CAP 9 SOLITUDINE
Aprì una porta, lentamente. Si sporse un po', per controllare che il corridoio fosse libero. In fondo si vedeva della luce, doveva essere la porta esterna. Quando fu certa che non ci fosse nessuno, si tuffò fuori dalla porta e iniziò a correre con tutta la forza che aveva. La vedeva ora. Era una porta antipanico della scuola. Le sarebbe bastato arrivare lì. Con la coda dell'occhio, proveniente dal corridoio laterale, vide arrivare due enormi cani. Non doveva fermarsi, poteva farcela. Le abbaiavano dietro, sbavavano tutta la loro rabbia per non essere ancora riusciti a prenderla. Doveva continuare, lasciare che il terrore le scivolasse via di dosso: se arrivava alla porta era salva. Da una porticina in fondo al corridoio emersero tre altri cani, sporchi, con il pelo dritto e i denti ben in vista. Le tagliavano la strada. Era in trappola. Rallentò. Sapeva che gli altri due cani le sarebbero presto saltati addosso da destra. Alla sua sinistra c'erano i secchi per la raccolta differenziata e sopra la scatola dei vigili del fuoco, con dentro una manichetta. Accanto c'era però un'accetta appesa al muro. La strattonò. Appena in tempo per ruotare su se stessa e colpirci uno dei cani che l'aggredivano alle spalle. Cadde addosso all'altro che stava arrivando, con un latrato assordante. Quei due a terra, si voltò per affrontare gli altri tre. L'avrebbero ferita, già lo sapeva. Doveva però arrivare a tutti i costi a quella porta. Fece roteare l'accetta a destra e a sinistra davanti a sé. Il cane più avanti, nero, arretrò. Questo le diede spazio di rincorsa, fece tre passi lunghi, si sollevò in aria a tuffo verso le tre fiere, fece una capriola in aria e un'altra non appena toccò terra. Si rialzò subito e diede una spallata alla porta davanti a sé. Era chiusa. L'avrebbero sbranata. Non aveva altre vie di fuga.
Nella notte Andrea si mise di colpo seduta sul letto, urlando disperata. Aveva gli occhi pieni di lacrime e tremava come un cucciolo. Quando capì dov'era, si mise le mani sul viso e scoppiò in un pianto di terrore. Era un incubo, terribile, ma pur sempre solo un incubo. Solo più realistico del solito. Senza riflettere, prese il cellulare sopra il comodino. Non si accorse cosa faceva, fu un gesto automatico, ancora nel pieno della crisi di panico.
"Pronto?" La voce di Steve era assonnata.
"Steve?"E scoppiò a piangere più forte.
"Andrea, che ti è successo? Dove sei?" Adesso era sveglio e molto preoccupato.
"Sono...Nel sogno...Io... Aiutami ti prego!" Non riusciva a parlare in senso compiuto, tra i singhiozzi e le lacrime.
"Un altro incubo?" Capì prontamente lui.
"Sì! Tremendo!" Ma le parole le uscivano soffocate dalla gola.
"Vuoi raccontarmelo?" Le chiese con la sua voce di miele Steve.
"No!!!Io...non...troppo paura!" Era ancora terrorizzata.
"Okay, tesoro... Non fa niente. Adesso ascoltami. Andrà tutto bene, d'accordo?" Steve le parlava lentamente, con dolcezza, con un tono autoritario, ma allo stesso tempo rassicurante.
"Mmmhhmmm....Okay..." si lasciò cullare lei, ma si capiva che ancora tremava.
"Adesso fai un bel respiro profondo... Brava." Le disse quando sentì che lo stava seguendo. "Un altro. Più profondo. Adesso trattieni l'aria per un secondo. E ora ributtala fuori con forza. Brava. Sei bravissima!" La incoraggiò. "Sei al buio o hai acceso la luce?"Le chiese.
"Sono al buio." Rispose lei con un filo di voce. L'aveva presa per mano e la stava guidando. E lei lo lasciava fare.
"Accendi una luce. Dimmi cosa vedi intorno a te."
"La porta della camera." Rispose lei dopo aver acceso l'abat-jour sul suo comodino.
"Poi? Non hai mobili in camera tua?" La incoraggiò ancora lui.
"Sì,c'è il comò e in fondo l'armadio." Continuò lei, non capiva il perché di quelle strane domande. Le sue sopracciglia si sollevarono.
"Sono aperti o chiusi?" La interrogò.
"Chiusi." Rispose lei. Continuava a non commentare.
"Dimmi il colore del primo vestito che ti viene in mente quando pensi al tuo armadio." La sua voce era così rassicurante!
"Penso al mio tubino nero, non lo metto quasi mai, ma so sempre in che posizione è tra le stampelle." Adesso era finalmente riuscita a pronunciare una frase di senso compiuto. Anche se ancora non era in grado di formulare domande.
"Brava, va bene così. E, se come immagino, in uno dei tuoi cassetti c'è la tua biancheria intima, dimmi di che colore sono i tuoi slip preferiti e di che modello sono."
"Il mio preferito in assoluto è il tanga color oro." Rispose lei con convinzione.
"Sì, me lo ricordo sotto una nuvola di gonnellina bianca." Sogghignò Steve.
"Ehi!Ti ho chiamato perché ero nel panico, non per fare sesso telefonico!" Sorrise adesso Andrea.
"E infatti, adesso il panico è svanito. Sono riuscito a tirarti fuori dal tuo incubo..." quasi si vantò lui.
"E' vero! Non so neanche come ci sei riuscito, ma adesso sto meglio." Confermò lei davvero stupefatta. "Grazie!" La sua voce era tornata limpida.
"E' stato un piacere." Andrea se lo immaginò ad inclinare la testa di lato come un antico cavaliere di fronte ad una dama. Sorrise a quell'immagine.
"Adesso dovresti andare a bere un po' d'acqua: il panico di solito disidrata il corpo." Le suggerì lui dolce.
"Okay, dottore. Ecco, mi sto alzando, accendo la luce in corridoio..." la similitudine le provocò un brivido lungo la schiena e per scacciare il ricordo proseguì: "Ci sei? Non te ne andare ancora per favore!"
"Sono qui al tuo fianco, non me ne vado se non lo vuoi tu!" La coccolò.
"Grazie"ripeté.
Si avviò in cucina, accese un faretto sopra i fornelli, si diresse verso il frigorifero.
Era in piedi davanti allo sportello, con la mano già protesa, quando il suo sguardo venne attirato da un post-it verde fosforescente attaccato con una calamita. Il suo cervello, mentre i suoi occhi registravano l'immagine, aveva percepito uno sbaglio. Così, il lato cosciente, le aveva imposto di ritornare su quell'oggetto che, primo, non doveva essere lì; secondo, non era la sua scrittura.
Lo sfilò da sotto la calamita e lo lesse:
When you're scared and you're lost, be brave. I'm coming to hold you.
La sua bocca si aprì dalla meraviglia. Com'era possibile che fosse lì? Era quasi certa che fosse di Steve, ma perché era lì? E come sapeva che sarebbe stata la giusta cosa da dire?
"Andy, tutto ok? Non ti sento più muovere." Parlò la sua voce dal telefono.
"Quando mi hai lasciato questo post-it sul frigo?" Chiese lei ignorando il resto.
"Ah, quello. La mattina che mi hai cacciato fuori di casa. E' il mio nuovo verso per la tua canzone. Pensavo l'avessi trovato già da un po'..." Le spiegò con sincerità.
"Io...No! L'ho visto solo ora. Ma le tue parole... Come facevi a sapere...?" Non sapeva cosa dire, le sembrava di vivere una magia.
"No, non sono un mago, se è questo che stai pensando!" Rise lui. "E' solo che ho letto il dolore che nascondi. Nella mia professione pochi piccoli indizi ti aiutano semplicemente a fare due più due. E quando ho... dormito con te tu hai avuto un altro incubo, te ne ricordi?" La sua spiegazione in effetti era tutto tranne che magica.
"Sì, me ne ricordo. Vagamente. Ricordo che mi hai cullata anche quella notte e tranquillizzata e mi sono riaddormentata fra le tue braccia. E' stato carino da parte tua!" Lo disse come se fosse una domanda, perché proprio non riusciva a capire perché lui fosse rimasto lì con lei quella notte.
"Sì, bé... strano che te ne ricordi. Eri così ubriaca!" Aveva bisogno di capire quello che si ricordava di ciò che era successo un paio d'ore prima dell'incubo.
"Infatti, non riesco a ricordare come fossimo finiti a letto insieme..." Mentì lei.
Steve l'aveva rifiutata anche quella volta, quando aveva provato a spogliarlo. Su questo punto era coerente. L'unica differenza era che quel pomeriggio al parco lei non voleva davvero fare sesso con lui, mentre la prima volta lo avrebbe scopato e poi buttato via. Adesso non era più così sicura che sarebbe riuscita la mattina a cacciarlo via.
"Ah, ecco!" Respirò Steve sollevato. Era ancora convinto che se lei avesse saputo la verità, non sarebbe più riuscita a fidarsi di lui e della sua... professionalità.
"Come stai? Ti senti meglio adesso?" Ritornò al problema principale.
"Sì, meglio. E' passato." Sospirò. "Ho fatto bene a chiamarti. Sei stato davvero bravo. Ho pensato che hai ragione tu: io ho bisogno del tuo aiuto, voglio che tu faccia sparire questi incubi, che tu mi rimetta in carreggiata." Poi però si morse il labbro inferiore perché era incerta se proseguire. Alla fine, dovette continuare per forza. "Quando starò meglio, però, non avrai più scuse. Nonostante quello che pensi di me, oggi al parco non ti stavo prendendo in giro. Mi credi?"
"Sì, ti credo. Scusami se ti ho offesa. Non era mia intenzione." La sua voce dimostrava che era davvero dispiaciuto. "E' che tu non ti rendi conto di quanto puoi far girare la testa ad un uomo quando fai così la pazza!" Sdrammatizzò lui, anche se il suo cuore urlava di gioia per quelle parole inaspettate.
"Non lo faccio di proposito. Anzi, il più delle volte sono piuttosto scontrosa!" Cercò di difendersi.
"Sì, rasenti quasi l'acidità!" rincarò la dose lui.
"Tu hai proprio una brutta opinione di me, vero?" cercò di capire cosa aveva pensato realmente di lei. "...bé lo posso anche capire. Io però ora farò la brava... per te e poi... poi non ci saranno più scuse!" Era quasi una minaccia, giocosa, ma terribile: doveva sapere che non avrebbe fatto finta di nulla, anzi! Era sua intenzione avvicinarsi ancora di più a lui. Questo pensiero le fece pizzicare di nuovo il cuore.
"Ah!" inspirò Steve divertito ed eccitato allo steso tempo, "vorrà dire che nel frattempo, mi guarderò le spalle! Voglio però che tu sappia che non ti garantisco che tu sia obbligata a venirmi a cercare..." Sincerità per sincerità, doveva sapere che non la rifiutava perché non le piaceva, ma perché era meglio per lei.
"Bene, bene, senti, senti..." la sua testa ondeggiò come quella di un incantatore con il suo serpente, mentre le tornava l'acquolina in bocca. "Ci sto! Che la caccia abbia inizio, allora! Sognami poeta, adesso devo andare. Ti ringrazio, di tutto. Ti chiamo domani."
"Buonanotte tesoro. A domani." E chiuse la chiamata.
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