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CAPITOLO12

BIANCA (prima parte)

Seduta al tavolo del Burgher Queen guardavo distratta la gente entrare ed uscire. C'erano parecchie persone a quell'ora della sera, per lo più ragazzi universitari delle diverse facoltà.

Era un posto di ritrovo per la maggior parte di loro. Un luogo dove socializzare. E per me un posto in cui riflettere.

Ci andavo spesso prima di rincasare, visto che si trovava proprio sotto casa. Era un ambiente tranquillo anche se rumoroso.

Il frastuono era diventato rassicurante per me: io la chiamavo la voce del chiasso. Quel caos che avevo rischiato di perdere, ma che per fortuna esisteva ancora. Era un modo per accertarmi che non era cambiato niente...

Una cameriera, in divisa bordeaux, posò sul mio tavolo il frappè alle fragole che avevo ordinato e uno scontrino.

Non era l'ora per un frappè, ma avevo bisogno di qualcosa di dolce per calmare la tensione che mi sentivo addosso.

"Grazie" le dissi prima che si allontanasse sorridente.

Abbassai il capo e mi concentrai su quel lungo bicchiere da cui sporgeva una cannuccia rosa e sul cui bordo era piantata una grossa fragola.

Chissà dove le avevano prese le fragole, mi domandai. Non erano ancora di stagione...

Nel mio silenzio forzato ripensai a quel ragazzo con tristezza e sospirai...

Non si era presentato all'appuntamento poi. Chissà quali tormenti e angosce stava vivendo per decidere di non venire. Sapeva avrebbero potuto esserci delle conseguenze pesanti, ma ciò non lo aveva fermato.

Era per questo motivo che alla fine avevo deciso di non segnalarlo, non volevo metterlo nei guai più di quello che già aveva. Chissà quanto si era angustiato.

Ma poteva stare tranquillo.

Volevo parlare con lui prima, cercare di capire che cosa lo spingesse a comportarsi in quel modo...

Fu in quel momento che qualcuno si fermò davanti al mio tavolo, sospendendo la mia bevuta.

La prima cosa che vidi fu una mano dal dorso tatuato di nero con una scritta: NEVER QUIT.

Alzai gli occhi e trovai di nuovo i suoi.

Un brivido mi percorse da capo a piedi.

"Ancora tu!" esclamai immediatamente sorpresa.

Una fitta allo stomaco seguì le mie parole.

Non era possibile: era sempre il ragazzo del Tribunale!

Quel merdoso che voleva fregarmi il posteggio!

Che diavolo ci faceva lì? E che diavolo voleva ancora da me?

Cos'era... mi seguiva per davvero?

"Chiedo scusa se mi permetto? Ho notato che mi stavi guardando"

"Chi? Io?" ma era fuori? - gli regalai uno dei miei migliori sorrisi finti, per tornare imperturbabile un attimo dopo, "Non ti stavo guardando. Se ti avessi notato entrare nel locale, uscivo. Stanne certo!"

Cambiò tattica.

Si schermò con le mani, di fronte alla mia irritazione, quasi per difendersi.

"Ti stavo prendendo in giro, scusami... non te la sarai presa spero..." fece come risposta.

Lo fissai bieca e lui mi restituì un sorriso sornione.

Te lo spengo io quel sorriso da ebete...

"Chi, io? Compatisco sempre i deficienti, tranquillo!" feci con un gesto di sufficienza.

"Wow, c'è anche del senso dell'umorismo in te, mi piace" non mi scomposi, impassibile. Continuando a mantenere gli occhi sulle sue labbra e a sorseggiare il frappè. In attesa che si muovessero ancora...

"A parte le stronzate... io sono Omar comunque..."

Rimasi disinteressata. Come se non avesse parlato.

Sai che m'importava, mi dissi.

Il sorriso che aveva disegnato sulle labbra si affievolì a poco a poco di fronte al muro della mia espressione.

"A questo punto della conversazione tu dovresti dirmi il tuo nome" fece perplesso.

"Oh, ma davvero?" gli sorrisi finta incrociando le braccia e accavallando una gamba. Lui annuì trionfante.

Che cretino!

Sospirai e tornai a sorbire il mio frappè con noncuranza.

"Allora? Posso sapere come ti chiami?" insistette nervoso.

"Fammi pensare..." strinsi gli occhi fingendo di rifletterci, "Beh... no! Non vedo perchè"

Le sue sopracciglia saltarono in alto. Era rimasto sconcertato. Non si aspettava quella risposta.

"Cioè... non vuoi dirmelo?"

"Non mi interessa"

"Ok... va bene... d'accordo" mise le mani ai fianchi e cambiò ancora strategia, mutando espressione, "Se non vuoi dirmi il tuo nome fa lo stesso" si strinse nelle spalle, "Ok... Di solito però le ragazze che non vogliono dirmi il loro nome cercano solo una cosa..." si sedette a bordo del tavolo con confidenza.

Lo fissai truce.

Non gli avevo detto che poteva farlo!

Che sfacciato!

"Come fai a essere così sfrontato e arrogante dopo quello che hai fatto al posteggio?"

"E tu come fai a essere ancora così impertinente? Ti ho solo chiesto come ti chiami, che ti costa dirmelo?"

"NO! Ho detto che non mi va. Va bene?"

Non si mosse.

"Ok, allora ho ragione io... Di solito le ragazze che non mi dicono il loro nome cercano di attirare la mia attenzione" concluse orgoglioso, "Comunque va bene..." strinse le labbra, "Lo capisco"

Mi accigliai.

Capisco cosa?!

Ma era fuori di testa!

Non cercavo affatto di attirare la sua attenzione. Non me ne fregava niente di averla...

"Santo cielo! Stai insinuando che tu mi interessi sul serio?!"

"Non è così?"

Issai le mani incredula.

Sfacciato e presuntuoso!

Basta!

Posai il bicchiere vuoto sul tavolo insieme alle monete e allo scontrino.

"Dovrei essere presa davvero male se mi interesse attirare la tua attenzione" feci con disgusto.

Mi alzai e misi la borsa a tracolla pronta ad uscire.

Non intendevo portare avanti quel teatrino un minuto di più.

Mi fermò issandosi in piedi a sua volta e mi si parò di fronte alzando di nuovo le mani.

"Aspetta! Non vorrai andartene?"

"Ma dai!"

"Stavo scherzando! Non volevo farti scappare"

"Non sto affatto scappando, ho da fare"

"Tipo... bere qualcosa con me?"

Ma se ne voleva andare da dove era venuto una buona volta?

"Non bevo niente con un verme, miserabile, disonesto!"

"E pure insopportabile, non lo dimenticare"

Lo puntai sbigottita.

"Sei davvero insopportabile, lo sai? Non c'è niente da ironizzare"

"E non sai quanto, ragazzina!"

Ragazzina! Ragazzina!!!

Mmm... che nervi! Non era la prima volta che mi appellava a quel modo in senso dispregiativo...

Strinsi le dita in un pugno e chiusi gli occhi.

Serrai le labbra a trattenere l'irritazione che mi continuava a salire dentro.

Sfacciato, presuntoso e sfrontato!

"Non chiamarmi così! Va bene?" gli strepitai contro.

Mi fissò colpito dalla mia risposta, la mascella contratta.

Una specie di simulato riso sul viso. Più di imbarazzo che di altro.

"E tu dimmi il tuo nome!" sbraitò corrugando la fronte, "In che altro modo dovrei chiamarti?"

"Perchè?"

"Perchè mi piacerebbe sapere chi sei!"

"Vuoi sapere chi sono? Cosa sono in questo momento?"

"Magari!"

"Scocciata. Io sono scocciata! Va bene?" gli inveii in faccia.

Si ammutolì.

Qualcuno si girò a osservarci. Il nostro battibecco stava diventando di dominio collettivo...

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