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Bokuto sorride.

Si piega, appoggia le mani sulle ginocchia, i jeans gli si stringono addosso alle cosce, le spalle sembrano ancora più larghe di quanto non lo sembrino di solito.

Sorride, sospira, tira su un braccio e si asciuga la fronte dal sudore, si china e riprende il bastone, si gira per un istante verso di me.

Non rifiuto il suo sguardo.

Lo accolgo.

Alzo gli angoli della bocca quando i suoi occhi dorati si specchiano nei miei, osservo il modo in cui inarca lievemente le sopracciglia come a chiedermi se tutto vada bene, mi godo la meraviglia del sorriso che gli si esibisce sul volto quando annuisco per confermare.

Torna a guardare dritto di fronte a sé.

Il Capitano scodinzola, con la lingua a penzoloni fuori dalla bocca e segue con lo sguardo la mano del suo padrone.

Bokuto stringe gli occhi.

E poi lancia il bastone in linea retta, facendo in modo che fenda l'aria e atterri qualche metro più in là fra le foglie secche che coprono quello che in primavera credo sia un prato, e il suo cane immediatamente si gira e corre a prenderlo.

Mi si stringe il cuore.

Batto via la cenere della mia sigaretta – credo la terza da quando siamo arrivati un'ora fa – sul mio posacenere tascabile e prendo un tiro, sorridendo all'immagine del mio ragazzo che ride forte e coccola la palletta di pelo quando effettivamente, il Capitano gli riporta il bastone.

Adorabili.

Tutti e due.

Adorabili.

Io che credevo la cosa più bella del mondo fosse l'eleganza ferrea e glaciale di qualcuno che ti tratta con freddezza, mi ricredo completamente come sto facendo da due settimane, guardando quanto più meraviglioso, spettacolare e dolce sia guardare Bokuto ridere, divertirsi e comportarsi come gli va di fare.

Sento un gomito colpirmi il braccio.

Una voce femminile e anziana si schiarisce.

– Otto verticale, quattro lettere. "È concitata nelle discussioni". –

Mi giro appena.

– Lite. –

– Dici? –

– Secondo me sì. –

Impugna la penna con un po' di difficoltà e scrive nei quadretti, la calligrafia un po' tremolante e incerta, la fronte adornata dalle rughe che si contrae.

– Certo che sei sveglio, tu, bel ragazzo. –

– Sono solo bravo con le parole crociate. –

– Per quanto mi riguarda è più che sufficiente. Mio nipote non sa farle, non mi aiuta mai, e non costringermi a raccontarti quella volta che ho chiesto al tuo ragazzo di farle con me. –

Una punta di fastidio mi tinge la mente.

– Bokuto è dislessico, è per questo che... –

– Calma, bel ragazzo, calma, lo so. Non volevo insultarlo. Solo dire che vederlo provare è stato divertente. –

Mi rilasso, guardo il viso docile della signora e annuisco chinando un po' il capo, per scusarmi. È che sono un po' iperprotettivo, forse. E sicuramente molto diffidente.

Mi sorride, mi accarezza il braccio con la mano con cui tiene la penna e ricomincia a scorrere lo sguardo fra le parole crociate.

L'altra signora vicino a me, quella dall'altro lato, coglie questo momento di silenzio per tirare su il braccio e agitarlo dalla parte di Bokuto.

– Kōtarō, mi fai correre anche il mio? Mangia così tanto che a malapena gli si vedono le zampe! –

Bokuto sorride a trentadue denti.

– Certo signora! Però non lo insulti che se la sente poi ci rimane male! –

– Sì, sì come vuoi! –

Mi scappa una risatina che non nascondo, lui mi sorride di nuovo, poi si rigira verso i cani e ne punta uno diverso dal Capitano, un Corgi un po' cicciottello che saltella fra le foglie con le sue zampette piccoline.

Mi sporgo verso la proprietaria.

– È probabilmente l'animale più tenero che io abbia mai visto. – commento, guardandolo avvicinarsi a Bokuto e invece di seguire le sue direttive ribaltarsi pancia all'aria in attesa di coccole.

– Lo è, ma corro più di lui e ho settantaquattro anni. –

– Il mio migliore amico le direbbe che correre è sopravvalutato. –

– Potrebbe anche darsi. –

Kōtarō si china e gli gratta la pancia, poi lo aiuta a girarsi, agita il bastone verso di lui cercando di attirare la sua attenzione, il Corgi non lo calcola di striscio, torna com'era, pancia all'aria, in un attimo.

– Non lo vedo molto propenso. –

– Dagli un attimo, il tuo ragazzo è un mago coi cani. –

Mi mordo la lingua prima di rispondere qualcosa che non dovrei e torno con l'attenzione fissa alla scenetta di fronte a me.

Un'altra grattata fra la pelliccia chiara e sulle giunture con le zampe che lo fanno stiracchiare, poi Bokuto piega la testa, lo squadra.

Si gira verso di me, si alza e viene dalla nostra parte.

Lì per lì non capisco cosa stia facendo ma nonostante non lo capisca sono felice che lo stia facendo, aspetto che copra la distanza, sorrido come il coglione infatuatissimo che sono quando arriva e spiaccica una mano fra i miei capelli prima di parlare.

– Mi scusi signora, me la passa per caso la borsa che ho lasciato là? –

La signora più esterna sulla panchina annuisce, gli passa il borsone che ci eravamo portati dietro da casa sua.

– Che il suo cane credo abbia degli interessi molto specifici, ecco. – si spiega, quando la riceve e la apre frugandoci dentro.

Tiene comunque una mano fra i miei capelli.

Muove piano le dita fra i ricci ed è affettuoso, dolce, carino, così carino.

Tira fuori una bustina.

Aguzzo lo sguardo dietro le lenti dei miei occhiali per leggere "biscotti per cani" sulla superficie plastificata, capisco cosa intende quando rimette a posto la borsa e s'infila i dolcetti sulla tasca dei pantaloni.

Prima di tornare dov'era, si china verso di me.

Non mi bacia sulle labbra, lo fa fra i capelli.

– Come ti senti? – mi chiede, gli occhi che cercano i miei, le mani che scorrono sul mio viso, sulle guance.

– Benissimo, stiamo facendo le parole crociate. –

– Sai fare le parole crociate? –

La signora al mio fianco interviene.

– È sveglio, ragazzone, è sveglio davvero. –

Bokuto ride.

– Beh, non si diceva che gli opposti si attraggono? –

La signora ride, lo fanno le altre dopo di lei, un po' lo faccio anch'io.

– Comunque, signore, oggi siete davvero una delizia per gli occhi quindi vi prego di contenervi perché ho il ragazzo da meno di ventiquattrore e vorrei tenermelo almeno per un altro po'. – scherza, passandole in rassegna con lo sguardo una ad una.

Quella vicino a me lo colpisce col bastone.

– Sei proprio un ruffiano, tu. –

– Non sono un ruffiano, sono onesto! –

La signora si gira verso di me.

– È un ruffiano. – afferma.

– È un ruffiano. – concordo.

Bokuto aggrotta le sopracciglia, scuote la testa tutto convinto.

– Sono così poco ruffiano che manco so come si scrive, "ruffiano". –

– Quello perché sei un ruffiano dislessico. –

– Nemmeno "dislessico" credo di sapere come si scrive. –

Di nuovo si spande una risata fra le signore, che coinvolge anche me, e un po' ride anche Bokuto, con quel rumore così tipico e musicale che trovo tanto dolce.

Apre bocca per parlare ma il rumore delle foglie secche lo interrompe.

Si gira per guardare da dove provenga, all'inizio non nota nulla, poi china lo sguardo verso il basso da dove spunta, fra le sue gambe, il musino scuro del Capitano.

– Oh, Capitano, che c'è, ti mancavo? Ti sei spaventato perché pensavi che ti avessi abbandonato? Ma io non lo farei mai, Capitano, lo sai che non lo farei mai, vieni qui, palletta, vieni... –

Mentre si abbassa per prenderlo il Capitano gli sguscia fra le caviglie e lo supera, si avvicina alla panchina e tira su le zampette davanti fino ad appoggiarle tutte e due sul mio ginocchio, raggiunge la mia mano con il naso, tira fuori la lingua e lecca.

D'istinto mi ritrarrei, ma non lo faccio.

Scosto solo le mie dita dalla sua bocca e le appoggio dietro le sue orecchie.

Kōtarō si gira stranito.

– Capitano, ma che fa... –

Comprende quando vede la scena.

E se prima era confuso, l'attimo dopo appoggia le due mani sui fianchi e sorride come se avesse visto un miracolo divino.

– Oh, ma che carino. Ma quanto sei carino, Capitano. Vuoi stare con Akaashi? Ti piace tanto Akaashi? Lo so, lo so, ha un buon odore ed è così bello e ha le mani morbide e non hai nemmeno sentito i suoi capelli! Oh, che carino, che carino che... –

Ridacchiando alla reazione spengo la sigaretta nel posacenere, lo richiudo me lo infilo nell'unica tasca della felpa, poi mi abbasso e prendo il cucciolo fra le mani, fino a portarlo sul mio grembo.

Lui, che corre ininterrottamente da un'ora ed è, per confessione stessa di Bokuto, un tipo piuttosto pigro, non si ribella e anzi, si rannicchia col suo corpicino da cucciolo sulle mie cosce, le orecchie che si adagiano sul muso e la testa premuta contro la mia pancia.

Di nuovo, lo accarezzo dietro le orecchie.

– Sei stanco? – gli chiedo, pur sapendo che non mi risponderà.

Mi guarda con gli occhi grandi e lucidi.

– Sei stanco, vero? Vuoi stare un po' qui con me? –

Sbatte le palpebre, si sistema meglio.

– Stai un po' qui, dai, finché Kō non decide che è il momento di riportarti a casa. –

Sbadiglia quasi a confermare le mie congetture, si sistema e gli sorrido, perché è piccolo ed è carino ed è...

– Sto per mettermi a piangere. –

Alzo la testa.

– Kōtarō, ti prego, non metterti a... –

– Sto per mettermi a piangere e nessuno potrà fermarmi e piangerò ogni goccia d'acqua nel mio corpo e morirò disidratato. –

– Ti prego, non... –

– È che siete così carini e io vi voglio bene e tu sei bellissimo e lui è bellissimo e tu sei il mio ragazzo e hai in braccio il mio cane e il mio cane ti dorme in braccio ed è bello è tenero ed è carino e io sto per esplodere il mio cuore sta per esplodere ma non si può vivere col cuore esploso e io credo che morirò e non voglio morire sono troppo giovane per morire ma sto morendo perché voi due... –

Apro il viso in un sorriso, mi sporgo verso di lui e allungo una mano per prendergli il polso.

Smette di parlare.

– Guarda che se ti va puoi farci una foto. –

– Una foto? Posso? Oh, certo che posso. Posso! E la metterò come salvaschermo, sì, e la metterò sulla scrivania e... –

La signora vicino a me lo colpisce di nuovo col bastone.

– Sì, ragazzone, sulle tende da doccia, sui cuscini e sulle magliette promozionali. Abbiamo capito. Non c'è bisogno di straparlare, mi fai venire mal di testa. – 

Chiude la bocca e annuisce selvaggiamente, poi si mette tutte e due le mani sulle tasche sul retro dei pantaloni, ma sbagliando lato, cercando di mettere la destra nella tasca sinistra e viceversa.

Ridacchio piano per cercare di non disturbare il Capitano.

– Kōtarō, così sembri un pretzel. – commento, guardando il... non so se pietoso o esilarante tentativo di disarticolarsi le spalle per raggiungere il cellulare.

Mi guarda.

– Io amo i pretzel. –

– Sì, ma... –

Lo trova.

E in un turbinio di arti e muscoli e jeans e capelli e... Bokuto, riesce a tirare fuori il telefono dalla tasca.

Apre la fotocamera.

– Ora fammi un bel sorri... no, 'spetta, questo sono io. –

Come se avesse una ventina d'anni più di quelli che ha in realtà appoggia la punta dell'indice sullo schermo, aggrotta le sopracciglia e poi si esibisce in un "ah" pienamente soddisfatto.

– Ok, ora ci siamo. Fammi un bel sorriso, uno che dica "sono il fidanzato di Bokuto e ho il suo cane in braccio e sono bellissimo" –

– Come faccio a fare un sorriso che... –

Sono io, che vengo colpito col bastone, questa volta.

– Per la miseria, bel ragazzo, sorridi e basta, guardalo, gli andrebbe bene di tutto! –

Mi mordo l'interno delle labbra per non scoppiare a ridere quando effettivamente riguardo Bokuto e lo trovo con la bocca aperta e sorridente tutto emozionato col suo cellulare in mano.

In effetti.

– Ok, ok, ci sono. –

Guardo verso la fotocamera.

Lo vedo premere sullo schermo più volte.

Cerco di sorridere e mi sento un po' idiota a farlo, quindi per scappare all'imbarazzo mi chino a guardare il Capitano che da buon pigro già dorme, gli gratto il musetto, lo guardo arricciare il naso.

Credo sia questa, quella che scatta in questo momento, che viene meglio.

A giudicare da Bokuto che abbassa il telefono, apre la galleria e dice un "wow" a mezza voce, è decisamente questa.

– Siete così... belli. – mormora.

– Me la fai vedere? –

– Un minuto, voglio guardarla ancora un po'. –

Ha gli occhi grandi e contenti mentre scorre con le pupille sull'immagine. Sbatte le palpebre, sorride, giurerei che ha gli occhi lucidi.

La signora a fianco a me, non quella delle parole crociate ma l'altra, ride piano e poi si gira dalla mia parte.

– Fa la faccia che fa il mio cane di fronte all'umido costoso che gli compro al supermercato. La faccia del vero amore. –

Arrossisco fino alle orecchie, chiudo forte le labbra e guardo verso il basso.

– Credo solo mi trovi bello. –

– Sicuro? –

Se ne sono sicuro?

Dio, come potrei?

Il mio cervello mi urla che è quello, lo sbraita, perché il mio cervello è diffidente e lo è sempre stato. Ma quello è l'uomo che mi ha salvato la vita ieri sera, che mi ha consolato e che io ho consolato, che mi ha stretto mentre dormivo, che si è preso cura di me stamattina.

No che non ne sono sicuro.

Perché ogni barriera lui la tira giù, e non ho più niente di cui essere sicuro.

Faccio spallucce ed evito di rispondere, Bokuto mi mostra la foto un istante dopo. L'ha già messa come sfondo del telefono e me la fa vedere da là.

Ci sono io che guardo il Capitano che dorme sulle mie ginocchia con le guance arrossate dal freddo, il mento affondato nella sciarpa verde di Bokuto e la sua felpa addosso, gli occhi azzurri che scintillano dietro le lenti degli occhiali.

È una bella foto. È decisamente una bella foto.

– Sono venuto bene, grazie di averla scattata, Kōtarō. –

Riporta a posto il suo cellulare, evitando l'incastro strano delle braccia, mi sorride.

– Di solito le persone nelle foto sembrano diverse. Invece mi piace che sia proprio tu come ti vedo in questa. Credo davvero che la porterò in ufficio. –

– Sei adorabile. –

– Sei tu che mi rendi davvero difficile non esserlo. –

Si sporge di nuovo dalla mia parte e mi arruffa i capelli, non cedo alla tentazione di tirarmelo addosso ma prendo per un attimo la sua mano con la mia, tira fuori i dolcetti per cani, torna verso il Corgi della signora l'istante dopo.

Io rimango inebetito a guardarlo.

È così...

Così...

Accarezzo la pelliccia del Capitano.

È così una bella persona. È così dolce e così tenero ed è così sano, così meraviglioso, così piacevole. Tanto che non mi sembra vero, tanto che non comprendo come possa meritarmelo, tanto che mi riempie il cuore.

È così fiero di me, lui. È così fiero di stare con me. Lui la porterebbe, la mia foto a lavoro, e so che la farebbe vedere a tutti, che mostrerebbe a tutti me e il Capitano e direbbe che siamo le sue due cose preferite e sarebbe fiero, così fiero di...

Sento gli occhi inumidirmisi.

Cerco di ricacciare la commozione.

La signora vicino a me però se ne accorge e sospira, prima di appoggiare una mano raggrinzita sul mio ginocchio e stringere.

– Tu non hai avuto una vita facile, vero? –

Prendo fiato cercando di non tremare.

– No, signora. Almeno, io non ho trovato facile quello che mi è successo. –

– Si vede. Sembri così... sorpreso. –

– Sorpreso? –

Indica Bokuto con lo sguardo.

Aveva ragione, i dolcetti per cani sono un ottimo modo per far muovere il Corgi, è decisamente più interessato a quelli che al bastone. Corre all'indietro col cane che lo segue e si guarda attorno per evitare di pestare qualcosa o qualcuno, ride, gli dice che è bravo, gli dà i premi quando finisce il tratto di spazio che li separa.

– Lui è meraviglioso e questo lo sappiamo entrambi. Ma ogni volta che apre bocca, sembra che ti aspetti di sentire qualcosa di diverso, sembra che ti sorprenda sentirgli dire certe cose. –

– Un po' lo fa. Non sono tanto abituato alle persone come lui. –

– Ho la sensazione che ti ci abituerai, prima o poi. –

– Spero. –

– Ne sono praticamente convinta. –

Il Corgi scivola sulle foglie, mette male una zampa e cade, atterra con la pancia a terra. Non si lamenta, solo rimane un attimo fermo fra le foglie secche. Bokuto si china e gli gratta il muso, lo incoraggia a tirarsi su, gli dà un premio giusto per incitarlo.

– È che dice sempre la cosa giusta al momento giusto. Ieri abbiamo litigato e manco se l'è presa con me, niente. Abbiamo avuto un casino a lavoro per colpa mia e invece di dirmi qualcosa è qui che gioca con i cani e mi sorride a trentadue denti. –

– Forse perché non avevi tutta questa colpa che credi, bel ragazzo. –

– Le assicuro che l'avevo. –

La signora sospira, sistema le parole crociate sul suo grembo, si schiarisce la voce.

– Lui è buono, ma non è stupido. Se ti fossi davvero comportato con cattiveria non saresti qui adesso. –

– Forse è solo che in questo momento è infatuato e... –

– No, bel ragazzo, Bokuto non è fatto così. Lo sai meglio di me che è lucido con le emozioni. E lo sai meglio di me che "infatuato" non è la parola giusta. –

Di nuovo, mi vanno in fiamme le guance.

– Sarà che non riesco a spiegarmi come sia possibile. –

– Probabilmente l'unico modo che hai per saperlo è chiederglielo. –

– Dovrei chiedergli perché gli piaccio? –

– L'hai mai fatto? –

L'ho mai fatto? No, non credo di averlo mai... alla fine che cosa gli può piacere di me? C'è qualcosa che può piacere? Il mio aspetto, forse ogni tanto il mio sarcasmo ma...

– Dovresti. Scopriresti che tutte le cose cattive che pensi su di te lui le vede in un altro modo. Probabilmente le vedresti anche tu in un altro modo. –

– Penso che lei abbia ragione. –

– Io ho sempre ragione, bel ragazzo. –

Rido e annuisco, lei mi sorride, poi la conversazione scivola via e torniamo dov'eravamo partiti.

– Ventidue verticale, sei lettere, "Johann, compositore austriaco". –

– Strauss. –

Prende la penna e ricomincia a scrivere, io torno a guardare il mio ragazzo, l'aria fredda del mattino mi colpisce il viso e tutto dentro di me si calma.

Dovrei chiederglielo.

Dovrei farlo.

Anche solo per il gusto egoistico di sentirmi apprezzato.

Anche solo per farmi dire che è fiero di stare con me.

Perché ho sempre pensato di essere qualcosa di cui le persone dovessero vergognarsi.

Con Bokuto, come sempre, come tutto, questa cosa è completamente diversa.

Trovo occasione di portar fuori l'argomento... una ventina di minuti dopo.

Io e la signora avevamo finito il cruciverba, quando il Capitano si è svegliato, e Bokuto aveva fatto correre a sufficienza quel povero Corgi che sembrava sul punto di sputare entrambi i polmoni sulle foglie secche, quindi abbiamo deciso di lasciar là i cani per un po' e andarci a prendere un caffè.

Bokuto si è premurato di prendere le ordinazioni delle sue amiche del parco, ovviamente.

Ci ha messo cinque minuti buoni a impararle a memoria e sono piuttosto certo ora non se le ricordi più, ma sembrava tutto soddisfatto, e non mi sono permesso di consigliargli di usare le note del telefono, perché era contento e di certo non avevo alcuna intenzione di rovinare la sua contentezza.

Certo, le ho imparate anch'io per ogni evenienza, però non gliel'ho detto, l'ho fatto per evitare incidenti ma senza togliergli nulla della sua tenerissima convinzione.

Ha la mano stretta alla mia, le dita intrecciate, e balla un po' avanti e indietro il braccio mentre camminiamo, canticchia una canzone che non conosco, sorride a trentadue denti.

Dovremmo parlare del caso.

Dovremmo parlare di ieri in funzione di quello che dobbiamo fare oggi.

Dovremmo...

– Kōtarō, te la posso chiedere una cosa? –

Si gira dalla mia parte.

– Certo, tutto quello che vuoi. –

– Cos'è che ti piace di me? –

Rimane in silenzio.

Gli occhi scrutano i miei.

Sta cercando di capire se è una domanda seria, se sto scherzando o cosa? Sta cercando di leggere la situazione?

Le sue pupille tremano quando le sposta sul mio viso, stringe le dita sulle mie.

– Mi fai sentire speciale. – risponde, dopo un attimo.

Aggrotto le sopracciglia.

– In che senso? –

– Nel senso che mi fai sentire bene. Mi fai sentire a posto con me stesso, mi fai sentire fortunato e felice. Mi fai sentire speciale, in tutto quello che faccio, perché ridi alle mie battute e sorridi sempre quando ti parlo, mi spieghi le cose anche se tu le hai capite subito e star dietro a me sembrerebbe inutile e sei molto gentile con me. –

Lo dice con tale leggerezza che...

– Poi sei elegante. Non so come spiegarlo, ma sei... elegante. In tutto quello che fai. Come ti muovi, come parli, anche adesso che sei un po' arruffato, sei elegante. E sei intelligente, e forte, e nonostante tutto quello che hai vissuto anche se non lo dai a vedere sei altruista e cerchi di aiutare gli altri, non sei mai cattivo anche quando ne avresti il diritto. –

Sorride come se stesse dicendo la cosa più semplice del mondo, la più lineare, la più facile.

– Mi piaci anche fuori, è ovvio. Sei tanto bello. Ma mi piaci tanto tanto anche dentro. Certe volte mi capita di pensare che siamo molto diversi ma mi piace che siamo diversi, perché... secondo me stiamo bene assieme. –

Piega la testa.

– E poi piaci al Capitano. Basterebbe anche solo quello. – mormora, ridacchiando, gli occhi che s'immergono nei miei e il sorriso più dolce del mondo aperto sul viso.

La luce del mattino, il vento, lo scenario, tutto sembra studiato perfettamente per far risaltare il suo viso, il suo modo di fare, lui in generale.

Lui che sa dell'ammorbidente che usa per lavare i vestiti, con le foglie secche attaccate ai jeans e le guance arrossate dall'aver corso avanti e indietro per l'area cani un'ora e mezza, lui che chiama "amiche" quattro settantenni che amano fare le parole crociate, lui che non sa scrivere "ruffiano", non sa scrivere "dislessico", non si ricorda le ordinazioni del bar perché non se le scrive.

Nemmeno scoppio in lacrime.

Nemmeno mi commuovo.

Sono troppo felice per farlo e sto troppo bene e...

Mi alzo sulle punte dei piedi.

Stringo il colletto della sua felpa con le braccia.

Lo tiro giù, lui si abbassa e in mezzo al marciapiede le nostre labbra s'incontrano, le mie ginocchia tremano e le sue mani si sistemano sulla mia vita.

– La signora aveva ragione, avrei dovuto chiedertelo prima. –

– Ti è piaciuta la risposta? –

Alzo un sopracciglio.

– Scherzi? –

Sorride contro il mio viso.

– Sono bravo con le parole, eh? Avrei dovuto fare il poeta, altro che il poliziotto. –

– Avresti scritto delle poesie orrende ma le avrei lette tutte e avrei comprato tutti i tuoi libri. –

Sbatte le palpebre.

– Questo sì che è carino davvero, Akaashi. –

– Lo so, e lo intendo. –

Ridacchia e ridacchio anch'io di rimando, china di nuovo il viso verso il mio, ci baciamo un'altra volta.

– Sei davvero il miglior fidanzato del mondo, Kōtarō. – commento, quando si stacca, la fronte contro la sua e le labbra aperte in un sorriso.

– Aspetta di vedermi senza vestiti, poi ne riparliamo. –

– Ti ho già visto senza vestiti. –

– Sì, ma migliora ogni volta. –

Arriccio il naso, annuisco.

– Mmh, è vero, è vero, hai ragione anche tu. –

Ride, mi bacia una terza volta le labbra, poi si sposta verso una guancia e si stacca poco dopo, la mano ancora legata alla mia, l'espressione sempre più rilassata.

Ricominciamo a camminare, dentro di me mi sento come se qualcuno mi avesse stappato dello spumante nella cassa toracica, frizza qualcosa, di una sensazione effervescente che mi fa il solletico.

– Comunque dobbiamo andare a cena, io e te. O da qualche parte. Per un appuntamento vero, non per lavoro, sai. Tipo in qualche posto carino o qualcosa del genere. –

Kō annuisce.

– Sì, hai ragione, dovremmo. Ma non in quei posti super raffinati che fanno le porzioni piccolissime perché se no crepo di fame. –

– Potremmo andare a mangiare la carne. –

– Questa mi sembra davvero un'ottima idea. –

Svoltiamo sulla destra, verso il bar che si staglia nel suo gazebo in mezzo alla strada nel parco.

Non c'è nessuno in fila, solo un paio di persone sedute ai tavolini messi fuori, già mi sembra di sentire l'odore rigenerante del caffè da qui.

– Potremmo anche andare al cinema. – propone, mentre ci avviciniamo.

– Sì, anche, mi piace il cinema. –

– Che film ti piacciono? –

Prendo fiato e una nuvoletta di condensa si forma di fronte alle mie labbra.

– I film d'autore, quelli psicologici tristi che sembrano sempre noiosi. A te? –

Bokuto ride.

– Il cinecomics. E i cartoni. Quelli dei bambini, tipo... i Minions o Sing o quelle cose là. Anche quelli Disney, anche se piango sempre. Sai quanto ho pianto per Coco? –

– Non so nemmeno che film sia, Coco. –

– Cosa? –

Lo dice urlando, quasi. Col tono di voce alto e squillante. Si ferma in mezzo alla strada per esprimere il suo più completo stupore, mi guarda con gli occhi spalancati.

– Non l'ho mai visto. Non sono molto il mio gene... –

– Prossima volta che vieni da me guardiamo Coco. E Big Hero 6 che è il mio preferito, e guardiamo anche Inside Out, se non l'hai mai visto. E Moana e anche Encanto. Hai mai visto Cattivissimo Me? –

Scuoto la testa.

– Criminale, sei un criminale. Quel film è meraviglioso. E ci sono gli unicorni e il professor Nefario che secondo me è uguale a Kuroo ed è adorabile. Questo weekend non prendere impegni, devo riportarti al mondo reale. –

Ridacchio piano all'entusiasmo con cui lo dice.

– Per me va bene. Ma guardiamo il film o... –

Scuote la testa violentemente.

– Guardiamo il film. Fare sesso mentre guardiamo Cattivissimo Me è un reato e dovrei arrestarmi da solo. –

Sporgo il labbro inferiore.

– Lo possiamo fare dopo? –

– Sì. –

– Perfetto, allora, andata. –

Mi bacia per suggellare il nostro... patto, credo, o piano malefico o qualunque cosa sia e poi mi sorride, mi tira dalla mano verso la cassa del bar e mi lascio trascinare, ridendo piano a qualsiasi cosa ci sia fra noi che mi fa sentire così felice.

Ci sistemiamo di fronte alla cassa.

– Tu che prendi? –

– Un caffè americano grande. La taglia più grande che hanno. Credo di aver bevuto troppo poco caffè oggi, mi sento tutto rincoglionito. –

– Oh, ok. –

– Tu? –

Si gratta il ponte del naso.

– Voglio il cappuccino con la panna. Ma non so se lo voglio con la panna e il caramello o la panna e il cioccolato. E voglio anche una brioche, ho davvero fame. So che ho fatto colazione ma... –

– Se hai fame hai fame, non ci sono cazzi, Kou. –

– In effetti. –

Sorride alla barista che ci si presenta di fronte. È una ragazza giovane, avrà la nostra età, con la tuta di pile sotto il grembiule del bar. Credo si conoscano già perché l'espressione che fa lei è piuttosto eloquente a riguardo, ma respingo la punta di gelosia che provo e stringo più forte la mano di Bokuto nella mia.

– Allora, noi vorremmo... merda, mi sono dimenticato. Keiji, cosa vorremmo? –

– Un caffè americano nero, il più grande che avete. Due espressi doppi e un latte macchiato freddo, un tè alla pesca. Un cappuccino con la panna al... –

Sbatte le palpebre come se fosse completamente confuso.

Credo di fatto sia completamente confuso.

– Kōtarō, con cosa la vuoi la panna? Con il cioccolato o il caramello? E la brioche? –

– Ehm... col cioccolato. E la brioche col cioccolato. –

– Ok, col cioccolato allora. – ripeto alla barista, che guarda me e lui e poi ridacchia fra sé e sé come se fossimo la scenetta più simpatica che abbia mai visto.

– È tutto? –

– Sì. –

– Fanno... –

Porto la mano alla tasca per tirare fuori il portafogli ma Bokuto mi precede, fa passare la mano sopra la mia e porge la carta alla barista.

– Pago io. Tu ti ricordi le cose, io pago. –

– Non c'è bisogno che... –

– Per favore, Keiji. –

Accetto chinando il capo, lo ringrazio a mezza voce, guardo la cameriera passare la carta sopra la macchinetta e restituire lo scontrino, poi girarsi per preparare l'ordine.

Io mi lascio andare contro il mio ragazzo, mentre aspetto, e riposo un po' del mio peso sul suo, che non dice niente, accetta e basta la mia presenza.

Mi accarezza un fianco distrattamente.

– Come facevi a ricordarti tutto? –

– Ho una buona memoria. –

– E poi hai anche il coraggio di chiedermi perché mi piaci. Non è ovvio? –

– Temo sia ovvio solo per te. –

Mi colpisce piano il lato del viso col naso.

– No, è il contrario. È ovvio per chiunque tranne che per te. –

– Tu dici? –

– Lo so. –

– Mmh, forse è vero. –

Sento il suo viso spostarsi verso la mia guancia, le sue labbra raggiungere la mia tempia.

– Certo che è vero. –

– Vieni qui, scemo. –

Giro la testa per poterlo baciare più agevolmente e m'immergerei per qualche istante nella sensazione che mi genera nel petto, se non fosse che il cellulare mi vibra nella tasca dei pantaloni.

Mi concedo un bacetto veloce.

Poi tiro fuori il cellulare e guardo il nome sullo schermo.

Merda, è il procuratore.

Ovvio che è il procuratore, abbiamo fatto un arresto enorme, ieri.

Eppure...

Mi è piaciuto per un po' far finta di non essere me, di non essere noi, di non essere niente se non due ragazzi che si sono appena messi insieme e che vivono serenamente la loro vita.

– È il procuratore. Mi sa che devo rispondere. –

Bokuto annuisce.

– Immagino di sì. Vai, li prendo io i caffè. –

Scuoto la testa.

– No, non prenderli, ti prego, poi ti cadono tutti e fai un casino. Aspetta un attimo e torno. –

– Guarda che non sono così goffo! –

Alzo le sopracciglia.

– Kōtarō, ho almeno venticinque esempi di te che sei goffo nel mio repertorio. –

– Guarda che ero nelle Forze Speciali, so essere molto preciso se voglio. –

– So che sai esserlo, ma ti prego, non cercare di esserlo ora. –

Fa un finto broncio e sbuffa, ma sorride subito dopo, io accetto la chiamata e mi sposto di lato sorridendogli di rimando.

Mi preparo mentalmente ad una di quelle sgridate infinite.

Mi preparo mentalmente al peggio, quando porto il cellulare all'orecchio, alle urla e ad essere sospeso e a qualsiasi cosa.

Però...

– Akaashi, l'avete preso! È incredibile, l'avete preso! Sapevo che potevo fidarmi di te, lo sapevo, siete stati davvero bravi! Vedi che non era una cattiva idea quella di lavorare insieme? –

Rimango interdetto.

Assolutamente interdetto.

Non l'abbiamo preso.

L'uomo è scappato, quello che ha cercato di esaminarmi e comprarmi come se fossi un oggetto è scappato e ne sono completamente sicuro.

Ma...

– Abbiamo fatto l'esame balistico alla pistola della persona che abbiamo trovato con te nel seminterrato, corrisponde. Quella è la pistola che ha sparato. Avete chiuso il caso, Akaashi, dobbiamo feste... –

– Non l'abbiamo chiuso. Potrà anche aver sparato, ma c'è sotto qualcos'altro. –

La voce del procuratore si affievolisce.

– Eh? –

– Non hai letto il mio rapporto? –

– Non hai fatto rapporto. –

Merda, è vero, non so per quale motivo l'avessi rimosso. Ho passato così tanto tempo traumatizzato che non ho avuto modo di farlo, e...

– C'era un altro uomo al quale stava cercando di consegnarmi. Uno che non ho visto. La stanza era piena di persone. Ci sono altri coinvolti in questa faccenda e qualcosa mi dice che quello che il tizio morto definiva "il cliente" sia la vera mente dietro a tutto. Anche se non ha sparato. –

– Oh, merda. –

– Già, merda. –

Passa qualche istante di silenzio.

– Però l'assassino ce l'abbiamo, ed è comunque qualcosa, no? –

– È qualcosa, è qualcosa. Solo non è abbastanza. –

– Non lo vuoi chiudere questo caso, eh? –

Sento il nervosismo stringermi la bocca dello stomaco.

– Non è che non voglio chiuderlo, è che vorrei risolverlo, se permetti. Sai che non faccio lavori a metà. –

– Lo so, lo so, ma certo che non riesci ad essere felice di niente. –

– Non c'è niente di cui essere felci in questa storia. –

Sento il procuratore sospirarmi all'orecchio e sospiro anch'io.

– Comunque su una cosa posso darti ragione. Bokuto della Circoscrizione quattro. Su di lui avevi ragione. È un ottimo collega e... te lo racconto quando chiudiamo questa storia. –

– Cosa devi raccontarmi? –

– Lo saprai quando te lo dirò. –

Sorrido fra me e me e guardo Koutarou, fermo di fronte a sei tazze fumanti con le mani religiosamente in tasca.

– Spero che tu non stia facendo stronzate, Akaashi. –

– No, per una volta non credo proprio di starle facendo. –

– Bene. –

Cerco di rilassare le spalle, mandar via la brutta sensazione che ho addosso, scuotermi di dosso il nervosismo.

– C'è bisogno che arriviamo subito? –

– No, no, potete venire fra un paio d'ore, stiamo ancora finendo gli interrogatori ai presenti, serve l'esame autoptico dell'assassino e ci sono un sacco di scartoffie. Ci vediamo fra un po'. –

– Ok, perfetto, grazie. –

Sento il mio interlocutore sospirare ancora, sfinito.

– Più ne so più questa storia mi sembra strana. –

– Non dirlo a me. Quando farò rapporto ti sembrerà ancora peggio. –

– Dio, non dirmelo. –

Al solo pensiero di dover rivivere tutto nei minimi dettagli mi si accappona la pelle, ma scaccio il pensiero, mi dico che chiederò a Bokuto di darmi una mano, di aiutarmi a scriverlo, spingo l'idea al fondo del mio cervello.

– Lasciamo perdere, ne riparliamo poi. –

– Ok. – confermo.

– A dopo. –

Sospiro.

– A dopo. – ripeto, e lascio scivolare via il telefono verso il basso mentre sento il procuratore chiudere la chiamata.

Prendo una grande boccata dell'aria gelida che mi circonda. Quando mi sento sufficientemente in grado di farlo, quando mi sento bene e solo allora, mi decido ad avvicinarmi ai caffè.

– Tutto a posto? –

– Hanno fatto il balistico al tizio che hai ucciso nel seminterrato. –

– Com'era? –

Guardo Bokuto.

– Positivo. E questa storia inizia a piacermi sempre meno. –

Mi sporgo verso la zona del bancone dove ci sono lo zucchero e le cannucce di carta, prendo uno d quei porta bevande di cartone e lo sistemo sul tavolo.

C'infilo dentro quattro dei sei caffè.

– Quindi è stato lui. –

– La sua pistola di sicuro. E potrebbe anche aver premuto lui il grilletto, ma... –

– Rimane la questione di quello che è successo là dentro. E il fatto che ci siano persone che sono scappate. –

– Esatto. –

Si morde l'interno della bocca.

Gli faccio cenno di prendere i due caffè che sono rimasti sul bancone, lo fa cercando di fare attenzione, ma ne stringe uno troppo forte e per poco non gli salta via il tappo.

– Mi dovresti raccontare bene che cosa è successo in quella stanza, Keiji, se vuoi che ti aiuti, però. –

– Lo so, è che... –

– Fallo quando te la senti. Però devi farlo. Non voglio metterti pressione, ma... –

– No, non ti preoccupare, hai ragione, sappiamo tutti e due che hai ragione. Quando arriviamo alla Circoscrizione facciamo rapporto insieme e ti spiego tutto, ok? –

– Ok. –

– Ora... torniamo solo dal Capitano e facciamo finta che vada tutto bene, ti va? –

Nota la disperazione con cui glielo sto chiedendo dal tono della mia voce e sorride, mi accarezza i capelli, sospira e annuisce, dirigendosi al mio fianco nel posto da cui siamo venuti, verso l'area cani.

Il tragitto di ritorno è molto più silenzioso.

Bokuto sta in un rispettoso silenzio nei confronti del mio nervosismo e il mio cervello lavora, macina informazioni, mi lancia un pensiero dietro l'altro, una congettura dietro l'altra.

È vero, potremmo avere l'assassino, ma se avevamo già appurato in precedenza che il nostro seriale è uno coi soldi che fa fare le cose agli altri cosa ci dice che questa non è esattamente la stessa cosa? Forse non li uccide ma di sicuro li stupra ed è un crimine, lui è un criminale, e poi è comunque il mandante di un omicidio e dev'essere arrestato e io voglio davvero arrestarlo e sbatterlo dietro le sbarre e...

Non ero io che volevo "fare finta che andasse tutto bene"?

Credo di non esserne in grado.

Credo che...

– Risolveremo questo caso, Keiji, lo faremo. Ti prometto che lo faremo. –

– Non puoi esserne certo. –

– Invece sì. –

Mi mordo l'interno della bocca.

– Ho una brutta sensazione, Kō. –

– Anche io, ma mi fido di te e mi fido di me e so che possiamo farcela. –

– Vorrei avere il tuo ottimismo. –

– Hai il mio supporto, per quel che vale. –

Gli sorrido.

– Vale molto. –

Sorride lui a me.

– Sono tanto felice di questo. –

Si sporge per baciarmi una tempia, poi torna zitto, io lo imito e continuiamo a camminare verso l'area cani.

Noto subito la panchina.

Le quattro signore sedute in fila, il Corgi che dorme perchè quei venti minuti di corsa l'hanno ucciso, il Capitano che scodinzola come un ossesso al solo stagliarsi all'orizzonte delle nostre figure.

Ecco, così va meglio.

Non al telefono col procuratore, ma così.

In questo momento in cui tutto sembra facile e felice e non ci sono morti e non ci sono seriali e non ci sono crimini da risolvere e traumi da affrontare.

Così.

Le signore sono tutte ammassate una vicina all'altra, quella del cruciverba ha il suo telefono in mano e mi ritengo stupito dal fatto che sia uno di quelli nuovi, di ultima generazione.

Credo stiano guardando qualcosa.

Un video, qualcosa del genere.

Quando siamo abbastanza vicini, lasciato Kō che procede a salutare il Capitano come se non lo vedesse da anni e distribuiti i caffè, m'incuriosisco anch'io verso lo schermo.

– Cosa guardate? –

– La conferenza stampa della polizia sul casino di ieri. Hai sentito del casino di ieri? –

Sospiro.

Non un attimo di tregua, eh?

In effetti, comunque, credo che tutte quelle camionette della polizia potrebbero aver attirato un po' l'attenzione.

– Sì, credo di avere un'idea. – taglio corto.

Gira lo schermo verso di me, do un'occhiata, ma non vedo nessuno che conosco.

Lo riporta verso sé e le sue amiche.

Non chiedo altro, me ne tiro fuori, ricerco la disperata tranquillità che ancora mi illudo di poter avere.

Porto il mio caffè alle labbra, provo a percepire la sensazione dolce e tranquilla di questo momento così semplice e a ricostruirla dentro di me, mi godo il sapore amaro del caffè sulla lingua e il calore che mi spande nel petto.

Una sigaretta e sarò di nuovo calmo.

Una sigaretta e...

Mi cade il caffè dalle mani.

Come sento la voce uscire dallo speaker del cellulare della signora, mi cade il caffè dalle mani.

Rovina a terra, si schianta fra le foglie, il coperchio si apre, il liquido scuro si spande sulla terra, l'odore de caffè si fa fortissimo.

Mi paralizzo.

La voce.

La voce che sta parlando alla conferenza stampa.

La voce è...

Le signore s'interrompono immediatamente quando vedono il caffè cadere, Bokuto anche, mi chiama, dice il mio nome, e sento le loro voci preoccuparsi per me come se provenissero dal fondo di un tunnel.

È lui.

È la voce di ieri.

È...

– Keiji! Va tutto be... –

Raccolgo ogni grammo di coraggio che possiedo.

Con il cuore in gola e i brividi che mi scorrono ovunque, provo a parlare.

– Chi è? Chi è che sta parlando? –

– Bel ragazzo, ti sei brucia... –

– Vi prego, ditemi chi sta parlando. –

L'ho riconosciuto, è lui, è lui, ce l'ho in pugno, io posso...

– Ma non vuoi prima... –

Vorrei muovermi per poterlo guardare da solo ma non riesco, non ne sono in grado, sono congelato, sono immobile, sono...

– Ditemi solo chi sta parlando, vi prego, vi imploro. –

Il mondo mi cade addosso quando sento la risposta.

Mi si sfa la terra sotto i piedi.

Cala come un'ascia sulla mia nuca e taglia tutto quel che c'è da tagliare.

– È il Ministro degli Affari Interni. Quello che sta parlando, è il Ministro degli Affari interni. –

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

OK NON IO DI FRETTISSIMA IN TRENO CHE STO PER ARRIVARE

1) credevo avreste capito tutt* che parlavamo di un politico quindi l'avevate capito i wanna know se so scrivere i colpi di scena o no lol

2) per chi non ne avesse idea il ministro degli affari interni è letteralmente il super capo della polizia. quindi parliamo del super capo di akaashi :D

3) ci rivediamo il 13 con new americana

4) spero che vi sia piaciuto sisisi (anche perchè scriverlo è stato una faticaccia in treno lol)

mel :D

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