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CAPITOLO 88

OMAR

Un brivido mi percorse da capo a piedi. Il battito del mio cuore accelerò.

Non mi aspettavo di trovarla lì.

C'ero andato per riflettere un'ultima volta.

Quanto mi era mancata! Vederla mi riempiva il cuore.

Avrei voluto averla accanto soltanto per dirglielo in quel periodo. Soltanto per dirle che avevo avuto un bisogno disperato di lei. Di averla ancora lì con me. E non averlo fatto prima era stato il mio rimorso più grande.

Eppure, nonostante tutto, mi ero alla fine convinto che lei sarebbe stata meglio senza di me. Si sarebbe rifatta una vita. Avrebbe avuto un futuro più roseo di quello che potevo offrirle.

Combattere per lei, come diceva mio padre, avevo scoperto cosa volesse dire: aveva significato salvare la sua vita perché potesse rinascere senza di me.

Il Signore mi aveva ascoltato: l'aveva salvata. Avevo sempre creduto che non ci fosse nessuno, ma ora lo sapevo... Lui c'era ed aveva ascoltato il mio cuore. In cambio gli avevo promesso persino la mia vita. Nemmeno Lui l'aveva voluta alla fine. Me l'aveva lasciata perché potessi meditare, diventare migliore e rimediassi ai miei sbagli, a quelli che avevo fatto per tutta la vita. E concedessi a lei un avvenire, quel futuro che non avrebbe avuto con me.

Ma ora, dopo averla rivista... non ce la facevo più. Sarei stato dannato per sempre, ma dovevo parlarle... fosse stato per un'ultima volta. Soltanto per dirle che ero vivo e che la lasciavo libera di continuare a vivere senza il mio ricordo. Se mai lo avesse avuto.

Poi me ne sarei andato per sempre...

Non avevo dimenticato l'ultima volta che era venuta a casa mia: avrebbe voluto da me l'ultimo chiarimento, un ultimo confronto per avere la coscienza libera e poter proseguire il suo cammino. Ne ero certo...

Ora l'avevo capito. Era ciò che voleva inconsciamente, ma io non glielo avevo concesso, le circostanze non me lo avevano permesso.

Ed ora... dovevo farlo per lei.

Si era rifatta una storia lontano da me, dovevo lasciargliela vivere senza rimorsi.

Amare significa rendere liberi ed io dovevo, anche con la morte nel cuore, renderla libera. Una volta per tutte...

...

"Ciao, Bianca"

Alzò il viso e gli occhi nei miei immediatamente a quelle due parole, il suo respiro aumentò.

Allungò una mano toccando titubante con il palmo il mio viso quasi non credesse vero quanto vedevano i suoi occhi e avesse bisogno di una conferma.

Quel tocco mi stringeva l'anima.

Chiusi le palpebre concentrandomi su quel calore.

Sgranò gli occhi incredula.

Quindi mi saltò al collo, facendomi strambare sui piedi.

"Omar!" la sua voce era rotta dal pianto, "Mio Dio, grazie! Lo sapevo che non eri morto! Lo sapevo!" ero di fronte a lei e la tenevo stretta tra le mie braccia. Entrambi con le lacrime agli occhi.

Mi aveva distrutto non poter avere quel corpo così esile, così fragile eppure di nuovo così portatore di tanta forza con sé, "Ho pregato così tanto che tu potessi tornare... ogni giorno, ogni secondo... Ma ora sei qui! Sei qui con me!" mi strinse più forte.

"Che ti è successo, Omar? Quando sono arrivata in ospedale tu non c'eri. Mi hanno detto che eri morto... è stato orribile!"

Non sapevo da dove cominciare. C'erano troppe cose da dire... da spiegare...

Ci staccammo.

Mi sedetti sul muretto accanto a lei. Avevo quasi timore a starle di nuovo a contatto. Era passato così tanto tempo da quando eravamo una coppia...

Mi guardai intorno quasi a cercare incoraggiamento in quello che vedevo. Ero consapevole voleva una spiegazione. Fu Bianca a togliermi l'indecisione.

"Hanno detto che la corrente ti ha trascinato via... cercavano il tuo corpo..."

Appoggiai i gomiti sulle gambe e unii le mani.

"E' vero in parte: la corrente mi ha trascinato via. Mi sono arenato sulla riva molto più lontano, mi ha trovato un nomade per caso. Ero più morto che vivo... Sono stato al suo campo per giorni incosciente, avevo la febbre molto alta, pensavano sarei morto... ma alla fine mi sono ripreso"

"Oh, Omar!" mi abbracciò di nuovo, "Ho pregato così tanto"

Non ricambiai l'abbraccio, restai impassibile.

Si allontanò avvilita.

"Perchè non ti sei fatto vivo, Omar? Non capisco"

"Pensavo che forse sarebbe stato meglio per tutti che scomparissi veramente, vi sareste rassegnati e sareste andati avanti e poi quel giorno... ti ho detto delle cose orribili, anche se non le pensavo..."

"Ma come hai fatto a credere una cosa del genere, Omar? A pensarla di me?" si toccò il petto angosciata.

"Lo so... forse hai ragione..." chinai il capo, "Scomparire a quel modo è stata la cosa peggiore che potessi fare, ma..."

Non mi lasciò proseguire.

"Ti credevamo morto, Omar! Hai idea di cosa abbia significato? Ero distrutta! Tutti lo eravamo!"

"Lo capisco, ma non era quello che volevo, te lo giuro... è solo che in quel momento... pensavo che per non farti del male la cosa migliore che potessi fare era starti lontano... l'avevo promesso a Dio: se ti avesse salvato, avrei sacrificato la mia vita... te n'eri andata in America del resto ed avevi un'altra storia, forse era giusto che ti permettessi di viverla"

Mi fissò con tristezza.

"Mi è sembrata un'occasione per..." m'interruppe di nuovo.

"Per cosa? Per farci morire noi veramente? Io lo sono ogni giorno, Omar... tu non hai nemmeno idea di quello che ho vissuto!" la sua voce alterata usciva stridula.

I suoi occhi erano cupi, arrabbiati, delusi.

"Sono stato un vigliacco... ti prego, scusami..." il nodo che avevo in gola quasi mi strozzava le parole, "Ma... io..."

Il mio sguardo non mollò il suo.

"In America... ti sei creata un'altra storia, lo so... ti sei innamorata di un altro" insistetti.

Dovevo sapere tutta la verità, nel mio cuore non avevo pace. Dovevo chiederle una cosa...

Alzò subito lo sguardo su di me senza parlare subito.

"Vedo che hai già deciso tutto... non hai dubbi" fece poi.

"Ma frequenti qualcuno che non sono io..." ingoiai a stento la saliva, "E credo che tu abbia il diritto di..."

"Frequentare qualcuno ha tanti significati, Omar... Ho sbagliato ad andarmene... il nostro ultimo incontro... sono stata precipitosa, a mente fredda ho ragionato su tutto: c'era un'altra spiegazione. Tu me la dovevi... sentivo che non eri stato sincero. C'era un motivo se lo avevi detto. Quando sono venuta a casa tua quel giorno volevo parlarne, ma sono state solo le circostanze che me lo hanno impedito... non io!"

Non mi aveva risposto... dovevo saperlo, una volta per tutte.

"Ma... tu lo ami? Lo ami come hai amato me?" perseverai.

Non ero sicuro di voler sapere la risposta, eppure era la sola che mi avrebbe messo il cuore in pace per sempre.

Lei si portò un mano alla fronte, nervosa.

Cominciò a camminarmi di fronte avanti e indietro, ma non rispose.

"Lo ami?" incalzai di nuovo.

Abbassò gli occhi lucidi di pianto e tornò a guardare lontano dandomi la schiena.

La raggiunsi.

Di spalle incrociò le braccia evitando ancora di replicare.

, rispose la mia mente... lo ama. Solo non sa come confessarlo...

Crollai il corpo.

Ero arrivato troppo tardi.

"D'accordo... del resto è più giusto così... io non sono la persona adatta a te... non lo sono mai stato... non posso tarparti le ali e tu meriti molto di più... Mi dispiace tanto, Bianca... la mia vita non è importante, ma la tua sì..." il groppo in gola mi rendeva difficile dire quelle cose, ma lei non doveva avere colpe.

Me l'ero voluta col mio comportamento di tutta una vita. Avevo sbagliato fin dall'inizio con lei. Ero stato sincero solo a metà e quello mi aveva alla fine presentato il conto. Era la giusta punizione.

Si voltò, una lacrima le rigava una gota.

Non riuscivo a guardarla. Era troppo penoso.

Lei cercò il mio sguardo.

Era finita... sul serio...

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