𝚘𝚛 𝚊 𝚜𝚒𝚗𝚗𝚎𝚛
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È un po' come nei film.
Non so se avete presente, quelle scene nei film d'azione alla Indiana Jones dove i personaggi sono intrappolati dentro una scatola, una stanza, un'auto che si regge su di una corda incagliata non so dove.
Quelle in cui si sente la tensione che cresce, che sale, i secondi che scorrono e il sudore che scende sulle tempie, quelle in cui non sai cosa sta per succedere ma lo stai al tempo stesso, quelle lì.
Quelle in cui si vede la corda sfilacciarsi un secondo alla volta, rosa dai topi o dalla tensione eccessiva. Si smaglia un istante alla volta, diventa piccola, più piccola, più sottile, più fragile.
E poi si spezza.
Si spezza e tutti cadono.
Non si sa dove, non si sa con quale espediente creativo il regista decida di farli sopravvivere o meno.
Ma la corda si spezza sempre.
Ed è la corda che si spezza in me quando le mie labbra incontrano quelle di Bokuto.
Non è che non ci siamo mai baciati, anzi, giusto ieri sera eravamo avvinghiati come due adolescenti alla prima uscita seria, è che... è diverso.
Ora è diverso.
È semplicemente diverso.
All'inizio non reagisce, come se fosse scioccato, come se non se lo aspettasse.
Intimidito da me stesso mi stacco e cerco il suo sguardo per capire se non fosse la cosa giusta da fare, se magari avessi frainteso.
Ma non ho frainteso.
E Bokuto aveva solo bisogno di metabolizzare.
La differenza tra ieri ed oggi, sta nel fatto che non c'è nessuno di cui attirare l'attenzione, nessuna musica intossicante nelle nostre orecchie e nessun vestito succinto col solo scopo di sedurre.
Sta nel fatto che sono in pigiama, a casa mia, e siamo completamente soli.
Sta nel fatto che...
Sbatte le palpebre, le ciglia chiare catturano la luce e le pupille si espandono appena.
Poi, come la corda che si spezza e scompare, così scompare qualsiasi forma d'incertezza in lui.
Sorride, ma è un sorriso accennato, quasi di riflesso, stringe appena la mascella, inspira e l'istante dopo le sue mani sono sulle mie cosce, la mia schiena è attaccata al legno e sono a mezz'aria, stretto fra lui e la porta, con le gambe chiuse attorno alla sua vita e la sua bocca sulla mia.
Io...
Cazzo.
Cazzo, cazzo, cazzo.
In questo ambito, non credo che esista un modo "giusto" o "sbagliato di fare le cose. Certo, esistono punti da toccare e cose da sapere, ma alla fine si riduce tutto ad un puro gusto personale.
Credo di averlo già fatto capire, ma amo gli uomini che mi fanno sentire... piccolo.
Esile, sottile, persino fragile.
Sono una persona fredda, logica, forse calcolatrice, è difficile che molli le redini ed è difficile che perda il controllo, che dica che basta così, che non posso fare tutto io, che ho bisogno d'aiuto.
Ma in questo contesto, quel che voglio è l'inverso.
Voglio essere debole.
Piccolo, nel senso fisico del termine.
Leggero, minuto, mingherlino.
Non è che non abbia mai trovato chi mi fa sentire in questo modo, anzi, mi è già successo. Purtroppo, però, frutto della vita che ho condotto e delle ferite al mio ego che ho ricevuto, il mio cervello ha sviluppato un abnorme complesso di superiorità per tappezzare le mie insicurezze, e in fondo alla testa sapevo ch'era solo una messinscena, che nessuno poteva avere il controllo su di me.
Ora è diverso.
Ora è davvero tutto diverso.
Perché non mi sento superiore a Bokuto su nessun piano, anzi.
Sarebbe così facile per la mia testa dirmi che è un idiota, ma non può farlo perché non è vero. È empatico, dolce, comprensivo, un ottimo detective e una bella persona, davvero.
E quando prende il controllo su di me, cazzo, ora lo prende davvero.
La mia testa sbatte con un tonfo leggero sulla porta, le mie labbra si aprono e gli occhi si chiudono, le mani si aggrappano sotto la giacca, sulle spalle.
Mi lascia andare un istante per lasciarsela sfilare via dalle braccia.
Quando rimette le dita su di me, stringono e stringono forte.
Mi fa sentire... piccolo.
Mi tiene come se non avessi un peso, mi copre con le spalle larghe e la statura imponente e mi sembra di scomparirgli addosso.
Io...
Perfetto.
Bokuto è perfetto.
Perfetto per qualsiasi necessità io abbia mai avuto.
Perfetto esteticamente, perfetto sessualmente.
E dovrei ammettere che lo è anche nella persona che è, ma significherebbe retrocedere nel pensiero che non ho bisogno di nessuno, e non credo di essere ancora pronto.
Sappiamo che è così, ma preferisco affrontare quella realtà in un altro momento.
Infila le mani sotto la maglietta larga che porto, stringe forte la mia vita, apre le mie labbra con le sue finché non so dove inizi il suo viso e dove finisca il mio, mi spinge più forte contro la porta.
Potrebbe schiacciarmi, distruggermi, farmi diventare polvere.
La consapevolezza della sua forza mi... eccita. Terribilmente, davvero, perché mi fa sentire fragile, e di essere fragile, talvolta, ho proprio bisogno.
Si stacca, riprendiamo fiato, apro la bocca per parlare ma non faccio in tempo.
Sembra quasi che...
Sembra che abbia fame, da una parte, e dall'altra che non ci creda neppure, a quel che sta facendo. Sembra che voglia mangiarmi fino a rimanerne sazio, ma anche che non gli sembri vero di poterlo fare.
Sa di...
Sa di qualcosa di dolce, come se avesse mangiato una caramella.
Io so di avere il sapore del fumo sulla lingua, sulle labbra. So che fa schifo, che è fastidioso e amarognolo. Qualcuno mi ha detto un po' di tempo fa che baciarmi è come leccare un posacenere.
A quanto pare Bokuto adora leccare i posacenere.
Lo adora e lo trova eccitante, perché il suo corpo s'irrigidisce e le sue mani mi affondano addosso, ansima un po' e non si stacca finché non finisce completamente il fiato.
Non so perché non te l'abbia chiesto ieri, Bokuto.
Perché a dirla tutta, mi sembra l'unica cosa che davvero voglio fare per sempre.
Quando si allontana per prendere fiato e fa per avvicinarsi di nuovo, lo fermo appoggiando le mani sul suo viso e tenendo la sua fronte contro la mia.
− Hai fretta? – scherzo, usando quest'istante per respirare a pieni polmoni.
− Ah-ah. –
Si spinge in avanti ma lo tiro indietro ridendo appena.
− Guarda che non scappo, Bokuto-san. –
− Kōtarō. – mi corregge.
Sento le mie labbra sorridere da sole.
− Kōtarō. – ripeto.
Mi tira un po' più in su sulla porta, si avvicina e fa in modo che ogni parte di me aderisca ad ogni parte di lui.
− Non c'è bisogno di avere fretta, possiamo anche fare le cose con calma. –
− Io non faccio le cose con calma, Keiji. –
Le sue spalle si flettono sotto le mie dita quando muove le mani per rimetterle sulle mie cosce.
− Di certo non ho intenzione di farmi te, con calma. – aggiunge.
Mi sale come un brivido lungo tutta la spina dorsale.
Forse... mi sa che forse Kenma aveva ragione.
− Siamo un po' impazienti, oggi? – scherzo.
Striscia con il palmo lungo tutto il muscolo della mia coscia, atterra sul culo e stringe.
− Cazzo. – ribatte, come se nemmeno avesse sentito.
Sorrido, perché mi piace che vedermi gli faccia quest'effetto, e perché mi rincuora sapere che non sono l'unico che ha buttato il cervello giù dalla finestra negli ultimi cinque minuti.
Respira contro il mio viso, la punta del naso tocca la mia.
− Non voglio rovinare tutto, ma voglio dire una cosa prima che succeda... questo. – borbotta, come se anche solo pensarci lo disturbasse.
− Cosa? –
Prende fiato.
− Se succede qualsiasi cosa con il lavoro, se litighiamo o non vuoi più vedermi o mi odi, tu me lo dici e lascio il caso. Non voglio crearti casini, davvero, e non voglio essere un errore che rimpiangerai. –
Mi si scioglie il cuore.
Diventa completamente di burro e si scioglie.
− Tu non sei un errore che rimpiangerò. –
− Questo non lo sai. –
Se non lo so?
Cazzo, lo so.
− E se dovessi essere tu a odiare me? –
− Non succederà. –
− Questo non lo sai. –
Ride appena, poi scuote la testa.
− Lo so, invece. Lo so benissimo. –
− E allora lo so anch'io. –
Mi guarda negli occhi, e c'è un tono meno predatorio, ora, più dolce. Sorride, sposta lo sguardo verso il basso e le sue guance si tingono di un colore un po' rosato.
− Non credo che mi sia mai piaciuta una persona come mi piaci tu, Keiji. So che magari ti mette in imbarazzo sentirlo ma è vero, tu sei... sei davvero qualcos'altro. –
− Qualcos'altro? –
Annuisce, si mordicchia il labbro inferiore.
− È che sei bello, tanto bello ma anche super intelligente e... non lo so, mi sento un po' speciale quando sono con te. Mi piace come mi fai sentire, vorrei che ti sentissi allo stesso modo quando sono con te. –
Io...
Ora lo dico, ora lo dico e non lo negherò mai.
'Fanculo gli stronzi arroganti.
Non c'è niente di attraente nell'essere emotivamente costipati, chiusi e virili nel senso più tossico del termine, niente nell'essere maleducati, spocchiosi e nel credersi migliori rifiutando le emozioni.
Me ne rendo conto adesso più che mai.
Perché cazzo, quanto è incredibilmente meraviglioso il fatto che Bokuto mi abbia appena detto come si sente, come gli piace sentirsi e che cosa prova.
− Non sono bravo con le parole, non come te. – rispondo, con la voce ridotta ad un filo intimidito.
− Allora non c'è... −
Lo interrompo.
− Però anch'io mi sento speciale quando sei con me. Mi sento meglio, mi sento... importante, forse. Non lo so, non sono bravo nemmeno con le emozioni. –
Sorride a trentadue denti.
− Grazie di avermelo detto, Keiji. –
− Grazie a te per essere... cazzo, sei perfetto. –
Ride, piega la testa, la incastra contro di me.
− Ti va di riprendere? –
'Fanculo gli uomini irrispettosi, 'fanculo quelli che ti fanno sentire come se gli dovessi qualcosa, 'fanculo quelli che piuttosto di parlare si seppelliscono nelle loro emozioni respinte e scaricano su di te la bufera che non sanno gestire.
Sorrido appena, appoggio le labbra sulle sue in un bacio meno sensuale di quelli di prima ma più affettuoso.
− Se non mi togli i vestiti di dosso e mi scopi come se fosse l'ultima cosa che fai nella vita entro dieci minuti, Kōtarō, prendo la pistola di servizio e ti faccio un buco in testa. –
Gli si dilatano le pupille.
− Cazzo. –
− Già, cazzo. Il tuo. Dentro di me, ora. –
Si morde forte il labbro inferiore, dalla sua gola esce un "mmh" fra il "non vedo l'ora" e il "che cosa non mi fai".
Poi respira, sembra quasi che cerchi di calmarsi, di concentrarsi.
Chiude un istante gli occhi, il sorriso cade, si spegne, i suoi muscoli s'irrigidiscono e si ammorbidiscono l'istante dopo.
− Qual è la tua safeword, Keiji? – chiede, con gli occhi ancora chiusi.
− Non ne ho una. –
− Questo è davvero grave e quando avremo fatto ti chiederò di spiegarmi, ma ora mi serve una parola. –
− Non credo che mi ser... −
− Non inizio se non mi dai la garanzia di riuscire a fermarci se le cose diventano troppo, Keiji. –
Mi si stringe il cuore.
Tu sei...
Sei...
Mi dispiace, se sono ripetitivo, ma la parola è una.
Sei perfetto.
− Possiamo usare i colori? Al momento la mia fantasia è piuttosto... come dire... −
− Vada per i colori. – risponde.
C'è come una forza sopita sotto i suoi muscoli, sotto la sua pelle, qualcosa di dominante e incandescente che sembra scorrergli addosso.
La vedo quando riapre gli occhi.
Mai visto...
Mai visto niente di simile.
Mai sentito così piccolo, inerme e fragile come adesso. Mai stato inchiodato al muro e reso inoffensivo da qualcosa di così ridotto come un paio di occhi.
− Non mi piace quando fai l'arrogante con me, Keiji. – dice, il tono pacato, basso, totalmente tranquillo.
L'arrogante?
Intende quando ho detto che volevo che...
− Chi è che comanda, qui? –
Mi muore la voce in gola, il sangue inizia a fluire verso il basso.
Passa qualche istante prima che lo veda avvicinare il viso al mio.
− Ti ho chiesto chi è che comanda. Impara a rispondere, quando ti fanno una domanda, Keiji. –
− Tu... tu hai il comando. –
− Bene. –
Sembra elettricità, quella che scorre nelle mie vene quando mi guarda così. Scoppietta e rimbomba in ogni centimetro di me, mi fa formicolare la pelle e rende la mia testa annebbiata.
Respira piano, mi guarda come se stesse cercando di mettere in ordine i pensieri.
Sembra... sembra che voglia fare così tante cose che non riesce a decidersi su cosa voglia fare prima.
Poi piega la testa e sorride.
Quel sorriso... mi spaventa. In senso buono, ma mi spaventa.
− Reggiti. –
− In che... −
La prima cosa che fa è scostarsi per potermi tenere fra sé e il muro senza che le mie gambe siano incastrate e tirarmi giù i pantaloni.
Alza un sopracciglio quando lo fa.
− Dove sono le mutande, Keiji? –
− Mi sono dimenticato di metterle. –
Ride piano.
− Inviti un uomo a casa e non ti metti le mutande? –
− Guarda che ho ventise... −
− Troia. –
Rimango senza parole.
Davvero, senza parole.
La mia bocca rimane aperta ma non ne esce niente, il calore si adagia completamente fra le mie gambe e la mia testa sbatte indietro quando tiro su lo sguardo.
Mi ha chiamato...
Non mi piace, quel nome. Non mi è mai piaciuto, e ci sono più persone che l'hanno usato con me più volte.
Ma...
Magia delle magie, mi fa sentire davvero inerme di fronte a lui.
E quindi sì, è vero, non mi piace.
Non mi piace con gli altri.
− Troppo? –
− No, ridimmelo. –
Gli brillano gli occhi di qualcosa che oscilla fra l'essere malefico e l'essere felice che la sua cattiveria mi piaccia, quando sorride e lo ripete.
Poche lettere, davvero.
Ma dannatamente volgari.
E dannatamente eccitanti.
L'istinto è quello di chiudergli le cosce attorno alla vita e muovermi contro di lui per ricevere un po' di frizione, ma ha altri piani e a quanto pare, li ho anche io.
Mi prende le gambe e mi... tira su.
Su... su.
Nel senso di...
Si appoggia le mie cosce sulle spalle, infila la testa nello spazio fra i pantaloni tesi alle mie ginocchia, lascia che mi regga contro il muro completamente staccato da terra e con le spalle sul muro.
Come se...
Come se fossi minuscolo.
− Comodo? –
Se sono comodo?
Io?
Con la tua faccia fra le gambe e a mezz'aria in mezzo all'ingresso di casa?
Io non sono mai stato meglio, Kōtarō, davvero.
− Tu? –
− Ah, io sto benissimo. – risponde, sorridendo fra le mie cosce.
− Cazzo. –
Perde il sorriso e gira la faccia, poi mi lascia un bel morso sulla pelle.
Sbatte la mia schiena e sbatte la mia testa dietro di me, quando m'inarco appena, colto sia dal dolore che dal calore di quello che ha appena fatto.
− Non mi piace che tu sia volgare, Keiji. –
− Ma se tu mi hai dato della... −
Mi morde un'altra volta, stesso punto, più forte.
− L'arroganza nemmeno ti si addice, ripeto. –
Lascio cadere la frase e sbatto le ciglia con la faccia, ora, quasi a livello del lampadario.
A quanto pare ad un'azione giusta corrisponde un premio, perché lascia andare la mia povera coscia e anzi ci passa lentamente la lingua sopra.
Fa effetto, il calore della saliva contro il segno che ha lasciato.
Un bell'effetto.
− Così mi piaci. –
− Kōtarō... −
Mi guarda dal basso.
Dovrebbe... dovrebbe essere una vista privilegiata, la mia. Guardarlo dall'alto dovrebbe farmi sentire forte, persino potente.
Ma non mi ci sento manco per niente.
E non starò qui a dire quanto questo mi piaccia.
− Sai cos'è che mi fa strano, di te? – chiede spostandosi all'altra coscia, gli occhi che seguono i miei.
− Cosa? –
Morde di nuovo.
Morde e le mie gambe cercano istintivamente di chiudersi.
Inutile dire che le tiene ferme come se non fosse neppure faticoso.
− Quanto poco ci voglia per impressionarti, sul serio. Con quanti pezzi di merda sei stato perché ti faccia eccitare essere... tirato su? –
In me si spande qualcosa che somiglia all'imbarazzo.
Non sono cazzi suoi, con chi io sia stato, e credo che non lo intenda neppure sul serio.
Ma credo anche che...
Credo che mi piaccia questa superbia.
− Tu non dovresti accontentarti, Keiji, davvero. –
− Non dovrei? –
Scende più verso l'incrocio delle mie gambe con le labbra, continua a mordere e leccare l'attimo dopo il segno che lascia.
− Ci vuole qualcosa all'altezza, per te. –
− Che intendi per "all'altezza"? –
Ride, come se mi stesse prendendo in giro.
Lascia scivolare le sue mani sulle mie gambe, le apre senza sbilanciarmi, poi stringe forte la mia vita e mi osserva.
− Intendo me, Keiji. –
Merda, merda, merda.
Merda.
Io...
− Tu hai bisogno di qualcuno che ti tratti come meriti di essere trattato. –
E quel qualcuno sei tu, lo sappiamo entrambi.
Ma continua a dirlo, che mi fai sentire da una parte fortunato e dall'altra incredibilmente eccitato.
Mi lascia scendere un po', arriva verso la mia pancia e traccia una striscia dritta di saliva fra il mio basso ventre e l'ombelico.
Sembra che non gl'interessi della mia erezione.
Credo che sia volontario, ignorarmi per tirarmi un po' più vicino al bordo del precipizio.
− Di qualcuno che ti scopi come meriti di essere scopato, Keiji, davvero. Che ti faccia urlare fino a finire la voce in gola e piangere fino a chiedere pietà. Non credi anche tu? –
Mi permetto di abbassare una mano fino al suo viso, di infilare le dita fra i suoi capelli.
Annuisco.
− Grazie di essere qui con me, Kōtarō. –
− Ridimmelo quando non riuscirai ad alzarti dal letto domani. –
Mi manca il fiato nel petto, come se qualcuno me l'avesse rubato.
È il dualismo, credo, l'alternarsi e la coesistenza dentro di lui di questi due lati così opposti e così diversi. C'è Bokuto quello della vita comune, quello che ti dice come si sente e come lo fai sentire, e c'è l'altro Bokuto, quello...
− Ti vedo parecchio... accaldato, Keiji, c'è qualcosa che non va? –
Se c'è qualcosa che non va?
C'è che il tuo fiato batte su di me, su dove vorrei che mi toccassi, e la sensazione mi manda tutta una serie di strani formicolii sulla schiena.
C'è che sei così vicino ma anche così lontano.
Mi mordo l'interno della bocca.
Che faccio?
Mi comporto bene?
O...
'Fanculo.
− Parli tanto per uno che non mi ha mai fatto avere ancora nemmeno un orgasmo. –
Le pupille saltano sulle mie.
− Scusami? –
− Mi hai sentito, Kōtarō. –
− Già, ti ho sentito. Volevo solo darti un'altra occasione, sai com'è. –
Silenzio, mi sembra che stia pensando, poi sorride e in quel sorriso c'è più minaccia che altro, una fierezza e una violenza sopite dietro alla falsa innocenza del suo viso così bello.
Stringe.
Stringe forte.
Stringe che sembra affondare fino alle ossa.
− Sai cos'è meglio che farsi obbedire da qualcuno? –
Mi trema ogni angolo del corpo, come se qualcuno lo stesse scuotendo violentemente. Credo che sia la mia impazienza, ma cerco di darmi un verso.
− Far capire a qualcuno che crede di poterti disobbedire che è del tutto inutile, questo è meglio. –
Sembra che non gli serva nemmeno energia per ancorarmi meglio al muro e spingere il suo viso in avanti.
È a pochi millimetri.
Pochi, pochi, po...
− Non mi piace quando mi rispondi, Keiji, credevo di avertelo già fatto capire. –
Seguo i suoi movimenti uno alla volta.
Si lecca le labbra, sbatte le ciglia, prende fiato.
− Chiedi scusa. –
La sua lingua si appoggia piano su di me e scorre dalla base alla punta piano, piano, con calma.
Le mie gambe tremano, le ginocchia tendono a chiudersi, le cosce ballano e la mia testa batte indietro.
Non dico niente che non sia un "ah" poco convinto.
Quando lo rifà, accenna e basta il movimento.
− Chiedi scusa, Keiji, chiedi scusa come la brava troia che sei. –
Mi mordo forte l'interno della bocca quando lo prende fra le labbra e succhia appena, la mia schiena s'inarca da sola, la voce non ha controllo.
− Scusa, scusa, scu... −
− Com'è che devi essere tu? –
È bravo.
Bokuto è bravo.
Fa parte di quella fetta di persone che stanno sopra che non si vergognano di fare una cosa del genere, di quella fetta che non teme la negazione della propria virilità ed equipara il passivo di una coppia ad una figura femminile, di quella fetta di persone sicure di se stesse in maniera quasi sfacciata.
Sto per accendermi come un fiammifero.
E vorrei evitare, quantomeno così in fretta, ma non credo di avere controllo su di me.
− Devo essere bravo, io devo essere... −
Spiaccica una mano sulla mia bassa schiena, l'altra tira in alto il retro di un ginocchio, mi guarda dal basso e mi sento esile anche se è lui che lo sta facendo a me.
− Ti prego, ti prego, ti prego, cazzo, ti prego, ti... −
Apre le labbra, mi lascia uscire, morde una coscia forte che temo potrebbe uscirne del sangue.
− E che cosa ti ho detto riguardo l'essere volgare? –
Oh, merda, me n'ero...
Rimette le labbra su di me, ma con meno energia, con più calma, come se non volesse farmi venire per davvero, solo farmi avvicinare all'idea.
− Non so se ti meriti di stare qui, Keiji. Non fai nessuna delle cose che ti dico. – sussurra poi, con lo sguardo che sembra appena appena... deluso?
È una delusione falsa.
Ma è una delusione che mi fa venir voglia di...
− Mi dispiace, Kōtarō, mi dispiace tanto di essermi comportato male. –
Sorride e mi riaccoglie dentro la sua bocca.
Muove la testa su e giù e di nuovo su, i suoi occhi mi seguono, le mie gambe tremano.
− Ti prego, per favore, per favore, davvero, io... −
Le mie parole iniziano a perdere di senso. Ad accumularsi nella mia testa ed uscire senza un ordine preciso ogni secondo che passa.
È che la sensazione è...
− Carino come fai il coraggioso e poi preghi l'attimo dopo, però. – commenta quando si stacca per riprendere meglio fiato.
Stringo le dita dentro i suoi capelli.
− Ti prego, ti prego, ti prego. –
Ride, di una risata meno innocente e più platealmente rivolta a farmi sentire preso in giro.
Come se ci fosse qualcosa di appena ridicolo e appena insignificante nel modo in cui pensavo di attraversare la sua autorità, cazzo, in quell'esatto modo.
In effetti, ho sempre pensato che chi è davvero autorevole non urla né sbraita, è solo semplicemente qualcuno a cui hai voglia di obbedire.
E ho voglia di obbedire, in quest'istante, ne ho davvero voglia.
Stringo così forte fra le ciocche chiare e umidicce dei suoi capelli che le nocche si sbiancano, ma qualcosa mi dice che forse non dovrei, che invece sarebbe meglio se...
− Posso tirarti i capelli? –
Sorride, succhia appena più intensamente e il mio corpo capisce da solo quale sia la risposta.
Tiro.
Tiro forte.
Tiro forte e la mia schiena si solleva al centro, le spalle battono indietro, gli occhi si perdono verso l'alto.
− Kōtarō... −
Sono...
M'imbarazza, di solito sono più resistente. Di solito sono io quello che dura un po' troppo, quello a cui non piace niente, quello da soddisfare.
Fare sesso con me, e non lo dico io ma le persone con cui l'ho fatto, mi hanno detto che sembra una sfida. Forse la mia freddezza, forse l'abitudine o tante esperienze fatte in tanti anni, ma soddisfare me non è così facile.
Ora...
Cazzo, cazzo, cazzo.
Cazzo.
Il modo in cui mi guarda, quello in cui mi tiene e quello in cui alterna la calma straziante con la giusta fretta, la sensazione attorno a me delle sue labbra e anche solo la semplice consapevolezza di chi sia.
Bokuto è esattamente la combinazione perfetta di tutto quello che ho sempre cercato.
Non so se sarò io all'altezza, ma lui, cazzo, lui...
Ha completamente ridimensionato i miei standard.
− Sto per... Kōtarō, ancora, per favore, io, io... così, ti prego, ti prego, ti... −
Mi devo controllare per cercare di non ripetere "cazzo", e mi piace doverlo fare, perché forse mi mantiene un po' in questa situazione e in questa stanza con lui, non completamente inebriato, e non mi perdo quello che succede.
E quello che succede è che sembra sorridere, e poi spinge la sua faccia più verso di me, stringendomi forte la gamba con la mano.
E io cado a pezzi.
Sull'ingresso di casa mia, in pigiama, dopo quelli che saranno neanche dieci minuti, tirato su come se fossi una bambola di pezza e senza un briciolo di controllo sulla situazione.
Mai venuto in questo modo.
Mai venuto così velocemente con tale soddisfazione.
Affondo i denti sul labbro inferiore per non urlare, sento il centro delle sopracciglia che si alza e gli occhiali che scivolano sul naso, batto la testa con un tonfo e il mio corpo s'irrigidisce tutto, prima di liquefarsi addosso a lui.
E Bokuto manda giù, mi lascia uscire e sorride a trentadue denti.
Ho il fiato corto e sto decisamente ansimando, quando mi guarda.
− Come va? –
− Benissimo, malissimo, dove cazzo l'hai imparato? –
Il petto sale e scende a ritmo col mio respiro, il cuore inizia a battere più lentamente contro la mia cassa toracica.
− Addestramento delle forze speciali, ho fatto un corso apposito. – scherza, e rido con lui.
− Dovevi avere il massimo dei voti, caz... cavolo. –
Muove una mano sulla mia coscia, come per accarezzarmi, sorride appena.
− Stavo scherzando sulle parolacce, puoi dirle. Mi piacciono, in realtà, mi piaci volgare. –
Aggrotto le sopracciglia.
− Stavi scherzando? –
− Volevo vedere se avresti obbedito, e sono felice che tu l'abbia fatto. –
− Sei uno stronzo. –
Perde l'oro caldo e riassume quello freddo e rigido.
− Keiji? –
− Scusami, scusami, non volevo, io... −
Lascia scivolare via la patina di minaccia dal suo sguardo ridacchiando appena, scuote la testa.
− Sei davvero carino, lo sai? –
Sarà l'orgasmo, sarà la posizione, sarà l'alcol che ho bevuto due settimane fa e contro ogni regola medica si dev'essere depositato permanentemente nel mio fegato, perché... che cosa sta succedendo?
Ha appena...
E io mi sono appena...
Sento la mia faccia andare a fuoco.
Quanto controllo ha su di me?
Non è possibile, non lo è, io...
Kenma mi chiama "regina di ghiaccio", cazzo, andiamo, com'è possibile che mi stia facendo fare qualsiasi cosa voglia così, come se non ci mettesse nemmeno sforzo?
Distolgo lo sguardo, mi aggancio meglio alle sue spalle e lascio che la gravità mi sfili completamente i pantaloni, che tanto non mi sembra servano a molto, poi mi schiarisco la voce.
− Andiamo di là? –
− Dove? –
Devo dirlo?
Cazzo, Keiji, hai ventisei maledetti anni, non è che ti deve imbarazzare dirlo.
L'hai fatto tante volte e sei pure bravo a farlo.
Vero?
Alla fine non è niente di che, dai. È solo sesso, no?
No, non è solo sesso.
Non lo è per niente.
− Se vuoi ancora... ecco... io... −
− Scopare? –
− Kōtarō! –
Smette improvvisamente di sorridere, prende le mie gambe con le mani e mi tira giù nella posizione iniziale, con le mie cosce attorno alla sua vita e le sue mani che mi reggono su.
− Oddio, se non vuoi no, non intendevo in quel senso, io... −
− Non è che non voglio, è che... −
− Non ti fare problemi, davvero! Ci sta, non è che devi per forza ricambiare, va bene anche così, anzi, io sono felice per il resto del mese ora. –
Mi sale ancora più sangue sulle guance.
Adorabile stronzo.
− Mi fai sentire strano, Kōtarō, tutto qui. Non sono abituato a sentirmi... strano. –
− Strano in senso buono o in senso cattivo? –
Mando giù la saliva.
− In senso buono. Non sono abituato a farlo... così. –
− Così come? –
Tenero, adorabile, enorme stronzo di un Bokuto Kōtarō.
Tu sei la persona più sana del mondo, a voler comunicare, ma io sono stato la più chiusa per ventisei anni e questa cosa che mi chiedi cosa penso mi mette quasi in soggezione.
Una soggezione giusta, però.
Una che mi fa venir voglia di provarci.
− Di solito non sono così coinvolto, ecco. –
Ride appena, piega la testa per baciarmi.
− Ti coinvolgo? –
− Già. –
Mi coinvolge in tutti i sensi. In quello fisico, del mio corpo che gli risponde come se fosse progettato per farlo, ma anche in quello emotivo, sensibile.
− Mi piaci tanto, Kōtarō. Io... ne riparliamo poi in un altro momento, ma mi piaci tanto. – mi ritrovo a borbottare, imbarazzato dalla mia stessa confessione che forse è prematura e forse con un tempismo infame, ma non meno vera per questo.
Sorride, lo sento sorridere contro le mie labbra.
− Sei meraviglioso, Keiji. Mi sento molto fortunato ad essere qui con te. –
− Non sei fortunato, stronzo. Io sono fortunato. –
Rido io, ride lui, ridiamo insieme nell'aria silenziosa di una casa che mi sembrava molto meno luminosa, prima che entrasse.
Mi stringe forte e rimaniamo in silenzio per un po', non so quanto, stretti così, uno contro l'altro.
Il mio cuore torna a battere normalmente, il mio fiato si calma, le gambe smettono di tremare così forte e riacquisisco un po' dell'energia che avevo perso.
− Continuiamo? –
− Come vuoi, Keiji, se hai bisogno di ancora un attimo va bene. –
− È che non sono abituato a... venire più di una volta, ecco. E non così presto. –
Si stacca dalla mia spalla e mi guarda dritto negli occhi.
− Davvero? –
− A quanto pare. –
Aggrotta le sopracciglia e scuote la testa.
− Non volevo giudicarti davvero, prima, non era vero e non è vero neanche adesso se non vuoi sentirlo, ma ho la sensazione che il sesso non ti soddisfi molto. –
− Non è il sesso, è la gente con cui lo faccio. –
Non mi... vergogno tanto a dirlo. Dovrei, forse, ma non lo faccio perché Bokuto non è una di quelle persone che ti giudica per le scelte di vita che fai.
− Posso chiederti perché lo fai, se non ti piace? Non sei costretto a rispondere, sono solo curio... −
− Oh, Kōtarō, tu sei davvero ingenuo. –
Non comprende, non capisce e si vede dall'espressione che fa. Ma non chiede altro, come se non volesse calpestare il mio limite.
Non è un problema, lo faccio io.
− Tu ti comporti come se... come se quello che fai fosse normale. Niente è normale, non sono gli altri che fanno schifo, sei tu che sei completamente su un altro livello. No, forse anche loro che fanno un po' schifo. –
− Tu dici? –
Sospiro.
− Ho un sacco di punti a favore della mia teoria. –
− Tipo? –
Conto sulle dita della mano tirando su un dito alla volta.
− Uno, non è normale che tu riesca a tirarmi su come fai. –
− Sì che è normale, guarda che non pesi così tan... −
− Due, hai aspettato che fossimo chiari su cosa stessimo facendo e che impatto avrebbe avuto nelle nostre vite prima di iniziare a fare qualsiasi cosa. –
− Questo è solo rispetto, Keiji, non comportarti come se fosse stra... −
− Tre, sei in grado di passare da dolce ad aggressivo nel giro di due secondi. –
− Oh, questo te lo concedo, ma è solo perché... −
Mi fa ridere interromperlo, davvero, perché segue le mie parole e perde le sue, e sembra che faccia un po' fatica a concentrarsi, da come muove le pupille dalla mia faccia alla mia mano.
− Quattro, mi hai fatto... quello che hai fatto. Non tutti gli attivi lo fanno. –
− Andiamo, ma che stronzata. Questo mi sembra uno stereotipo catti... −
− Cinque, forse l'ho già detto ma mi hai tirato su. L'ho detto quanto è fottutamente eccitante questa cosa, perché lo è. –
− Io... −
Mi sporgo per baciarlo e interrompere le parole che non avrei ascoltato uscire dalle sue labbra.
È carino come provi a dimostrarmi che è normale.
Ma non ci crederò mai.
− Sei, hai fatto venire prima me. –
− Mi piace quasi di più vedere l'altro venire che venire io. – dice, e non so perché, questo lo ascolto, lo ascolto e mi fa sfarfallare il battito del cuore.
− Sette, quello che hai appena detto. –
− E dai, stai usando quello che dico contro di me! Non mi hai letto i miei diritti, prima, sei davvero pessi... −
− Otto, sei davvero bello. Credo che te lo dicano in tanti perché se non fosse così la gente sarebbe cieca, ma cazzo. –
Spalanca gli occhi dorati, mi guarda e... sorride.
− Pensi che io sia bello? –
− Ma ce l'hai uno specchio a casa? –
Annuisce.
− Ce l'ho. –
Mi mordo l'interno della bocca per non scoppiare a ridere. È adorabile, è un po' tonto, ma è davvero adorabile.
− E cosa ci vedi dentro quando ti specchi? –
− Me. –
− E tu come sei? –
Non sembra capire il punto. E potrei chiarirlo io al posto suo, ma immagino di voler davvero sentire che cosa mi dirà, perché mi fa... sorridere.
− Dipende. In pigiama, in uniforme, nudo, con i pantaloni, senza, con la camicia, con... −
− Sbagliato. –
− Sbagliato? –
Batto la punta dell'indice contro il suo naso.
− Sei davvero bello. –
Apre ancora di più gli occhi, che sembrano così innocenti, così dolcemente felici in questo istante che stento a credere fossero minacciosi un attimo fa.
− Sei la persona più bella che io abbia mai visto. –
Le rotelline del suo cervello girano, e girano dal verso giusto.
− Ma ce l'hai uno specchio a casa? – ribatte, tutto convinto.
Scoppio a ridere, questa volta per davvero. Appoggio la fronte contro la sua spalla e rido, rido così forte che mi fa male la pancia, che devo aggrapparmi per non cadere.
Lui è...
'Fanculo, lo ridico.
È perfetto.
Aspetta che smetta di ridere con l'espressione più soddisfatta del pianeta, come se farmi ridere fosse la missione che nella vita ha deciso di intraprendere.
Gli prendo la faccia fra le mani e stringo forte prima di stampargli un bel bacio sulle labbra.
− Grazie di avermi tranquillizzato, non so cosa mi fosse preso. Sei il migliore, Kōtarō. –
− Quando vuoi. –
Già.
Me ne sono accorto, davvero.
Me ne sono accorto che si è messo a scherzare perché voleva che fossi a mio agio. Me ne sono accorto che lui voleva continuare, che la cintura gli tira terribilmente e probabilmente non si sarebbe fermato se non ce ne fosse stato bisogno, ma che ha scelto di farlo.
Non so cosa mi sia preso, ma non credo che sia questo l'importante.
È lasciare che defluisse la sensazione che qualcosa non andasse, l'importante.
Kōtarō sta davvero facendo piazza pulita delle poche pretese che avevo per i miei partner.
− Mi metteresti giù, per favore? –
− Qui? –
Annuisco.
− Vorrei fare qualcosa per te, se ti va. –
Ci pensa un attimo.
Come se stesse cercando di capire se è la cosa migliore.
− Mi va. Mi va tanto. In realtà, mi va tantissimo. –
− Va anche a me, quindi, mettimi giù. –
Le sue sopracciglia si avvicinano, lo sguardo diventa progressivamente più minaccioso. È come se stesse rientrando piano nell'argomento e stesse cercando di chiarirsi la mente.
Poi torna il predatore di fronte alla preda.
− Come si dice? –
− Per favore, Kōtarō. –
− Mmh, così mi piace di più. –
Fa attenzione che le mie gambe mi reggano, cerca di non togliere le mani da me anche quando lo allontano per trovare lo spazio giusto, come se non riuscisse a smettere di tenerle su di me.
Mi guarda come se vedesse tutto di me, anche i pensieri, quando abbasso le gambe sul parquet e mi metto in ginocchio.
Devo... respirare, prima di avvicinare la mano alla sua cintura.
− Posso? –
− Vai avanti. –
Dita che corrono sulla fibbia e ci fanno scivolare il cuoio attraverso, che s'incastrano sul bottone dei jeans e sulla zip.
Kōtarō appoggia l'avambraccio di traverso sulla porta, ci mette la fronte sopra e mi guarda dall'alto.
Sembra...
Sembra che ci sia solo lui.
Mi sento stretto.
Mi piace, sentirmi stretto.
− È carino come tu mi dica che sono bello, lo sai, Keiji? –
Non rispondo, quando infilo la mano oltre l'elastico dei boxer.
− Dovresti vederti da qui, ti faresti tutta un'altra idea su cosa è davvero bello. –
È...
Ok, facciamo così.
Dirò di Bokuto che è decisamente proporzionato.
E ricordiamoci tutti bene del fatto che sia più di un metro e novanta con le spalle larghe il doppio delle mie.
Chi vuole intendere, intenda. E chi non vuole 'fanculo, vi devono far schifo gli uomini se non vi piace... questo.
− Cazzo, incredibilmente bello. –
Mi passo la lingua sulle labbra come se lo facessi di riflesso, fingendo indifferenza quando non ne provo nemmeno un briciolo, e ci stringo le dita attorno.
Le muovo piano, ma a quanto pare questo, a Kōtarō, non piace tanto.
− Più veloce, Keiji. –
− Non possiamo fare con calma? –
Da qui la visuale è davvero meravigliosa.
Se potessi fargli una foto gliela farei, e credo la userei come salvaschermo.
Si vede il profilo delle spalle larghe, il viso, i muscoli del braccio su cui si appoggia flessi e perfettamente evidenti, gli addominali che spuntano dal lembo della maglietta spostato dalla posizione in cui è.
Merda, questa è decisamente un'immagine di potere.
− Se ti dico di fare più veloce, tu fai più veloce. Non farmelo ripetere. –
Aumento appena il ritmo, non in maniera particolare, solo un po'.
Lo vedo mordersi forte l'interno della bocca e potrei giurare di vedere il sangue fluirgli più in fretta nel corpo, ma...
Non basta.
No che non basta.
− Credevo di aver messo in chiaro le cose quando ti ho sentito pregare come una puttana di farti venire, ma a quanto pare non hai capito molto bene l'antifona. –
La mano libera scorre verso il basso.
Arriva sul mio viso, accarezza piano la guancia, il bordo dell'occhio, poi si assesta fra i capelli. All'inizio è leggero, il contatto, ma basta un attimo, un'altra corda spezzata, e tira forte, forte davvero.
− Cosa devi dire? –
Mi tira indietro così forte che mi sembra voglia staccarmela, la testa, ma genera in me una forma davvero dolce di dolore.
Mescolato all'adrenalina, mi sembra solo che scorra più forte nelle mie vene.
− Scusami, Kōtarō. –
− Poi? –
− Tu hai il comando, io faccio quello che dici tu. –
− E...? –
Sbatto le palpebre.
Stupefacente.
Stupefacente con quale facilità passi dall'essere la persona più dolce alla più impositoria del mondo.
Forse è questo, il tuo trucco.
Che mi fai sentire così a posto con me stesso che non ho paura di questo e anzi mi diverte.
Meraviglioso.
− Sono una troia, Kōtarō. La tua troia. –
Alza un angolo della bocca.
− Apri la bocca. –
Apro la bocca.
Potrei dire "no", potrei dire "è troppo", persino, se volessi fare il simpatico, che sono "fuori allenamento", ma non lo faccio, e non perché non sia vero, ma perché non voglio.
Io... questa cosa la so fare abbastanza bene.
E le cose si fanno più perché vuoi farle che perché sai farle, quindi quel margine d'incertezza che avevo nel credere di non farcela, lo ignoro completamente.
Mi manca il fiato.
La testa sbatte indietro contro la porta.
Mi sento...
Lacrime agli occhi, glottide che cerca di deglutire qualcosa che non può mandar giù, mi fa un po' male la mascella e... le mie cosce si stringono forte.
Mancava un punto, alla mia lista di cose che ti rendono l'uomo perfetto.
Mi vergogno a dirtelo, mi vergogno a dirtelo e non so quando lo farò.
Ma rendi il sesso qualcosa di bello, Kōtarō.
Lo rendi non sporco, non sbagliato, non disgustoso.
Lo so che non è il momento, per parlare di me stesso, questo. Lo so che la sua mano si muove contro i miei capelli e il suo bacino contro di me, lo so che la sua voce chiama il mio nome e amo il modo in cui lo fa.
Ma è vero, e non so come potrei negarlo.
Se sei un ragazzino cacciato di casa per chi si ritrova ad amare, quando fai sesso, quando ti spogli e fai qualcosa che già di per sé la società etichetta come intimo e nascosto, ti senti sporco.
Ti senti sbagliato.
E nonostante tu sia sporco, nel modo in cui parli, e persino volgare, io non mi ci sento.
Mi sento...
Felice.
Mi diverte.
Mi eccita, mi eccita tanto e mi fa sentire una marea di emozioni diverse, mi fa male e mi fa bene, mi fa piangere e mi fa urlare, mi fa ridere.
Non lo so, se è vero che quando trovi la persona giusta ti senti più completo.
Io non credo tanto nell'amore.
Ma credo che se ci credessi, lo crederei con te.
Credo che se iniziassi a pensare che certe persone sono fatte come quelle del mito greco, due metà costrette a ricongiungersi per natura, forse vedrei un po' noi due in quelle mezze creature spezzate che si cercano.
Non ci credo, nell'amore.
Ma forse... forse inizierò a farlo, no?
Chissà.
Se mai dovessi, Kōtarō, vorrei che fosse con te.
Vediamo che cosa potrebbe succedere.
Sento la sua mano arrivare verso il mio viso, scendere dai capelli e trascinare via una lacrima. Mi lascia andare per un attimo, guarda la saliva che mi cola dal lato della bocca e gli brillano gli occhi.
Che cosa provi? Che cosa pensi? Che cosa...
− Sei bellissimo, Keiji. –
Sorrido.
Riavvolgo le dita attorno a lui, le muovo, questa più velocemente.
− Lo dici solo perché te lo sto succhiando, Kōtarō. –
Ride e la sua risata viene completamente spazzata via da un gemito quando appoggio la lingua sulla base e scorro verso l'alto prima di riprenderlo in bocca.
Allontano le mani e le abbasso, in attesa che ricominci a fare quello che stava facendo prima.
Sorride, sembra soddisfatto e io...
Io non mi sento uno schifo.
Io non mi sento una deviazione aberrante di quello che dovrei essere.
Mi sento un ragazzo che si diverte a fare qualcosa di naturale, forse un po' indebolito da una cotta grossa come una casa e forse un po' strano nei gusti.
Mi sento normale.
Mi sento... giusto.
Stringe di nuovo le dita fra i riccioli scuri, mi schianta contro di sé senza la minima traccia di delicatezza e non smette di muovermi per lasciarmi adattare.
− Se ti va possiamo vedere se sei bellissimo anche quando ti starò scopando, se vuoi. –
Aggrappo le mani al retro delle sue cosce, le unghie affondano nella carne.
− Cazzo, Keiji. –
Alzo gli occhi verso di lui.
Mi fai sentire così... giusto.
− Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo. –
Arriva fino alla gola, lo sento, come se non ci fosse neppure più un filo d'aria dentro di me.
È una cosa così... volgare.
Ed eppure mi diverte così tanto, farla con te.
Mi guarda dritto in faccia, gli occhi che sembrano neri da quanto la sua pupilla è dilatata, la mascella contratta, i muscoli in tensione per lo sforzo.
− Manda giù, Keiji. – dice, e sembra una minaccia, lo sembra davvero.
Devo?
No, non devo.
Ma perché non dovrei farlo?
È divertente, cazzo.
È normale.
È...
È naturale, anche se siamo due uomini. È giusto, anche se siamo due uomini.
− Cazzo. – ripete, prima di spingermi più forte contro di lui e perdersi completamente addosso a me.
Faccio quel che mi dice, mando giù, rilasso la gola, aspetto che smetta di tremare prima di lasciarlo uscire dalle mie labbra e guardare con la faccia ridotta un casino qualcosa che io stesso ho fatto e mi sono divertito a fare.
Sorride, mi accarezza il viso e risistema le mutande, appena riesce, col fiatone e il sudore che gli cola addosso.
Quando la sua mano si appoggia sulla mia guancia, la prendo con le mie.
− Kenma mi ammazza, Kōtarō. –
− Perché dovrebbe farlo? –
Respiro a pieni polmoni.
− Credo che qualcuno possa avergli rubato il posto. –
− Il posto? –
Scuoto la testa.
− Niente, stavo scherzando. Mi porti di là? Potrei camminare ma non ho voglia. –
La confusione nel suo viso si addensa e scompare nel giro di qualche istante, prima che si chini per tirarmi su come se fossi un rampicante addosso alla sua figura.
− Dov'è la camera da letto? –
− In fondo a destra. –
− Dov'è la destra? –
− Quella con cui scrivi. –
− Al computer o con la penna? –
Rido piano, gli stampo un bacio sulla tempia.
− Tu portaci in fondo al corridoio, poi te lo dico io dov'è la porta, ok? –
− Perfetto, siamo una grande squadra, io e te. –
− Lo siamo davvero. –
Cammina un passo alla volta, e gli bacio un'altra volta la tempia, prima di appoggiare il naso fra i suoi capelli e respirare il suo profumo.
Kenma mi ammazza, Kōtarō, perché qualcuno gli ha rubato il posto.
C'era una sedia, dentro la mia testa, con un bel cartello penzolante sopra. Era una sedia che a Kenma non stava tanto bene, perché non era della misura giusta, non era il comparto corretto per il ruolo che aveva nella mia vita.
Kenma è la cosa più simile ad una famiglia che io abbia mai avuto.
Ma quel cartello dice "la mia persona preferita".
E quella persona, Kōtarō, quella credo proprio che ora sia tu.
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
ovviamente un altro cliffhanger perchè se no che stronza sarei
no scherzo, vi scrivo il prossimo entro mercoledì perchè nemmeno io riesco ad aspettare e questi due cristiani devono DECISAMENTE riuscire a scopare prima della fine dell'era geologica
niente, mi meraviglia sempre quanto amore stia ricevendo questa storia, vi voglio bene e vi ringrazio per la pazienza
see u asap
mel :D
ringrazio tantissimo armadioswag che mi sta aiutando tantissimo col beta reading u so sweet and ily
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