla mano e torna dov'era.
Mi viene da ridere.
Forze Speciali, eh?
Mi ha anche detto che era bravo alle esercitazioni da cecchino.
Improbabile, no?
Un po' improbabile.
− Vuoi una mano? –
Si mordicchia il labbro inferiore, ancora concentratissimo, annuisce.
Ha il modo di fare di un bambino che si concentra su una cosa alla volta.
Riprende la cintura, la allunga, me la passa e la faccio scattare io.
Quando accendo la macchina, continua a non reagire, e non lo fa quando esco dal parcheggio, non quando mi immetto in strada e non quando tiro su il suo finestrino perché fuori fa un freddo impressionante.
Inizia a reagire, quando trova qualcosa che gli piace.
− Ce l'ho, Akaashi, ce l'ho! –
Mi viene quasi naturale, sorridere.
− Vai, mettila pure. –
− Posso cantare? Canto davvero male, se ti dà fastidio smetto. –
Alzo appena le spalle mentre guardo oltre il cruscotto, dritto di fronte a me.
− Se ti va. –
Non mi piacciono le persone che fanno rumore, di solito. Ricordo di aver declinato più di un appuntamento per questo motivo, di aver sempre pensato che fosse fastidioso, chi attira tutta quell'attenzione.
Ma c'è qualcosa di ingenuo e dolce nel modo in cui lui lo fa, che mi dà una sensazione diversa.
La prima impressione che Bokuto Kōtarō mi dà, escluso l'allucinante aspetto fisico che sfido qualcuno a trovare anche solo lontanamente brutto, è quello di una persona che condivide.
Trovo ipocrita, noioso, chi attira l'attenzione per se stesso.
Ma Bokuto, ed è solo qualcosa che penso, non qualcosa che so, mi sembra qualcuno che attira l'attenzione per tutti. Che voglia condividere tutto quello che ha e che riceve e che inevitabilmente, questa sua espansione così dolce, risulti rumorosa.
Non so, forse mi sono solo fatto irretire dal sorriso pieno.
Ma sono quantomeno contento di lavorare con una persona della quale non penso niente di particolarmente negativo.
Bokuto attacca "Watermelon Sugar", si schiarisce la gola, ed offre una performance di un certo livello.
Canta male.
Malissimo.
È stonatissimo.
E faccio fatica a non sbandare e ucciderci contro un lampione da quanto questa cosa mi fa ridere.
Lo sa che fa schifo, lo sa ma si diverte, e mi sorride ogni volta che lo guardo, si fa prendere dal testo e dalle parole e si esibisce in acuti che quasi mi uccidono.
Divertente.
Bokuto è quel tipo di persona che ti diverte.
Anche se è un po' ridicolo, sa di chi non si prende sul serio, di chi non pretende di sembrarti un filosofo, un pensatore o un letterato, ma che semplicemente apprezza vederti sorridere.
Non so chi sia, questo Bokuto.
Ma il pensiero che mi attraversa la mente, durante il viaggio verso l'ufficio della cibernetica, è che c'è qualcosa di lui, qualcosina, che mi fa sentire un po' diverso.
Probabilmente è che non sono abituato a persone decenti nel mio ambiente di lavoro. Forse che sono attaccato all'ideale che la gentilezza sia rara, ma non ne sono sicuro.
È un po' la vita, che mi dice di non aspettarmi affetto dal prossimo.
Ed è un po' Bokuto, che mi sembra urlarmi che da lui, invece, aspettarselo non sarebbe così irresponsabile.
Non lo so.
Non ne ho idea.
Quando la canzone finisce, abbasso il volume per la prossima di modo che si senta più attutito dalle casse e sia possibile per noi due parlare.
Non so bene cosa chiedere, però...
− Sei molto bravo a guidare, lo sai? –
Lancio un'occhiata di lato.
Spalla contro il sedile, voltato completamente verso di me nonostante sappia che non posso guardarlo, impegnato come sono a guidare, sorridente e con le guance arrossate dalla foga che ha messo nella sua performance.
− Sto solo guidando. –
− Molto bene, sì, sì, assolutamente. –
Non rispondo, non so bene cosa dire.
Mi mordo l'interno della bocca quasi nervosamente.
Volevo attaccare bottone, perché qualcosa mi dice che questo sarà probabilmente l'unico poliziotto con cui fare della conversazione decente, e perché senza fare l'ipocrita credo anche di volerci un po' provare, ma...
Nonostante io abbia abbassato la musica, sono spiazzato.
Dovrei dire la prima cosa che mi passa per la mente.
Ma... non sono proprio il tipo.
Prendo fiato, svolto sulla sinistra, tiro indietro un ciuffo di capelli.
− Come mai sei entrato in polizia? – è l'unica cosa che mi viene in mente.
Non è una domanda carina, se devo dirla tutta, perché non tutti i motivi sono convenzionali. Il mio, ad esempio, non lo è.
Ma non mi va di parlarne.
− Mio padre era un poliziotto. –
− E ti piace? –
Lo vedo con la coda dell'occhio che mi fissa, come cercasse qualcosa nella mia faccia.
− Mi fa sentire meno stupido di quanto non sia, non so come spiegarlo. Sono sempre stato un coglione a scuola, ma questo... mi riesce bene. –
Mi viene davvero voglia di allungare un braccio e arruffargli i capelli come lui ha fatto con me poco fa, ma mi trattengo.
Adorabile.
So di non dover parlare quando prende fiato.
− Mio padre è morto sul campo mentre ero nelle Forze Speciali, e quando mi sono congedato ho pensato che sarebbe stato carino fare quello che faceva lui. –
Lo guardo un attimo, torno alla strada subito dopo.
Non triste, solo rassegnato. Credo sia un dolore cicatrizzato, ormai.
− Mi dispiace molto. –
− Grazie. –
Il silenzio è tombale, quando c'è, e assordante, manifestazione del rumore che Bokuto potrebbe produrre ma non tira fuori.
Penso che dovrei fermarmi, se non ricomincia a parlare.
Fermarmi e abbracciarlo forte.
Ma al semaforo dopo, sembra aver ripreso la sua allegria.
− A te piace fare il poliziotto, Akaashi? –
− Mi piace. –
− E come mai ti piace? –
Sento le mie guance scaldarsi sulla cima. Diretto, onesto, un po' infantile.
C'è qualcosa di disarmante, in lui.
− È un lavoro onesto, preciso e logico. Mi piace risolvere rompicapi. –
− Tutto di te è così intelligente. –
Mi sembra di prendere fuoco.
Io sono...
So di non essere stupido. Lo so, magari è poco umile dirlo, ma lo so.
Però di solito le persone non me lo dicono così. Mi dicono che sono bravo qualche volta, ma non che...
− Scusami? –
Sorride e sorride così forte che lo vedo anche se non lo sto guardando.
− Non lo so, è l'impressione che mi dai. Mi sembri così intelligente, davvero. Forse sono gli occhiali? –
− Gli occhiali? –
Annuisce.
− Già, quelli fanno subito intelligente. Ma anche io li porto quando devo stare davanti al computer e non sembro intelligente, quindi non sono quelli. Mi sa che sei tu, Akaashi. –
Se potessi staccarmi la faccia, metterla fuori al freddo gelato e rimontarmela sul cranio, lo farei.
Io...
− Sono super felice di lavorare con te, spero che mi insegnerai un sacco di cose utili. –
Rimango così scioccato da quest'ultima frase, che non noto il semaforo rosso e inchiodo all'ultimo, sbalzando tutti e due in avanti e facendo battere la fronte di Bokuto contro una delle sue ginocchia.
Lui ha detto...
Come se mi avesse messo sopra.
Sopra se stesso.
E la cosa non so se sia vera, non so se sia più bravo o meno rispetto a me, ma so che...
Umile.
La parola che caratterizza Bokuto, in questo momento, è umile.
Poche cose, al mondo, sono affascinanti come l'umiltà, perché chi è umile è spesso onesto, non si copre gonfiando se stesso, non finge di essere chi non è.
Io non sono umile.
Lui è...
− Oddio, che paura! Tutto bene? –
Ah, dimenticavo la parte in cui batte la testa.
Mi scuso guardando verso il rosso tondo del semaforo, imbarazzato come poche volte.
− Mi... mi spiace. Mi sono distratto un attimo. –
Aggrotta le sopracciglia, mi guarda.
E poi alza le spalle.
− Ok. Guarda l'ufficio di Kenma è là dietro. Lo vedi? –
Cambia argomento per non mettermi a disagio, lo fa per non darmi fastidio? Lui è...
− Vedi se c'è parcheggio? Da qui non sembra. –
− Sì, ce n'è uno là, guarda, là, dietro... −
Allungo il collo, seguo la sua mano.
− Bokuto, le strisce gialle sono per i portatori di handicap. –
− E noi non valiamo? Io sono dislessico! –
Mi mordo la lingua per non scoppiare a ridere un'altra volta.
− La dislessia non fa parte degli handicap, temo. –
− Come no? Ho imparato a scrivere il mio nome a otto anni! –
Mi concedo il lusso di dargli un buffetto sul braccio, prima di rimettere entrambe le mani sul volante e veder scattare la luce verde.
Ha il braccio che sembra fatto di mattoni.
Ma se ci penso è un problema, ed evito la questione svoltando sull'isolato dell'ufficio alla ricerca di un parcheggio.
− Perché scrivi i referti a penna, se posso chiedere? –
− Perché se smettessi di scrivere ho paura che non saprei più farlo tanto bene e mi serve una scusa per tenermi allenato. –
− È tanto difficile? –
Alza le spalle.
− Un po'. Quando mi danno dell'idiota leggendo come scrivo non mi piace, ma non sono tanti, e poi si spaventano quando mi vedono, non so perché. –
Davvero, davvero.
Ora mi fermo, scendo, circumnavigo la macchina e strizzo questo cucciolo troppo cresciuto fino a soffocarlo.
Quanto. È. Adorabile.
Prima di tutto, 'fanculo, distruggerò chiunque provi a darti dell'idiota, che non so quanto sia vero ma non si fa.
Secondo, quanto piccolo pensa di essere per non spaventare le persone.
Terzo...
Ma che ne so, terzo è che è carino.
− Non credi che possa essere perché sei molto alto e molto minaccioso? –
− Ti sembro minaccioso? –
Freno appena, forse ho visto un parcheggio.
No, c'è un cestino della spazzatura.
− No, non sembri minaccioso, ma se mi ritrovassi di notte da solo con te in una strada buia... −
Finisci la frase, Keiji.
Finisci senza dire "ti pregherei di strapparmi i vestiti di dosso e scoparmi in un vicolo".
Ce la puoi fare.
− ... credo che m'intimoriresti un po'. –
Apre la bocca in puro stupore.
− Sembro un molestatore? –
Oddio, ho detto qualcosa del genere?
Merda, merda, merda...
− No, no, no, assolutamente no. Volevo dire che... non vorrei farti arrabbiare? –
Mi sa che ho fatto un casino.
Tira giù gli angoli della bocca, sembra un cucciolino smarrito.
− Credi che sia rabbioso? –
Ok, Akaashi, calmo, calmo.
Mi sa che il ragazzo qua ha la personalità esplosiva, felice e allegra ma anche che si fa un po' prendere dalle cose con troppa serietà.
− No, Bokuto-san, credo soltanto che le persone abbiano paura di te perché sei molto più grosso della media degli uomini giapponesi. –
Registra le mie parole per qualche secondo.
Nel silenzio più completo, vedo finalmente un posto libero e infilo la macchina.
Parcheggio nel silenzio più spaventoso che abbia mai sentito.
Faccio manovra, poi la rifaccio perché l'ho presa male, mi faccio suonare da quello dietro e riesco a finire la terza volta che riprovo.
Sono...
− Allora va bene, credo. Se non pensi che sia cattivo va bene. Non sono cattivo. –
Un po' meno allegro di prima, ma...
Inizio a chiedermi se sono Bokutopatico.
Perché il suo stato d'animo, sembra quasi riflettersi su di me come se l'uomo che ho davanti fosse uno specchio.
− Non credo che tu lo sia affatto. –
A questa sorride, come se non fosse successo niente, sporge un braccio, mi arruffa i capelli e scende dalla macchina.
Rimango a fissare la portiera che si chiude come un ebete.
Terremoto, Bokuto Kōtarō, sei un terremoto per il mio povero cuore.
Prendo un grande respiro, il pacchetto di sigarette dalla portiera, e scendo anch'io al freddo gelido invernale, Bokuto che si sfrega le mani fra di loro per tenerle al caldo.
− Certo che fa freddino, eh? –
"Freddino".
Mi stanno cadendo le dita dei piedi e sono chiuse in un paio di stivali, le mani tremano e il naso prega che lo stacchi da dov'è.
"Freddino".
− Entriamo, ti prego. –
L'ufficio dove lavora Kenma è un bel posto.
È un laboratorio interdipartimentale, nel quale lavorano due divisioni a cui fanno riferimento più circoscrizioni, la Scientifica e la Cibernetica.
La Scientifica, ai piani bassi, è tutta laboratori e camici e vetro ovunque, microscopi e persone con i guanti, macchinari che mi comprerebbero casa da soli e scienziati stressati che ti uccidono se provi a contaminare i loro campioni minuscoli di polvere.
La Cibernetica, ai piani alti, è il regno di personaggi di dubbia moralità.
Nessuno della Cibernetica è normale.
Alla Scientifica sono più tipo figli di papà con la laurea in chimica o scienza biologica o biotecnologie, con i loro libroni e le loro parolone complicate.
Alla Cibernetica, sono una decina di nerd improbabili con problemi di igiene personale e dei quali non so nemmeno i veri nomi, credo, che passano le giornate a sbattere le dita sui tasti a velocità folle.
C'è quello che fissa e non parla, sulla destra della sala principale, quello che mangia continuamente bastoncini di carota, quello con le cuffie, quello con l'accento straniero.
E di tutto questo marasma di cose che si rinchiudono in un solo, splendente ufficio della polizia, le figure agli antipodi sono due.
Laurea in Chimica, magistrale in Chimica Forense e in Chimica Biomolecolare, bello in maniera spropositata e sempre con la battuta pronta, il ghigno storto e seducente e i capelli scuri come la notte, Kuroo Tetsurō è il volto della Scientifica.
È affascinante, è maturo, consapevole.
Non il mio tipo, perché troppo saccente forse, troppo consapevole della sua stessa enorme bravura e quindi credo un po' esigente, ma spettacolare, senza dubbio.
Camice e camicia sotto, occhi color dell'ambra, dita lunghe.
E dall'altra ventitré anni, arrestato per crimini mediatici a diciassette, in grado di hackerare contenuti altamente riservati con una velocità imbarazzante, silenzioso, letale, minuto.
L'ha lasciata, Kenma, la scuola.
Non faceva per lui.
Passa le sue giornate rinchiuso nella felpa enorme che indossa, al buio, gli occhiali grandi e tondi di fronte agli occhi, un caffè gigantesco sulla scrivania e una sigaretta sul posacenere, quattro schermi sul muro, il cervello che processa informazioni ad una velocità inimmaginabile.
È misterioso, timido, riservato.
E di tutto questo, la cosa che mi fa più ridere in assoluto, è che quei due, quei due siano una coppia.
Davvero.
Non sto scherzando.
Bello e affascinante con passione per le scienze passa le pause pranzo a portare pranzi cucinati in casa a misterioso e riservato.
Lo chiama "micetto", gli fa i grattini fra i capelli, se ha il turno di notte passa un paio d'ore prima di andare a casa sulla sua sedia, con lui seduto addosso, mentre lavora.
E Kenma, dall'altra, riserva a Kuroo un'attenzione speciale, gli chiede i vestiti, gli cancella lo spam dalla posta elettronica senza che glielo chieda, lo bacia quando pensa che nessuno lo veda, gioca con le sue mani quando è in ansia.
Quei due sono...
Improbabili.
Ma non improbabili come me, freddo e distaccato, che sorrido come un cretino all'idea di entrare nel loro ufficio assieme alla versione umana di un grosso cane da compagnia.
Non voglio dare a Bokuto del cane in senso cattivo.
In senso buono.
Spero che si capisca, ecco.
Ci fiondiamo dentro praticamente correndo, io perché sto crepando di freddo, e Bokuto non lo so, a dirla tutta, forse perché l'ho un po' contagiato nella cosa.
L'ingresso è l'unica parte che non sembri uscita da un mondo parallelo, una segreteria normalissima che sa molto di polizia e molto poco di laboratorio.
− Kenma è sopra, vero? –
Annuisco verso Bokuto.
Ci ritroviamo nel marasma di persone che escono dall'ascensore correndo.
Almeno, gli scienziati corrono, gli stagisti col camice che non si perdono d'animo e sfrecciano sul corridoio come se ne andasse della loro vita.
Quello della cibernetica, intenzionato probabilmente a prendersi un Kinder Cereali alle macchinette, cammina come se la forza di gravità gli avesse fatto uno scherzo di merda, ad esistere.
− Kenma è all'ultimo, se vuoi prendiamo l'ascensore. – rispondo, osservando la scena da fuori.
Esilarante.
Non quanto me che cerco di consolare Bokuto che conosco da due ore dopo avergli inavvertitamente dato del molestatore, ma esilarante.
− Secondo te se passo a salutare Kuroo un attimo è un problema? Cioè, per te è un problema? Vorrei dirgli una cosa, ma se pensi che ti faccia perdere tempo, allora... −
Annuisco.
− Vai, vai, non sono mica tua madre, Bokuto-san. –
− Farò in frettissima, te lo giuro. –
Ha il volto convinto, mentre si toglie il cappotto e lo lancia sulla scrivania vuota della segretaria. Dovrei dirgli che non è il posto giusto, ma onestamente, non m'importa.
− Tanto ci sei ti va di chiedere a Kuroo se sono arrivate le prove? Se magari ha trovato qualcosa... −
− Se mi dice qualcosa te lo dico subito! –
Così entusiasta.
− Grazie, Bokuto-san. –
− Grazie a te, Akaashi. –
Rimaniamo, di nuovo, a fissarci. Non so che cosa di questo posto come della centrale quaranta minuti fa ci renda così silenziosi per momenti così lunghi.
Ha gli occhi belli, mi capita di pensare, mentre lo guardo.
Sono grandi.
Leggermente tondi, di un color ambra che vira verso l'oro.
È...
− Corri o ti ruberanno l'ascensore! –
Mi riprendo di soprassalto e faccio un dietrofront istantaneo per correre, senza nemmeno rendermene conto, verso l'ascensore, entrare, e rendermi conto che nessuno c'è dentro.
Mi giro.
Bokuto ride.
Le sue labbra dicono "ti ho fatto uno scherzo".
E premo il pulsante del piano prima che veda la mia faccia sorridere l'ennesima volta.
Kenma ed io siamo amici da tanto tempo, perché condividiamo l'essere entrati in polizia con un percorso non convenzionale, e ci siamo incontrati per la prima volta ad una valutazione psicologica per l'addestramento.
È sempre stato com'è ora, ai miei occhi.
Piccolo e minaccioso insieme.
È minuto di statura, magro, la prima volta che l'ho visto persino un po' troppo, tiene i capelli lunghi e decolorati in una crocchia disordinata dalla quale scappano sempre dei ciuffi, ha un piercing dietro il collo da cui spuntano due palline argentate.
Ora che sta con Kuroo penso che sia costretto moralmente a mangiare.
Ma comunque non cambia quanto sia, ai miei occhi, fisicamente fragile.
Ma tutto quello che il suo fisico non gli concede, lo fa il cervello. Persino perfido, talvolta, macchinoso e machiavellico, stratega, genio.
Kozume Kenma è stata una perla ai porci per tanto tempo, nella sua vita.
Ora credo sia una perla e basta, e per quanto credo di avere un ruolo in questo essendogli stato amico, devo ammettere che gran parte del merito, va ad uno scienziato coi capelli arruffati.
Quando approdo all'ultimo piano, niente del rumore del primo sembra essere rimasto.
La Cibernetica è così, è silenziosa.
Si sente solo il rumore, come un'onda che va e torna, dei tasti ripetutamente premuti dalle persone che sono qui.
Tic, tac, invio.
La luce è elettrica e le finestre completamente serrate, l'odore non esattamente piacevole, gli occhi che mi si puntano addosso spaventosi.
Alzo una mano per salutare.
Percorro pochi passi verso l'ufficio centrale.
Kenma non lavora nei cubicoli della sala principale, ma ha un ufficio privato. Una faccenda di un vecchio caso gli ha permesso di averlo, dicono ai piani alti che certe cose, devono rimanere fra Kenma e Kenma, e volente o nolente se qualcuno gli passasse dietro, potrebbe comunque vederlo.
Arrivo alla porta di legno qualche istante dopo, alzo la mano.
Busso.
Nessuno risponde.
Oggi non ho la torta di mele che porto di solito, lo so, ma spero che nonostante questo non decida di cacciarmi.
Busso ancora.
Di nuovo, nessuna risposta.
Prendo fiato, avvicino la mano alla maniglia.
− Kenma, sono Keiji, posso entrare? –
Uno, due, tre secondi.
− Sto facendo finta di essere morto da quando hai iniziato a bussare, chiedi al coroner di venirmi a prendere che vado volentieri a fare un pisolino in obitorio. –
Sorrido, abbasso la maniglia, ed entro nella stanza.
L'ufficio di Kenma è incasinato, ma non è sporco.
Profuma della candela che Kuroo gli regala sempre, qualcosa come "vaniglia e biscotti", è pieno di lucine al led che Kenma cambia col telecomandino che ha sulla scrivania, tappezzata di poster e piena di console ovunque.
Lui è sulla sua sedia personalizzata, un cuscino sotto al sedere, le gambe incrociate, i capelli bagnaticci dalla doccia che deve aver fatto stamattina, una felpa enorme addosso e dei pantaloni che sembrano leggins, le mani che volano su una tastiera fatta per le sue stesse mani.
− Ho detto che ero morto, vai via. –
− Ciao anche a te, Kenma. –
Non si gira, scorre con lo sguardo da uno schermo all'altro, trascina indietro una ciocca.
− Perché il cuscino? – chiedo.
− Ieri Kuro ha avuto una brutta giornata. –
Oh.
Capisco.
Maledetto.
− Come va? –
− Vivo, assonnato, si va avanti. Dammi un minuto per finire questa cosa e poi ti sentirò parlare di quanto sia bello Bokuto Kōtarō. –
La mia faccia diventa di fuoco.
− Non sono venuto qui per parlarti di quanto sia bello Bokuto Kō... −
− Sì, certo, fai finta che ci creda. –
− Ma io... −
− La tua cronologia del cellulare di lavoro è tracciabile ed accessibile, così la videocamera e il microfono. Un'ora fa hai cercato "Bokuto Kōtarō" su Instagram, e ti ho sentito ascoltarlo cantare. –
Un lato positivo di Kenma, è che sa sempre quello che succede e sa sempre come aiutarti.
Un lato negativo di Kenma, è che sa sempre quello che succede e sa sempre come darti fastidio.
− Ti odio. –
− No, non lo fai. Mi adori perché so sempre tutto. –
Mi avvicino verso di lui, appoggio il culo contro la scrivania, pesco fuori una sigaretta dal pacchetto che tiene vicino al posacenere.
Fumiamo la stessa marca.
E abbiamo passato tante di quelle sere, solo noi due, a fumare e bere vino rosso come due trentenni divorziate coi figli da portare a calcio che non credo ci sia più nemmeno un conto di cosa deve lui a me e cosa io a lui.
− Quanto hai? –
− Ventisette secondi. –
Non stacca le dita dalla tastiera, gli occhi si aprono e chiudono come fanali.
Le pupille sono veloci, nervose, saltano da un estremo all'altro senza che le mani si fermino, è la perfetta rappresentazione dell'avere tutto sotto controllo.
È minuto, Kenma, fisicamente fragile.
Ma non c'è nessuno che controlli tutti gli altri bene quanto lo fa lui, e questa è solo la verità.
Scavo fino al fondo dei pantaloni per cercare l'accendino, lo trovo, faccio scattare la pietrina e accendo la mia sigaretta.
Kenma non sbatte neppure le palpebre.
Giurerei di sentire le rotelline del suo cervello che girano, assieme alle dita che si muovono sulla tastiera.
Non usa quelle tastiere moderne, piatte e senza spessore, ne usa una meccanica, coi tasti così usurati che le lettere sono quasi invisibili, dice che il rumore lo rilassa, che lo fa sentire a suo agio.
È quando clicca sullo schermo e tira su gli occhiali sulla testa che so che ha finito.
− Fatto? – chiedo, più per cortesia che per altro.
− Mh-mh. –
− Cosa dovevi fare? –
Si mordicchia il labbro, si gira verso di me, prende una delle sue sigarette.
− Altamente confidenziale, Keiji. –
− Oh, scusa. –
Si sporge verso di me, io mi avvicino e sento la tua testolina bionda appoggiarsi contro la mia spalla.
− Ora posso sentirti parlare di quanto è bello Bokuto Kōtarō. Se aspetti un attimo... −
Mani che volano sul mouse, qualche doppio click, quale parola ed ecco che sui quattro schermi che tiene di fronte al viso si apre una cartella federale su qualcuno che credo abbia davvero un bel sorriso.
Quante foto.
Quante...
− Merda, è bellissimo. Come mai non l'avevo mai visto? –
Sbuffa appena.
− Sempre voluto fartelo incontrare, ma non sapevo come. Kuro mi diceva di invitarlo in discoteca ma io in discoteca non ci vado. –
Sporgo una mano per tirargli a posto qualche ciocca di capelli.
− Legittimo, legittimo. –
Scorre con lo sguardo sullo schermo, tira fuori una foto.
Mi si secca la bocca, ma più di prima, più ancora.
− Partita di Beach Volley del dipartimento. – commenta Kenma.
Muscoli.
Muscoli ovunque.
Muscoli in posti dove non credevo ci dovessero essere muscoli, sorriso smagliante, abbronzatura perfetta.
Credo che se sbattessi la testa sul suo addome, potrei romperla.
− È umano? –
− No, non lo è, è troppo grosso. Mi mette ansia. –
Ansia?
Oh, l'ansia di...
− Secondo te è etero? –
Kenma mi lancia un'occhiata di sottecchi.
− Non gliel'ho mai chiesto, ma mi sa di pan. –
Pan.
In effetti potrebbe confarsi con il profilo dell'uomo che condivide tutto, che è aperto a tutto, con lui in senso generale.
Ma...
− Fai lo zoom sul tatuaggio. –
Sento la rotellina che scatta sul posto, l'immagine si ingrandisce.
− È un gufo. –
Già, è un gufo. Un bel disegno, nero sull'avambraccio, si sposa bene con lui.
Kenma strofina la testa sul mio braccio, poi salta di nuovo fra le finestre, nasconde la foto. E io che volevo chiedergli di stamparmela, miseria.
− Ventisette anni, è della vergine. Dislessico, discalculico, disgrafico, ha adottato un cane della cinofila, non ha mai preso la patente. – borbotta, leggendo settorialmente le informazioni.
Della vergine.
Vergine e sagittario vanno d'accordo?
Dovrei chiedere a...
− È bravissimo. Sembra un coglione, tutti dicono che sembra un coglione, ma fa il suo lavoro davvero bene. Credo che sia... l'empatia. –
Dice la parola "empatia" come se gli facesse schifo.
In effetti, Kenma, che è pur un poliziotto e qualcuno che serve la comunità, non ha mai tanto imparato che cosa sia, questa fantomatica "empatia".
Fuma con calma, si schiarisce la gola.
− Sareste perfetti insieme, ma se non ci vuoi provare per davvero non provarci proprio, mi sa di uno che prende le cose sul serio. –
Alzo un sopracciglio.
− E a te che importa se gli spezzo il cuore? –
Sospira.
− È amico di Kuro, non voglio che Kuro ci stia male. –
L'ho detto, che l'attenzione che riserva Kenma a Kuroo è davvero strana. È inaspettata e sembra nella maggior parte dei casi qualcosa di minimo, ma per lui, ha un significato diverso.
− Non credo che ci proverò, in ogni caso. È il mio tipo fuori, ma dentro... andiamo, Kenma, quest'uomo è troppo dolce. –
Mi sento pizzicare il fianco.
− E allora? Un po' di dolcezza non farebbe male alla tua vita, Keiji. –
− Mmh, non lo so. –
Che poi stiamo parlando come se Bokuto ci stesse, e questo non lo sappiamo nemmeno.
− Devi smettere di andare con stronzi dieci anni più vecchi che ti trattano come se non valessi niente. –
− Mi stai facendo la paternale? –
Ride, ride appena.
− Sto dicendo che se usassi quel tuo bel culo e gli occhi azzurri per volerti bene e non per dieci minuti di sesso con un cretino a caso, staresti meglio. Ma è solo una mia opinione. –
Kenma mi piace, perché è brutalmente onesto.
Kenma mi dà fastidio, però, quando è brutalmente onesto.
− L'ultima volta sono stati quindici minuti, non scherzare. –
− Sei venuto? –
Lo guardo da sotto le ciglia.
− Secondo te? –
− Ecco, appunto. –
Mi sporgo e gli pizzico una guancia, arruffa il naso come per lamentarsi, ma poi si zittisce.
− Kuro mi ha chiesto di andare a vivere insieme. – dice poi, di botto, completamente fuori contesto.
Non capisco il tono, non lo capisco e aspetto che lo spieghi, ma non sembra volerlo fare.
− Cos'hai risposto? –
Abbassa lo sguardo, come se di vergognasse.
− Mi sono spaventato e ho detto di no. Ma poi ci ho ripensato e vorrei dire di sì, ma se ci rimanesse male e pensasse che sono una persona che non sa scegliere? So scegliere, quando si tratta di lui, mi è solo venuta l'ansia. –
− Pensi troppo. Kuroo si farebbe spellare, se glielo chiedessi, se gli spieghi che cosa è successo capirà e non succederà niente. –
Smette completamente di guardami.
− È solo che non voglio che mi lasci. –
Questo è il Kenma fragile e dolce.
Niente a che fare con l'informatico pazzo che scava nelle reti di chiunque col solo muoversi delle dita.
− Non ti lascerebbe. –
− L'hai visto? Troverebbe qualcun altro di sicuro. –
Arriccio le labbra, a metà fra l'offeso e l'annoiato.
− Kenma, abbiamo fatto questo discorso una marea di volte. Primo, sei bello, non essere insicuro di te stesso. Secondo, Kuroo ti ama, parecchio pure, non ti sostituirebbe mai. Terzo, vai a vivere con quel Cristiano. –
− E se scoprisse che sono disordinato? –
Le sopracciglia si abbassano, lo guardo come a dire "davvero".
− Questo posto è una merda e non ti ha ancora lasciato. –
Chiude le labbra e lascia andare un versetto infastidito.
− Ti odio, perché devi sempre avere una risposta a tutto? Non posso lamentarmi e basta che ci sei tu che dici tutto come se fosse scontato. Ti odio, Keiji, ti odio. –
− No, non è vero, e non puoi lamentarti e basta su qualcosa che è una stronzata. Te lo impedirò fino alla morte. –
− Stronzo. –
Mi chino verso di lui e gli lascio un bacio sulla testa, come a prenderlo in giro, mentre continua a borbottare e mugugnare altri improperi nei miei confronti.
Fa così quando ho ragione.
Lo sa lui, e lo so io.
E detto fra noi, sono felice che abbia tirato fuori l'argomento, perché della mia vita amorosa, di parlare, non avevo voglia davvero.
− Mi fai vedere qualche altra foto di Bokuto, ora? –
− Maniaco. –
− Non è colpa mia se è bello, Ken. –
Ricomincia a scorrere le foto, e sono una più bella dell'altra. È bella quella di presentazione, quella con l'uniforme completa in cui tutti fanno schifo. Sorride, e mi sembra di sentirne il calore addirittura attraverso lo schermo.
Quelle delle Forze Speciali, poi, sono meravigliose.
Con la maglia termica nera e aderente, sembra uscito da uno di quei film post apocalittici. Della serie vienimi a salvare dagli zombie, Bokuto, e tanto che ci sei portami in braccio così posso svenire addosso i tuoi muscoli.
È adorabile quella con la cinofila, dove è spiaccicato in mezzo ai cani.
− Oh, guarda qua. –
Zoom di Kenma su una foto di schiena.
− Oddio, guarda il culo, Ken. –
− È davvero un gran bel culo, cazzo. –
Lo è.
Ed è bello anche il modo in cui le spalle si flettono sotto la maglietta, come s'intravedono i muscoli, come...
La porta si apre di colpo.
La mano di Kenma è istantanea, quando preme due tasti e tutto scompare nel nulla.
− Com'è che dici, Akaashi, vedi un modus operandi da imitatore? Ma più alla John Wayne Gacy o alla Dennis Nilsen? –
Colgo la palla al balzo.
− Spero non alla Jeffrey Dahmer, quel bastardo la gente la mangiava. –
Bokuto e Kuroo si presentano l'uno accanto all'altro, alti e stupidamente sorridenti, sulla porta.
Nessuno può aprire la porta di Kenma senza bussare.
Nessuno tranne Kuroo.
Era scontato che fosse lui.
− Micetto, ma di cosa parli? –
− Akaashi, hai visto che ho fatto in frettissima? –
Lancio un'occhiata di sbieco verso Kenma.
Genio, amico mio, tu sei un genio e mi pari il culo così tante volte che penso di doverti fare un altare, ormai.
Ma non vede il mio sguardo di ringraziamento, non lo registra neppure, perché quello che fa è rispondere con un "Kuro" sottovoce e tendere le braccine alla porta.
Di nuovo, non sembra qualcuno che potrebbe rubarti l'identità e ogni centesimo senza alzare il culo dalla sedia, ora, sembra...
Kuroo si avvicina, si fa stringere, lo prende in braccio e si siede con lui addosso.
Distolgo lo sguardo perché non mi sembra il caso di fissarli, ma sento il rumore di un bacio arrivare dietro le mie spalle e l'espressione di Bokuto è eloquente.
− Siete così carini, voi due, posso farvi una foto? –
− No. –
− Kenma, perché sei sempre cattivo con me? –
− Perché te lo meriti, Bokuto. –
Rido piano, mentre mi sposto con il corpo per lasciar spazio al marasma di arti che è la fusione Kuroo-Kenma sulla sedia, mi metto vicino al mio adorabile nuovo partner che guarda Kenma con terrore.
− Ti ho fatto qualcosa di male? –
− Esisti. –
− Micetto, smetti di fare il bastardo con Bo. Non è carino. –
− Ti sembro carino? –
M'intrometto appoggiando una mano sul braccio di Bokuto – muscoli, muscoli, quanti muscoli, quando vorrei vederli, cazzo – e strofinandola piano.
− No, sei un gremlin, Kenma. –
Bokuto, che sembrava prima sull'orlo di piangere, quando lo tocco ricomincia a sorridere.
− Che cos'è un gremlin? –
− Te lo spiego dopo, ok? –
− Oh, va bene. Come vuoi, Akaashi. –
Kenma mi mima il gesto di un bacio. Bastardo, quell'uomo così minuto, è davvero un piccolo bastardo.
− Stavate parlando del caso? Credi davvero che il killer mangi le persone? –
− No, Bokuto-san, non credo le mangi. Le abbiamo trovate intere, no? –
Kenma si adagia con la schiena contro il petto di Kuroo, tiene le braccia conserte e tossisce.
Si sente, mentre lo fa, che dice "coglione".
Gli lancio un'occhiataccia ma non la vede, che Kuroo gli ha preso il naso fra le dita e gli sta scuotendo la testa come per sgridarlo.
È vero, che sono carini.
Sono davvero perfetti, mannaggia a loro.
− L'hai guardato, il video, Akaashi? Hai trovato qualcosa? – ci riporta alla realtà qualcuno che per quanto possa sembrare stupido, alla fine, è l'unico di tutti noi che pensa a lavorare.
L'ho guardato, il video delle telecamere?
No, ho guardato il tuo culo.
Ma...
− Guardiamolo insieme. – propongo.
− Certo! –
Kenma sbuffa, quando ci sente parlare del video, ma si tira su dal suo nido per avvicinarsi alla scrivania e si scioglie quando Kuroo inizia a grattargli la nuca.
− L'ho già guardato io, non c'è niente, ma se proprio volete vederlo. –
Lo apre in un attimo.
La qualità fa schifo, è pur sempre quella di una telecamera di servizio, si vede quasi niente.
Il tempo scorre velocizzato, non succede nulla.
A metà, poi, e inizia a rallentare la riproduzione, si vede chiaramente un SUV nero che accosta.
Si apre la portiera dietro, un paio di mani scaricano un corpo senza vita sulla strada, l'auto riparte.
Fine.
Il gelo di quello che devo fare mi riporta alla realtà.
Fine.
Eccolo.
Lui non discute col suo amico, lui non fa colazione, lui non ci mette un'era a parcheggiare. Lui è lì, morto, un ragazzino, scaricato come se non valesse niente sul ciglio della strada.
Fa piazza pulita di tutto, l'emozione, in me.
Divento...
− La targa? – chiede Bokuto prima di me.
− Non esistente. È finta. –
− La marca della macchina? –
− La terza più venduta in Giappone. –
− Cazzo. –
L'avevamo già detto, che sarebbe stato inutile, ma dobbiamo scavare, scavare, scava...
− Zooma sul finestrino, per favore. – chiedo.
Kenma esegue l'ordine, cosa che non fa mai, se non si tratta di lavoro.
Non si vede...
Bokuto si avvicina dietro la mia spalla.
Respira.
Si vede solo il gomito, dell'autista, calzato in una giacca scura e appoggiato sul finestrino.
− La macchina è aperta per non farla puzzare di cadavere, devono aver fatto un viaggio lungo, o non si sarebbero preoccupati di questo. –
Mi giro verso di lui.
− Giusto, giusto. –
Guardo ancora il fotogramma.
− Kuroo? – chiedo.
− Dimmi. –
− Tu dove tieni il gomito quando ti metti così? –
È alla fine del finestrino, al limite della portiera.
− Dove lo tiene lui, credo. –
− E tu, Kenma? –
− Più avanti. –
Schiocco la lingua.
− È alto, sul metro e novanta, come Kuroo. –
− I vestiti sembrano costosi. – aggiunge Bokuto.
Guardo ancora, ancora, ancora di più.
− Quando riparte, guarda quando riparte, Akaashi. –
Quando riparte...
Si vede appena, forse, appena appena.
Si vede che toglie il gomito, lo mette sul volante, ma non sembra che ci appoggi sopra l'altra mano.
− È mancino. –
− È mancino. – mi sento confermare da dietro.
Kuroo ride.
− Avete davvero fatto un profilo di qualcuno da... quello? –
− È un profilo inutile, non ci dice niente. –
− È comunque meglio di quanto avrei mai fatto io. – risponde.
Bokuto sta pensando, quando lo guardo.
− Alto, mancino, vestiti costosi, lontano dal luogo di ritrovamento. È un inizio. –
− Non è nie... −
− Il timbro della discoteca, Kenma! Ci serve il proprietario! –
Esplosivo anche il suo modo di ragionare.
Senza posa.
Direi persino affascinante.
Kenma sbuffa di nuovo, tira fuori il file che aveva fatto fare per Bokuto, mi guarda e aspetta che gli indichi quello che avevo riconosciuto qualche ora fa.
Un altro paio di tasti premuti, si apre una mappa.
− A dieci chilometri dal luogo di ritrovamento. –
Scuoto la testa.
− È troppo vicino, non l'hanno ucciso lì. E poi era sbiadito, c'è andato qualche giorno prima. Mi sai dire chi è il proprietario? –
Tic, tac, invio.
− Lui. Trentacinque anni, asiatico, un metro e settantacinque, sposato. –
− Precedenti? –
Kenma scrolla le spalle.
− Niente d'interessante. Qualche multa per eccesso di velocità. –
Mi giro completamente verso Bokuto.
Vorrei dirgli che dobbiamo interrogarlo, ma è concentrato, concentratissimo, sta pensando qualcosa, e voglio inaspettatamente sapere che cosa.
− Kenma, mi riesci a far vedere le discoteche colpite dal killer? –
Kenma si lagna, ma lo fa.
− Ce ne sono altre nei dintorni? –
Compaiono altri piccoli segnaposto.
Uno vicino alle tre.
Uno più attaccato, nello stesso quartiere, che campeggia a quel modo nel suo verde sullo schermo piatto del cervello informatico di Ken.
Bokuto prende fiato.
− Interroghiamo il proprietario, ci facciamo dire se c'è stato qualcosa di strano, e poi andiamo sotto copertura. Succede qualcosa, nelle discoteche, e secondo me succederà di nuovo là. –
Ne è...
No, non ne è sicuro.
Ma questo non è un lavoro dove si è sicuri.
E per quanto il mio orgoglio mi urli di non fidarmi, quello che dico, alla fine, è un "ok".
La tensione raggiunge l'apice, quando ci guardiamo, coperti e avvolti da una decisione che non ci lascia scampo.
Poi si spezza.
− Voi due siete inquietanti, cazzo. –
− Spaventosi. –
Ci giriamo tutti e due.
− Che? –
− Non so cosa sia successo ma avete trovato una pista in venti secondi e tutto quello che avete visto è un timbrino e un video dove non c'è assolutamente niente. Sicuri di stare bene? –
Mi irrigidisco, non so che dire, non so che...
Kenma aggrotta le sopracciglia di colpo, come se un pensiero l'avesse preso alla sprovvista, e distaccandosi dalla critica divertente nei nostri confronti, torna al suo PC.
Apre il personale della discoteca dove dobbiamo andare, le foto, le...
− Keiji, è quella dove lavora Iwaizumi. –
Se prima è stata la realizzazione, ad avermi congelato, ora è il terrore.
È vero.
Quella è la discoteca dove lavora Iwaizumi.
− È un vostro amico? – domanda Bokuto, un po' confuso, un po' curioso.
− Mio e di Keiji. Ma non è quello il punto. Il punto è che se andate sotto copertura nella discoteca dove lavora Iwaizumi, dovrete interagire con la Grande Bestia. –
− La Grande Bestia? –
Mi sento sprofondare.
Due parole, che pesano sulla mia lingua.
− Oikawa Tooru. −
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
mel : "no ma non capisco perché ogni volta che scrivo qualcosa c'è sempre qualcuno che parla di oikawa tooru cioè non è che può entrarci sempre con tutto"
sempre mel : METTIAMO OIKAWA TOORU
(detto questo prima che mi vi scervelliate nei commenti sì è molto probabile che ci sarà una side story sulla kuroken)
(e anche su oikawa tooru)
(cioè su lui e iwachan intendo è ovvio)
(scusate credo di aver preso un qualcosa di strano per oikawa e non riesco a smettere di scrivere di lui cioè è così tridimensionale e divertente e ci puoi fare qualsiasi cosa è super versatile non so credo sia la mia musa)
(bokuto che ascolta harry stiles è il mio stile di vita cioè non so mi dà delle pan vibes allucinanti e in realtà io credo che ascolti ancora di più taylor switf ma non essendo una fan ho preferito evitare cioè so che ci sono fan fra voi e mi sarebbe spiaciuto inserire una canzone a caso)
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