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CAPITOLO 5

BIANCA

Nel mio giacchino di pelle nera, seduta su una panca di legno lucido, nell'ampio corridoio del piano terra del Tribunale, guardavo distratta la gente passarmi di fronte: donne composte nei loro tailleur scuri con pettinature ordinate, uomini in giacca e cravatta, alcuni togati che parlavano coi loro clienti.

La cacofonia delle loro voci mi creava un brusio continuo e insignificante nella testa. Fastidioso e nello stesso tempo rassicurante.

Di fronte avevo gli uffici dell'Amministrazione.

In alto sulla paratia a fianco in fondo, che si apriva alle varie aule del primo piano, una grande scritta dorata:

LA LEGGE E' UGUALE PER TUTTI

Oltre il vetro della grande finestra che c'era davanti a me accanto alla porta, potevo scorgere il cielo azzurro e nuvole bianche cambiare forma modellate dal vento.

Alcuni dicono che se si guarda sempre il cielo finisci per avere le ali... riflettei tra me.

A che mi sarebbero servite le ali anche se le avessi avute?

Non avrei mai spiccato il volo stando a mia madre, conclusi tristemente ripensando al nostro incontro.

Respirai profondamente.

Guardai in grembo il fascicolo da aggiornare che mi avevano affidato al Centro giorni addietro. Ero lì anche per quello.

Forse avrei dovuto prendere la palla al balzo e parlargliene, ragionai...

Ma era così impegnata quel giorno, andava così di fretta. Come avrei potuto farlo?

Non gliene avresti parlato comunque, ammise la parte più equa di me. Neanche in un altro momento.

Forse era vero, ammisi cupamente. Non ne avevo il coraggio, era questa la verità.

Oh, al diavolo!

Non l'avrei fatto mai, conclusi. Probabilmente era vero.

E allora?

Mi lasciava sempre senza parole.

Appoggiai la testa alla paratia che avevo dietro guardando il soffitto bianco decorato con malte di gesso da cui pendeva un grosso lampadario a gocce.

Il sole rifletteva i suoi raggi su quei prismi creando un'aurea di arcobaleni intorno.

Il ricordo delle sue parole seguì i pensieri che avevo nella mia mente...

...

"Ho già pensato a tutto... andrai a Boston. Farai un master in Psicologia giuridica e forense ed andrai a fare tirocinio dal signor Bradford. Dirige parecchi studi da quelle parti, lo sai. Sarebbe un'occasione unica per te. Ed inoltre gli farebbe piacere avvalersi anche della tua competenza..."

...

A parte il fatto che non avrei potuto fare il master in psicologia giuridica e forense.

Ero un Assistente sociale e tale volevo continuare ad essere...

Non mi interessava seguire la carriera giuridica in ogni caso. Io volevo occuparmi di integrazione e dinamiche familiari, com'era giusto che fosse in base ai miei studi.

Il fatto poi che il signor Bradford fosse amico suo, non cambiava le cose.

Non è che avere una buona posizione economica ed essere stimato bastasse a rendere più gradevole una persona ai miei occhi... anzi..

Io volevo una vita semplice e onesta. Vissuta tra gli ultimi se era il caso. Proprio come mi sentivo io...

Sospirai guardando la porta chiusa che avevo davanti.

Era meglio andare...

Probabilmente sarebbe venuto qualcuno chissà quando; ero fuori orario.

Rimisi la lista nella borsa che avevo a tracolla alzandomi e presi a camminare a testa china verso l'uscita, quando qualcuno sbucato all'improvviso di corsa chissà da dove, mi rovinò addosso rischiando di farmi cadere.

Mi trattenni alle sue braccia e lui mi passò un braccio in vita per bloccarmi.

Ma che cavolo...

Alzai gli occhi e trovai i suoi scuri.

Era un ragazzo.

Aveva la fronte corrugata. Accigliata.

Quasi fosse scocciato dell'inconveniente.

Lo studiai meglio: aveva dei lividi sul viso e delle ferite, le labbra strane, quasi lacerate. L'occhio gonfio e violaceo.

Mi venne l'impulso di inveirgli contro sulla prima.

Ma non fu quello che feci: per una strana ragione dalla mia bocca non uscì alcun suono.

Rimasi a fissarlo... come lui stava facendo con me. Sospesa in qualcosa che non conoscevo, ma che mi aveva messo terribilmente a disagio.

Sembrava sicuro di sé. Infastidito dalla mia vicinanza.

Aveva i capelli castani, con sfumature luminose tendenti al caramello sulle punte. Corti ai lati, con un ciuffo non troppo lungo spettinato all'insù. Una barba regolata e corta gli incorniciava le guance e il mento, nascondendo in parte delle cicatrici vecchie e dei tagli recenti come quello che si celava in mezzo ad un sopracciglio.

Non ero solita considerare i ragazzi, ma non potei non sentire sotto le mie dita i muscoli sodi al di là della stoffa del maglione beige che portava.

Ma la cosa che più mi aveva colpito di quel ragazzo, erano stati i suoi occhi ombrosi che mi guardavano; in contrasto con il suo fisico rude e virile e con la sua aria da cattivo ragazzo.

"Cristo santo, potresti stare più attenta a dove vai?!" furono le sue parole.

Guardai le sue labbra e lui fissò le mie.

Una scossa elettrica mi tremò per la prima volta sotto pelle nel farlo.

Non volevo mostrarmi confusa, eppure lo ero. Aveva in un attimo, con la sua arroganza, annullato le mie già poche sicurezze.

Mi staccai da lui e mi ricomposi.

"Guarda che sei tu che mi hai investito"

"Non sarebbe successo se avessi guardato dove mettevi i piedi"

Non mi aspettavo quella risposta.

Pareva nervoso, irritato più del dovuto.

"Beh, potevi guardarci anche tu. Avresti potuto farmi male sul serio"

La sua espressione interrogativa e perplessa mi disturbò.

"Addirittura!" ironizzò, "Non mi pare sia successo però" mise le mani ai fianchi continuando a puntarmi bieco.

"Per tua fortuna!"

Sbuffò derisorio.

"Sono un ragazzo fortunato in effetti. Oggi poi in modo particolare"

Perchè ci eravamo scontrati in malo modo, concluse la mia mente. Era questo che intendeva.

Gliene andava ancora a lui... che sfrontato!

"Non ci trovo niente di divertente!" lo ammonii quando rise sarcastico.

"Infatti non c'è niente di divertente in questa giornata del cazzo, anzi..." i suoi occhi non tradivano emozioni. Si erano fatti in un baleno di ghiaccio. Il suo viso era serio.

Manco si era preoccupato per ciò che aveva appena detto.

Ero esterrefatta.

Non aveva ritegno.

Non sapevo che altro dire.

Continuava a inchiodarmi come se mi avesse voluto rimproverare per qualcosa di cui non ero responsabile.

Forse era meglio terminarlo lì quell'incontro.

"Ok, lasciamo perdere, va... prima che perda la pazienza"

"Sai che m'importa se la perdi? Che vuoi sentiamo? Farmi causa? Accomodati! Siamo nel posto giusto"

Che voleva lui da me?!

Era lui che mi era piombato addosso all'improvviso... non io.

Ed era pure irritato con me!

Roba da non credere!

"Mi hai dato un'idea, guarda!" replicai sfidandolo, "Magari lo faccio" lo guardai sprezzante.

"Mettiti in fila allora, ragazzina! La coda è lunga" commentò derisorio.

Che maleducato!

Ma chi cavolo era?

Un avvocato dai capelli grigi con una toga di lana nera, abbottonata davanti, con maniche orlate di un gallone di velluto nero, lo chiamò da lontano invitandolo a raggiungerlo con un braccio alzato.

Non avevo inteso il suo nome.

Si voltò verso di lui e gli fece un cenno di assenso col mento prima di tornare a me.

"A parte le stronzate... Davvero... stai bene?" mi chiese un attimo dopo toccandosi il naso.

Pareva sinceramente preoccupato.

In un istante aveva cambiato espressione, addolcendo i tratti.

Ero in disordine; un insolente, maleducato non avrebbe reagito così e non se ne sarebbe preoccupato di certo.

Abbassai lo sguardo.

Non sapevo che pensare.

Non pareva fingere.

"Allora?" insistette.

"Sì... sto bene. È tutto a posto. Poteva andarmi peggio"

"Meglio così allora" non aggiunse altro, ma restò a fissarmi.

Fu solo un attimo.

Fece due passi di spalle continuando a tenere gli occhi su di me e si congedò.

Tornò sui suoi passi e spedito raggiunse l'avvocato allontanandosi con lui e salendo lo scalone che c'era in fondo.

Non avevo saputo che altro dire. L'esitazione me lo aveva impedito. Prima che potessi replicare oltre si era girato ed era corso fino all'avvocato.

Quando lo avevo avuto a poca distanza avevo provato una strana stretta al cuore, come se avessi percepito in lui una richiesta di aiuto.

Ma forse mi ero solo sbagliata. Ero io che vedevo problemi negli altri anche dove non c'erano.

Non dovevo pensarci più.

Eppure nonostante le mie intenzioni avrei voluto sapere che cosa gli fosse successo in faccia, o se fosse lì per un'udienza, se lui fosse l'imputato o la contro-parte, o quale fosse il suo nome.

Avrei voluto chiedergli tante cose, ma in fondo non ne avevo il diritto; il nostro era stato solo un incontro casuale.

E lui era uno qualunque, niente di più.

Niente di più... mi ripetei rivedendo i suoi occhi.

***

Uno qualunque... mah... vedremo...

Io saprei  anche quale è il suo nome. Forse mi sbaglio...

Grazie a tutti quelli che hanno inziato a leggere questa storia!

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