CAP 4 SILENZI
Erano già le due.
Nella sala d'attesa erano rimasti solo Andrea e Simon. Simon dormiva sdraiato sul divanetto accanto ad Andrea, la testa sulle sue gambe. Era sereno, nonostante lo scontro. Non aveva mai pensato che fossero stati davvero in pericolo. Conosceva bene Andrea anche in questo aspetto. Per un po' aveva seguito lezioni di kick-boxe con lei. Aiutava molto a scaricare le tensioni. Poi Andrea era diventata sempre più brava, aveva partecipato a parecchi campionati internazionali, si era qualificata piuttosto bene, anche. Quando l'età non le aveva più permesso di essere competitiva, il suo sport preferito era diventato il modo per mantenersi in forma e in equilibrio sul bordo del baratro.
Kick-boxe e musica e passa la malinconia! Ma i suoi occhi non sorridevano mai quando lo diceva.
Andrea aveva ripensato a ciò che era successo, mentre aspettavano che raddrizzassero il naso a Steve. La scarica d'adrenalina che l'aveva pervasa mentre stendeva quei due, si era esaurita troppo presto. Adesso, a sangue freddo, analizzava l'accaduto. Con tristezza, dovette ammettere che non aveva provato il panico dei suoi amici; non aveva provato rabbia nel vedere il volto di Steve coperto di sangue; non aveva neanche provato una sana soddisfazione nel picchiare quei due stronzi. Il suo corpo aveva reagito, il suo animo no! Nessuna emozione...
Non riusciva a decidere se era un bene oppure no. Soffocare il dolore stava diventando piuttosto semplice per lei, quasi come quando faceva gli esercizi in palestra: i pesi diventavano ogni giorno più leggeri.
Ma stavano scomparendo anche tutte le altre emozioni. Tenerne a bada una aveva significato schiacciarle tutte? Era questo che le era successo? Era diventava insensibile a tutto?
Continuava a fissare un quadro dove due sdraie erano state lasciate piegate vicino alla riva di un fiume. Guardava quell'acqua scorrere rappresentata così bene, i suoi pensieri scorrevano via veloci allo stesso modo.
Un telefonò squillò in lontananza, in un ufficio lontano dalla sala d'aspetto. Poi all'improvviso la porta in fondo al corridoio si aprì e ne uscì un infermiere. Spingeva una sedia a rotelle. Sulla sedia c'era Steve. Il naso incartato in un enorme fasciatura che gli copriva parte degli occhi. Sotto gli occhi, due chiazze nere bluastre convergevano verso il naso e sparivano sotto le bende.
Andrea lo guardò avvicinarsi. Steve la fissava, la mente piena di domande. Decise di porre la più facile, per ora.
"Siete ancora qui? Potevate andare a casa."
Non era un rimprovero, anzi. Quelle parole suonavano di più come un ringraziamento.
"Già..." rispose Simon che Andrea aveva costretto a svegliarsi, "ma abbiamo aspettato!" E si stiracchiò. Nel tono della sua voce c'era nascosta una domanda, come se neanche lui avesse capito perché avevano aspettato.
"Stai bene?" Chiese Andrea ignorando l'amico. "Hai un aspetto orribile!" E sorrise.
"Sì, tutto ok. Mi hanno raddrizzato il naso. Molto doloroso, ma piuttosto veloce. Il dottore dice che tornerò presto bello come prima!" Avrebbe voluto sorridere ma muovere i muscoli del viso gli provocava dolore, quindi rinunciò.
"Sì, te lo garantisco. Il mio si è rotto due volte, ma non ne è rimasta mai traccia." Lo consolò Simon sbadigliando ancora.
"Vieni, ti riaccompagniamo a casa." Rise Andrea e lo aiutò ad alzarsi dalla sedia a rotelle. Aveva il naso rotto, quindi poteva anche camminare con le sue gambe.
Scesero due piani in ascensore, ritrovandosi nell'atrio dell'ospedale.
"Vado a prendere la macchina..." si offrì Simon, allungando la mano verso Andrea.
"Grazie" gli rispose la ragazza mettendogli in mano le chiavi.
Mentre Simon si allontanava, Andrea si rese conto che era rimasta sola con Steve, che sicuramente aveva parecchie cose da chiederle, ma a cui lei non aveva nessuna intenzione di rispondere. Nonostante quello che era successo, quel ragazzo continuava ad infastidirla, non sapeva neanche lei bene perché.
"Tu stai bene?" Le chiese Steve.
"Sì, tutto okay." A questa domanda poteva rispondere con facilità.
"Grazie per avermi aiutato. Mi sento un idiota. Difeso da una ragazza. Ci può essere umiliazione più grande?" Le sue spalle andavano sempre più giù ad ogni parola. Quel ragazzone altissimo diventò piccolo piccolo.
Andrea lo guardava a disagio. Doveva dire qualcosa per farlo sentire meno in imbarazzo. Ma rispose secca.
"Non c'è di che!"
Andò verso Simon che arrivava con la sua Barchetta. Avrebbe preferito lasciarlo lì e levarsi di torno, ma Simon chiese prima che lei potesse avvisare che se ne andava: "Dove ti portiamo, splendore?"
"Ho la macchina nel parcheggio del pub." Rispose asciutto Steve.
Si aspettava almeno la derisione da parte di Andrea, magari non spiegazioni sul perché era riuscita da sola a sbaragliare quei due, ma qualcosa di più di quella risposta scocciata. Lasciò quindi correre, accontentandosi del silenzio e salì in auto.
"Comunque, io sono Simon." si presentò da solo, visto che Andrea non lo aveva ancora fatto. Era evidente che non ci teneva a far entrare Steve nella loro cerchia, ma così stava andando ben oltre la maleducazione!
"Steve." allungò la mano per stringere quella di Simon. "Grazie di tutto!" precisò.
Simon annuì poi si spostò sul sedile del passeggero e si allungò per aprire la portiera ad Andrea. Ma lei non salì. Gli fece cenno di no con la testa e disse: "Portalo tu alla macchina. Io vado a piedi a casa, sono vicina. Ti aspetto dopo pranzo."
"Okay, tesoro. Come vuoi tu." E si mise di nuovo alla guida. Steve si sedette al suo fianco. Simon guardò prima Steve e poi di nuovo Andrea. Accese il motore, aspettandosi che i due si salutassero, invece Steve abbassò lo sguardo mentre Andrea girò i tacchi avviandosi verso casa. Voleva allontanarsi il più possibile da quel maledetto poeta.
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Alle tre del pomeriggio Simon suonò al campanello di Andrea. Viveva in una palazzina di soli tre appartamenti. Il suo aveva l'ingresso autonomo con una scala che saliva laterale alla facciata. Non era una casa grande, ma scenografica. All'ingresso c'era un'enorme vetrata curva che nascondeva l'angolo cottura. Ci si ritrovava subito nel soggiorno, dove Andrea aveva posizionato due enormi divani grigio antracite uno di fronte all'altro. A separare la cucina dal soggiorno c'era un lungo buffet bianco lucido su cui spiccava un enorme schermo al plasma. Le tonalità erano sempre sul bianco, le pareti, il parquet, le finestre e le tende. L'enorme tappeto di lana su cui poggiava un tavolino da fumo bianco, era grigio perla. Il tavolo da pranzo era d'acciaio bianco con il piano in vetro, le sedie erano completamente trasparenti. I mobili dell'angolo cottura erano bianchi, ma di frassino decapato invece che lucidi. E il ripiano della cucina era di un marmo bianco con striatura grigie. Due enormi vetrate prendevano tuta la parete opposta all'ingresso. Da lì si usciva sul terrazzo dove d'estate Andrea offriva sempre spettacolari barbecues.
Un piccolo corridoio portava alla zona notte. Era la parte che Simon conosceva meglio. Guardando il soggiorno illuminato dal sole estivo si chiese quante volte lo aveva visto di giorno, ma non riuscì proprio a ricordarlo.
Andrea uscì dal corridoio con indosso un enorme asciugamano celeste. I capelli bagnati le ricadevano sulle spalle e lei se li strofinava con un altro asciugamano più piccolo.
"Buongiorno, Andy. Ti ho riportato la macchina. E' proprio qui davanti alla tua scala." La salutò Simon.
"Grazie, sei stato proprio un amore! Hai già preso il caffè?" Chiese cordiale.
"No, sono venuto appena mi sono svegliato. Mi sembra che anche tu sia sveglia da poco." Azzardò sapendo che la prima cosa che faceva Andrea appena sveglia era la doccia.
"Sì, poco fa. Hai fame, allora? Pranziamo insieme?"
Oggi era proprio di buon umore, pensò Simon.
"Buona idea! Vestiti. Chiamo Jake? Non gli abbiamo ancora fatto sentire la nuova canzone?" La rimproverò.
"Okay, dammi cinque minuti. Dove andiamo a mangiare?"
"Sorpresa. Ti porto in un posto nuovo. Oggi è domenica e non abbiamo fretta, giusto?"
"Sì, solo che vorrei essere a casa per le otto, se possibile..."
"Devi passare da tuo padre? Come sta?"
Sapeva che la domanda poteva far scomparire l'allegria di Andrea in un colpo solo, ma lei non ne parlava più da settimane e lui aveva bisogno di sapere quale era la situazione. Doveva preparare il colpo. Non aveva idea di come Andrea avrebbe reagito. Quando era morta la madre aveva pianto sulla sua spalla per un mese. Non era riuscito a consolarla, fino a che una mattina si era presentata a scuola di nuovo vestita di tutto punto. Lui aveva pensato che avesse assorbito il colpo. Invece il cuore di Andrea era morto quella notte. Simon si era dato un'unica spiegazione: spirito di sopravvivenza. Quando aveva capito che avrebbe perso la battaglia con il dolore, quando si era resa conto che la cicatrice sarebbe rimasta per sempre, aveva buttato il suo cuore, fonte del dolore. Come un soldato a cui tagliano un piede per evitare che la cancrena si diffonda.
La sua allegria era svanita, era rimasta solo l'ironia. Il suo affetto, anche se tra loro non c'era mai stato amore, era diventato fredda praticità. Sapeva che da qualche parte gli voleva ancora bene, la loro amicizia non aveva mai vacillato, ma il divertimento che si concedeva Andrea mentre scopavano, non aveva niente a che fare con la dolcezza che aveva sempre avuto Andrea fino a quel momento.
Poi era partita per il Master a Londra e quando era tornata era la regina del ghiaccio. Sempre lei da fuori. Ma per lui che aveva conosciuto la ragazzina gambelunghe, questa nuova Andrea non era altro che un fantasma, un vacuo ricordo del fuoco che emanava prima Andrea.
Era logico che fosse preoccupato per la bomba ad orologeria che stava per esplodere. Una parte di lui sperava che creasse disequilibrio e che Andrea ricadesse nel baratro, così forse ne sarebbe uscita in maniera diversa.
Non gli aveva ancora risposto. Così decise di avvicinarsi a lei e le baciò le spalle nude. Lei spostò la testa e i capelli, cadendo di lato, scoprirono il collo ancora umido. Simon lo leccò fino a dietro l'orecchio. Lei sospirò di piacere, ma non si scostò. Era fatta! Simon tirò l'asciugamano che cadde sul pavimento. Seguì con le mani il contorno minuto della vita di Andrea e risalì sul davanti fino al seno. Quando i capezzoli si trovarono in mezzo ai suoi palmi, premette. Un gemito uscì dalla bocca della ragazza. Era in attesa. Simon si accostò a lei stringendola a sé. Era già eccitato e lei sorrise. Poi si piegò in avanti e si appoggiò alla spalliera di uno dei due divani. Si voltò, lo pietrificò con sguardo assetato e divaricò le gambe. Simon slacciò i jeans e fece scivolare i boxer a terra. Andrea si voltò verso la finestra e lui la penetrò, quasi con cattiveria. Sapeva che per lei la quasi violenza era un modo per supplire l'assenza della dolcezza di un tempo. L'avrebbe tanto voluta baciare dappertutto, ma rischiava di diventare troppo intimo e l'illusione troppo perfetta anche per lui. In quei momenti di svago, come li chiamava lei, avrebbe potuto anche amarla. Le sue natiche sui suoi fianchi lo mandarono in estasi. Era capace di resistere ore con lei prima di venire, semplicemente perché non si permetteva mai di illudersi. Uscì da lei e sfilò un preservativo dalla tasca dei jeans. Si levò la maglietta. Strappò l'involucro. Lei non si muoveva. Aspettava. Infilò il preservativo ed entrò lento in lei. Eppure era sempre così calda. Ghiaccio bollente. Quanto sarebbe stato bello poterla amare davvero!
Iniziò ad ondeggiare delicato, la sentì sospirare di piacere. Si piegò in avanti e si appoggiò alla sua schiena. Una mano si intrecciò a quella di lei aggrappata alla spalliera del divano. L'altra seguì il contorno del fianco destro e arrivò veloce al suo clitoride. Due dita della mano si mossero leggere al ritmo delle sue spinte. Stavano ansimando all'unisono. Quanto era bello poterla avere, anche solo così. Un secondo dopo la sentì venire e lui non volle resistere più e venne con lei. L'aveva sentita urlare di piacere parecchie volte, prima, ma ora godeva, ma non urlava più. La sua mente era sempre vigile, anche in quei momenti. Peccato!
Sì, se fosse rimasta la ragazza di cui si era innamorato al liceo, l'avrebbe amata per sempre, ma così... così no, non riusciva ad amarla più così, anzi. A volte ne era addirittura spaventato.
Le appoggiò la testa sui capelli e aspettò che lei si muovesse.
Gli venne in mente lo sguardo di lei la sera prima, niente panico, niente paura, solo un ghigno divertito. Lo aveva gelato con quanta freddezza si era gettata sui due. Con quanto autocontrollo li aveva schiacciati in due mosse. Simon sapeva che li avrebbe battuti senza problemi, ma vederla trasformata in quella macchina letale era comunque sconvolgente.
Andrea alzò la testa e lui si scostò da lei. Si tolse jeans e boxer e andò in bagno. La loro confidenza arrivava lì. Lei non sarebbe mai entrata in bagno mentre c'era lui. Scopare sì, convivere no! Ecco perché.
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