Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

𝚑𝚒𝚍𝚎 𝚖𝚢 𝚠𝚒𝚗𝚐𝚜 𝚝𝚘𝚗𝚒𝚐𝚑𝚝

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

La circoscrizione quattro, non mi piace.

L'ho deciso ora.

Non mi piace.

Non mi piace per niente.

Sarà pur vero che la gente qui è più amichevole, più disponibile e quel che vi pare, ma chi l'ha detto che la cosa mi deve piacere?

A me non piacciono le persone espansive.

Non mi piacciono quelle che parlano ad alta voce, quelle che se la ridono e se la contano fra di loro, quelle che invece di lavorare perdono una barca di tempo in stronzate inutili come salutarsi e chiacchierare e raccontarsi le cose che hanno fatto nel weekend.

Non mi piace sentirmi chiedere ogni momento se voglio qualcosa, non mi piace il casino che mi circonda, non mi piace il brusio che m'invade il cervello mentre cerco di ragionare.

Non mi piace l'odore misto e vivo di così tante persone felici.

Non mi piacciono le sedie.

Non mi piacciono le scrivanie.

Non mi piacciono le persone.

Non mi piace come mi guardano, come mi appellano, come mi toccano la spalla passandomi accanto e come mi sorridono versandomi il caffè, non mi piace...

Non mi piace quella stupida antipatica stronza della collega di Kōtarō.

Non mi piace proprio.

Non mi piace anche se so perfettamente che non è né stupida, né antipatica né stronza. Non mi piace anche se è bella, coi capelli folti e ricci e gli occhiali spessi, non mi piace anche se è gentile con me, non mi piace.

Non mi piace come mi fa sentire.

Non mi piace la sua voce.

Non mi piace la mano che mette sulla spalla di Bokuto quando gli parla.

Fino a ieri, mi sembrava che la situazione fosse gestibile.

Certo, qui è più vivace rispetto a dove lavoro io, però credevo che fosse vivibile, un'esperienza nuova, persino divertente. Stavo seduto a chiacchierare con Oikawa Tooru e a guardare Bokuto dirmi le peggio cose all'orecchio, scrivevo i miei appunti, stavo tranquillo.

Ma la realtà è che odio questa circoscrizione.

Mi fa schifo.

E spero dopo la festa di stasera di non doverla vedere mai più.

Gli sta appiccicata come se fosse il Sole e lei una lucertola.

Non so dove fosse ieri, credo sul campo, ma capisco adesso di chi fosse la scrivania vuota che c'era accanto a quella di Bokuto.

La odio.

La detesto.

Perché parla così tanto?

Perché Kōtarō le risponde ad ogni stronzata?

Perché non le si stacca la faccia a forza di sorridere?

So di essere geloso. Geloso marcio, gelosissimo, geloso com'è geloso un cretino a cui dai l'uomo più bello del mondo e poi gli dici di guardare una tipa a caso provarci con lui.

A me spiace che lei abbia una cotta per lui e mi spiace che io non possa dirle in faccia come stanno le cose, ma finché io non ho finito con Bokuto Kōtarō, lei non si deve neanche avvicinare.

Per carità, non so quando finirò con lui e ad ogni parola che dice aggiungo un mese alla scadenza, ma a prescindere da questo, non si rovina il duro lavoro altrui, no?

"Bokuto passami la penna", "Bokuto hai un post-it", "Bokuto vuoi una gomma da masticare", "Bokuto scusami ma soffro di una condizione medica conclamata anche definita ho la mamma tro..."

No, questa me la stavo inventando io.

Sono davvero così acido?

Mi stupisco di me stesso, che stronzo. Non si pensa questo delle persone che non conosci, non è affatto carino, non si fa. Bokuto cosa penserebbe se lo sapesse? Ti direbbe che non è vero che è come la descrivi, che sei un volgare, antipatico misogino geloso.

In realtà, però, più cerco di fermarmi, più mi sento a disagio e mi vien voglia di alzarmi e mettere le cose perfettamente in chiaro con lei.

Da una parte, sono legittimato a pensare quel che voglio, perché ancora grazie a Dio i pensieri sono segreti e potrei pensare anche la cosa peggiore del mondo, nessuno dà il diritto a nessun altro di interferire.

Dall'altra è normale che le donne mi mettano più in soggezione degli uomini, su questo versante. Sono cresciuto interiorizzando la più pura delle omofobie, è scontato che la parte più irrazionale di me, quella gelosa, tema il confronto con qualcosa che mi hanno insegnato essere migliore.

So solo che il risultato è disastroso.

Ed è me seduto con i talloni sul bordo della sedia, il mento fra le ginocchia e gli occhi stretti come lame che li fisso interagire.

Maledetto Bokuto, sempre così attento ai miei stati d'animo e ora fa il finto tonto?

Guardalo, 'sto scemo, che dice "grazie" e "prego" e "per favore", che sorride come se la adorasse. Adorala pure, su, vai. Chissà se poi a lei glielo dici, che ti fa impazzire. Perché a me l'hai detto, sì, ti ho sentito.

Si alza un po' sulle cosce per passarle meglio un foglio.

Tu ce le hai mai avute quelle cosce in mezzo alle tue, stronza?

Ti sei mai addormentata con una di loro fra le tue gambe, avvinghiato al suo corpo nudo, su un letto che aveva appena visto acrobazie da circo?

Io sì.

Tu?

Che cazzo ti guardi, allora? Che ridi? Perché la tua voce è così alta?

Lo giuro, signor tenente, non odio tutte le donne. No, le ragazze mi piacciono emotivamente più dei maschi la maggior parte delle volte, ho diverse amiche, giuro che...

Il problema non sono le donne.

È questa donna.

E lo è perché il pasticcino extra-large, come lo chiama Oikawa, fa ormai parte emotivamente della mia proprietà.

Non ha a che fare con te e non ha a che fare con lui.

Ha a che fare con me.

Col fatto che sia perfettamente incastrato nell'equilibrio silenzioso e professionale della mia vita.

Ci ho dovuto far spazio, capisci, perché non era un elemento d'arredo facile da piazzare, ma quando sono riuscito a trovargli la sistemazione perfetta, come fosse una costosa lampada di design, ho capito che doveva rimanerci, là, e che se l'avessi spostato avrei rovinato tutto.

Tu sei letteralmente una donna delle pulizie sbadata nella metafora edile della mia mente.

Tu entri e "ops mi è caduto questo".

Distruggi mesi e mesi di stipendio messo da parte per comprare la mia bella lampada con il solo muoversi di una tua anca, e io ti odio, ti odio così tanto, ti...

− Akaashi, va tutto bene? –

− Io non penso che tu sia una lampada, era solo un mo... –

Mi blocco.

Che cosa ho detto?

Che cosa stavo pensando?

Oh, per la miseria, sono un cretino. Sono davvero un grande, enorme...

− Oh, menomale. Sono felice che tu non pensi che sia una lampada. –

Focalizzo il mio sguardo su Bokuto.

Bello, sei così bello e così sorridente, anche se rispondi alle mie stronzate con stronzate ancora più grandi, sei così bello che quasi non m'importa.

Deglutisco il mio imbarazzo.

Cerco di riprendermi.

− Scusa, non era... niente di che. Hai bisogno di qualcosa, Bokuto-san? –

Non perde il sorriso quando annuisce e lascia cadere la questione così, con un'alzata di spalle, come se non fosse successo niente.

− Tu la vuoi una caramella? –

Sporgo lo sguardo verso le sue mani, c'è una carta arruffata fra le sue dita, quella di una caramella dura di quelle al limone che trovi sempre dall'estetista e dallo psicologo.

− Non mi piacciono le caramelle. –

− Oh, sei sicuro? –

Scuoto la testa.

− No. –

Sorride un po' meno ma lascia perdere, lascia...

− A me piacciono, Bokuto-san, se vuoi posso prenderla io, se non ti va. –

Ti odio.

Ti ammazzo.

Brutta stronza, io ti...

− Certo, prendi pure! –

Sporge la mano e si toccano, quando la caramella cade da un palmo all'altro. E se si fossero innamorati immediatamente e in modo irreparabile in quell'istante? E se io ora...

Bokuto torna indietro con le spalle, gira la testa verso di me.

− Pensavo che ti piacessero, le ho rubate dalla sala riunioni. –

− Non amo le cose dolci. –

− Mi spiace. –

Scuoto la testa come a dirgli "non importa", restringo di nuovo il mio sguardo, ricomincio a fissarla male e di sbieco.

Chi è?

C'è qualcosa di lei che non va, me lo sento a pelle. Picchia le vecchie? Picchia i bambini? Picchia le vecchie e i bambini? Cos'ha che non va, cosa?

− Stai bene? –

− Sì, perché? –

− Non so, mi sembri strano. –

Non sono strano.

Sono geloso, sono stanco perché questo caso è drenante e non dormo bene la notte, sono incredibilmente infatuato, un po' frustrato sessualmente e ho voglia di una sigaretta.

Non sono strano.

Sono... normale tendente al piccante.

− Sei sicuro che vada tutto tutto bene? –

− Kōtarō, sto benissimo, non devi preoccuparti. –

− Puoi almeno smettere di guardarmi come se volessi uccidermi? –

Sbatto le palpebre un paio di volte, gli angoli della bocca mi si alzano naturalmente quando lo guardo.

− Non voglio uccidere mica te. –

Deglutisce visibilmente.

− Nel senso che non vuoi uccidere o che non vuoi uccidere me nello specifico? –

− La seconda. –

− Oddio, sul serio? –

Alzo le spalle e lo guardo un po' di sbieco.

− Non sul serio. Nella mia testa. –

− Nella tua... −

Gira la testa a destra e a sinistra, scorre con lo sguardo da una parte all'altra della sala, come se stesse cercando qualcosa.

Non lo trova, in ogni caso.

Almeno credo.

− Chi è che vuoi uccidere, allora? –

Sospiro.

Te lo dirò?

No, non te lo dirò.

Non posso farlo.

Se è, lo capisci da solo. Al momento preferisco rimanere qui a sobbollire nella mia irrazionale gelosia e far completamente finta di niente.

− È un segreto. –

Si avvicina al mio viso.

− Allora dimmelo all'orecchio. –

Mi viene da ridere e lo faccio, mi metto una mano di fronte alle labbra e lo faccio, appena appena.

Che paradosso, mi dico.

Non mi piace la circoscrizione quattro, ma Bokuto, che ne è la più lampante incarnazione, che parla ad alta voce e ride, fa casino e ha sempre il viso sorridente, mi piace proprio.

Devo essere pazzo.

Mi avvicino al suo orecchio.

− Non te lo dico. – sussurro.

Mi prende per le spalle e mi tira indietro, mi scuote un paio di volte, quando rido questa volta il rumore è chiaro, netto.

La collega di Bokuto mi fissa, Bokuto stesso lo fa, ma non smetto.

Bambinone.

Uno ti dice che non vuole dirti qualcosa e tu... lo scuoti? Qual è la prossima mossa, tirare fuori una brillante battuta alla "specchio riflesso"? Farmi la linguaccia?

Stento a credere che sia lo stesso uomo che mi ha chiamato "troia" ieri.

− Stai ridendo di me, Keiji? –

Annuisco tentando di riprendere fiato.

− Sto ridendo di te, Kōtarō. Fai davvero molto ridere, sì. –

Il suo viso rimane inespressivo.

− Non so se dirti grazie perché sentirti ridere mi piace o 'fanculo perché mi stai prendendo in giro. –

Abbasso il tono della mia voce.

− Potresti darmi un bacio per entrambe le cose. –

Scuote la testa.

− Non qui. Me l'hai detto tu che non vuoi. –

− E se volessi? –

Aggrotta le sopracciglia.

− Avrei bisogno di parlare con te e mettere in chiaro questa cosa per evitare di fare qualcosa che non ti piace e per capire quali sono i tuoi limiti e le tue preferenze sulle dimostrazioni di affetto in pubblico e per non farti sentire a disagio e per non fare outing sul tuo orientamento sessuale, non che ci sia niente di male ma vorrei che avessi ben presente la situazione e... −

Appoggio le labbra sul suo zigomo prima che finisca di parlare.

È un gesto veloce, che non credo abbia visto nessuno, ma basta per zittirlo.

− Sei adorabile, Kōtarō. –

Ha la bocca aperta, quando mi guarda e fa "sì" con la testa, un po' per lo stupore del fatto che io abbia fatto il primo passo in pubblico e un po' perché stava parlando, credo.

− Sono adorabile. – risponde.

Non è una domanda, non un'ipotesi.

Lo afferma proprio.

Ma come dargli torto, in effetti, non ha detto nient'altro se non la più vera delle verità.

− Ora vado adorabilmente a prenderti un caffè perché se no non mi trattengo. –

Inclino il capo, la mia tempia tocca il ginocchio ancora tirato su.

− Dal fare cosa? –

Infila la lingua fra i denti, si alza.

− È un segreto. –

Scompare un passo alla volta verso la sala ristoro che rido di nuovo, di fronte alla sua schiena, perché è adorabile e perché credo di sapere a che cosa si stesse riferendo quando ha usato il verbo "trattenersi".

È facile per lui entrarmi sotto la pelle, è vero, ma non credo che sia poi così difficile per me fare lo stesso. Sembra piuttosto debole alle mie lagne, credo di avere più ascendente di quanto mi aspettassi, su di lui.

Appoggio le mani sulla scrivania e mi tiro avanti, le rotelle della sedia da ufficio che girano sotto di me, metto i gomiti sul legno, la fronte sulle mani, sospiro.

Odio la quarta circoscrizione.

La odio perché niente di quel che fanno qui è nella mia comfort zone.

Ma credo che Bokuto sia un discorso a parte, su questo frangente, perché mi sembra, ogni volta che lo guardo, che alla fine quando è di fronte a me, la mia comfort zone sia proprio lui.

Scorro distrattamente gli occhi fra le pagine.

Abbiamo trovato un altro indizio interessante.

C'era sul corpo della vittima un pelo di cane.

Che fosse di qualcuno che è passato vicino al cadavere? Di un cane randagio? Che fosse stato portato lì dal vento o...

In realtà credo c'entri con l'omicidio, anzi, ne sono sicuro.

Perché nel report c'è scritto che il pelo era sul suo fianco, sotto l'ascella, sul lato della cassa toracica, e ricordo che il ragazzo era vestito quando l'ho trovato, quindi o i peli di cane trascendono le leggi della fisica e passano attraverso la materia, o l'hanno rivestito dopo che c'è finito sopra.

Kuroo ha scritto, o quantomeno mi sembra di aver capito, che ha inserito il DNA del cane nel database nazionale.

Non sapevo esistesse.

Certo delle persone, ma dei cani?

In ogni caso non c'è stata nessuna corrispondenza.

Sappiamo solo che è un Cavalier King.

Che è un cane carino, ho detto io, ma non carino quanto il suo, ha risposto Bokuto, per cui ho annuito e ho concordato con lui perché è vero, ha ragione, anche quando non ce l'ha.

Mi si stringe un po' lo stomaco all'idea che domani lo vedrò per la prima volta.

Vuol dire che gli piaccio sul serio, se mi presenta il cane, no? Che magari prevede di portare avanti questa cosa e che certo gli diverte fare sesso ma non solo quello, che magari...

Sono un cretino.

Questo posto e quest'uomo mi hanno trasformato in un cretino.

Un cretino idiota con idee idiote e pensieri idioti e speranze idiote.

Un cretino che sogna ad occhi aperti e sospira all'idea di cose cretine come lui.

Devo ammettere, un cretino un po' più felice di un mese fa, ma pur sempre un cretino.

Cerco di riprendermi dalla mia trance quando sento qualcuno schiarirsi la voce e alzo lo sguardo di scatto.

Ah, cazzo, mi ero dimenticato di questa stronza.

Questa maledetta stronza che mi guarda come se...

− State insieme? –

Apro la bocca ma la risposta non esce.

Rimango come un coglione a fissarla perché di tutte le cose che avrebbe potuto dire, questa, proprio non me l'aspettavo.

− So che a Bokuto-san piacciono anche i ragazzi, non l'ha mai nascosto. Certo non credevo che fosse anche il tuo caso, Akaashi-san. –

Mi conosce?

Perché dovrebbe conoscermi?

Abbiamo lavorato insieme prima d'ora?

Sono piuttosto bravo a ricordarmi le facce delle persone con cui interagisco, forse se mi concentrassi potrei...

No, non ho idea di chi lei sia.

Sospiro piano.

− Non stiamo insieme. –

− No? –

Mi prendo una minuscola vendetta, quando mi guardo intorno prima di sporgermi e aggiungo qualcosa.

− Non ancora. –

Ride appena, si mette una mano di fronte alle labbra.

Indietreggio un'altra volta sullo schienale della sedia, la squadro per bene. Continua a non riportarmi alla mente nessun ricordo, ma qualcosa in lei, per il modo in cui si sta ponendo, m'incuriosisce.

− Comunque, se non l'avessi saputo avresti appena fatto outing a Kōtarō. Non è carino, non rifarlo in futuro. –

Mi guarda come se mi stesse dicendo "mi prendi per il culo".

− Akaashi-san, l'hai baciato. Forse non vi hanno visti gli altri ma eravate qui di fronte ai miei occhi. Non credo che ci fosse molto da nascondere in ogni caso. –

Ha ragione? Certo.

È ovvio.

Ma io ho l'ascendente in Vergine, per cui stringo lo sguardo da dietro gli occhiali e sbuffo, perché non l'avrà vinta, io ho sempre, sempre ragione.

− Siete una bella coppia, comunque. –

Lo siamo?

Beh, l'altra sera, sabato, quando è venuto da me, ci siamo lavati i denti insieme prima di andare a dormire. Mi sono guardato nello specchio, mentre usava il mio spazzolino, ed era carina, la scena. Sembrava domestica. Sembrava... felice.

− È quasi un peccato. – aggiunge poi.

La fisso con tutta la cattiveria che ho in corpo.

Stronza, che cazzo hai appena detto? È un peccato che Bokuto stia con qualcuno? È un peccato che Bokuto stia con... me? È un peccato che...

− Non guardarmi così, su. Non puoi biasimarmi per la cotta che ho per lui, non tu, e non credere che io sia l'unica. –

Non sei l'unica?

− Quel ragazzo è così allegro e così bello che non avere una cotta per lui è praticamente impossibile. Tutto l'ufficio sbava, ma non è che vogliamo rubartelo o che ne so io. –

Mmh, non me la bevo.

Ha ragione, ha ragione sul fatto che non prendersi una cotta per lui sia impossibile e ha ragione sul fatto che non posso biasimare nessuno.

Ma nella vita ho imparato che tutto quello che hai, le persone possono strappartelo via.

Per cui se lo vuoi davvero, devi combattere per averlo.

Non sono acido perché ce l'abbia con lei.

La gelosia che provo non è quel tipo naturale di gelosia che dovrei avere per Kōtarō. È la gelosia di qualcuno che è sempre stato messo da parte dall'esistenza, e che per una volta nella vita vorrebbe tenersi qualcosa.

Sindrome dell'abbandono.

Prima sei freddo e sei terrorizzato all'idea della relazione, fai di tutto per evitarla e cerchi di sembrare disinteressato, e poi quando ti ci ritrovi diventi emotivamente insicuro di tutto.

Credevo di esserci passato oltre.

Ma credo che ogni tanto rispunti fuori.

− E spiegami, come mai tutto l'ufficio non ha mai fatto una mossa su di lui se siete così persi come dici tu? Aspettavate che arrivasse qualcuno a cui dare fastidio? –

Ho la voce più fredda di quanto sia necessario.

Akaashi il detective di ghiaccio è tornato, non per lavoro, ma per qualcosa di ben più vile.

− No, è che non è facile provarci con lui, quindi nessuno ha mai... a proposito, com'è che hai fatto tu? –

Si sente dalla mia gola un principio di risata.

− Così mi fotti la tattica? –

− No, sono solo curio... −

− Ci ha provato lui, comunque. –

È vero?

Non lo so se è vero.

Certo nell'ordine dei fatti lui mi ha chiesto di baciarlo, lui l'ha fatto per primo, ma io gli sono saltato addosso il giorno dopo e io gli ho chiesto di venire da me.

Stiro un po' la schiena, più di riflesso che altro, sistemo gli occhiali di fronte al viso.

Mi dice sempre Kenma che quando sono cattivo i miei occhi sembrano più chiari, più glaciali. Non sono di un azzurro particolarmente cristallino, di norma, ma se m'incazzo tendono a pulirsi un po', come se la rabbia mi rendesse più onesto.

− Ci ha provato lui perché gli piaccio. Parecchio. –

La collega mi guarda.

Cosa sta pensando?

"Guarda tu quanta insicurezza c'è in quel povero scemo" o "alla fine Bokuto lo lascerà perché si vede che non sono fatti per stare insieme"?

Io...

− Non vi conoscete da tanto e già ne parli come se foste sposati. È carino, dai, forse un po' inquietante, ma... −

− Non permetterò a nessuno di voi di togliermelo dalle mani, anche se avete avuto una cotta per tanto tempo. Dovevate svegliarvi prima, ora vi attaccate al cazzo. –

Chiude la bocca e mi fissa in completa confusione.

Troppo...

Forse un po' troppo volgare.

Non credo nelle stronzate "questo non si dice ad una signora" o "non di fronte alle donne" ma forse lei sì, forse mi sono spinto un po' troppo oltre.

− Quindi anche niente test camicie del primo lunedì del mese? Ci toglierai l'unico piacere della vita? –

− Il che? –

Sembra afflitta, quando me lo dice. Non offesa perché le ho detto di attaccarsi al cazzo o perché sono stato acido sulla questione, ma afflitta per il... test camicie?

− È una cosa che è nata due o tre mesi dopo che è entrato qui. Un giorno aveva messo una camicia che gli si era ristretta in lavatrice, è arrivato e quando ha spalancato le braccia per salutarci la camicia si è completamente squarciata. Quindi... −

Oh, Dio.

Di cosa sta parlando?

Di cosa...

− Abbiamo inventato una stronzata su due piedi, io e le colleghe dell'amministrazione, un ragazzo del deposito prove e altre due o tre persone qua e là, dicendo a Bokuto-san che ci serviva un test camicie. Che non potevamo comprare camicie scadenti, che dovevamo necessariamente prima valutare se fossero indistruttibili. –

E lui ci ha creduto?

Bokuto ci ha davvero...

− Quindi una volta al mese, il primo lunedì, portiamo una camicia. Gli diciamo che è della sua taglia ma non lo è mai, gliela facciamo mettere e... beh, va sempre a finire che... −

Che gli si strappa la camicia di dosso.

Che il bottone al centro del petto salta, il tessuto si sfilaccia e gli escono i pettorali. La camicia penzola sulle spalle larghe, la luce colpisce la pelle, s'intravedono gli addominali e...

− Fate questo al posto di lavorare? –

− Al contrario, è uno dei motivi per cui lavoriamo. Per poterci permettere una camicia al mese. –

Alzo gli occhi al cielo.

− Siete dei pervertiti. –

Lo sono?

No che non lo sono, o se lo sono ne faccio parte anch'io, perché l'immagine nella mia mente è sempre più vivida, ma questo non deve saperlo, non può saperlo, non riuscirà mai a saperlo.

− Colpevole, è vero. Ma a nostra discolpa è davvero muscoloso ed è davvero un bello spettacolo. –

Non metto in dubbio che lo sia ma...

− Se mai le cose andassero davvero, davvero bene fra me e Kōtarō scordati il test camicie. –

− Merda, non avrei dovuto dirtelo. –

La fisso così intensamente che mi sembra di sfondarle i bulbi oculari con lo sguardo.

− Non vedrai il mio ragazzo distruggere una camicia solo per sbavargli sui pettorali, fai come le persone normali, vai su internet, cercati un porno e smetti di fissare le cose altrui. –

− Oh, quindi lui adesso è il tuo ragazzo? –

Sì, stupida stronza coi capelli ricci.

Cioè no, in realtà. Non proprio. Ma per te sì, per te sì perché sono geloso e non me lo rubi, il cretino alto con le spalle larghe che distrugge le camicie, perché me lo sono trovato da solo e me lo merito, dopo tutta la merda che ho passato, me lo meri...

Io... me lo merito?

Me lo merito davvero?

Me lo merito di essere trattato da lui nel modo in cui mi tratta? Me lo merito di dire che è mio? Me lo merito di poter stare qui a vietargli di fare le cose sessuali a lavoro e di poter fare il geloso?

Me lo merito?

Io...

Ho vissuto tanta merda negli ultimi nove anni.

Tante cose brutte.

Alcune un po' meno, altre che anche solo dirle ad alta voce mi si accappona la pelle.

Forse un po', un po' solo, di avere uno sprazzo di felicità me lo merito per davvero. Che poi non mi sembra di essere negativo, per lui, mi sembra che anch'io gli piaccia e mi sembra che...

− Non è il mio ragazzo. Ma accadrà, vorrei che accadesse, potrebbe accadere. In quel caso, non avrai più il tuo test camicie. Vatti a cercare un altro ragazzo muscoloso da molestare. –

− Ma io non lo stavo mole... −

− Akaashi! –

Scompare.

La ragazza scompare completamente.

Scompare perché mi sposto sulla sedia girandola su se stessa, sorrido, sorrido per davvero.

Me lo merito, un po'.

Di avere te che sei così carino e così premuroso.

Te che mi porgi la tazza col caffè e che mi guardi come se brillassi.

Un po'.

Un pochino solo.

− Ti sei annoiato? Scusa se ti sei annoiato è che ho preso prima il tè, ma poi ho lavato la tazza perché tu volevi il caffè, ma ho letto male di nuovo e ci ho rimesso dentro il tè, quindi ho lavato la tazza ancora e poi ho messo il caffè ma quello d'orzo, e l'ho bevuto e sapeva di benzina e allora l'ho rifatto ma era finita l'acqua e mi sono scottato e la polvere mi è finita nell'occhio e... −

Prendo il caffè dalla sua mano, appoggio la tazza sulla scrivania.

Mi metto sulle punte dei piedi, le mie dita stringono il colletto della sua camicia, chiudo gli occhi.

Non è detto che diventerà il mio ragazzo. Non è detto che l'infatuazione diventerà altro, che rimarremo insieme anche quando tutto questo sarà finito, che a lungo andare i nostri caratteri non cominceranno a cozzare l'uno con l'altro.

Ma ti merito un po', oggi, adesso.

E quel che merito lo merito io e non gli altri.

Sa di caffè d'orzo, quando lo bacio, come aveva detto. Sa di caffè d'orzo e di zucchero, perché credo che mangi le bustine intere quando nessuno guarda.

Apre piano le labbra, risponde delicatamente al bacio, mi tiene il viso fra le mani.

Non si stacca e chiede "perché".

Non sospira e arrossisce e mi allontana dicendomi che siamo a lavoro come forse avrei fatto io nella sua situazione, no.

Perché me lo merito.

Di solito, le altre volte che ci siamo baciati, è stato più veloce, più passionale e più focoso. Ora è qualcosa di delicato, riservato, decisamente più timido, dolce.

Si stacca che sorride a trentadue denti.

L'ufficio è completamente in silenzio.

Non m'importa di chi mi abbia visto, m'importa solo dell'espressione che fa, della gioia sul suo volto e degli occhi che gli brillano.

− Per cos'era, per il caffè? Divento un fattorino del caffè se era per il caffè. Vado a lavorare in un bar o in un loca... −

− Sono geloso e insicuro. È per la mia storia familiare, sono convinto sotto sotto che tutte le persone che dicono di tenere a me prima o poi mi abbandoneranno o penseranno che non valga abbastanza. Non è una cosa sana e cerco di tenerla a bada, ma è la verità. Passo dal fingere il disinteresse più totale ad attaccarmi come una cozza, so che è strano. Volevo solo dirtelo, perché sarebbe disonesto se non lo sapessi. –

Sbatte le palpebre un paio di volte.

− Sei... geloso? –

− Sono geloso. Molto geloso. –

− E mi hai baciato perché sei geloso. –

Annuisco.

Non riesco a vergognarmene.

Perché ho deciso che un po' me lo merito, e non per come fingo di essere, ma per come sono, e pertanto la vergogna non mi serve.

− Ti ho baciato perché sono geloso e perché mi piace baciarti. –

Apre la bocca e poi la richiude, la riapre e la richiude, deglutisce, la riapre un'altra volta.

− Anche io sono geloso quando le persone ti guardano il culo per strada. –

Lo dice a bassa voce, ma non credo che in questo silenzio tombale funzioni. Credo che sia come urlarlo piano.

− Le persone mi guardano il culo per strada? –

Annuisce.

− Allora se vuoi puoi baciarmi anche tu, per strada. Se sei geloso. Se la gente... −

− Se la gente ti guarda il culo. – completa.

Io non lo so che cosa stiamo dicendo.

Come siamo passati dal confessare le mie esatte sensazioni in maniera diretta e onesta al guardarmi il culo per strada.

Ma mi viene da ridere e rido, e non credo che ci sia niente di male, se ogni tanto i nostri discorsi non hanno senso.

Mi sporgo e gli premo le labbra contro un'altra volta, ma molto più velocemente.

Poi indietreggio sulla scrivania, prendo una penna, un post-it, mi chino per scrivere dopo aver fatto cenno a Bokuto di rimanere fermo.

− Per voialtri... − inizio con la voce alta, più alta, chiaramente diretta all'adorante pubblico.

Devo agitare la penna per farla funzionare, è un po' scarica.

− ... non so come andrà a finire questa storia. Ho speranze a riguardo ma non sono un veggente, non lo so. Ma per ora... −

Mi tiro su e schiaffo il post-it sul pettorale di Bokuto, dritto, incollato strofinando un po'.

− ... giù le mani. –

Si legge bene, la penna scura sulla carta giallognola appiccicata contro il tessuto chiaro.

"Proprietà di Akaashi Keiji, da oggi a ???".

Qualcuno ride, qualcuno sospira, Bokuto è confuso perché non riesce a leggere le lettere stampate dal dritto, figurarsi la mia grafia al contrario.

− C'è scritto che sei mio. Per ora. Per... per adesso. Non per sempre, non è che sto dicendo che... −

Mette la mano sopra il quadrettino di carta, le sue guance si tingono di un rosa un po' timido, un po' imbarazzato.

− Spero che adesso duri tanto tempo. –

Deglutisco la saliva.

− Anch'io, Bokuto-san. Anch'io. –

− Posso portarlo alla festa stasera? –

− Non credo, no. –

Sospira, si guarda le punte dei piedi.

− Domani me ne farai un altro, però? –

Sporgo la mano verso il suo collo e gli accarezzo il viso, la mascella definita e la tempia, i capelli.

− Domani te lo faccio verde. –

− Verde? –

− O rosa, come vuoi. –

− C'è blu? Come i tuoi occhi, blu? –

Alzo le spalle.

− Perché no, ci sarà a Tokyo un posto che vende i post-it blu, no? –

− Ora lo cerco. –

− Bravo. –

− Grazie. –

Ancora sembra che nessuno nella centrale abbia ripreso a vivere, pare siano rimasti concentrati su di noi, come se fosse così pazzesco quel che sta succedendo che perdersene un secondo sarebbe un delitto.

Ed eppure non sarà poi così strano, no?

Bokuto-san è espansivo, è dolce, non sono sicuramente la prima persona con cui si è mostrato affettuoso qua dentro.

Che il problema sia... io?

È vero che sono freddo.

Ma di certo non mi conoscono.

Forse è che siamo due...

No, non è nemmeno questo.

Da una parte perché lo fosse non è affar mio, dall'altra perché se avessero avuto un problema con Bokuto, glielo avrebbero detto prima, visto che pare sia nota la sua sessualità da queste parti.

Forse siamo solo belli da vedere.

Forse...

− Devo delle scuse a questa circoscrizione, però. –

Bokuto alza le sopracciglia.

− Devi delle scuse? Perché dovresti delle scuse? –

− Perché ti sto rubando. Saranno tutti tristi che ti sto rubando, non è vero? –

La collega di Bokuto annuisce, anche qualcun altro si accoda, sento un paio di "in effetti".

− Ma tu non mi stai rubando, è solo che io e te... −

− Ssh, Bokuto-san, non rovinare il momento. Tu... non è che... −

Guardo la sua collega, che ha gli occhi enormi, enormi e teneri quando ci fissa, come se stesse guardando un cucciolo o un bambino piccolo.

− ... avresti una camicia da far provare a Kōtarō? Così, per farmi perdonare. –

Si tira indietro con la sedia di scatto.

− Una camicia, hai detto? –

− Una camicia. – ripeto.

Si alza e annuisce, scappa indietro verso gli armadietti del personale, sparisce per un istante.

Non so perché tutto sia diventato così strano e così solenne, non so perché stiamo facendo una cerimonia d'addio ad una persona che continuerà a lavorare qui e con la quale non sono sicuro che poi starò davvero, ma... è divertente.

E poi lo voglio vedere, il test camicie.

Che sono geloso, ma almeno una volta nella vita, potrebbe non essere un male.

Appoggio la tempia contro la sua spalla in quei secondi che attendiamo.

Forse è la festa di stasera.

Forse mi mette così tanto in ansia che sto solo cercando di non pensarci.

Forse sono davvero preoccupato e davvero a disagio e terrorizzato all'idea che succeda qualcosa di brutto, qualcosa di orribile, tanto da voler nascondere tutto sotto il tappeto.

Ma non posso sempre pensare al peggio, no?

Perché tanto so che arriverà, e quantomeno mi merito di non crogiolarmici prima.

La collega torna con una camicia blu scuro in mano che prendo io.

Spingo Bokuto verso il bagno nel mutismo selettivo di tutti, il rumore ricomincia quando chiudo la porta alle nostre spalle e ci togliamo dal centro della scena.

− Togliti la maglia, Kō. –

− E me lo chiedi così? –

Sorrido, annuisco, lo guardo negli occhi.

− Poi stasera te la tolgo io. –

− Già, che vieni da me. –

Si sbottona la camicia piano, la apre e toglie per mettere l'altra.

− Sono davvero felice che tu sia stato così... onesto con me, prima. È stato bello, mi ha reso molto felice. Sono così emozionato all'idea di avere il privilegio di sapere come stai. –

Guardo di lato.

− Non è un privilegio. –

− Certo che lo è! Non lo dici a nessuno, se lo dici a me vuol dire che ti fidi, e la tua fiducia è sicuramente un privilegio. –

Arrossisco ancora di più e mi sporgo per premere le labbra contro le sue, giusto un attimo.

Prendo poi la camicia blu che ho fra le mani e la spiego, aiutandolo a infilarla.

− Tu almeno lo sai perché fanno questa cosa, vero? Che la scusa del test è stupida, magari uno ci crede all'inizio, ma poi... −

− Non sono ingenuo come credi, Keiji. –

Lo so, che non sei ingenuo.

Anzi, credo che tu capisca e sappia bene come funziona il tuo charme sulle altre persone.

− Allora perché continui a farlo? –

− Beh, prima perché era divertente. Ora... perché ci sei tu e ho tutta l'intenzione di vederti eccitato mentre lo faccio. –

Prima di chiudere i bottoni lo vedo riprendere la sua camicia e cercare il post-it.

− Non c'è bisogno che... −

− Lo terrò per tutta la vita, Keiji, non iniziare nemmeno quella frase, davvero. –

Rido mentre lo osservo staccarlo con delicatezza e piegarne i bordi senza deformare la scritta. Lo infila sulla cover del telefono, di modo che si legga, che non copra la videocamera.

Sembra soddisfatto.

Anche io lo sono.

− So che stasera sarà dura, Keiji. Lo so che molto di quello che sta succedendo adesso è perché siamo cercando di distrarci e so che potrebbe succedere di tutto. – mormora poi dopo un istante, con la voce più bassa e più seria.

Tira avanti le braccia, me le chiude addosso e mi stringe.

È piacevole quando è contro il suo petto nudo.

Ha la pelle calda.

Profuma, è liscia, è accogliente.

− È normale che tu abbia paura, non scacciare quel sentimento, ti fa bene. –

− Io non ho... −

− È normale. –

La stretta è più salda, più rigida.

− Anche se il tuo lavoro è salvare le persone ed essere coraggioso, è normale. Io sono terrorizzato da stamattina che qualcosa non vada per il verso giusto o che ti facciano del male, che lo facciano a me, a entrambi, al mio cane, a... −

Lo interrompo baciandolo un'altra volta.

Meraviglioso.

Sei davvero meraviglioso.

Sei davvero una bella persona, una buona, piacevole, dolce, simpatica e divertente.

Lo sai qual è il problema con questo?

È che inizi a piacermi dentro molto più di quanto tu non lo faccia fuori.

E a dirla tutta forse è sempre stato così, ma mai come adesso, nel bagno del tuo posto di lavoro in attesa che tu distrugga una camicia coi tuoi pettorali, me ne sono reso conto.

Me lo merito.

Me lo merito?

Non posso saperlo completamente.

Ma credo che se davvero io non ti meritassi, tu non saresti fatto esattamente come sei. Perché ad ogni parola, ad ogni respiro sembri più perfetto, e non so spiegarmi come tutto questo sia anche solo reale.

Ci stacchiamo piano, appoggio la fronte contro la sua, sento il suo respiro e il mio insieme mescolarsi nel poco spazio che ci separa.

− Se ci pensi almeno possiamo stare appiccicati fra di noi, Kō, no? –

Annuisce.

− Ci pagano per fare le cosacce davanti a tutti, alla fine ci divertiremo anche. –

Mi passa le dita sul bordo delle labbra.

− Non mi piace tanto che tutti ti guardino, però. Tu come ti senti a riguardo? –

Deglutisco la saliva.

− Non è la prima volta. –

− Oh. –

Non so perché l'ho detto.

Non voglio elaborare il concetto, non voglio parlarne. Me lo sarei dovuto tenere per me, perché una volta che tiri la pietra non nascondi la mano, ma...

− Quindi? –

− Quindi cosa? –

Mi inclina la testa, appoggia le labbra una volta sulle mie, un'altra sullo zigomo.

− Come ti senti a riguardo? Il fatto che possa già essere successo non importa niente. –

Sorrido contro la sua bocca.

− Non particolarmente a mio agio né a disagio. Va bene, credo. Non importa niente in che senso? –

− In tutti i sensi. Io quando facevo il liceo lavoravo come babysitter part-time, ora che te l'ho detto che cosa è cambiato? –

Rido piano, forse con una punta d'amarezza.

− Quello che io facevo prima non somiglia per niente al babysitter part-time, Bokuto. –

− Invece sì. Perché è un lavoro dove offri una prestazione in cambio di denaro. Come tutti gli altri lavori del mondo. Non iniziare a fare il cinico pessimista o sarò costretto a rimandare il mio test camicia e nessuno vuole che io lo rimandi. −

Non so perché mi venga da piangere.

Ma... mi viene da piangere.

Non lo faccio.

Ma ho l'istinto.

Non è di tristezza, di disperazione come quando gli ho raccontato come la mia famiglia, mia madre mi avessero respinto come se non avessi nulla a che fare con loro.

È di commozione.

Perché...

Cazzo, io non so perché non me ne fossi reso conto prima.

Ma quanto è bello avere il rispetto di qualcuno a cui tieni.

Mi tremano le mani quando mi stacco, sistemo la camicia sul suo petto.

− Keiji, va tutto bene? –

− Tira un po' dentro l'aria o non riesco a chiudere i bottoni. –

− Rispondimi, va tutto... −

− Non si chiuderanno mai. –

Si chiudono, con un po' di fatica. Tirano e si vede la pelle che spunta, ma si chiudono.

Non può parlare, però, perché potrebbe distruggere tutto da un momento all'altro.

Gli apro la porta del bagno che mi guarda un po' offeso, come a dirmi "bastardo non mi scappi", ma io non sto scappando, mi sto solo divertendo a prenderlo in giro.

− Sto bene, Kōtarō. Sto così bene che nemmeno ci credo. Sto benissimo. –

Apre la bocca per rispondere ma il tessuto fa un rumore poco promettente, quindi si ferma.

La vedo nei suoi occhi, la risposta.

"Anch'io", "grazie di avermelo detto", "sono onorato che possa esserne io il motivo", "quando sei felice sei molto più bello e non credevo che fosse possibile".

Lo riporto al centro della sala che le persone sono meno scioccate, più ilari e contente.

Li odio meno, ora.

Non perché mi trovi bene con loro.

Ma perché non credo di avere tanto spazio per l'odio, ora.

− Ok, siamo pronti allo spettacolo? – chiede la collega riccia, più eccitata di me, in punta alla sedia con le gambe che ballano.

Sono pronto?

Dio, sono davvero molto pronto.

Considerato che qui fra voi sono l'unico che potrà riceverne uno a piacimento in ogni momento possibile forse non dovrei sedermi in prima fila.

Ma lo faccio, quando girano tutti le sedie verso Bokuto che rimane zitto e fermo immobile, e mi piazzo là davanti, gli occhiali inforcati per bene che non vorrei rimanere accecato da un bottone.

− Siete davvero sicuri che questa cosa valga l'hype che state facendo? – chiedo, per dare un po' fastidio a loro, a Kōtarō, così, tanto per.

La collega spalanca gli occhi.

− Sì! –

− Ma... −

− Fidati, la tua vita non sarà più la stessa dopo. –

Annuisco, faccio spallucce.

Guardo Kōtarō.

− Facci sognare. –

Mi godo lo spettacolo col sorriso più soddisfatto del mondo, in prima fila, gli occhi fissi su di lui.

Non fa altro che alzare le braccia e fletterle per far risaltare i bicipiti, ma Dio, quel che non succede a quella camicia.

I bottoni saltano, il tessuto si squarcia, spuntano i pettorali, gli addominali, le clavicole e le spalle, le braccia, la schiena.

È un trionfo di bellezza maschile.

E poi sorride, sorride ed è così figo, miseria, che mi tremano le gambe.

− Sei davvero bellissimo, cazzo. – dichiaro senza vergogna.

− Lo pensi davvero? –

Annuisco, guardo la collega.

− Quante camicie avete ancora? Che tanto non vi servono più. –

Sbatte le ciglia lunghe.

− Credo sei o sette. –

Sposto lo sguardo su di lei, su Bokuto, sugli altri.

− Valle a prendere. –

Incrocio le braccia, mi tiro indietro sullo schienale e tiro su le gambe al petto, stringo lo sguardo sul tessuto in lembi disordinati che pende sulla pelle abbronzata e rigida di un uomo che non so se sia più bello dentro o fuori.

− Oggi sarà la giornata migliore delle vostre vite. −

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

ok CIAO CUORI scusate l'orario ma sono uscita dall'uni un'ora fa e sono tornata adesso a casa!!! niente volevo chiedervi come state, come va, se il capitolo vi è piaciuto etc etc etc

volevo solo dirvi che siamo all'incirca a metà della storia sisisisi

che ho aggiunto un giorno alle mie scadenze di pubblicazione perchè se no ci rimango

che vi voglio bene, che la bokuaka non è la mia ship preferita ma HA UN POSTO NEL MIO CUORE GROSSO COSì, che ci rivediamo lunedì con la kiribaku e che vi voglio bene

thats it

have a nice day my babies, ily all

mel <3

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro