𝚕𝚘𝚟𝚎 𝚒𝚜 𝚠𝚑𝚊𝚝 𝚢𝚘𝚞 𝚗𝚎𝚎𝚍
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– Prendi da bere e non rompere le palle. –
– Ma sono le sei, Kenma, non mi sembra il caso di... –
– Prendi questo cazzo di drink. –
Guardo il liquido ambrato ondeggiare dentro le pareti di vetro di un bicchiere a pochi centimetri dal mio naso, il ghiaccio tintinna spostandosi e l'odore tipico dell'alcol mi punge il naso.
– Davvero, non credo che... –
– Hai chiuso questa merda di caso, hai testimoniato, sei stato fantastico, ora bevi per festeggiare. –
– Possiamo anche festeggiare in un altro... –
– Non era una constatazione, era un ordine. Bevi, Keiji, bevi o te lo faccio bere io. –
Spinge di nuovo il braccio verso di me, al punto che se si allungasse un altro po' mi starebbe seriamente spiaccicando il bicchiere in faccia.
Dovrei...
Al diavolo.
Spero solo che i giornalisti non mi abbiano seguito anche qui.
Accetto l'offerta, stringo le dita attorno al vetro e porto il bordo alle labbra, lo tiro indietro e mando giù un lungo sorso.
– Bravo, bravo. Ancora un po', su bevi ancora un po'. –
– Vuoi che mi sbronzi? –
– No, voglio che ti rilassi. Bevi. Dov'è finito il mio amico ubriacone? –
Guardo gli occhi ambrati di Kenma attraverso le lenti degli occhiali.
– Sono cresciuto, Kenma. –
– Stronzate. –
Rimaniamo un secondo a fissarci.
Stronzate?
Non lo so, se siano stronzate.
So che però...
Ok, ci sono cose che potrebbero andare storte se bevessi, ce ne sono ed è indubbio che ce ne siano.
Ma so anche che non mi prendo una sbronza seria da mesi.
E so che...
'Fanculo.
Appoggio di nuovo il bicchiere alle labbra.
Mando giù un altro sorso, lungo come quello precedente, profondo, che m'innaffia il corpo di alcol e mi fa bruciare l'esofago, vedo Kenma sorridere con la coda dell'occhio.
– Se mi sbronzo e mi spoglio davanti a tutti è colpa tua. – borbotto, quando appoggio il bicchiere sul bancone riprendendo fiato.
– Lo chiamerei "merito", non "colpa", Keiji. –
– Chiamalo come cazzo ti pare. –
Indica con lo sguardo tutti i presenti attorno a noi.
– Venderebbero i loro figli per vederti fare lo spogliarello, Keiji. –
– Sono poliziotti etero medi, mi sparerebbero. –
– Solo dopo aver guardato per bene. –
– Se lo dici tu. –
Si spinge verso di me, i capelli lunghi gli scappano dalla crocchia disordinata in cui li porta, la maglietta, incastrata fra lui e lo sgabello su cui è seduto, viene tirata indietro dal movimento.
Sbatte le ciglia lunghe.
– Sei l'orgoglio della Circoscrizione, Keiji, farebbero carte false per un minuto con te. –
– A giudicare da come guardano te, direi che non sono io la star qui. –
In effetti, ci sono sguardi incuriositi dalla nostra parte, ma non sono per me.
Sono per la creaturina minuta e sorniona di fronte ai miei occhi, una di quelle che è raro vedere fuori dalla sua tana, ma che fa decisamente figura quando esce.
Avvicina il viso al mio, i nostri occhiali quasi si scontrano fra loro quando lo fa.
– Fossimo stati più giovani ti avrei sfidato a chi riesce a rimorchiarne di più, Keiji. –
– Siamo vecchi per queste cose. –
– E siamo troppo sposati. –
Guardo il mio migliore amico, annuisco.
– Siamo troppo sposati. – ripeto.
Simultaneamente, ci giriamo dalla stessa parte, le nostre tempie atterrano l'una contro l'altra e i nostri sguardi si dirigono dalla stessa parte.
– Cosa stanno facendo? –
– Kuro sta facendo vedere a Bokuto la reazione chimica dell'aceto e del bicarbonato. –
– Qui? –
– A quanto pare. –
Kenma mi stringe un braccio con le dita.
– Meglio di quando stavano giocando a freccette. –
– Già, per poco Kō non mi tornava a casa cieco. –
– Infatti. –
I nostri occhi si perdono e non so come, non so quando, so che vediamo la stessa cosa.
Quella patina scintillante e lucida dell'amore, quella dolce e confortevole e soffusa dell'affetto di fronte alla scena effettiva.
Eccoli là.
Gli uomini della nostra vita, eh?
Un cretino alto due metri che mette il bicarbonato a cucchiaiate dentro un bicchiere da birra pieno d'aceto e un cretino della stazza di un armadio che guarda con gli occhi spalancati le sostanze reagire e produrre un banco di schiuma che si solleva e si spande sul tavolino.
Certo che l'amore rende ciechi.
E scemi.
E rende...
– Lo amo con tutto il mio cuore, Keiji. Guardalo, com'è scemo, fa la chimica invece di bere. Però lo amo, miseria. –
Mi scappa da ridere e lo faccio contro il mio migliore amico.
– Non sai quanto ti capisco. –
– Dici che è una tara psicologica per la nostra adolescenza difficile? –
Faccio spallucce.
– Non so cosa sia, Kenma, non ne ho idea. Però... –
Kōtarō porta una mano di fronte alle labbra, lo stupore sul suo viso si cementifica nell'espressione di meraviglia che potresti vedere su un bambino, gli brillano gli occhi.
– Direi che va bene così, sai? Alla fine... alla fine poteva andarci peggio. –
– Oh, già, molto peggio. Potevano far schifo a scopare. –
– Pensavo ad altro ma sì, ecco, sì. –
Kenma apre le mani contro il mio avambraccio, lascia scorrere le dita in avanti fino a incastrarle fra le mie.
– Tu riesci a pensare ad altro? Io no, al momento. Sarà l'alcol. –
– Hai bevuto una birra, Kenma. –
– Dettagli. –
Mi riservo di lanciare un'occhiatina a lui, invece che al mio ragazzo, e riconosco la luce familiare che permea le sue iridi quando le schianta su Kuroo.
Oh, se questa creaturina non è un demonietto.
La sa lunga, Kozume Kenma che ha sempre preferito il confortevole ticchettio di una tastiera al vociare deliberato delle persone.
Torno con lo sguardo su Bokuto.
Io non penso solo al sesso quando lo guardo.
Penso anche a...
Ha tolto la mano da di fronte al viso.
Ora è seduto con le spalle appoggiate alla sedia, una delle sue braccia è tirata su sullo schienale, ha la testa piegata e il colletto della camicia è appena più aperto di prima. Sorride a Kuroo, parla e ride, il suo viso è meraviglioso, sotto queste luci.
Ok, forse penso anche al sesso, forse penso a...
Ha le gambe aperte. Rilassate, sembra non farci caso, con le ginocchia che cadono da due lati opposti, il tessuto spesso dei pantaloni che gli fascia le cosce e i polpacci.
Ok, capisco cosa intendeva Kenma.
Lo capisco.
Un sorriso si apre sulle mie labbra.
– In effetti non è che sia poi tanto male pensare al sesso. Sarà l'alcol. –
– Hai bevuto mezzo drink. –
Rido, prima di rispondere con la sua stessa tattica.
– Dettagli, Kenma. Dettagli. –
– Sei uno stronzo. –
– Dimmi qualcosa che non so. –
Muove la testa contro di me e strofina la guancia sulla mia, sento la sua voce raggiungermi in un mugugno timido a metà fra la frustrazione e l'affetto, sorrido di riflesso.
Era un po', no?
Era un po' che non mi rilassavo così.
Non mi ero reso conto di quanto mi mancasse.
Mi mancava.
Mi mancava...
Questo caso mi ha dato tanto. So che sembra strano a dirsi, perché sto parlando di morte, di persone che sono morte e di persone che sono state private della loro libertà e dei loro diritti in nome di qualcuno che credeva di poter piegare la realtà a proprio piacimento.
Ma si impara sempre qualcosa, no?
Anche dalle tragedie.
Io da questa ho imparato...
Il mio valore.
Quanto valgo.
Quanto valgo e quanto merito, quanto sono cresciuto, quanto posso fare, quanto posso cambiare il mondo.
Oggi era l'ultimo giorno del processo prima della sentenza.
Oggi ho testimoniato.
Oggi ho...
Le immagini mi si espandono nella testa solo pensandoci.
Ushijima Wakatoshi è davvero bravo come dice, e non è solo bravo, miseria, è anche dannatamente perfetto nel suo lavoro. È come un gradino, quell'uomo, un gradino insormontabile per chiunque sia alla difesa.
Inespugnabile.
Non c'è domanda che non obietti nel modo più calzante possibile, non c'è testimonianza che regga, fa cadere a pezzi qualsiasi argomentazione con la sola logica e il suo tono di voce pacato, è calmo ma è diretto, pungente.
Non credevo sarebbe andata così bene.
Invece...
Mi sono sentito importante, sul banco dei testimoni.
Mi sarei sentito importante come perito, ma così, così è stato...
Akaashi che parla di Akaashi al mondo e che porta Akaashi come vittima di un sistema che l'ha oppresso, Akaashi che per una volta non è colpevole ma a cui viene chiesto scusa per le colpe degli altri.
Non credevo che dire al mondo di essere stato quasi rapito mi sarebbe piaciuto, ma mi è piaciuto.
Non bisogna vivere per farsi chiedere scusa, o per farsi compatire, però è bello, ogni tanto, che le persone riconoscano quanto hai sofferto e quanta colpa abbia chi t'ha fatto soffrire.
Essere vittima non è stato bello.
Ma è stato illuminante.
Ho imparato che non sempre le cose orribili che ti succedono devi superarle da solo, che gli altri possono anche pagare per quel che ti hanno fatto e che non vince sempre il carnefice, non vince sempre il male, non vince sempre quel che ti opprime.
Non so per cosa lo condanneranno domani.
Non so se lo condanneranno per gli stupri o per gli omicidi, per entrambi o per nessuno.
Però ho fatto il meglio che potevo.
E questo, solo questo, mi appaga.
Se andasse male posso sempre ricominciare.
Posso farlo, so di poterlo fare, e so di avere tutto il diritto di farlo.
– Mi sa che non siamo gli unici a pensare al sesso. –
Mi riprendo con la voce di Kenma che mi risuona nelle orecchie.
– Eh? –
– Guarda là. –
Indica il lato della stanza, seguo il gesto del capo che fa, sposto lo sguardo.
Siamo venuti tutti a... festeggiare. Tutti noi che abbiamo partecipato al processo, e questo comprende il perito della Cibernetica, il perito della Scientifica, il responsabile delle indagini, il testimone e...
– Sono adorabili. –
– All'inizio fai fatica ma quando ci fai l'occhio lo capisci che cosa trovano l'uno nell'altro. –
L'avvocato ha il suo ragazzo seduto accanto, con le braccia lunghe e magre avvolte attorno al collo e le labbra sulle sue.
È vero, Kenma ha ragione.
All'inizio è un po' complesso vederli assieme, soprattutto quando uno arriva in aula con un completo che costa quanto casa tua e falcia la difesa a suon di obiezioni e arringhe ad effetto mentre l'altro sta seduto a gambe incrociate sulle panche del pubblico a mangiarsi le unghie e a giochicchiare con i piercing sul suo viso.
Però c'è qualcosa di giusto.
Qualcosa di...
– Iwaizumi e Oikawa dove sono? –
– Mi sa che sono usciti, Keiji, lo sai come sono fatti quei due. –
Li cerco con lo sguardo ma non li vedo, non c'è il sentore fiorito del profumo di Tooru da nessuna parte né il cipiglio aggressivo di Hajime, non sento la loro voce, la loro presenza.
– Quei due sono due animali. –
– Lo dici come se non lo fossi anche tu. –
– Senti chi parla, pulce. –
Giro il viso verso di lui, alzo le sopracciglia.
– Ok che non sei scappato per scopare, ma... –
– Lo farò a breve, lo sappiamo tutti e due. Mica è colpa mia se Kuro è l'uomo più bello del mondo. –
Storco il naso.
– È colpa tua che hai la forza di volontà di un cadavere. –
– Scusami? –
– Sbavi ogni volta che lo vedi. –
– Sei tu che ti stavi venendo nei pantaloni a vedere quel cretino sedersi un secondo fa, non io. –
– Touché. –
Strizza il naso e scuote la testa dalla mia parte.
– Secondo te abbiamo un problema col sesso? –
– Io e te? –
– No, quelli dietro. –
Faccio spallucce e ignoro la sua battuta.
– Siamo giovani, è normale. –
– Che voglia farmi aprire come un avocado ogni giorno? –
– Sì, secondo me sì, totalmente. –
Mi sento prendere il viso da una mano che si appoggia sotto al mio mento, Kenma mi strizza le guance fra loro.
– Quando saremo all'ospizio e avremo una sedia a rotelle almeno sapremo di averlo fatto per una buona causa. –
– Mh-mh. – rispondo, perché non riesco ad articolare le parole.
Mi guarda negli occhi.
– Sono felice che tu stia con lui, Keiji, non so se te l'ho ancora detto. –
Non dico nulla.
– È scemo ma ti ama e tu ami lui. Sono felice. Però... –
Si avvicina verso di me, i nostri nasi si sfiorano, seguo il suo sguardo dorato e felino che luccica dalla mia parte.
– Tu rimani mio. Intesi? –
Per come posso, sorrido.
Annuisco.
– Perfetto. –
Mi schiocca un bacio veloce sulle labbra e poi mi lascia andare per tornare a concentrarsi sul suo drink intonso come se non fosse successo niente.
Oh, Kenma.
Sei proprio...
La risata di Bokuto si spande poco distante da noi. Si mescola con quello di Kuro ma la sovrasta, è piena ed è sincera, piacevole, uno di quei suoni che mi fa tremare le gambe e sentire al settimo cielo.
Lo guardo perché non riesco a non farlo, e lo guardo sorridendo.
Ha una mano sulla spalla del suo amico, la testa gettata appena appena indietro, le sue guance sono piegate nelle mille fossette che compaiono quando sorride.
Il mio cuore si stringe.
– Vai, scemo. –
– Eh? –
Kenma mi spinge dalla schiena.
– Vai. È il tuo tipo, per la miseria, che cosa stai qui a guardare come un maniaco? –
– Non sto facendo il mania... –
– Io andrò a fare sesso nei bagni, se mi cerchi sono là. Finisci 'sto coso e vai da quel cretino. –
Apro la bocca per rispondere ma mi ritrovo di fronte al naso il mio drink, di nuovo come prima, retto da Kenma.
Lo fisso per un secondo.
Dovrei...
Stiamo festeggiando.
Abbiamo vinto, stiamo festeggiando.
Me lo merito, certo che me lo merito.
E...
Non c'è niente di male a divertirsi un po'.
Accetto il bicchiere, mando giù tutto il contenuto in un colpo solo, sento l'alcol bruciarmi sulla gola, lo riappoggio sul bancone vuoto, stringo Kenma a me una volta, velocemente.
Ha ragione.
È il mio ragazzo.
Perché dovrei guardarlo ridere quando posso...
Sentirlo ridere di fronte a me?
Toccarlo?
Guardarlo da vicino?
Baciarlo, passargli le mani sulle spalle e sulla schiena, sentirlo mugugnare quel verso che fa quando faccio qualcosa di particolarmente piacevole, affondare le dita sui suoi capelli e...
Scendo dallo sgabello.
Facciamo festa.
Facciamo...
Non appena mi alzo vedo Kuroo fare la stessa cosa. Non so se ci stesse guardando, sinceramente ero più concentrato sul suo amico che su di lui, so solo che si alza.
Si appoggia su una delle spalle del suo amico, batte piano come a salutarlo o in un gesto di affetto, non so, e poi sorride dalla mia parte, ma non a me, a Kenma.
Questi due pensano con lo stesso cervello.
Oppure si conoscono davvero bene, oppure macchinano alle nostre spalle.
Non lo so.
Sinceramente non... non m'interessa.
Kuroo cammina verso di me e io cammino verso di lui, le nostre spalle si sfiorano quando c'incontriamo a metà strada, vedo con la coda dell'occhio il sorriso che mi lancia e non è un sorriso simpatico, è un sorriso malefico che la sa più lunga di quanto dovrebbe, poi mi supera, scompare e di lui rimane solo l'odore dei suoi vestiti e la sensazione di vederselo torreggiare accanto.
Infidi, Kuroo e Kenma.
Una certezza sempre, ma... infidi.
Scorgo solo per un attimo l'avvocato e il suo ragazzo sul divanetto a lato, fra molti altri poliziotti che bevono e ridono distanti da loro, li colgo in un momento di dolcezza, immagino, a baciarsi così, per gioco.
Vi avrei invidiati.
Oh, se non l'avrei fatto, due mesi fa.
Ma ora...
I miei passi cessano, il mio corpo si ferma, il mio cuore inizia a battere più veloce e i bordi delle mie labbra iniziano a tirarsi su da soli.
Appoggio una mano sullo schienale della sedia, chino lo sguardo.
Non v'invidio.
Ho anche io, ora, la mia personale fetta di paradiso.
– Hey, ciao, ti ho visto dall'altra parte del locale e ho pensato che fossi carino. Vuoi qualcosa da bere? – chiedo, scherzando, a Bokuto che mi guarda dal basso con gli occhi grandi e dorati.
Ha il Sole in volto, la gioia, l'euforia più sfrenate. Brilla, luccica come se fosse una pietra preziosa, e qualcosa mi fa sentire più felice e più attratto ogni secondo che passa.
– Keiji, stai cercando di rimorchiarmi? –
Sbatto le ciglia.
– Certo, non si era capito? Sto assolutamente cercando di rimorchiarti. Allora, vuoi qualcosa da bere o no? –
– Se voglio qualcosa da be... una birra va bene? Però non andare a prendermela, vado da solo, non voglio che tu... –
– Sta' zitto e fatti rimorchiare. –
Gli arruffo una mano fra i capelli e lo sento lasciarsi andare contro il palmo, mi giro verso il bancone, il barista mi vede e annuisce con la testa come a dirmi "fa' pure".
Mimo "una birra" con le labbra.
Capisce, si mette al lavoro, io torno a guardare Bokuto.
– Arriva subito. –
– Oh, grazie, wow. Aspetta che ti do i soldi che... –
Serro le labbra, chiudo entrambe le mani sulle sue guance, gli piego indietro la testa e lo guardo negli occhi, confuso, che cerca i miei.
– Sei irrimorchiabile, lo sai? Ok che non ho bisogno di farlo e che era uno scherzo, ma se fosse stato reale saresti stato davvero irrimorchiabile. –
– Keiji, sono confuso. Non sto molto capendo che cosa... –
– Lascia perdere. Lascia perdere, Kō, lascia perdere. –
Sorrido al suo meraviglioso viso spaesato e mi chino verso di lui, stringo forte il suo viso e premo le labbra contro le sue con calma, ascoltando il rumore che fanno e annusando il suo profumo nell'aria.
All'inizio s'irrigidisce.
Si stacca come se scottassi.
– Qui? –
– Qui, a lavoro, dovunque. – rispondo, prima di cercarlo ancora.
Si scosta di nuovo.
– Sicuro? –
– Mai stato così sicuro di niente. –
E mi riadagio contro di lui, contro la sua bocca, l'attimo dopo, perdendomi nel sentore di qualcosa che è familiare, per me, che è casa e che è... diventato una parte importante di me.
Quando i poliziotti festeggiano, vanno sempre nello stesso locale. È così da sempre, ti ci portano all'addestramento e ci fai l'abitudine, diventa un luogo di riferimento, un punto fondamentale della tua esperienza in questo ambito lavorativo, un ritrovo.
Siamo qui, stasera, perché abbiamo finito il processo.
Siamo qui tutti.
E qui...
Ho sempre pensato che fossi tagliato per il mio lavoro ma inadatto all'ambiente che lo popolava. Ho sempre pensato che per essere il detective che ero avrei sempre dovuto tener nascosta una grossa porzione di me.
Ora non m'interessa più.
Che sappiano pure chi sono, che dicano o pensino quel che vogliono.
Non c'è niente di cui debba vergognarmi.
E...
Se da qualche parte ci fosse qualcuno come me, qualcuno identico a come sono stato per tanti anni...
Mi sarei sentito a casa se qualcuno avesse fatto quel che sto facendo adesso.
E se non ce l'ho mai avuta qui, allora è il caso che inizi a costruirmela da solo, e che la condivida con quante più persone possibili.
Kōtarō mi stringe il volto con le mani, sento le sue dita affondare contro la mia nuca, i polpastrelli fra le ciocche scure, apre le labbra.
Qualcuno ci sta guardando?
Non lo so.
Non ne ho idea.
Però...
Piego il volto, incastro il naso col suo, rispondo al bacio.
Se chi guarda prova ribrezzo, saprò di non essere io ad essere sbagliato, ma i suoi occhi, la sua testa, il suo pensiero.
Niente fa ribrezzo nell'amore.
E io so cos'è l'amore, e spero che prima o poi lo sappiano tutti.
Ci stacchiamo l'attimo dopo, so che gli occhi mi brillano, e mi specchio in quelli dorati di Bokuto per come sono e per come ho imparato ad amarmi.
Lui sorride.
– Oh, ci voleva. Ora sì che non sono più confuso. –
– Ti ho schiarito le idee? –
– Me le hai schiarite tutte. –
Ridacchiamo insieme, poi sento le sue mani scorrere dal mio collo alle mie spalle, giù verso i fianchi.
Tira il mio corpo verso di sé.
– È troppo se ti chiedo di sederti? Ti va? –
– Su di te? –
– Mh-mh. –
Mi guardo attorno un'altra volta, più per abitudine che per altro.
– Mi va. Sì, certo che mi va. Mi... –
Mi sento trascinare dalla vita verso il basso, il mio corpo che non è leggero lo sembra fra le sue mani e se un secondo prima ero in piedi a guardarlo dall'alto, quello dopo sono a cavalcioni delle sue cosce, seduto, spiaccicato contro di lui e con le guance un po' più rosse di un attimo fa.
Mi schiaffa le mani sui fianchi e sorride.
– Perfetto. – commenta.
Poi allunga il viso verso di me, mi bacia di nuovo e dopo essersi staccato appoggia la fronte contro la mia spalla si mette fermo.
Io...
All'inizio non so bene che fare.
Sono un po' frastornato dal cambio di posizione così repentino.
Ma il secondo dopo il mio cervello ricomincia a funzionare e con esso anche tutte le mie... interessanti prospettive sull'essere così vicino a Bokuto.
Inizio a sentire chiaramente quanto solide siano le sue cosce sotto le mie, a notare la larghezza delle sue spalle che sembrano avvolgermi, il modo in cui le sue mani mi toccano e mi cercano, la linea pulita della camicia che rivela le braccia muscolose e il suo corpo statuario.
Inizio a notare il suo profumo.
Inizio a percepire il modo in cui l'aria esce ed entra dai suoi polmoni, a sentire il suo respiro contro di me.
Divento più sensibile.
Sempre più sensibile.
Sempre più...
Cambia.
Bokuto cambia.
Si sente da come le sue dita affondano su di me.
E succede così in fretta che quasi mi coglie alla sprovvi...
– Contieniti. –
Il tono della sua voce cade come una lama fra noi.
– Guarda che non sto facendo nie... –
– Siamo in pubblico, ci siamo baciati, siamo felici. Smetti di tremare e contieniti. –
Non sto tremando.
Non è vero che sto tremando.
Sono...
Forse le mie ginocchia vibrano un po', ma...
Cerco di rilassarmi per quanto posso.
Cerco di prendere aria e di rilassarmi, di lasciar perdere tutte le mie sensazioni e di tranquillizzarmi, cerco di...
– Bravo, così. –
E se prima stavo tremando un po', ora tremo tutto, perché lo dice con la voce giusta, al momento giusto, e il brivido che mi corre sulla schiena è un terremoto che non so come fermare.
Sono...
Debole a questo tipo di cose.
E lui lo sa.
– Oh, ops, me n'ero dimenticato. Certo non ti aiuto col piano di contenerti, così. Colpa mia. – scherza, con la voce che risuona nel mio orecchio e il tono che inizia a scendere.
– Sei uno stronzo, Kōtarō. –
– Uno stronzo? –
Stringe uno dei miei fianchi.
Tira su la testa e i suoi occhi sono dritti sui miei, respiriamo la stessa aria, guardiamo noi stessi nelle infinite repliche che si riflettono nelle nostre pupille.
– Non hai alcun diritto di essere tonto e carino un secondo prima e cattivo e sexy quello dopo. Te l'ho già detto ma te lo ridico. –
Sorride.
– Ma tu mi ami perché sono così. –
– Lo faccio, ma... –
Mi parla guardandomi le labbra.
– E poi non è colpa mia, è colpa tua. Me lo tiri fuori, sai com'è. Vieni da me e mi guardi come se mi chiedessi di aprirti in due e io... reagisco di conseguenza. –
La mia schiena subisce un altro brivido, quando sento quel che dice.
– Come fai a sapere che sono venuto per quello? –
– Ti conosco. –
Strofina il mio labbro inferiore con la punta del pollice, si avvicina ancora, continua a guardarmi la bocca, non mi bacia.
– E il mio piccolo Keiji ha la tendenza a pensare solo a quello quando mi guarda, lo sai? –
– Non solo a quello. –
– Sicuro? –
Mi fissa ancora la...
– No. –
Mi bacia.
È un bacio come quello di prima, affettuoso ma non osceno, forse un po' più profondo ma non eccessivamente sessuale.
So che c'è qualcosa di diverso, lo sento, ma lo so solo io e nessun altro e dire che questo non mi piaccia sarebbe una bugia.
Io accetto quel che mi dà e ricambio, felice come non mai di sapere cosa fare, come, per appagare qualcuno che appaga me e che conosco bene.
Appoggio le mani sulle sue spalle, lascio che le dita s'infilino dentro al colletto della camicia, sulle spalle e sulla pelle che è calda, bollente, che scotta.
Piano, non troppo, non molto più di quello che stanno facendo l'avvocato e il suo ragazzo, non più di quello che fanno i due colleghi che non conosco sul divanetto ad un metro da noi.
Solo...
Bokuto si stacca e mi guarda.
– Siamo stati qui nemmeno un'ora e ti sei già stancato? –
– In che senso? –
Alza le sopracciglia.
– Mi pare che tu mi stia chiedendo di portarti a casa, polpettina. –
Sorrido, discosto gli occhi dai suoi.
– Per me possiamo anche farlo qui. –
– Mmh, selvaggio. Però... non credo che sia la mia cosa, sai? –
Avvicina le labbra al mio orecchio, il tono della sua voce si fa più basso.
– Mi piace dimostrarti che sei la mia troia ma a te e basta, non agli altri. Non lo sai? –
– Merda, Kōtarō. –
– Sì che lo sai, lo sai. –
Mi bacia una guancia, mi stringe di nuovo la vita, il mio sangue diventa fuoco e la mia faccia raggiunge il colore del Sole.
Sono rimasto scioccato dal fatto che la prima volta che abbiamo fatto sesso mi avesse chiamato "troia" soprattutto per questo.
Perché...
Beh, io troia lo ero davvero.
Letteralmente.
Io ero...
Ed eppure nessuno mi aveva mai chiamato così facendomi sentire così a mio agio e questo è strano, piacevole ma strano, ed è...
Mi passa le mani di nuovo sulle anche, sui fianchi, sulla vita. Atterra coi polpastrelli sulle mie spalle, li sposta sul collo, sulle guance.
Mi tiene su la testa.
– Prima bevo la birra e poi vediamo se andare, ok? –
– Se volessi andare via adesso? –
– Non ti ho chiesto cosa volevi fare, Keiji, ascoltami quando parlo. –
Sento le mie pupille dilatarsi da sole.
– Se fai il bravo andiamo via, se non lo fai rimaniamo qui. Sta a te. Fai il bravo? –
Sbatto le ciglia, lo guardo.
– Io faccio sempre il bravo. –
– Mmh, su questo ho i miei dubbi. –
Apro appena di più le gambe per sistemarmi meglio, gli tiro indietro una ciocca di capelli dalla fronte.
– Non faccio il bravo solo quando voglio che tu non sia carino con me, Kōtarō, lo sai. –
– Lo so, miseria, lo so. –
Alza piano i bordi delle labbra.
– Tu sei... –
Si ferma prima di finire la frase.
– Io sono...? –
– Sei... –
Incorreggibile?
Infantile?
Insopportabile?
– Sei l'amore della mia vita. Ti amo ogni secondo di più. Sei bellissimo, sei sexy e sei un sogno fatto realtà. Non smetterò mai di pensarlo. –
Il mio cuore si ferma.
– Sono fiero di te e di me stesso per essermi meritato il tuo amore. Ogni tanto nemmeno ci credo che è tutto vero. Mi sembra così impensabile. –
Sento i miei occhi farsi grandi, la mia bocca aprirsi, il mio respiro perdere ritmo.
– Ti amo, Akaashi Keiji. Ti amo tanto. Ti amerò per sempre. –
Prendo aria per rispondere anche se mi sento confuso e frastornato ed euforico di fronte alla fiumana di parole che gli ho appena sentito dire, ma m'interrompe.
– Oh, guarda, stanno portando la mia birra. –
Sorride.
– Ti è andata bene. –
Avvicina le labbra al mio orecchio, i suoi occhi scintillano, il mio corpo trema.
– Finirai a farti scopare prima del previsto. –
Mi manca il fiato, inizio a sentire caldo e nascondo la faccia contro la sua spalla mentre prende la birra che il barista gli porge chiedendomi cos'ho fatto per meritarlo e quanto dovrò ripagare a chiunque me l'abbia dato per aver ricevuto una fortuna così grande.
"Prima del previsto" equivale a...
Poco più di un'ora e mezza.
Dieci minuti a bere la birra, chiacchierando di cose che sinceramente ora neppure ricordo.
Dieci minuti a berne un'altra, che ho accompagnato con un altro drink, sempre chiacchierando, un po' più vicini di prima, un po' più accaldati.
Dieci minuti a guardare l'avvocato tirar su di peso il suo ragazzo e scappare dal locale con quello in spalla.
Dieci minuti a sentire il barista lamentarsi del fatto che Kuro e Kenma stavano occupando il bagno da troppo tempo e che avrebbe dovuto farlo disinfettare.
Dieci minuti a scoprire che Iwaizumi e Oikawa si erano imboscati in macchina e che a quanto pare la Grande Bestia ha mollato una nasata sul cruscotto e ha sanguinato fino a farsi girare la testa.
Dieci minuti a ridere, dieci ad essere felice, dieci a guardare il mio ragazzo dire e fare cose troppo stupide persino per lui, dieci a sentirlo parlare, dieci a...
Cinque per tornare a casa mia.
Uno per correre in camera.
Quaranta secondi per cercare di togliersi i vestiti.
E...
Spalanco le gambe, le mani di Kōtarō schiacciano le mie ginocchia contro il letto, sento il suo corpo sul mio, la sua vita fra le mie cosce, lo stringo forte con le braccia.
Ho il respiro affannoso per la corsa, lui non pare neppure averla sentita, le sue braccia si flettono per tirarmi su e sistemarmi su di sé, il suo corpo è meraviglioso, solido, rigido e perfetto contro il mio.
Mescola le labbra alle mie.
Accetto il bacio.
Ci siamo saltati addosso.
Io ho la maglia e non i pantaloni, le mutande aggrappate ad una caviglia e credo ancora una scarpa addosso, lui non ha niente sul torso ma il tessuto ancora gli avvolge le gambe, non si è tolto la fondina anche se non c'è la pistola dentro, non si sa come sia messo.
Dovremmo prenderci del tempo per spogliarci, ma...
– Kōtarō, cazzo, Kōta...rō. –
Strofina il bacino contro il mio, la frizione è deliziosa, le sue mani mi scavano ovunque sulla pelle.
– Keiji, Keiji. –
Incastra il viso sull'incavo del mio collo, tira fuori i denti, morde la pelle chiara. Sento il suo respiro battermi addosso, mi fa salire un brivido sulla schiena, le mie ginocchia tremano, il mondo sembra capovolgersi e tornare su dritto in un attimo.
– Prendi... prendi il... –
– Un secondo. –
– Ti prego, Kō, ti prego, prendi... –
Cerco di sporgermi verso il comodino ma non ci riesco, mi morde di nuovo, mi afferra il polso con la mano e lo riporta verso di sé, come per impedirmi di spostarmi.
Mi lamento perché volevo prendere il lubrificante e prenderlo significa fare sesso, ma...
– Ho detto un secondo. Mi hai sentito? –
Smette di mordermi il collo, sposta il viso di fronte al mio, i suoi occhi bruciano nei miei.
– Sì, ti ho sentito. –
– E allora perché cazzo non hai obbedito? –
Duro, rigido, severo nel modo in cui mi guarda, nel modo in cui mi parla.
Cerco di scivolare verso il suo lato buono, tiro su una gamba su di lui e la strofino sulla parte bassa della sua schiena.
– Perché volevo che mi scopassi subito, Kō, perché sai che io voglio sempre che tu... –
La mano sul mio braccio si slega.
Si riallaccia sulla parte bassa del mio viso, le dita che affondano sotto l'osso della mandibola e la presa quasi serrata sul mio collo.
– Chiedi scusa, non cercare di giustificarti. –
Mi cadono le parole fuori dalla bocca.
Scompaiono.
Diventano... aria.
Io...
– E ascolta quello che ti dico. –
Mi guarda finché non cedo.
Finché non lascio cadere lo sguardo verso il basso in segno di resa, in segno di cedimento, finché non mormoro "scusa".
A quel punto...
– Ecco, così, così mi piaci. Bravo e ubbidiente. –
– Merda. –
Il mio corpo viene scosso da un violento, violento tremore, sento le ginocchia chiudersi per cercare un po' di frizione, i miei occhi rotolare indietro.
Quest'uomo.
Questo stronzo.
Questo bastardo che mi dice le cose adorabili come se fossero la cosa più facile e stupida e logica del mondo e che il secondo dopo mi rivolta come un calzino maltrattandomi a letto.
Da dove diavolo sei uscito?
Dove sei stato tutto questo tempo?
Dove...
Si china di nuovo verso di me, ricomincia a baciarmi. Sa di casa, ormai, sa di casa e di felicità, ma sa anche di foga e di passione. La sua lingua s'intreccia con la mia, il suo viso preme il mio sul materasso, il suo corpo mi sovrasta.
Cerco di aggrapparmi alla sua schiena, ma...
Tira su le mie braccia, stringe i polsi con una mano sola, m'impedisce di farlo.
La mia schiena si stende da sola, mi esce dalle labbra un mugugno di protesta e sento il mio bacino alzarsi contro il suo.
– Niente Kōtarō finché non decido che ti perdono per non avermi ascoltato. –
Spalanco gli occhi.
– Ma avevi detto che ero bra... –
– Ho cambiato idea. Hai qualcosa in contrario? –
Fisso le iridi sulle sue.
– Io voglio toccarti, Kōtarō. Per favore. –
– Dovevi pensarci prima. Ora come ora... mi dispiace ma proprio non si può. È un peccato, non è vero? –
– Io voglio... –
– Davvero un peccato. Chissà cosa sarebbe successo se invece ti fossi comportato bene. Potremmo pensarci insieme, che dici? –
Stringo lo sguardo, stringo le cosce, mi mordo l'interno della bocca.
– Merda, Kōtarō, scusa, non volevo, non c' bisogno di... –
– Ti amo da morire, cazzo. Lo sai? Ti amo da morire. –
Il cambio così istantaneo di argomento mi destabilizza. Mi rincuora ma mi destabilizza e mi ritrovo col cuore pieno ma il cervello confuso a guardarlo senza comprendere cosa intenda.
– Ti amo anch'io, ma... –
– Te le ricordi le safeword, vero? –
– Sì, me le ricordo. Ma... –
– Ora come va? –
– Bene, bene, verde, continuo a non capire... –
Mi ribalta.
Mi gira pancia sotto, prende i miei polsi e invece di tenerli su tira le mani verso di sé, mi sistema le cosce perché le mie spalle siano stese sul letto e il bacino in aria, mi schiaccia verso il materasso dal centro delle scapole.
Mi sorprende.
Mi sorprende al punto che lascio uscire un gemito mezzo confuso.
Di certo non è un gemito infastidito.
Di certo non è...
– E ora? Come va ora? –
Come va?
Come dovrebbe andare?
Va...
– Va bene, Kō. –
– Comodo? –
– Comodo. –
– Perfetto. –
Sento il letto muoversi dietro di me, so che si sta spostando, credo si stia mettendo in ginocchio dietro di me. Mi azzardo a girare la testa per guardare e tutto quel che mi si para davanti è il mio ragazzo che mi guarda... il culo come se fosse un'opera d'arte.
Con tanto di leccata di labbra.
Con tanto di morso all'interno della bocca.
Però non capisco che cosa abbia intenzione di...
– Sai cos'è che mi manda fuori di testa di tutta questa storia? – mi chiede poi, sempre guardando più il mio culo che la mia faccia, completamente rapito.
–"Ti manda fuori di testa" in senso positivo o negativo? –
– Positivo. –
Che cosa...
– Non lo so, Kō. –
– Che la città intera è ai tuoi piedi. Che i giornalisti ti fermano per strada per chiederti le cose. Che sei l'idolo di un sacco di persone. –
Aggrotto le sopracciglia.
Credo non abbia finito, per cui non dico niente, ma non so dove stia andando a parare, sinceramente ancora non lo capisco.
– Ti amano tutti, Keiji, ti adorano tutti e tutti riconoscono il tuo valore. Ma... –
Allunga la mano libera verso di me, la schiaffa sul mio culo e stringe con una soddisfazione tale che gliela si legge in faccia, che gli balena di fronte agli occhi come se qualcuno ci avesse affisso sopra un cartellone pubblicitario.
– Questo lo vedo solo io. Nonostante tutti ti amino, questo lo vedo solo io. Io sono... privilegiato, sono fortunato, io vedo le cose che non può vedere nessuno. E Dio, se quelle cose non sono fantastiche. –
Strizza di nuovo la mia pelle fra le mani, mi scappa un gemito dalle labbra.
– L'Akaashi Keiji che è l'orgoglio della Polizia di Tokyo si piega per me e si fa scopare da me e io posso guardarlo nudo e sapere quanto cazzo è bello, quanto cazzo è sexy e quanto cazzo è soddisfacente scoparlo ogni giorno che Dio manda in Terra. –
C'è palese arroganza nei suoi occhi, ed è un'arroganza... attraente.
– Solo io so com'è. Solo io so quanto può essere una troia. Solo io ci sto assieme. –
Sbatto le ciglia verso di lui.
– Solo tu, Kōtarō, solo tu. –
– Solo io. – ripete.
Si perde con lo sguardo su di me una volta ancora, e nelle sue iridi navigano tante cose diverse. La passione, l'amore, l'orgoglio, il divertimento, la fierezza.
– Akaashi Keiji è mio e basta. Appartiene a me. Questo mi manda fuori di testa. –
– Manda fuori di testa anche me. –
Mi guarda negli occhi, mi sorride.
– Ti amo per questo. – mi dice.
Apro la bocca per rispondere, ma...
Mi lascia andare le mani.
Indica il comodino con lo sguardo.
– Ora puoi prenderlo. –
– Posso? –
Annuisce.
Si lecca le labbra.
– Puoi, Keiji. Certo che puoi. –
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
OK SCUSATE IL RITARDO
ANCHE OGGI POCHI COMMENTI CHE SONO DI FRETTA
SOLO NON UCCIDETEMI PER IL CLIFFHANGER
CI VEDIAMO IL 12 CON L'ULTIMO CAPITOLO
VI AMO
MEL :D
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