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➥✱ SMUT alert

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– Kōtarō... basta, ti prego. Ti pre... –

– Stai zitto. –

Sento la sua mano premersi sul retro del mio collo, spingermi in basso verso il letto, tenermi giù immobile a sua disposizione.

Le mie ginocchia tremano, la schiena è inarcata tanto che mi sembra stia per rompersi, le dita cercano appiglio fra le lenzuola.

Ho il fiato corto, il mio cervello è un miscuglio inutile di parole che si ripetono, mi sento...

– Ti prego, ti prego, ti pre... –

– Ti ho detto che devi stare zitto. –

Le sue dita affondano di nuovo dentro di me, le mi cosce si aprono e sento le lacrime sgorgarmi dagli occhi e bagnare il letto sotto la mia guancia.

Mi sta preparando da...

Quasi quaranta minuti.

Non si muove.

Non fa...

Lui non fa...

Stringo ancora più forte le lenzuola, sento per l'ennesima volta il mio corpo tendersi e avvicinarsi al punto di non ritorno, al baratro e alla sensazione di sciogliermi, ma...

Come mi stringo addosso a lui, lui si ferma.

E io singhiozzo forte e sento un dolore pungente bucarmi la pancia quando lo fa, distrutto e devastato dall'essere qui senza ottenere niente in cambio.

– Kōtarō! –

– Se fossi stato zitto te l'avrei lasciato fare. –

– Kōtarō, cazzo, Kō... –

– La prossima volta comportati meglio. –

Non so cosa pensare e non penso, rimango fermo, là, a subire tutto il vortice delle sue emozioni su di me perché non posso fare altro e perché, per quanto sia doloroso, questo è esattamente il posto in cui voglio essere.

Voglio essere qui a...

Non pensare, non fare, non decidere.

Subire.

Lasciare che sia Kōtarō a governare su di me e su come mi rapporto al mondo, mollargli le redini e il controllo, farmi fare quel che vuole farmi, anche se fa male.

Amo quest'uomo.

Lo amo davvero.

Perché sa di cosa ho bisogno sempre, e ha bisogno delle stesse cose di cui ho bisogno io, e perché...

Mi giro e lo guardo con gli occhi pieni di lacrime.

Ecco, se posso concedermi un attimo di pragmatismo...

Lo anche perché è dannatamente bello e anche solo vederlo mi smuove gli ormoni, mi fa battere forte il cuore e mi fa sentire al settimo cielo.

Ha ancora i pantaloni addosso, il bottone centrale è slacciato e cadono un po' più verso il basso di prima, si vede chiaramente la "v" dei suoi addominali e la striscia di peli chiari che scende dall'ombelico, non ha la maglietta.

Si tira indietro i capelli dal viso e si lecca le labbra con lo sguardo fisso su di me, qualcosa mi si accende dentro, nonostante stia piangendo perché mi sta deliberatamente torturando... sorrido.

E pensare che un tempo fare sesso mi faceva sentire come se stessi sbagliando e rotolando nei miei sbagli.

Pensare che mi sentivo osceno, schifoso, mi vergognavo di me stesso.

Pensare che lo facevo sapendo che non mi sarebbe piaciuto, sapendo che non mi sarebbe potuto piacere perché era abominevole, il sesso che facevo, e se mi fosse piaciuto sarei stato abominevole anch'io.

Ora...

Merda, Bokuto Kōtarō, ti amo così tanto e amo così tanto fare sesso con te.

Mi fai sentire giusto.

So di essere giusto.

E non dirò che è merito tuo, perché è merito mio e lo so bene, questo, non ho intenzione di mentire.

Però, cazzo, hai reso la mia vita migliore.

Hai reso tutto migliore.

Hai reso migliore anche... anche me.

– Ti amo. – dico, con la voce spezzata fra dalle lacrime e il corpo ancora in tensione e sofferente per tutto quello che mi sta facendo.

Si ferma.

L'oro dei suoi occhi scintilla, le sue mani si muovono, scivolano su di me con calma. Ne appoggia una su un mio fianco e quella che premeva il mio collo verso il basso si adagia fra le ciocche scure della nuca.

Stringe le dita fra i miei capelli.

Mi tira su.

Fa... male.

Ma è un dolore positivo.

Un dolore che...

Atterro con le scapole contro il suo petto. Mi fa stirare il collo dalla sua parte, mi fa piegare il viso, quando sono abbastanza vicino appoggia la fronte sulla mia.

– Anche io ti amo, Keiji. Ti amo tanto. – mormora.

Sorrido e basta.

Singhiozzo di riflesso, ma sorrido e nulla di più.

– Ti amo da morire. –

Lo sento respirare la mia stessa aria, siamo così vicini che mi pare stia respirando me.

– Ho sempre paura di non riuscire a dirtelo come vorrei, per quello te lo dico in continuazione. Ho paura di confondere le parole e di non essere in grado di spiegarmi e... –

Tiro su un braccio e l'appoggio sulla sua guancia.

– Un giorno riuscirò a farti capire davvero quanto ti amo, Keiji. Continuerò a provarci finché... –

– Me lo fai capire ogni giorno. Tu me lo fai capire ogni giorno, Kōtarō. –

Mi guarda negli occhi.

Il Sole dei suoi scalda il ghiaccio dei miei, e mi sembra di sciogliermi sotto i raggi della sua luce. Ma non ho paura di perdermi, di scomparire, perché so chi sono e so di chi mi fido, quindi posso concedermi il beneficio di lasciarmi andare sapendo che tornerò in me quando sarà il momento di farlo.

Essere forte mi rende libero di essere debole.

Non mi ero mai reso conto quanto la fragilità fosse un lusso che dovevo guadagnarmi e non rifuggire.

Mi sporgo dalla sua parte e le nostre labbra s'incontrano, il modo in cui mi bacia, il suo sapore, la consistenza del suo viso sotto le mie mani sono familiari, quotidiane, mi fanno sentire al sicuro, a casa.

Amo quest'uomo.

Amo l'uomo che sono quando sono con quest'uomo.

Amo...

Amo.

Amo e basta.

E niente nella mia vita è mai stato bello come amare.

– Ti amo, Kōtarō. Ti amo. –

– Anche io ti amo. –

– Ti amo tantissimo. –

Sorride contro le mie labbra, sento il movimento ripercuotersi sul mio stesso viso.

– Sei meraviglioso. Sai sempre cosa dire, mi fai ridere, sei bellissimo e non mi stanco mai di te. Aveva ragione la signora del parco, ho fatto jackpot con te. –

Ridacchia piano.

– La signora del parco ti ha detto questo? –

– La signora del parco mi ha detto che sei un uomo che s'incontra una volta nella vita, e cazzo, aveva ragione. –

– In effetti di Bokuto Kōtarō ce n'è uno solo, al mondo. –

Annuisco.

– Ed è tutto mio, no? –

– Tutto tuo, Keiji, tutto tuo. –

Ci baciamo di nuovo, ed è un bacio dolce, che poco c'entra con la foga di quello che stavamo facendo fino ad un attimo fa. Inizia in un modo pacato, quieto, sensibile, poi...

Poi il mio corpo reagisce e Bokuto reagisce di conseguenza, il fuoco si riaccende, ricominciamo a lasciarci andare.

Stringe di nuovo i miei capelli, la mia schiena s'inarca, strofina il bacino contro di me e la sensazione di lui che mi si muove addosso mi manda in visibilio, mi fa sentire caldo, molto...

Ci mette un attimo.

Abbassa il braccio schiacciandomi contro il letto, un secondo dopo mi ribalta, mi spalanca le cosce, s'infila fra le mie gambe e fonde di nuovo le labbra con le mie, mi tiene giù.

È ovunque.

Kōtarō è ovunque, è tutto quello che sento, tutto quello che so, tutto quello che percepisco. È la sua pelle che aderisce alla mia, il suo respiro che si mescola col mio, la sua lingua, la sua bocca, le sue mani, la sua presenza.

È...

Scorro con una mano sulla sua schiena, sento i muscoli che si muovono sotto i polpastrelli, la forza che s'intreccia col suo corpo e che mi fa sentire così inerme ma così protetto in questi momenti.

Cazzo, quest'uomo è così...

Eccitante.

Scivola via dalle mie labbra, assesta il viso nell'incavo del mio collo.

Apre la bocca, affonda i denti, morde.

La mia schiena si alza da sola, le ginocchia si stringono e esce dalle mie labbra uno di quei gemiti disperati e stanchi che rotola nella stanza e si espande nell'aria.

– Kōtarō! –

Sale un po' verso il viso.

Morde di nuovo.

L'epilogo è lo stesso, io che chiamo il suo nome, lui che mi tiene fermo.

Mi fa sentire...

Così dannatamente bene.

– Toccami, Keiji. –

– Dove vuoi che ti... –

– Toccami e stai zitto, cazzo. –

Reagisco d'istinto.

Passo con la mano sul suo fianco, lascio che le unghie traccino piccoli graffi sulla sua carnagione abbronzata, poi apro il palmo sulla sua pancia, sulla parete degli addominali, la lascio scendere.

Merda, quant'è solido su di me, il suo corpo. Sembra colato nel bronzo, quest'uomo, e sentirmelo addosso mi piace tanto, mi piace...

Atterro sulla zip dei suoi pantaloni.

È aperta, ma strofino comunque la mano per...

– Qui? –

– Sì, Keiji, cazzo, muoviti. –

Cerco di focalizzarmi sulla scena di fronte ai miei occhi. Sul contrasto fra la mia pelle chiara e il mio corpo più esile e il suo che sembra sovrastarmi tinto di un colore più caldo, osservo la mia mano contro di lui, le dita sottili che giocano con l'elastico dei boxer.

Sei bello.

Mi fai sentire bello.

Sei eccitante e mi fai sentire eccitante.

Sei...

Apro la bocca per parlare ma qualsiasi cosa volessi dire viene annientata dalle sue labbra sulle mie, per cui mentre mi lascio baciare procedo senza indugiare oltre, e infilo la mano dentro le sue mutande.

Nel momento esatto in cui stringo le dita su di lui, smette di baciarmi e lascia cadere la testa verso di me, a fianco della mia, la sua voce risuona in un ansimo e sento il sangue esplodermi nelle vene.

– Dio, Keiji. –

Muovo piano il polso.

È...

Parecchio eccitato.

Ha retto quasi un'ora dedicandosi solo a me quindi immagino che sia parecchio, parecchio eccitato.

D'altro canto io...

Miseria.

Non so se mi sento potente a farlo star bene o fragile nel seguire le sue direttive per poterlo fare.

So solo che è bello.

Ed è...

Stringo un po' le dita per aumentare la frizione, sento la sua voce uscire in un gemito gutturale.

Dice...

– Sì, così, Keiji, così. –

– Ancora? –

– Mmh, finché non ti dico di fermarti. –

Apro le gambe e ne aggancio una al retro della sua vita, strofino piano il polpaccio contro la parte bassa della sua schiena, muovo la mano un po' più velocemente.

– Così? –

– Bravo, bravo, così, bravo Keiji, bra... –

– Merda, Kōtarō. –

Sposta la mano libera sul mio viso, sulla mia guancia, sembra volermi accarezzare ma ad un certo punto credo perda il controllo, e serra la presa più saldamente del previsto.

Non mi fa male.

È piacevole.

È lì.

Piego il volto verso il suo, mordicchio piano il lobo del suo orecchio, prendo fiato con calma.

– Ti piace, Kōtarō? –

– Cazzo, Keiji, certo che mi... –

– Sei l'unico, lo sai? L'unico a cui farei mai qualcosa del genere. Solo a te. –

Stringe più forte la mia guancia.

Le sue spalle tremano, lo sento irrigidirsi fra le mie dita.

Sposta le iridi verso di me, scintillano d'oro sulle mie.

Mi lecco le labbra, abbasso il tono della mia voce per renderlo più mellifluo possibile, più zuccheroso e dolce. Gli ansimo nell'orecchio.

– Puoi farmi fare qualsiasi cosa tu voglia, Kōtarō. Qualsiasi cosa. Io sono qui per te. –

Più rigido, più affilato, il suo sguardo.

– Puoi usarmi. –

Abbasso di nuovo il tono della voce.

– Puoi scoparmi. –

Socchiudo gli occhi, sorrido nel modo più sensuale che riesco a mettere in piedi.

– Puoi venirmi addosso quando ti pa... –

Non respiro.

Non sto respirando.

Dov'è l'aria?

Non riesco...

Io non riesco a...

Le sue dita sono strette attorno al mio collo.

Non è la prima volta che lo fa, so come funziona ma non per questo m'investe di meno la sensazione di essere completamente bloccato dentro al mio corpo, fermo ed immobile in attesa che lui mi dia il permesso, la possibilità di fare qualcosa come respirare.

Mi cadono le iridi indietro.

La mia schiena s'inarca.

Apro le labbra per cercare aria che non c'è, sembra che il mio sangue non scorra, che un calore incendiario si espanda su ogni centimetro della mia pelle, mi sembra di bruciare, di voler respirare così tanto da essere disposto a tutto pur di farlo e al contempo di volermi trattenere fino al momento in cui vorrà concedermelo, mi sento...

– Stai cercando di farmi venire, Keiji? –

Molla la presa per farmi riprendere fiato ma l'attimo dopo la stringe di nuovo.

– Non sei tu che decidi quando vengo io. Sono io che decido quando vieni tu. Te ne sei dimenticato? –

Non volevo farlo...

Volevo...

– Chiedimi scusa. –

Scusa.

Scusa, scusa, scu...

– Chiedimi scusa come la troia che sei, Keiji. Pregami di perdonarti. Chiedimi scusa. –

Apro la bocca nel tentativo di farlo, ma la sua presa diventa d'acciaio.

Non riesco a...

– Che c'è, non riesci a parlare? –

No, non riesco.

Non ho aria, non posso, io non riesco a...

– Però la mano mica l'hai fermata. –

La ma...

Oh, ha ragione. Non ci ho fatto caso, non ci ho...

Sto ancora muovendo le mie dita su di lui.

È solo che...

Mi fa di nuovo prendere aria, e quando i miei polmoni sono pieni stringe una terza volta, più forte, più serrata, più salda di quelle di prima.

Avvicina il viso al mio, sembra volermi baciare ma non lo fa, parla semplicemente con le labbra quasi fuse alle mie.

– Lo vedi come sei, Keiji? Lo vedi perché non puoi pensare di dirmi cosa fare? –

La sua voce diventa l'unica cosa che sento nel limbo in cui mi ritrovo, a metà fra l'istinto di voler prendere aria e quello di non volergli disobbedire per niente al mondo.

– Io prendo le decisioni. Non tu. Non sei nella posizione di potermi dire cosa fare o non fare, non credi? –

Mi guarda, e inizio a vedere i bordi della sua figura sfocarsi.

Qualche secondo e dovrò chiamarmi fuori e chiedergli di smettere.

Qualche secondo e...

– Tu sei una troia. Non è compito delle troie prendere decisioni. Vedi di non dimenticartelo più. –

Mi lascia andare e l'aria torna dentro tutta insieme, in un banco denso che m'inebria la mente, mi viene da tossire e lo faccio, lo lascio andare e sento le lacrime scendermi di riflesso sul viso tutte insieme, mi sento...

Mi sento...

Liquefatto fra le sue mani. Annientato, distrutto, fatto a pezzi. Mi sento sgretolato in minuscole parti che solo lui potrà rimettere assieme e in ogni caso completo perché la fiducia che ho nei suoi confronti mi permette di esserlo.

Merda, Kōtarō.

Sei...

Sei...

– Tutto bene? –

Tossisco di nuovo.

– Sì, sì, sto bene. È stato... –

Lo guardo negli occhi, io pieno di lacrime e lui serio, convinto in se stesso ma in fondo anche un po' preoccupato per la mia reazione, apprensivo perché non sa come non esserlo.

– Fantastico. Mi è piaciuto un sacco. Sei davvero bravo con questa roba, Kō. –

– Oh, menomale. Ho avuto per un attimo paura che... –

– È stata una delle cose più eccitanti che tu abbia mai fatto. È stato fantastico. Dio, quanto ti amo, Kō. –

Ridacchia, china la testa nell'accenno di un inchino per ringraziare, sorride.

– Quando vuoi. –

– Fra due ore. Domani. Sempre, cazzo. –

– Sai dove trovarmi. –

– Prima o poi diventerò dipendente da te e ti rimarrò appiccicato come una cozza. –

Mi asciuga le lacrime dal viso, mi aiuta a rimettermi con la schiena sul letto, mi accarezza via i capelli dalle tempie.

– E chi si lamenta. –

– Ti lamenterai. –

– Mai. –

Si abbassa e preme le labbra sulle mie, gli stringo il collo e rimaniamo là, fermi, per qualche istante solo a goderci la presenza l'uno dell'altro.

Poi però si sposta.

E quando si sposta si strofina contro il mio bacino e gemo, geme lui, e mi rendo conto che...

Nessuno dei due è ancora venuto.

Direi che dobbiamo...

Gli bacio una guancia.

– Possiamo... –

– Vuoi continuare? –

– Mi piacerebbe, sì. Tu hai voglia? –

– Mh-mh, certo. –

Mi bacia di nuovo le labbra.

– Ti amo, Keiji. –

– Anche io ti amo, Kō. –

Sorride nel bacio, ci s'immerge dentro, rimaniamo là, a scambiarci questa cosa che è per noi familiare e normale e quotidiana, finché non ci sentiamo soddisfatti.

Quando si stacca ha di nuovo gli occhi che sembrano di metallo, più che di quella luce soffusa e pacata di un secondo fa.

E amo che sia così.

Ma amo anche il resto.

Perché di quest'uomo, io amo tutto per davvero.

Lascia che sciolga le mani dal suo collo e si tira su sulle ginocchia, torreggia sul mio corpo nudo per un attimo, mi sembra di essere una preda di fronte a lui, di essere inerme.

C'è qualcosa di maestoso, in lui.

Sembra un angelo, qualche volta.

Ha i capelli chiari, nonostante le radici siano più scure rimangono comunque di un colore perlaceo, la pelle è liscia, le ciglia bianche, gli occhi dorati.

Sembra un angelo.

Sembra...

Perfetto.

È perfetto.

È...

Si tira indietro i capelli con una mano, poi abbassa i pantaloni, l'elastico delle mutande, non si spoglia perché ha fretta e io ho fretta con lui.

Mi trascina in avanti prendendomi dal retro delle ginocchia, spalanca le mie cosce, saggia la consistenza della mia pelle con le mani, si lecca le labbra.

– Passami il lubrificante. –

– Non credi che ne abbiamo già usato abbasta... –

– Credevo di essere stato chiaro sul fatto di contraddirmi. Passami il lubrificante. –

Mi ammutolisco ma lo faccio sorridendo, perché sapevo cosa avrei ottenuto quando gli ho risposto, e prendo la bottiglietta abbandonata sulle lenzuola.

Gliela passo, lui apre il tappo, ne versa un po' sul palmo della sua mano.

Poi lo chiude su di sé, si morde il labbro mentre lo fa e vedo la sua mascella scattare.

Istintivamente...

La mia gola emette un rumorino poco soddisfatto.

Emette un lamento.

Decisamente un...

– Che fai, protesti? –

No, non so perché l'ho fatto, non so perché...

– Sei geloso, Keiji? Vorresti farlo tu? –

Se sono...

Forse...

– Cosa c'è, nessuno può toccarmi il cazzo tranne te? –

Sento le mie guance arrossarsi, ma la mia voce non cede.

– No. Solo io. –

– Solo tu? –

– Solo io. È mio. –

Ridacchia, muove un altro paio di volte la mano su se stesso per spargere bene il lubrificante.

– È tuo? Credevo fosse mio ma... –

– Non è tuo, appartiene a me. È mio. Dammelo. –

– Oh, abbiamo delle pretese qui. –

Mi fissa oltre le ciglia chiarissime, le sue iridi sono affilate contro le mie.

Torna su di me, si china, si regge con una mano aperta a fianco della mia testa, con quella libera mi apre le gambe, mi sistema di fronte a sé.

– Appartiene a te e quindi dovrei dartelo quando vuoi? È questo che stai dicendo? –

– Sì. È quello che sto dicendo. –

Sorride.

Si piega e mette il viso di fronte al mio.

– Lo vuoi? –

Non cedo, lo guardo negli occhi.

– Lo voglio, Kōtarō. Lo voglio. –

– Allora prendilo. –

Mi schianta una coscia contro il letto, mi allinea contro di sé e l'attimo dopo è così a fondo dentro di me che mi sembra di sentirmelo in gola.

Oh, miseria.

Miseria, miseria, cazzo, porca puttana, 'fanculo, merda, porca...

Perché mi sembra più grosso ogni volta che scopiamo?

Perché?

Ha i superpoteri? Sono io che sono idiota o sono io che...

Esce ed entra con un movimento secco del bacino.

– Cazzo! –

Non so cosa sia.

Non ne ho idea.

So solo che...

Mi spengo.

Il mio cervello si spegne.

La fatica, la disperazione di non essere venuto, l'eccitazione di sentirmi alla sua mercé quasi alla stregua di un oggetto, la meraviglia e l'amore e tutto, mi fanno...

Spegnere.

Fine.

Basta.

Ora lo prendo e basta.

E ora...

Si sistema sulle ginocchia, mi prende i fianchi con le mani, mi tira su il bacino lasciando le mie spalle premute sul letto e fa di me quel che vuole.

Non c'è dolore perché i quaranta minuti di preparazione hanno fatto il loro lavoro, non c'è fatica fisica, non c'è lavoro da parte mia.

Io...

Mi lascio...

Sbattere.

E...

Tiro una mano indietro, chiudo le dita sulla testiera del letto.

– Kōtarō, Kōtarō, Kōtarō, cazzo, cazzo, Kōtarō, ti prego, ti prego, cazzo, cazzo, ca... –

– Cristo. –

La sua pelle sbatte contro la mia, il rumore riempie la stanza.

Non so cosa stia succedendo.

So solo che è bello.

Ma non so cosa...

Mi piega il bacino, si sistema più in su.

La spinta dopo mi fa rotolare indietro la testa, tanto che temo possa staccarmisi dal collo.

– Oh, porca putta... –

– Dio, Keiji, cazzo, sei... –

Sono...

Non lo so.

So solo che ne voglio ancora.

E ancora.

E ancora, ancora, ancora e anco...

Chiudo le cosce su di lui per come posso, le mie ginocchia si spingono l'una verso l'altra, entra dentro di me così a fondo che penso ogni volta non riuscirà ad uscirne, mi tiene su come se non pesassi nulla, mi tiene così a mezz'aria senza fare il minimo sforzo.

Le lacrime ricominciano a scendere e non so se sia lo sforzo, la felicità o cosa, inizio a tremare, inizio a...

Mi aggrappo anche con l'altra mano alla testiera del letto.

La mia schiena si piega in un arco.

Lo guardo negli occhi, e vedo nei suoi occhi quel che lui vede di me.

Vedo...

La pelle chiara, i fianchi tondi, le mie cosce che non sono esili ma sono piene, sode. Vedo il tatuaggio sulla mia pelle, la linea della mia pancia, il segno del suo passaggio sulla mia carnagione.

Vedo gli occhi azzurri come il ghiaccio che lacrimano, le ciglia folte, i riccioli scuri.

Vedo...

Sono così bello, nei tuoi occhi.

Sono così bello che...

Entra dentro di me, completamente.

Si ferma un attimo.

Sei così bello tu nei miei.

Sei...

Mi guarda.

Lui...

Sorride.

Non so se sia ancora quello di prima o cosa pensi o se voglia torturarmi di nuovo o se...

– Grazie. –

Spalanco gli occhi.

Questo non me l'aspettavo.

Questo...

– Grazie, Keiji. Grazie. –

– Kōtarō, che cosa stai... –

– Grazie di non pensare che sono stupido. Grazie di non pensare che sono appiccicoso. Grazie di non trovarmi insopportabile, grazie di volermi, di pensare che sia bello. Grazie di non prendermi in giro perché non so scrivere, grazie di fidarti di me, grazie di concedermi di farti questo, grazie di amarmi. Grazie di essere qui, grazie di rimanere, grazie di...

Mi accarezza un fianco.

– Grazie di aver reso la mia vita migliore. Di avermi reso felice. Di... –

Sorride e ha gli occhi lucidi.

– Grazie di volermi per come sono. Grazie di non avermi mai detto che non andavo bene. Grazie di avermi detto quello che provavi, di dirmelo ogni giorno. Grazie di apprezzare tutti gli sforzi che faccio e di pensare che io valga qualcosa. Grazie di volermi bene. Grazie di... –

– Vieni qui, cretino. –

Slego le braccia dalla testiera del letto e le apro, lui si abbassa subito, lo stringo forte, lo sento sorride e piangere e...

– Sei adorabile. Sei meraviglioso. Non devi ringraziarmi perché ti amo perché lo faccio per come sei, sei... –

– Ti amo, Keiji, ti amo, grazie, grazie, grazie davvero, non sai quanto sono grato che tu sia qui con me, non sai quanto... –

– Non ringraziarmi, non devi, io... –

Si sposta piano verso di me.

Tira su il viso.

Mi guarda negli occhi e io metto le mani sulle sue guance.

Mi sa che piangiamo in due, ora, come facciamo un sacco di volte ed è...

– Ho rovinato il sesso con la mia confessione da piagnone? – mi chiede, ridendo mentre lo fa e con le lacrime che gocciano sul mio viso.

Rido anch'io.

– Non lo so, non lo so. –

– Dovevo dirlo dopo? –

– Va benissimo il momento in cui l'hai detto. –

Si china verso di me.

Mi bacia e sa di sale.

– L'ho pensato e l'ho detto. Lo intendo. Non volevo rovinare il mome... –

– Tu non hai rovinato niente. Tu non rovinerai mai niente. Tu le cose le migliori e basta. –

I nostri occhi s'incontrano, credo per un attimo che le nostre stesse essenze lo facciano, e mi sento così felice come non mi ci sono mai sentito, fra le braccia di qualcuno che è esattamente, perfettamente, la metà di quello che sono.

– Sei l'amore della mia vita, Bokuto Kōtarō. Sei un miracolo, per me. Sei un sogno. Sei... Non amerò e non ho mai amato nessuno come amo te. Sei la persona da cui voglio partire ogni giorno. Sei la parte migliore di me. –

Avvita le mani sul mio corpo.

Tira su col naso.

– Ti amo, Keiji. Ti amo. – risponde, e non dice altro perché non ce la fa.

Mi bacia, l'attimo dopo.

Ricomincia a muoversi fuori e dentro da me.

E qualche istante dopo, nel delirio della gioia e della felicità, del pianto e dell'eccitazione, nessuno dei due riesce a trattenersi.

Veniamo insieme.

Piangendo.

Un attimo fa stavamo facendo il sesso meno dolce della nostra vita e ora stiamo...

Nessuno, nemmeno io, nemmeno lui, sa che cosa ci passi per la testa in certi momenti.

Sappiamo solo che qualsiasi cosa sia, di sicuro niente ci farebbe mai stare così bene.

Siamo fatti così.

E a me, come siamo fatti, cazzo, a me piace davvero.

È sera, quando sento la sua mano chiudersi sulla mia e la sua spalla sfiorarmi mentre camminiamo, per strada, col Capitano che zompetta al nostro fianco.

Il sole è calato, l'ora inizia ad essere tarda, l'aria è gelida.

Non sento la sua pelle attraverso il tessuto dei guanti, ma ne sento il calore, l'intenzione, la sua voce risuona nell'aria e mi ritrovo a guardarlo, dal basso, a contrasto col lampione dietro di lui.

Sono stanco.

Volevo dormire, dopo che ci siamo fatti la doccia.

Ma Kōtarō...

Kōtarō aveva fame, nessuno dei due aveva voglia di cucinare e il giovedì il caffè che fa la torta al limone che gli piace tanto chiude tardi, quindi siamo usciti, anche se fa freddo, anche se volevo dormire.

Mi sembra di vivere una vita da sogno.

Qualche volta faccio fatica a prendere contatto col fatto che è davvero la mia.

Ma...

Mi ha detto grazie come se dovesse ringraziarmi di fare cose che faccio per il solo modo in cui sono fatto.

Mi ha detto grazie...

Grazie di che, Kōtarō?

Grazie di che?

Di fare le scelte giuste per essere felice?

Perché stare con te rappresenta questo, per me.

Essere felice.

È tutta colpa tua se sei in grado da solo di rappresentare la mia felicità.

Sorrido verso di lui.

Ha la punta del naso un po' arrossata dal freddo, così le guance, ride, ride come se fosse la cosa più naturale del mondo, per lui lo è.

Grazie a te.

Di aver...

Pensato che ne valesse la pena.

Che io ne valessi la pena.

Perché ora so di valerne la pena, ma se non me l'avessi detto tu per primo, non so se ci sarei mai arrivato.

Tu sei...

Sei...

– Perché mi fissi così? Ho qualcosa in faccia? –

– Scusami? –

– Mi stai guardando dritto in faccia da cinque minuti. Ho una macchia di dentifricio sulla bocca o... –

Si pulisce le labbra col dorso del guanto, tranne che non erano sporche e mi fa ridere che abbia dato per scontato di sì, perché la dice lunga su come è.

– Non sei sporco, no, volevo solo guardarti. –

– Guardarmi? –

– Guardarti, già. Sei bello, voglio guardarti. –

Sorride a trentadue denti.

– Sono bello, eh? –

– Molto, già. –

– Dovrebbero mettermi nella copertina del calendario tematico della Polizia di Tokyo. Io e Tetsu ne parlavamo l'altro giorno, ci starei una meraviglia. –

– Esiste un calendario tematico della Polizia di Tokyo? –

Annuisce tutto convinto, poi alza un paio di volte le sopracciglia.

– Se ci fossi io mezzo nudo riempiremmo i fondi della Circoscrizione. –

Mi scappa da ridere, perché è un cretino, lo faccio.

– Oddio, probabilmente sì, di sicuro lo comprerei. –

– Lo compreresti? Ma tu hai l'originale a casa! –

– Sì, ma vorrei supportarti. Sai, andare in giro a lavoro a dire che l'uomo di gennaio è il mio ragazzo o qualcosa del genere. –

– Mi vedi tipo da gennaio? Io pensavo più a marzo, ma... –

Lo tiro dal colletto della giacca.

Lo tiro giù, lui si piega, mi spingo un po' sulle punte dei piedi e lo bacio, in mezzo al freddo autunnale.

È un coglione.

Lo amo, lo amo da morire, questo coglione.

– Qualsiasi mese tu faccia, comprerò quella merda di calendario e dirò a tutti che stiamo insieme. –

– Anche se è una stronzata? –

– Anche se è una stronzata. –

Sorride contro di me, mi bacia di nuovo.

Poi...

– Amo che mi ami anche quando faccio le stronzate. –

– No dubitare mai che lo faccia. –

– Sei adorabile. –

Lo bacio io, finché non mi sento a posto con me stesso.

Poi mi abbasso sui talloni, riprendo la sua mano.

Quando ricomincia a camminare, ha di nuovo la faccia di prima, quella contenta, felice, un po' arrossata.

Lo guardo di nuovo, anche se è stupido, perché...

Perché...

– Oh, siamo arrivati, menomale. Ho una fame che potrei mangiarmi anche le mattonelle. –

Sposto lo sguardo di fronte a me.

Ha ragione, miseria, non me n'ero accorto.

Siamo arrivati.

– Tu che prendi, Keiji? –

– Non so se ho fame, mangio un pezzo del tuo. –

– No che non mangi un pezzo del mio, ne prendi uno tuo. Guarda che se non mangi ti fa male. Devi mangiare. –

– Ma non ho tanta... –

– Se avanzi lo finisco io. Però mangi. –

Mi trascina in avanti per il braccio, il Capitano s'infila dietro di lui, scodinzola perché riconosce il posto.

– Allora voglio una fetta di torta. –

– Al limone? –

– Ai mirtilli. No, forse al limone. Sai che non lo so? –

– Possiamo prenderle tutte e due, se ti va. –

Supera le persone per dirigersi verso l'ingresso del bar.

– Da bere? –

– Il caffè. –

– No, Keiji, che poi non dormi. –

– Sai che amo il caffè, non essere fiscale. –

– Ma se poi non dormi come facciamo? Domani c'è la sentenza e devi essere sveglio e... –

– Farò notte bianca. –

– Ma che dici! Ti fa male! –

Stringo forte le dita fra le sue.

– Allora un caffè latte. –

– Latte senza caffè. –

– E fammicelo mettere un pochino di caffè, dai, che sei, mia madre? –

– Non sono tua madre ma sono il tuo fidanzato e in quanto tale ti faccio presente che il caffè alla sera fa male e che non dovresti berlo. –

– Dice quello che sta per farsi un'overdose di zuccheri. –

– Sì, ma lo zucchero fa bene al cuore. –

– Il caffè pure. –

– No, il caffè è amaro, non fa bene al cuore. La torta fa bene al cuore. La panna. Il cioccolato. Il caffè fa paura. –

– Fa paura? –

– Già, che è un po' acidino e... –

– Sei tu Akaashi Keiji? –

L'ultima domanda mi spiazza.

Mi prende completamente alla sprovvista, perché non è di Bokuto, non è di qualcuno che conosco e non è affatto attesa.

Alzo lo sguardo.

Siamo ad un centimetro dalla porta del caffè, quasi praticamente dentro.

Cerco la persona che ha parlato e vedo...

È un giornalista.

Porca di una puttana, è un giornalista. Sono giorni che mi inseguono, giorni, com'è possibile che siano anche...

– Dicci qualcosa del caso, dicci qualcosa, com'è stato mettere dietro le sbarre un Ministro? –

– Bokuto, andiamo. –

Bokuto annuisce, apre la porta.

– È vero che stavano per rapirti? –

Faccio per avvicinarmi all'interno.

– Perché hai deciso di occuparti di un caso dove le vittime erano tutte prostitute omosessuali? –

Mi fermo.

A questa mi fermo.

– È perché sei gay anche tu? –

I miei piedi si arrestano, le mie gambe con loro, rimango immobile.

Poi...

Mi giro.

Vedo il giornalista di fronte a me, il cameraman della sua trasmittente a qualche metro.

Ha un microfono in mano.

Cammino fino al suo microfono, avvicino il viso allo speaker.

– Sono Akaashi Keiji, ho ventisei anni, sono uno dei due responsabili dell'arresto del Ministro degli Affari Interni per stupro, sequestro e omicidio. –

Il giornalista mi guarda con gli occhi spalancati.

Non ho acconsentito a nessuna intervista in queste settimane.

Nessuna.

Ma forse...

– Sono gay. Sempre stato. Omosessuale, gay, come preferite. Sì, lo sono. –

Alzo gli occhi direttamente verso la macchina da presa che mi stanno puntando addosso.

– Io non lo so chi mi stia guardando. Non ne ho idea. Ma se c'è qualcuno come me che mi guarda, qualcuno che ha pensato tutta la vita di essere sbagliato, di non poter fare niente, di meritarsi tutto quello che gli è successo... –

Il mio viso sorride da solo.

– Andrà meglio. Ti prometto che andrà meglio. E ti prometto che non c'è solo merda in questo posto, c'è anche tanta roba meravigliosa. Non ti arrendere. –

Stringo forte la mano di Kōtarō.

– Lo so come ci si sente a sentirsi ai margini, rifiutato, abbandonato, solo. Lo so che credi che nessuno potrà darti una mano e che nessuno ti aiuterà mai. Lo so che ti chiedi ogni giorno perché sei dovuto nascere sbagliato in un mondo in cui tutti sono giusti tranne te. –

Mi avvicino di più al microfono.

– Ci sono tanti passi da far fare a questo mondo per renderlo un posto accogliente per le persone come noi. Ci sono tanti cambiamenti da fare. C'è tanto lavoro, ci sono tante battaglie. –

Chiudo un attimo gli occhi.

Lo vedo di fronte a me.

Lo vedo chiaramente.

Keiji Akaashi, diciassette anni, seduto sul tappeto di casa dei suoi genitori a guardare quel crocifisso un po' polveroso sopra alla TV che si chiede perché Dio gli ha dato la vita se la sua esistenza non aveva alcun valore.

Oh, Keiji.

Non sai quante cose ha la vita in serbo per te.

Andrà tutto male.

Ma poi...

Poi andrà meglio.

– Ma non sei solo. Nessuno di noi è solo. Non siamo soli. Siamo tanti, e siamo come te. Abbiamo vissuto il tuo disagio, il tuo malessere, sappiamo cosa si prova. Sarai sempre parte di qualcosa. –

Keiji, piccolo Keiji. Il mondo... è un posto strano.

Ma...

– Sono Akaashi Keiji, ho ventisei anni, sono un detective della Omicidi di Tokyo, sono gay. Due settimane fa ho messo dietro le sbarre un Ministro che ammazzava le persone come noi, della nostra comunità. Non ha vinto lui, ho vinto io. Perché possiamo vincere. –

Non pensare che perché il mondo è strano sia necessariamente un posto dove non puoi entrare.

– Io non sono solo Akaashi Keiji. Sono Bokuto Kōtarō che è un ottimo detective anche se non ha mai preso la patente. Sono Kozume Kenma, che sa usare un computer meglio di chiunque altro. Sono Kuroo Tetsurō che dirige un dipartimento a ventisette anni e che vince premi in tutto il mondo. Sono Oikawa Tooru che salva vite sia col suo stile che col suo lavoro. Sono Iwaizumi Hajime che ha avuto il coraggio di prendere la sua vita e ricominciare da capo. Sono Ushijima Wakatoshi che è uno squalo in aula e un pasticcino fuori. Sono i ragazzi che sono morti, tutti e quattro, sono quelli che potevano morire, quelli che sono per le strade di notte e pregano di sopravvivere, sono quelli buttati fuori di casa, sono quelli che pensano che per loro non ci sia posto, sono quelli che non sanno dove andare e che forse non andranno da nessuna parte, ma rimarranno là, e non faranno altro che stare male. –

Keiji, il mondo aspettava te.

E tu, un pochino, forse l'hai cambiato.

– Io sono ognuno di noi. E ognuno di voi è me. Vi prego di proteggermi come io ho cercato di proteggere voi. –

Sento Bokuto tirare su col naso dietro di me.

– Una persona molto importante per me, una volta, mi ha detto una cosa. All'epoca non ci credevo, non capivo come potesse pensarlo, credevo che fosse troppo ingenuo per questa vita. –

Chino lo sguardo.

– Invece forse ero io un po' troppo cinico e pessimista. –

Ridacchio piano, riporto gli occhi alla telecamera.

– "Il mondo è un bel posto, se sai come prenderlo. Prima o poi te ne renderai conto anche tu, te lo prometto." –

Bokuto singhiozza più forte.

– Credo che avesse ragione. –

Guardo un'ultima volta il mio riflesso sullo schermetto nero, sorrido, mi giro.

Bokuto mi guarda con gli occhi grandi, lucidi, il suo cane ai piedi, e non so cosa mi stia dicendo perché come do le spalle al giornalista viene da piangere anche a me e non mi trattengo.

Keiji, Keiji, Keiji.

Hai fatto un bel lavoro.

Sono fiero di te.

Sono davvero, davvero fiero di te.

Prendo la mano di Kōtarō, mi ritrovo gettato contro di lui.

Sei stato bravo.

Sei stato bravo davvero.

Sei stato...

Stringo le braccia al suo collo, lo bacio ridendo e piangendo mentre ride e piange anche lui.

Non lo so se ci stanno riprendendo, ma spero di sì, perché questo è quello che intendo quando dico che andrà meglio.

Intendo che la vita ti può rendere felice.

E la mia, la mia l'ha fatto.

Bokuto mi abbraccia forte.

Mi passa un pensiero per la mente.

Io odio i film polizieschi.

Menomale che questa è una storia d'amore.

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niente cuori vi dico tutto nei ringraziamenti che trovate subito dopo unica cosa sto piangendo male quindi scusate se non avranno senso

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