Achille e Patroclo
Ettore, come vide il magnanimo Patroclo tirarsi indietro, ferito dal bronzo puntuto, gli balzò addosso in mezzo alle file, lo colpì d'asta al basso ventre: lo trapassò col bronzo.
Come quando un leone vince in battaglia un cinghiale indomabile, – essi superbamente han combattuto sui monti per una piccola polla: volevano bere entrambi – e infine con la sua forza il leone vince l'altro che rantola;
così il Meneziade, che già molti ammazzò, Ettore figlio di Priamo privò della vita con l'asta, e gli disse vantandosi parole fuggenti:
<<Patroclo, tu speravi d'abbattere la nostra città, e alle donne troiane togliendo libero giorno, condurle sopra le navi alla tua terra patria, stolto! (...)Pazzo! Achille, per forte che sia, non ti potrà proteggere, egli che, forse, restando, a te che partivi raccomandò molte cose:
"O Patroclo cavaliere, non mi tornare davanti, alle concave navi, prima che d'Ettore massacratore l'insanguinata tunica intorno al petto tu stracci". Così certo, ti disse, stolto, e persuase il tuo cuore>>.
E tu rispondesti, sfinito, Patroclo cavaliere:
<<Sì, Ettore, adesso vantati: (...) Altro ti voglio dire e tientelo in mente: davvero tu non andrai molto lontano, ma eccoti s'appressa la morte e il destino invincibile: cadrai per mano d'Achille, dell'Eacide perfetto>>.
Mentre parlava così la morte l'avvolse, la vita volò via dalle membra e scese nell'Ade, piangendo il suo destino, lasciando la giovinezza e il vigore.
(...) Saputa la notizia, una nube di strazio, nera, avvolse Achille:
con tutte e due le mani prendendo la cenere arsa
se la versò sulla testa, insudiciò il volto bello;
e poi nella polvere, grande, per gran tratto disteso,
giacque, e sfigurava con le mani i capelli, strappandoli..."
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Il giovane Antiloco risalì l'alta collina dove erano state piantate le tende dei Mirmidoni, l'elmo risplendente in una mano e la lancia rimasta sul campo di battaglia, probabilmente nel corpo di un soldato troiano. Il Sole era rosso all'orizzonte, e le acque del mare cantavano una canzone funebre, quasi preannunciando ciò che avrebbe dovuto dire il giovane soldato al suo comandante.
- Achille. -
La sua voce non sortì nessun effetto all'imponente figura davanti a lui. Stava scrutando qualcosa, là tra le onde, ma i suoi occhi non cercavano i flutti che svanivano, non seguivano il movimento dell'acqua salina, erano fermi, immobili come anche il resto del corpo. Solo i capelli dorati seguivano la cresta del vento, ma neanche questo movimento era fatto di sua spontanea volontà.
- Achille, è accaduto ciò che non doveva accadere. -
Antiloco strinse il pugno, gli occhi sarebbero stati umidi se solo non avesse passato l'intera sua vita a dover nascondere le sue debolezze. Suo padre - Nestore, soldato famoso per la sua temperanza - lo rimproverava quando era bambino se vedeva i suoi occhi bagnarsi, le sue grosse mani raggiungevano il suo volto quando vedeva nel figlio anche solo un accenno di qualcosa di diverso dalla determinazione e dalla fermezza.
Sii uomo. Diceva. Tua madre non ha sofferto così tanto per darmi un erede effemminato a cui starebbero bene le perle ed i bracciali dorati delle ancelle. Aveva pianto per le parole che gli diceva, ma nel tempo aveva imparato a reprimere questa parte di lui, ad essere un buon primogenito per la sua famiglia. Diventato abbastanza grande si era diretto verso Troia, per seguire le orme del padre ed essere un valoroso soldato, ma Nestore si adirò a tal punto di una scelta così precipitosa che Antiloco fu costretto a chiedere l'aiuto di Achille per fare da mediatore e placare il suo animo.
Divennero amici, si allenavano con spade e scudi ogni giorno e con lui, Antiloco, si sentiva di essere ciò che doveva essere, senza alcuna finzione, ritenendolo più prezioso di un fratello. Fu anche inevitabile per lui notare il rapporto tra Achille e Patroclo, tanto intenso quanto pericoloso. Aveva infatti sentito delle voci che giravano nelle corti, molte delle quali vedevano il figlio di Teti morire per aver amato troppo, ma mai aveva creduto fossero reali profezie dettate da divinità.
I colloqui tra i due duravano a lungo e Antiloco sospettava che fossero amanti, oltre che buoni amici. Aveva visto la luce sul volto di Achille proiettata grazie al sorriso di Patroclo, le occhiate - fin troppo amichevoli - che erano soliti lanciarsi, come un gioco di sguardi, in cui il solo vincitore era Eros.
È per questo che, risalita la collina ed osservato i muscoli tesi dell'amico, il quale aveva acconsentito a Patroclo di andare in battaglia con la sua dorata armatura per dare forza ai soldati greci, ad Antiloco venne quasi da vomitare nel pronunciare le sentenziali parole.
- Patroclo è morto. -
I timpani di Achille si arrotolarono su se stessi, rinchiudendo il suono della frase appena uscita dalle labbra del giovane in una prigione, per far sì che l'effetto di esse non lo raggiungesse.
Patroclo? Morto? Non era possibile, aveva incrociato il suo sguardo luminoso appena quella mattina, lo aveva visto galoppare via, l'elmo dorato - il suo elmo dorato - risplendente alla luce appena sorta. Aveva stretto la sua mano quella notte stessa, ed era calda, rosea e piena di graffi causati dall'armatura; Achille lo prendeva sempre in giro per questo, chiedendogli perché non usasse un tessuto più resistente da mettere sotto i pezzi di metallo, e lui rispondeva sempre che era abituato e non gli dava fastidio, soprattutto perché le cicatrici lo rendevano più attraente.
- Ettore lo ha ucciso e gli ha tolto le armi. Si combatte sopra il suo corpo. -
Non tanto la voce fin troppo seria dell'amico, ma il significato della sentenza da lui emessa lo colpirono in volto come uno schiaffo, distruggendo totalmente le barriere appena create. Si sentiva vuoto, inconsistente, come se avesse appena nuotato in un fiume ghiacciato e non percepisse più il senso di tatto del corpo. I suoi occhi, senza che se ne accorgesse, si sbarrarono, e passarono diversi secondi prima che le palpebre si ricongiungessero.
Le sue gambe erano tentate di muoversi verso lo strapiombo e di lanciarsi nel vuoto, per cercare di fuggire dal dolore troppo intenso che gli affliggeva il cuore. Sarebbe stato un sollievo non sentire più il terreno sotto i piedi, cadere giù, sempre più giù, ma le sue forze si erano esaurite. La sua energia si era spenta, così come il Sole che illuminava i suoi giorni.
Sentiva freddo, eppure il vento che soffiava da oriente non era mai stato così caldo.
Antiloco fece per aggiungere qualcos'altro ma venne interrotto da un grido gelido, pieno di odio e sofferenza che gli fece accapponare la pelle.
Il figlio di Teti era a terra, non ricordava quando ci si fosse buttato, ed afferrò i deboli steli d'erba, strappandoli dal suolo con la stessa violenza con cui avrebbe voluto aprirsi il torace per mettere fine ad uno strazio simile.
Le sue urla erano come imposte dal cuore, le sue membra si sforzavano pur di aumentare la voce, pur di vincere ogni barriera e spezzare in mille pezzi i colpevoli di un tale massacro. Non provava niente, eppure era tanto il combustibile che alimentava il fuoco nel suo petto, un incendio che presto sarebbe dilagato, raggiungendo ogni singolo centimetro della sua pelle. Sperava di bruciare con esso, sperava di morire tra le proprie grida, incitando i troiani a morire con lui.
Patroclo era morto.
Persino la sua mente stentava ad elaborarlo.
Il suo cadavere era pieno di polvere, calpestato da migliaia di soldati che tentavano di prenderselo come se fosse un trofeo.
Digrignò i denti, gli occhi serrati e la testa a terra, i riccioli biondi erano ormai sporchi di una poltiglia creata dalle sue lacrime e dal terreno. Si immaginò il sorriso di Patroclo gentile ed audace, cercò tra i suoi ricordi la sua liscia pelle, risentì le sue dita su di lui, i ciuffi castani sparsi leggeri sul suo cuscino.
Un corpo morto non può sorridere, né muovere gli arti per toccare le cose.
Un corpo morto deve stare immobile in eterno, più freddo dei laghi in cui si era immerso quando il suo cuore batteva.
Voleva dare l'ordine ad Antiloco di prendere una torcia e bruciare l'intero campo di battaglia, non gli interessava se sarebbero rimasti carbonizzati anche soldati achei, non gli interessava se le sue stesse navi sarebbero bruciate o se lui stesso sarebbe rimasto intrappolato nelle rosse fiamme, ma la sua gola non riuscì a far altro che emettere grida.
Prese la cenere del fuoco rimasta dal giorno prima, quando ancora due cuori battevano all'unisono, uno vicino all'altro, giurandosi fedeltà eterna, e se la versò - quasi inconsapevolmente - sul capo, venendo così circondato da una nube grigia, soffocante.
Non riusciva a percepire altro che odio, disprezzo verso qualcuno che nemmeno lui riconosceva, un dolore al petto nemmeno comparabile a tutte le ferite recatogli da altri negli anni.
Se avesse scelto di vendicare Patroclo, questo già lo sapeva, la sua morte sarebbe arrivata prematuramente, il suo destino si sarebbe interrotto e avrebbe viaggiato insieme a tutte le altre anime verso il posto più buio dell'universo; se invece avesse scelto di ripartire e lasciare gli achei, la sua vita sarebbe continuata, avrebbe potuto cercare un altro per rimpiazzare il vuoto lasciatogli nel petto da Patroclo, e forse avrebbe trovato di nuovo la felicità.
Un'anfora infranta, ecco come si sentiva; un mucchio di cocci di creta che affondava in una densa palude nera, che lentamente ma inesorabilmente sarebbe stato risucchiato da qualcosa di più grande e potente.
Si chiese se valesse ancora la pena di lottare per qualcosa.
Si alzò di scatto, ignorando il cumulo di cenere che cadde dal suo capo e chiudendo le mani in due pugni che tanto avevano lottato.
Non sarebbe fuggito.
Non per questione di onore, né per ragioni legate ai patti presi con i diversi re greci.
Avrebbe affrontato colui che aveva compiuto il crimine perché, in tutta la sua vita, non aveva mai desiderato di morire così ardentemente. Il suo corpo poteva anche essere immortale, ma la sua anima era quella di un essere umano, infrangibile come un pezzo di legno secco e più fragile di un neonato in fasce.
Non voleva continuare con la sua vita perché semplicemente dentro di lui non c'era più niente che potesse effettivamente viverla, per cui tanto valeva morire.
L'anima di Patroclo ormai aveva lasciato il suo corpo, era andata in un altro posto, diverso da quello in cui si trovava lui. Il ragazzo che tanto aveva amato non esisteva più, per cui per Achille era più rassicurante pensare che era il mondo su cui adesso stava poggiando i piedi a non esistere, e che l'anima del suo amante in realtà era finalmente reale, più solida di quanto mai era stata.
-Ti raggiungerò. - Sussurrò, prima di prendere la spada e lanciarsi nel campo di battaglia.
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Ehilà,
grazie davvero per aver letto Orfeo ed Euridice, mi aspettavo veramente che non lo guardasse nessuno; ogni lettore è importante per me.
La one-shot di oggi riguarda una coppia che mi è sempre piaciuta, sia perché, dai, sappiamo tutti che probabilmente erano entrambi due bei fusti, e sia perché - in parte - sono loro la causa della svolta nella guerra, finita poi con la vittoria degli Achei.
Sì, io ho sempre tifato loro, per quanto Ettore possa essere attraente.
Se vi è piaciuto questo breve racconto lasciate una stellina ⋆
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