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𝚖𝚢 𝚑𝚎𝚊𝚛𝚝 𝚘𝚗 𝚊 𝚝𝚛𝚒𝚐𝚐𝚎𝚛

➥✱ SMUT alert

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

La mia schiena rimbalza appena, sul materasso.

Mi esce la voce dalla gola in un mezzo gemito un po' troppo alto, apro le gambe di riflesso, mi sporgo con le braccia verso Bokuto che mette un ginocchio dopo l'altro sul letto e mi raggiunge, lo stringo forte, schianto le labbra contro le sue.

Pace.

C'è stata pace nel tragitto dall'ingresso alla camera.

Ma poi era come se ci fosse chissà quale limitazione mistica disseminata sul cornicione della porta che ha trasformato l'aria da leggera a pesante col solo passarci in mezzo.

Davvero, manco lo stavo baciando.

Stavamo parlando del fatto che gli piacesse la mia casa, che gli piacesse il fatto che avesse tutta l'odore buono che ho io, che fosse ordinata. Mi stava dicendo che casa sua è tremendamente disordinata, che se dovessi andare da lui mi verrebbe un infarto.

In effetti sembra una persona disordinata, credo che lo sia.

Ma non di quel disordine cattivo e acido di chi non ha alcun interesse nelle proprie cose, di chi si lascia accumulare attorno un oggetto dopo l'altro come se anche controllarli fosse solo una perdita di tempo.

Mi sembra un disordinato sorridente, caotico, che ha sempre troppi pensieri per la testa e lancia le cose a caso per evitare di perdere il filo dell'ennesimo ragionamento istantaneo.

La camera non è illuminata come l'ingresso, tengo le tapparelle serrate quando dormo e credo di essermi scordato di rialzarle stamattina, c'è solo un po' di luce che filtra dalla porta aperta.

Gli occhi di Bokuto sembrano brillare quando me li rivolge, come se scintillassero nonostante il buio, e c'è qualcosa che sembra persino... feroce, ecco.

Bello, bello davvero.

Mi spingo in alto e lo prendo con le gambe, chiudendogliele attorno alla vita, sento le sue labbra staccarsi dalle mie e dirigersi verso il lato del mio viso, il collo, l'incavo che divide la mascella dalla spalla.

Caldo, caldo, un po' troppo caldo.

− La maglietta, Kōtarō, la ma... −

Mani che raggiungono l'orlo, che la tirano su e me la strappano via di dosso. La lancia dietro di sé, non si sa dove, torna a fare quello che stava facendo.

Tranne che...

Le sue dita che si appoggiano su di me, che mi tengono la schiena e le spalle e mi spingono verso di sé, ora tastano solo e unicamente pelle nuda. E paradossalmente, ora, ho ancora più caldo.

Scende verso la clavicola, mordicchia e mi lascia una scia sottile di baci che lo riportano alla tappa iniziale, alle mie labbra.

Sembra che...

Sembra che non abbiamo appena avuto un orgasmo ciascuno e sembra che non si ricordi nemmeno di quando, credo venti minuti fa, mi ha caricato di peso.

Quello che intendo è...

Ma quest'uomo non la sente la fatica?

Giusto, che quasi me ne dimenticavo, è anche andato in palestra prima di venire qui.

Kenma aveva ragione, come al solito.

Oggi, io qui ci rimango.

− Anche tu, Kōtarō, per favore, per... −

È piacevole toccare i muscoli, davvero, davvero piacevole. Ma anche vederli, credo che potrebbe piacermi, e non vale se sono l'unico nudo.

Vero?

Ve...

Sembra che se ne accorga adesso.

Si stacca per svestirsi e se ne accorge.

− Oh, cazzo. Keiji, cazzo. –

Non che non avesse visto la metà inferiore di me nudo prima. E quella superiore, poi, men che meno dopo l'outfit improbabile della discoteca.

Ma...

Credo di averlo ripetuto più di una volta, che mi sono sempre sentito bello.

Non buono, non valido e non meritevole di amore come persona, quello è tutto un altro discorso, ma bello.

So che c'è qualcosa di ben studiato in me, per come sono composto.

Però mi ha sempre dato fastidio, un pochino, questa cosa. Non tanto la bellezza in sé, ma il fatto che fosse il mio biglietto da visita per il mondo.

Forse perché ho sempre voluto dimostrare di valere qualcosa, e farlo con qualcosa che mi ha dato chi non è riuscito ad accettarmi mi sembra comunque una presa per il culo.

Tutta questa mia impalcatura di pensieri, però, cade e si sgretola, quando vedo le iridi dorate di Bokuto raggiungermi e fissarmi e...

Guardarmi.

C'è silenzio nella mia testa, quando mi guarda.

Non mi chiedo se preferisca di me la parte fuori o quella dentro, non mi chiedo se mi odierà quando aprirò bocca finita questa cosa, non mi chiedo se si ricorderà di me solo il mio corpo.

Non mi chiedo niente.

Mi lascio guardare.

− Sei davvero tanto bello, Keiji. – dice, scorrendomi ancora addosso con le iridi.

Prendo fiato, osservo il mio petto salire e scendere nell'aria che ci separa.

"Anche tu."

"Non è vero."

"Grazie."

Di solito rispondo "lo so", perché è vero, che lo so.

Ma ora rispondo...

Non rispondo niente, arrossisco e butto lo sguardo di lato, tiro le braccia verso di me come per coprirmi, improvvisamente molto più consapevole del fatto di essere completamente nudo.

Mi tiene le braccia con le mani e scuote la testa.

− No, no, non ti sentire in imbarazzo. –

− Non mi sento in imbarazzo. –

− Sei sicuro? –

Cazzo, ma quanti anni ho? Ne ho passati così tanti, di uomini, che non dovrei neppure sapere che cosa "pudore" significhi.

Ed eppure...

− Se ti spogli anche tu è meglio. –

− Oh, certo, come vuoi. –

Distende i tratti del suo viso, sorride, poi si china e mi lascia un bacio sulla punta del naso prima di tirarsi su a fianco del letto.

Ora, ho detto di essere un po' intimidito da lui, è vero. M'intimidisce il modo e l'intensità con cui fa tutto, è innegabile.

Dall'altra, sono pudico di me stesso.

Mica di lui.

Tiro su i gomiti, e mi sporgo per accendere l'abat-jour sul comodino quando prende la maglietta dal retro e se la sfila da sopra la testa.

Cazzo, è sempre meglio.

Ha ancora la cintura slacciata da prima, non fa altro che sfilarsi i pantaloni dalle gambe, tirando giù le mutande con loro e lasciarli lì, come se niente fosse.

Come se niente fosse?

Sei bello da vestito, Kōtarō, davvero, lo sei.

Ma nudo, per la miseria, inizio a chiedermi se non ci sia qualcuno che ti ha scolpito ad hoc, per quanto perfetto mi sembra il bilanciamento di ogni singolo angolo di te.

− Meglio? –

Non rispondo, aspetto che mi risalga addosso e schiaffo la mano aperta sulla parete dei suoi addominali.

Le dita scorrono sulla pelle che è liscia, calda, i miei occhi seguono la traiettoria.

Non so quanto tempo passi prima che riporti gli occhi sui suoi e lo trovi con un mezzo sorriso sulle labbra che mi fissa come se di me avesse capito tutto. Che è vero, probabilmente, ma non è questo il punto.

− Ti piaccio, Keiji? –

È una domanda retorica, è palese.

Ma vuole che lo dica ad alta voce, non è vero?

− Mh-mh. –

− Quanto? –

Scorro fino alla schiena, e non c'è niente di diverso ad aspettarmi. Altro tessuto muscolare solido come il granito, altra pelle liscia, altro calore.

Mi sono sempre piaciute le schiene dei ragazzi alti e muscolosi come è Bokuto. Fanno un bello spettacolo alla vista, anche sotto i vestiti, ed è particolarmente piacevole piantarci le unghie addosso.

− Tanto, Kōtarō. –

Minaccioso, quando china la testa verso di me e qualche ciocca chiara gli scappa di fronte al viso.

− Anche tu mi piaci tanto. –

Lo premo contro di me dalle scapole, non sulle labbra, ma dov'era prima, sull'incavo della spalla. Mi piacciono i baci sul collo, mi fanno scendere un brividino lungo la spina dorsale, e posso guardare come i muscoli della sua schiena si muovano quando lo fa.

Recepisce l'antifona e capisce che cosa vorrei mi facesse, sorride contro la mia pelle.

− Sensibile? –

Annuisco, mi mordicchio il labbro e lo sento respirarmi piano sul collo prima di appoggiarci le labbra sopra e muoverle appena.

Merda.

Merda, mi fa sentire di burro questa cosa, mi fa sentire come se ci fosse qualcosa di elettrico dentro di me.

Affondo le dita fra i suoi capelli, lo spingo più verso di me, aggancio una gamba sulla parte bassa della sua schiena e stringo.

Di risposta, Kōtarō apre un po' di più la bocca e morde.

E la mia schiena di alza e io chiamo il suo nome.

Mi sembrava che fosse troppo dolce.

− Piano, per favore, fa'... −

− Non se ne parla neanche. – mi sbotta contro la glottide prima di rifarlo.

Fa male.

È piacevole, fa male, dovrò mettere una sciarpa.

− Kōtarō, cazzo! –

− Non fare finta che non ti piaccia. –

Lecca il morso, come ha fatto sulle mie povere cosce prima, poi ci appoggia le labbra sopra e mi bacia ancora.

Quando passa col viso proprio nel centro del mio collo, un misto di impazienza, paura e non so che altro mi fanno appena tremare.

Istinto naturale, quello di proteggere il collo, per tutti gli animali. È la parte più vulnerabile di una creatura, il suo collo, e le prede lo proteggono dai predatori.

E io cosa sto facendo?

Come l'aberrazione che sono, eccomi preda a cedere ad un predatore.

Piacevole.

Pericoloso, ma eccitante.

Stringe i miei fianchi con le mani, il mio bacino si muove e striscia forte contro la parete dei suoi addominali, gli prendo il viso e lo tiro su.

Cazzo, Kōtarō, mangiami.

Mangiami, mangiami, fammi scomparire.

Non ho mai desiderato che qualcuno lo facesse quando lo sto facendo con te ora.

Spalanca le labbra con le mie, il suo gemito cade dalla sua gola nella mia, le lingue s'intrecciano, le mani si perdono nel casino di pelle e sudore che siamo.

Io stringo le scapole, stringo il viso e i capelli, e lui mi tiene fermo in basso, mi accarezza i fianchi, la vita, mi stringe il culo.

Quando fai tanto sesso, tanto tanto, e più per abitudine che per un vero e proprio piacere, alla fine finisce che la tua libido cala a picco.

Diventi... frigido.

Brutta parola, che non c'è niente di male nell'essere privi di libido, ma per quanto mi riguarda, piuttosto vera.

Finisce che sai come andrà, che sai che cosa succederà e quando, come, in che modo. Sai che devi sperare di venire prima del tuo partner perché non ti darà più nemmeno un briciolo di attenzione dopo che sarà venuto lui, sai che devi far finta che ti piaccia tutto, sai che devi sembrare soddisfatto o la loro virilità ne rimarrà irreparabilmente ferita.

Sai che se inizi ad annoiarti devi stringere i muscoli interni e alzare un po' la voce per farlo avvicinare al limite più velocemente.

Sai che...

Sai che alcuni di loro ti chiameranno "la scopata migliore della loro vita" anche se hai finto per venti minuti netti, e non sai nemmeno come si chiamino.

Non mi aspettavo che qualcosa mi sarebbe piaciuto di nuovo così tanto.

Non me lo aspettavo, davvero.

È... sorprendente.

Mi viene voglia di toccare, sentire, vedere.

Mi sembra di prendere fuoco ad ogni gemito, ogni dito che mi sfiora, ogni occhiata.

Non ricordavo come fosse.

Forse non l'ho manco mai provato.

Ma mi piace tanto, cazzo, mi piace tanto.

Mi fa sentire... vivo.

Sporgo il collo verso l'alto, mi stringo con tutto il corpo sul suo.

Di risposta Bokuto, che è una persona passionale, si vede e si sente, mi schiaccia più forte contro il letto, piega il capo per incastrarsi meglio e continua a baciarmi.

Bello, sei così bello, e sei anche così bravo, e così carino. Mi fai sentire speciale, mi fai sentire bene, mi fai bruciare come se qualcuno mi avesse riempito di benzina e acceso come un cero.

Si stacca per prendere fiato, specchia gli occhi sui miei.

− Tutto bene? –

Annuisco, mi sporgo e gli do un altro bacio, cercando di costringerlo ad aprire le labbra. Non lo fa, ma ride appena, mi accarezza uno zigomo con la punta delle dita.

− Ci siamo un po' scaldati? –

Aggrotto le sopracciglia.

− È colpa tua. –

− Ah, davvero? –

Annuisco, mi allontano per guardarlo bene negli occhi.

− Sei troppo... tutto. Non puoi pretendere che mi trattenga. –

Sospira, sorride.

− Sarà un disastro non pensare a questo quando torneremo al lavoro, cazzo. –

In effetti, non ha tutti i torti. Credo che sentirò solo la sua voce che mi chiama "troia", d'ora in poi, quando aprirà bocca nella sua vita.

Mi avvicino e sbatto le ciglia.

− Puoi provare a non pensarmi, Kōtarō. –

− Come se anche solo fosse possibile. –

Mi sento arrossire e sorrido sotto i baffi contro la sua guancia.

− Ma se fosse solo pensarti, cazzo, ancora ancora me la caverei. Il problema è che passerò le mie giornate a pensare a te nudo, Keiji, e mi licenzieranno per colpa tua. –

Il suo tono di voce fa come una montagna russa, passa da contento a eccitato a disperato nel giro di una manciata di parole.

− Mi chiederanno di sventare una rapina e io starò pensando al tuo culo e moriranno tutti, ci puoi pensare? Il tuo culo mi ha rovinato la vita, Akaashi, mi ha rovinato la... −

Catturo le sue labbra in un bacio che non respinge.

Ha gli occhi effettivamente preoccupati quando li guardo.

− Non morirà nessuno perché hai deciso di scoparmi, Kōtarō. –

− E invece moriranno tutti perché ci penserò tutto il tempo. –

Rido appena.

− Lo dici come se fosse il ricordo più importante della tua vita, e manco l'abbiamo fatto. –

− Perché lo sarà, io lo so già. –

Sento il sangue fluirmi nel viso, scaldare le guance.

− Possiamo anche fare in modo che non sia un ricordo, Kōtarō, se ti va. –

− Nel senso che... −

− Che possiamo anche rifarlo. –

Rimane zitto, poi mi guarda dritto negli occhi.

− Tu vuoi rifarlo? –

− In realtà al momento vorrei farlo e basta, ma in futuro... credo di sì. –

− Ma tipo come... amici? –

Striscio una gamba sulla sua schiena, in alto e in basso come per accarezzarlo, la sua mano raggiunge il mio fianco e ci si muove piano.

Siamo incastrati bene, secondo me, Bokuto-san.

− Tu fai sesso con i tuoi amici? –

− No, ecco, ho solo baciato Kuroo una volta, ma non so se c'entra. –

Ha baciato Kuroo? Questa la voglio sentire, non ora, ma... credo che gliela chiederò.

Prendo fiato piano.

− Non ti sto dicendo di metterci insieme, è presto e non ci conosciamo tanto bene. Ma... possiamo provare a passare un po' di tempo assieme, se ti va. – caccio fuori dalle mie labbra.

Apre gli occhi come due fanali, sorride a trentadue denti, annuisce.

− Cazzo, sì, ti prego! –

Rido fra me e lui e lo bacio un'altra volta, più delicatamente, questa volta.

− Perfetto. –

− Perfetto. – conviene, guardandomi negli occhi.

Perfetto. Già, credo che questo potrebbe avvicinarsi, a qualcosa di perfetto. E con "questo", intendo... un po' noi due, credo.

Sbatto le ciglia un paio di volte e cerco di cacciare l'imbarazzo di avergli appena chiesto di uscire riallineandomi con la situazione attuale, ma...

Bokuto manifesta le emozioni, ho imparato di lui, in maniera molto chiara.

Ora, Bokuto è molto felice.

Sorride tanto, sembra raggiante, e credo che la mia quasi confessione abbia contribuito a questa cosa.

Un'altra cosa che ho imparato, è che Bokuto è molto fisico nel manifestare la sua gioia. Lui ti abbraccia se pensa che il muffin che ha comprato quel giorno fosse particolarmente buono, ti arruffa i capelli se gli dici qualcosa di carino e...

Ti tiene fermo dal collo sul materasso mentre ti bacia con tutta l'energia di questo mondo se gli chiedi di uscire.

Piega la testa e mescola le labbra con le tue, si muove con tanta foga che non riesci a stargli dietro, ti...

Ti divora.

Non taglia l'aria che mi arriva nel petto ma la diminuisce un po', i miei polmoni cercano di riempirsi un poco alla volta ma mi manca il fiato ad ogni bacio, ad ogni movimento di lui contro di me.

Vorrei... dire il suo nome, ma non ce la faccio.

Lui dice il mio, però, e mi la sua voce mi dice che sì, ho fatto bene a chiederglielo, se questo è quello che sto ricevendo in cambio.

Si stacca e scuote appena la testa sopra di me.

− Tu mi ucciderai, Keiji. –

− Dici? –

Annuisce, sorride, mi bacia.

− Dov'è il lubrificante? –

A questa, invece, mi congelo. Dov'è... dov'è il lubrificante, Keiji, eh? Lo vogliamo dire ad alta voce, dov'è il lubrificante?

Allungo una mano e lo recupero fra le lenzuola arruffate.

Bokuto aggrotta le sopracciglia.

− L'hai usato di recente? –

Sento la faccia diventarmi incandescente.

− Fo... forse. –

− Con chi? –

Nota di amarezza nei suoi occhi che tiro via con un sorriso più onesto di quanto non vorrei che fosse.

− Da solo, sai com'è. –

− Da solo? –

Assorbe questa consapevolezza, si vede che gli si sedimenta addosso, e i suoi occhi brillano per un istante, prima di diventare completamente scuri e minacciosi.

Annuisco.

− Da solo. –

Prende la bottiglietta dalle mie mani, indietreggia, mi fa aprire le gambe. C'è già stato, lì, ma si lecca ugualmente le labbra.

− E a cosa pensavi, Keiji? –

Mi tiro su sui gomiti, guardo lui e guardo me, lo vedo spremere un po' di liquido gelatinoso sulle dita.

− Non te lo dico. –

− Non me lo dici? –

Lo scalda fra i polpastrelli, mi lancia un'occhiata che non promette niente di buono.

− Vuoi che ti costringa a dirmelo? –

− No, non vo... −

Schiaccia una delle mie cosce di lato, la stringe forte, avvicina due dita a me e quando entra non lo fa con particolare delicatezza.

Non fa male, ma... è brusco.

− Non vuoi? Chi cazzo ti ha detto che mi importa cosa vuoi, Keiji? –

Eccolo, è tornato lo stronzo. Amo lo stronzo, non fraintendetemi, stavo giusto iniziando a chiedermi dove fosse finito.

Mi mordo forte il labbro quando lo sento entrare e rientrare sempre più velocemente. È una sensazione piacevole, se solo...

Le piega, le dita.

Le piega una o due volte, e alla terza lo trova.

− Trovato. –

La mia schiena si alza dal letto, le spalle battono contro il materasso, la testa rotola indietro, la mia voce dice "Kōtarō" un po' troppo forte.

− Dimmi a cosa pensavi, Keiji. –

− Io non... −

Piega di nuovo le dita, ancora, ancora, poi ancora di nuovo.

Fa quasi male, tutto questo piacere che mi scorre nelle vene.

Prendo fiato dalla bocca, cerco di guardarlo ma la visuale è un po' sfocata.

− Ti ho fatto una cazzo di domanda, e voglio una cazzo di risposta. –

Merda, mi sa che l'allegria lo rende anche più stronzo, o forse è il mio rifiuto, o forse... non lo so che cosa sia, ma è bello, questo sì.

− Pensavo a... −

Si ferma.

Il flusso di piacere s'interrompe, il mio corpo piange, una lacrima fa capolino dalla mia rima cigliare.

− Pensavo a te, Kōtarō. –

Sorride, come sorride, ma il suo sorriso non è contento.

È malefico.

Aggiunge un terzo dito, spreme altro lubrificante e ricomincia a muovere le dita, con più calma, adesso, aprendole per bene fra di loro per prepararmi al meglio.

− Cosa di me? –

Anche le sue dita sono lunghe, per la miseria, e toccano punti di me che da solo non riesco nemmeno a sfiorare.

Cerco di stringere le gambe ma me le tiene aperte, cado indietro e comunque continuo a guardarlo, completamente soddisfatto che osserva in che condizione riesce a ridurmi.

− Ieri sera. –

Alza appena le sopracciglia, sembra strafottente, il suo sguardo.

− Oh, il povero Keiji ha passato la giornata a toccarsi da solo perché non è riuscito a chiedermi di scoparlo ieri? –

Sento la faccia diventarmi rossa per l'imbarazzo.

Perché mi piace che mi metta in imbarazzo?

Perché mi piace che mi... umili?

Sono più misurati, i movimenti, ma più profondi, e piega le dita sempre sul punto giusto, col tempismo giusto per farmi gemere e mugugnare come vuole che faccia.

− E poi che cos'è successo, oggi, hai capito che non ce la facevi più? –

Annuisco per come posso, mi stringo contro la sua mano, cerco di respirare.

− Per quello mi sei saltato addosso appena mi hai visto, perché eri disperato. –

È vero, è tutto vero. C'è anche tanto di emotivo nel modo in cui ti voglio, ma non posso negare che quello che tu stai dicendo sia vero.

Ero eccitato, volevo che mi facessi questo e ti ho chiamato.

Ero disperato, Bokuto.

Lo ero davvero.

Ferma la mano.

Le lacrime tornano a bagnarmi gli occhi, lo guardo come se mi avesse appena colpito, vedo qualcosa di davvero minaccioso in lui.

− Allora fai come la puttana disperata che sei, Keiji. –

Il cuore mi perde un battito.

− Prega. –

Mi si secca la bocca, la voce mi muore in gola e Bokuto toglie la mano, lascia che le dita escano via da me.

Io...

Provo ad aprire le labbra ma... non ne esce niente, rimango incantato a guardare Kōtarō che prende il lubrificante e lo spreme su ste stesso, lo spalma, si morde il labbro per non gemere.

− Allora? – mi chiede, senza guardare il mio viso, ma dove vuole entrare.

Si mette lì ma non lo fa, non si spinge al mio interno, si muove soltanto un paio di volte.

Prendo fiato.

− Per favore. –

Schiocca la lingua, scuote la testa.

− Tutto qui? –

Di nuovo, si muove contro di me, non dentro di me, e questa cosa mi fa impazzire.

− Per favore, per favore Kōtarō, per favore. –

Chiude le mani contro i miei fianchi, passa le dita sulla mia pancia.

− Di più o mi alzo e me ne vado. –

Tornano le lacrime, tornano più violente e scendono, ora, sulle mie guance.

− Ti prego. –

− Ti prego cosa? –

Mi trema il labbro, mi manca l'aria. Apro meglio le cosce, spalmo il lato delle mie ginocchia sul letto.

− Ti prego, Kōtarō, scopami. –

La disperazione è uno strano sentimento. Fa schifo, quando lo provi, perché ti toglie la dignità e ti umilia in se stessa, ti rende fragile e volubile, debole in senso generale.

Ma è anche vero che quando qualcosa la spezza, quando la cosa che disperatamente volevi ti viene data, allora sai che non potresti mai provare niente di meglio.

Quando Bokuto entra dentro di me mi manca il fiato.

Il mio corpo si tende, s'inarca, le mani gli artigliano la schiena, la fronte si preme contro la sua spalla e...

Mai capitato.

Mai successo in ventisei anni di vita.

Non ho mai avuto un orgasmo l'istante esatto che qualcuno è entrato dentro di me.

Io...

Io vorrei riprendermi ma non posso, perché lo sento muoversi, e sono troppo sensibile per non tirare indietro la testa in un gemito lungo e lagnoso al minimo accenno di piacere che mi viene dato.

− Preferisci che mi fermi? – mi chiede, anche se fermo non ci sta, anzi.

Definirei "sostenuto" il ritmo, ma stiamo parlando di Bokuto, quindi forse sta semplicemente cercando di fare... piano.

Apro la bocca per dire "sì".

Capita invece che la mia voce dica "no".

E Bokuto non si ferma.

No, lui mi prende il bacino con le mani, lo tira su, e lo muove come se non pesasse niente, entrando ed uscendo da me sempre più velocemente.

Non mi sento le gambe.

Ho qualcosa nella pancia che somiglia ad un incendio, il piacere è così tanto da far quasi male, sto tremando.

Bokuto...

È l'immagine della bellezza maschile.

Si lecca le labbra, il sudore gli cola in mezzo ai pettorali e mi guarda dritto in faccia, mentre mi distrugge pezzo dopo pezzo.

− Sei stretto. – commenta, prima di uscire e rientrare un'altra volta.

Sorrido, cerco di rispondere ma ne esce solo un "ah" dannatamente eloquente.

Piega la testa, mi guarda meglio.

− E sei anche bellissimo, cazzo. –

Mi va il viso in fiamme, stringo le ginocchia contro la sua vita.

Profondo ma quantomeno umano, entra così a fondo dentro di me che mi chiedo se riuscirà mai ad uscirne. E l'angolo mi colpisce dove deve colpire, mi fa tremare le ginocchia, urlare forte che penso di vicini cercheranno di cacciarmi di casa.

Cerco di respirare e di riempire i polmoni, ma li svuota ad ogni movimento.

Io...

Allungo una mano verso di lui, non riesco a raggiungerlo ma ci provo, e Bokuto si avvicina. Gli accarezzo la guancia, il viso, cerco di tirarlo verso di me.

Mi sento adagiare il bacino sul letto, i movimenti sempre dritti e profondi nel mio corpo, e poi lo vedo piegarsi perché riesca ad avvolgerlo con le braccia.

− Kōtarō... −

− Sono qui, sono qui. –

Mi bacia la punta del naso, poi le labbra, lo sento muoversi più dolcemente, più piano.

Passa sul lato del viso, sul lobo dell'orecchio, poi mi guarda di nuovo negli occhi.

− Sei meraviglioso, Akaashi Keiji, sei davvero meraviglioso. –

Stringo la sua spalla con le mani.

− Lo sei anche tu, più di quanto tu creda. –

Ci baciamo, c'è silenzio, e poi affondo le unghie sulla sua spalla e mi lascio cadere indietro.

− Smetti di trattenerti, Kōtarō. –

− Eh? –

Spalanco di più le gambe, le lego dietro la sua schiena e mi offro completamente al suo sguardo.

Sarà... difficile, lo so. Probabilmente mi metterò a piangere e il piacere che ora arriva e va come un'onda, come una coperta, sarà più uno tsunami.

Ma voglio vedere cosa sai fare, Kōtarō, e voglio che tu ti prenda quello che vuoi.

− Smetti di trattenerti. – ripeto.

I suoi occhi catturano i miei.

− Ne sei proprio sicuro? –

− Sicurissimo. –

Sospira, si concede un paio di movimenti e non riesco a non gemere al contatto così dolce che mi dà, e poi mette una mano a fianco del mio viso e si tira su.

Lo sento spingermi indietro, verso il muro, mi lascio trasportare sul materasso.

− A tuo rischio e pericolo, davvero. –

− Fammi quello che ti pare. –

Ride, mi sistema.

Sposta la mano con cui si reggeva in alto, sulla... sulla testiera del letto. L'altra la mette contro uno dei miei fianchi, mi tiene fermo.

E poi non so che cosa succeda.

Non so che cosa succeda, non so se io sia qui o in un altro mondo, non so se questo rumore siano le mie urla o quelle di qualcun altro.

Io...

Veloce, a fondo, con l'angolazione perfetta.

Non un attimo di tregua.

Non un fottuto attimo di tregua.

Il fatto che si tenga al legno del mio letto fa in modo che sbatta periodicamente contro il muro, in un tonfo netto e perfettamente eloquente contro l'intonaco chiaro. Ha il braccio steso, i muscoli che si vedono, gli addominali che si contraggono e il sudore che mi cola addosso, si sta mordendo il labbro e mi guarda come se volesse distruggermi.

Cazzo, Bokuto.

Cazzo, cazzo, ca...

Tocca il punto giusto dentro di me perfettamente e le mie ginocchia cercando chiudersi, gli occhi rotolano indietro.

− Cazzo! –

Sorride.

− Tutto bene? –

Se va tutto bene?

No, non va tutto bene.

Va tutto...

− Cazzo, Kōtarō, cazzo, cazzo, ti prego, cazzo... −

Si lecca le labbra, piega la testa.

− Oh, qualcuno è felice, qui. –

Felice non lo so.

Forse più tipo... euforico, eccitato, distrutto.

Non rallenta, sbatte contro di me così forte che credo potrebbe rompermi l'osso del bacino.

Fa caldo, sempre più caldo, la mia pancia sembra andare a fuoco.

− Ancora? – chiede, scherzando perché non mi sembra sia una domanda di cui gl'interessa la risposta.

Forse sì.

Forse solo per sentirmi urlare.

Poco importa.

− Ancora, ancora, ti prego, lì, ancora, ancora, Kōtarō, cazzo, cazzo, per favore, cazzo... −

Non so che cosa io stia dicendo.

So che Kenma ha detto una grande verità parlandomi di "riarrangiare gli organi interni", perché non credo che tornerò mai normale, e perché ogni volta che è completamente dentro mi sembra che non ci sia spazio per nient'altro.

Diventa più veloce ancora.

Più serrato.

Più...

Gli brillano gli occhi, le pupille si dilatano.

È vicino.

Quanto?

Credo meno di me.

Meno di me quando Kōtarō si piega appena verso il basso, mi tira su con la mano libera e mi bacia, e un'altra volta, con la stessa energia di prima se non di più, vengo fra me e lui.

Come una scarica elettrica.

Tutto s'irrigidisce e tutto si rilassa quando mi sento stringere fra le sue braccia, quando mi sciolgo contro le sue labbra, e credo di gemergli qualcosa direttamente in gola, in questa posizione.

Quando mi rimette sul letto, non so se possiedo più anche solo un singolo arto.

So che lui non ha finito.

Ma che il mio corpo si sta stringendo su di lui, dopo l'orgasmo, e che è...

Esce da me, la sua stessa mano lo raggiunge e uno, due, tre movimenti dopo si perde completamente allo stesso modo in cui ho fatto io.

Col corpo che diventa più rigido e i muscoli che si contraggono, la voce decisamente gutturale e qualcosa fra le labbra che ricorda il mio nome.

Mi bagna la pancia.

Mi riempie il cuore.

E lo guardo prendere fiato, in ginocchio sul letto di fronte a me, che penso di essere davvero, davvero, davvero l'uomo più fortunato del pianeta.

Non ho voce, la gola mi fa male e le gambe sono mollicce.

Ho i capelli umidicci, il corpo sudato, la pancia... non pulita, mettiamola così.

Però...

Apro bene gli occhi, guardo Bokuto che respira di fronte al mio viso.

− Questo è stato il sesso migliore della mia vita. – mi costringo a dire senza interrompermi, con la faccia dritta dritta di fronte alla sua.

Spalanca le ciglia, sorride a trentadue denti.

− Davvero? –

− Porca troia, credevo che sarei morto. Tu... −

Lo fisso tutto intero. Corpo nudo, capelli umidi, occhi grandi, viso dolce.

− Tu sei davvero... bravo, cazzo. –

Ride, fa spallucce.

− Grazie, anche tu. –

− Anche io? –

Annuisce.

− Di solito le persone si lamentano della mia... ecco... −

Guarda verso il basso. Seguo la linea d'aria dei suoi occhi e non trattengo una risata, quando capisco che cosa intende.

− È un po' faticoso, è vero, ma a me è piaciuto un sacco. –

− Sono super felice che tu non mi abbia cacciato di casa tua per questo. –

Provo a ridere ma i miei muscoli protestano.

− C'è gente che ti ha cacciato per quanto grosso hai il cazzo, Bokuto? –

Ci pensa un po' su.

− Credo che mi avesse cacciato di casa perché avevo per sbaglio pestato il suo cane, ma ho provato a convincermi che fosse per quello. –

Sporgo una mano verso di lui, che sorride e si avvicina. Mi bacia la tempia, la punta del naso, poi si stende al mio fianco e inizia ad accarezzarmi i capelli.

− In che senso gli hai pestato il cane? –

− Era un cane piccolo. Di quelli brutti che sembrano topi. –

− Oh, capisco. –

Mi giro per come riesco e lo guardo da sotto le ciglia.

Mi capita di rendermi conto, in questa fase, che il malcapitato non fosse poi bello quanto mi dicevo essere, che era solo voglia, la mia, uno sfizio che una volta tolto avrebbe perso valore.

Ma tu sei bello anche adesso, Bokuto.

Forse persino di più.

− Lo pensavi davvero, prima? –

− Che cosa? – chiedo.

− Che vuoi passare il tuo tempo con me. –

Sento il sangue fluirmi nelle guance e annuisco un po' timidamente.

− Non sei costretto se non vuoi, ovviamente, ma mi diverto tanto con te e mi piacerebbe farlo più spesso. –

Gli spuntano le fossette sulle guance.

− Non hai idea di quanto felice tu mi faccia sentire. –

Si sporge e lo faccio io, le nostre labbra s'incontrano a metà strada.

Dio, Bokuto, se non mi sai di quotidianità. Dio se non vorrei che questa fosse la mia quotidianità.

Non metto su relazioni, io, non è la mia cosa.

Ma tu sei la mia cosa, e questo non posso proprio negarlo.

− Che ore sono? –

Storco il naso.

− Non ne ho idea, ma morirei per una sigaretta e un bicchiere d'acqua al momento. –

Apre di più gli occhi, poi salta in su con il torso spaventandomi da morire.

− Agli ordini, dimmi e vado. –

Rido appena.

− Il posacenere è in salotto, le sigarette in cucina. I bicchieri li trovi sopra il gas, prendi pure l'acqua del rubinetto. –

Segue le mie parole, poi sorride.

− Non ho capito un cazzo. –

− Kōtarō! –

Ridiamo insieme, gli tiro un buffetto sulla spalla.

− Sigarette, acqua, bicchiere, cucina. Posacenere, salotto. –

− Sigarette, acqua, bicchiere, cucina. Posacenere, salo... ci sono. –

C'è?

Mmh, questo non lo so.

Ma a prescindere, credo che non m'importi più di tanto.

− Sei pronto per andare in missione? –

Scende dal letto per rimettersi le mutande.

− Prontissimo. –

− Allora vai. –

− Vado. –

Si sporge per darmi un bacio, prima di andare effettivamente. E io rimango a sorridere come un ebete alla sua schiena che si allontana.

Lo sento camminare nel corridoio e prendo in considerazione l'idea di prendere il telefono per scrivere un messaggio a Kenma, ma il mio cellulare è nella tasca dei pantaloni all'ingresso, o in cucina, e non posso usarlo.

Ho solo il telefono di casa sul comodino.

Fa tanto gay, lo so, e mi sentivo Carrie Bradshaw di Sex & The City quando l'ho comprato, ma ha la cornetta col filo attorcigliato che passo fra le dita quando faccio le telefonate.

Lo prendo, compongo il numero di Kenma, aspetto che suoni un paio di volte.

Quando risponde, la sua voce è poco più di un sussurro.

− Qui risponde Kenma, quantomeno il suo corpo. Sono stanco sfinito, lasciami in pace a morire in solitudine. –

Sorrido da solo.

− Stanco? –

− Morto. Dona il mio corpo alla scienza, tutto tranne il culo. Quello è da buttare ormai. –

Tiro su le gambe, premo le ginocchia le une contro le altre. Chissà dov'è Bokuto. Si sarà perso?

− Le parigine hanno funzionato? –

− Funzionano sempre. Un paio di calze e diventa completamente coglio... ahia, Kuro, mi fai male. –

Sento ridere dall'altra parte.

Kenma e Kuro sono appiccicosi, si sa.

Ed è probabile che ora siano spiaccicati l'uno contro l'altro sul divano, che si stiano facendo le coccole e che Kuro stia tirando i capelli a Kenma.

Lo fa spesso.

Crede che non lo veda, ma lo fa spesso.

− Tu come te la passi? – chiede poi, un rumore di un bacio in sottofondo dopo.

− Paraplegico. –

− Te l'avevo detto che ti avrebbe rotto. –

Sorrido fra me e me.

No, sul serio, Bokuto che fine ha fatto?

− È tipo l'agglomerato di tutto quello che cerco in un uomo. È sexy in maniera spaventosa e poi è super carino e... gli ho chiesto di uscire. –

− E bravo il mio Keiji, conquistali tutti. –

Cerco di abbassare la voce per non farmi sentire.

− Mi ha dato della troia. –

− Scusami? –

Ridacchio.

− Mi ha dato della troia e mi è piaciuto un sacco. –

− Sul serio? –

Di sottofondo Kuroo precisa che anche a Kenma lui dà della troia, ma l'altro gli dice di starsene zitto, e zitto sta.

− È cattivo in certi momenti, ma mi piace. Non credevo che fosse il mio genere di cose, ma forse è solo perché i merdosi di solito mi adulano e basta. –

− Verissimo. –

Mi mordicchio un'unghia.

− Mi sa che me la sono presa brutta, Ken. –

− Lo so. –

Sospiro, sospira anche lui, lo sento dire a Kuro di star fermo un attimo.

− Ho un po' di paura. – aggiungo poi, felice, forse un po'... amareggiato.

− Ed è normale così. Se prova a farti qualsiasi cosa trasformo la sua faccia in uno scolapasta, Keiji, te lo prometto. –

Sento le mie guance scaldarsi, il mio viso sorridere.

− Grazie, Ken. –

− Sei la mia famiglia, è il minimo. –

Sento un altro bacio di sottofondo, inizio a pensare che ne vorrei uno anch'io.

Faccio per tirarmi su un po', poi Kenma interrompe il mio tentativo.

− Ok, quindi, valutazione finale. Com'è stata la tua colonscopia? –

− Idiota! –

Sto per scoppiare a ridere, sento il movimento farsi strada nel mio corpo quando la risposta che ricevo non è quella di Kenma, né quella di Kuroo.

Viene due stanze avanti alla mia.

− Scusa, non volevo, scusami, io non lo so come funziona questa cosa, ho paura, ora moriamo, io sono un coglione non volevo distruggerti casa è che mi sono appoggiato e il coso ha fatto "bip" e io ho pensato se brucio la casa della persona che mi piace poi finisco con le pezze al culo e poi che cazzo Bokuto ma sei coglione e... −

Mollo il telefono sulla cornetta senza pensarci due volte.

Mi spingo verso l'alto facendo leva sulla poca forza che ho, prendo una maglietta da per terra che non credo sia la mia e mi tengo al muro, arrancando in avanti sul corridoio.

Arrivo in cucina che... c'è un rivolo di fumo che esce dalla porta.

Ho chiuso in faccia a Kenma.

E Bokuto...

Bokuto ha uno straccio in mano che fuma, c'è l'acqua aperta e c'è puzza di bruciato.

− Che cosa sta succedendo? –

Ha gli occhi pieni di lacrime quando mi guarda.

− Giuro che non volevo. –

− Non importa, davvero. Dimmi solo cos'è successo. –

Tira su con il naso, guarda il gas.

− Non avevo mai visto un piano ad induzione, volevo vedere come funzionava. Ma ho letto che ci devi mettere qualcosa sopra per farlo funzionare e allora... −

− Ci hai messo sopra uno straccio? –

− Sì. –

Trattengo una risata.

− E ha preso fuoco? –

− Sì. –

Sospiro.

− Hai avuto paura? –

− Sì. –

Apro le braccia.

− Vieni qui, su. –

Molla lo straccio incriminato sul lavandino, mi si avvicina e mi tira su, stringendomi forte a sé. Gli accarezzo i capelli, cerco davvero di non scoppiare a ridere.

− Non è successo niente. –

− Non volevo dare fuoco a casa tua. –

− Non l'hai fatto, non è successo niente. –

Ha i bordi delle labbra tirati all'ingiù, ma si tirano un po' verso l'alto quando gli bacio una guancia.

− Non voglio che pensi che sono un casinista e mi odi. – borbotta.

− Tu sei un casinista, ed è carino che tu lo sia. –

− Lo pensi davvero? –

Annuisco, gli prendo il viso fra le mani, lo bacio un'altra volta.

Tu sei davvero incomprensibile, veloce e strano, Bokuto-san, sei così versatile e mutevole. Ma se mi piacciono tutte le tue versioni, allora, questa cosa non è poi tanto un male.

− Che ne dici se ci ordiniamo una pizza e andiamo a farci le coccole di là? –

Annuisce.

− Tre pizze. –

− Tre pizze. – convengo.

Arruffa il naso.

− Ti ho preso le sigarette, però. Il posacenere non ho capito se fosse il vaso dei fiori o il bicchiere d'acqua e... −

Lo bacio un'altra volta.

− Sai cosa? –

− Cosa? –

Lo stringo forte.

− Forse è meglio se lo facciamo insieme. −

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ALLELUJA CE L'ABBIAMO FATTA

prossima cosa che esce è scottish sithe, poi riaggiorno questa. se tutto va bene ho ancora due settimane/tre di sessione, quindi ancora sono disastratissima, se invece mi bocciano il 25 poi sono libera, dipende

prometto che appena riesco a tornare organizzata ricomincio con le pubblicazioni regolari, scusatemi tantissimo ma questo periodo è disastroso

(mi ero dimenticata di quanto amassi la bokuaka, cazzo sono bellissimi)

ringrazio tantissimo armadioswag che mi ha aiutato con il beta reading (grazie davvero ur the cutest <3)

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