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CAPITOLO 49

BIANCA

Appena entrammo nel suo appartamento accese la luce, gettò il suo giubbotto a terra in un angolo e corse in bagno.

Lo sentii di nuovo vomitare e piangere.

Mi faceva male al cuore vederlo così, avrei voluto fare qualcosa e sapevo che quel qualcosa non sarebbe servito.

Quando uscì andò dritto al divano di pelle nero che c'era di fronte all'ingresso per crollarci sopra. Raccolsi il giubotto dal pavimento, lo appesi al gancio sulla parete e lo raggiunsi.

Lo avevo accompagnato fin dentro casa.

Conoscevo il suo indirizzo: me ne aveva parlato al Centro per fortuna e lo ricordavo.

Era stata una coincidenza che mi fossi trovata per caso ancora da quelle parti quella notte. Avevo posteggiato lì la macchina, c'ero tornata per riprenderla. Non sapevo cosa mi avesse portato in quella zona. Non ci ero mai stata e soprattutto non ero mai stata in un bar di notte, ma qualcosa mi aveva attirato e mi aveva spinto a guardare dentro al locale attraverso i vetri e a riconoscere lui.

Mi si era stretto il cuore subito. Per non parlare di quando mi ero resa conto che aveva fatto di nuovo a botte per farsi del male e che aveva bevuto...

Avevo voluto sincerarmi che arrivasse a casa e non commettesse altre sciocchezze a quel punto.

In piedi, lo vidi coricarsi e rannicchiarsi di lato.

Non parlai.

Stava tremando, trattenendosi per non preoccuparmi.

"Puoi... pure... andare... sto bene ora" disse a stento.

Non stava bene affatto. Il fatto che volesse mandarmi via di nuovo non faceva che darmi ragione.

Sospirai amaramente.

Sfilai la giacca e la borsa che avevo sulla spalla e le adagiai sulla poltrona che c'era accanto, "Dove trovo una coperta?"

"Non... non mi serve, Bianca... davvero" mi puntò gli occhi lucidi continuando a tremare, "Va' via!"

Era l'opposto che mi stava chiedendo. Glielo leggevo nell'attesa del suo viso.

"Certo, vedo!"

Si che gli serviva. E gli serviva qualcuno che gli facesse compagnia invece, non poteva restare da solo in quello stato.

Cercai la stanza. Doveva per forza essercene una lì...

C'era una cassapanca in fondo al letto con un plaid di pile blu spiegato sopra, accanto ad un libro. Lo presi e tornai nel soggiorno. Lo distesi su di lui e mi inginocchiai accanto tastandolo sulla fronte con una mano per sentire se avesse avuto la febbre.

Nessuna temperatura alta. Speravo soltanto non fosse a causa di una commozione cerebrale tutto quel tremore.

Tutte le ferite che aveva sul volto mi preoccupavano. Forse avrei dovuto portarlo in ospedale, ma che gli sarebbe accaduto di fronte alla legge, mi domandai impensierita. Aveva fatto a botte da qualche parte, sospettavo in qualche incontro illegale.

Cercai la borsa, vi rovistai dentro, presi un fazzoletto di carta, la bottiglietta dall'acqua che avevo sempre con me e cercai di ripulirgli il viso dal sangue.

Omar sobbalzò a quel contatto che non si attendeva e mi fissò smarrito da quel gesto per me naturale, per lui inaspettato.

"Ok... Bianca... va bene. Sto bene" cercò di bloccarmi la mano imbarazzato.

"Schhh..." continuai a coprirlo sistemando meglio la coperta e a ripulirlo, "Va tutto bene! Sta tranquillo..."

Si arrese e crollò il corpo all'indietro.

I suoi occhi angustiati trovarono i miei sorridenti e si velarono.

"Che c'è?" gli domandai.

"Sei così bella!" sussurrò pensieroso, "Se mi guardi... mi fa male al cuore..."

Mi bloccai dal fare qualsiasi cosa e lo fissai per sincerarmi che parlasse sul serio.

"Troppo alcol, tu hai le allucinazioni" scherzai, "Prova a dormire adesso, Omar. Ti farà bene"

"No, non voglio dormire" si tirò su di scatto rimanendo seduto, "Non ci riesco!" poggiò i gomiti sulle ginocchia e si coprì gli occhi con le mani facendole scivolare sulla fronte.

Mi issai anch'io.

Non poteva non dormire. Doveva superare quel momento, il sonno lo avrebbe aiutato.

"Non succede niente se dormi, Omar. Ne hai bisogno. Cerca di essere ragionevole"

"Ma non ci riesco, Bianca. Non posso!"

Si portò le mani alle tempie come a sedare un tormento che non riusciva a passare.

"Aspetta!" mi era venuta in mente una cosa.

Il libro sulla cassapanca...

Corsi in camera e tornai col volume.

"Fammi posto" gli dissi facendogli segno di scansarsi.

Ubbidì.

Mi sedetti di fianco a lui, presi il cuscino nero che faceva da bracciolo e lo posai sulle mie gambe.

Seguì ogni mio gesto, sentivo i suoi occhi addosso. Sempre più confuso.

"Sdraiati di nuovo adesso" era indeciso, "Sul cuscino coraggio!"

Mi assecondò titubante. Alzò di lato le gambe e adagiò il capo. Quando lo ebbi sulle mie gambe gli sistemai di nuovo la coperta addosso.

"Va meglio?" era teso, lo sentivo dalla rigidità dei suoi muscoli.

Omar cercò i miei occhi ed annuì poco convinto.

"Cerca di rilassarti" fece del suo meglio. Il suo fremito a poco a poco si quietò.

"Ti va se ti leggo qualcosa? Era sulla cassapanca..."

Annuì senza aprire bocca e i suoi occhi si fecero lucidi.

Sembrava un bambino che aspettava la sua favola per sprofondare nel sonno.

Lo aprii. C'era un segno a metà: un angolo della pagina piegato.

Avrei cominciato da lì.

"Me lo leggeva mia madre la sera prima di dormire..." sussurrò sorprendendomi.

Solo allora mi accorsi del titolo: Peter Pan.

...

... che arrivasse lei... Stavolta magari per sgridarmi perché l'avevo fatta preoccupare, persino a castigarmi, a dirmi che non mi avrebbe letto Peter Pan prima di addormentarmi...

...

Erano state le sue parole su quel tetto! Ora le ricordavo!

Mi risuonavano per la testa.

Abbassai lo sguardo nel suo.

"Quando se n'è andata..." prese una pausa, "Nessuno ha più toccato quel libro, né io, né altri. Nessuno me l'ha più letto"

Mi fissò dal basso con struggimento.

Un nodo mi strinse la gola.

Forse non avrei dovuto toccarlo, ma ora? Che dovevo fare?

"Proprio nessuno? Nemmeno tuo padre?"

"Nessuno. Nemmeno lui" gli costava confessarlo, "Non riesco a metterlo via, né a buttarlo... penso che la scorderei se lo facessi. Quando sono venuto ad abitare qui l'ho portato con me, ma non l'ho più toccato. L'ho posato sulla cassapanca in fondo al letto e lì è rimasto... non ho avuto neppure il coraggio di aprirla per mettercelo dentro... penso che se lo leggessi di nuovo mi perdonerei... e non voglio"

"Omar!" non ce la facevo a dire altro.

Lo accarezzai in viso e lui trattenne la mia mano nella sua.

Il turbamento che aveva addosso aleggiava nell'aria di quella stanza.

L'aveva conservato per tutti quegli anni, come aveva custodito lei e quel dolore atroce dentro di lui. Per non lasciarlo andare. Perché solo in quel modo sarebbe rimasto accanto a lei, rinunciando a vivere. Era morto con lei, dentro il suo cuore.

Lui acconsentì dandomi il permesso di leggerlo.

"Ti prego Bianca... ti va di leggerlo per me?"

Dovevo farlo per lui, ne aveva bisogno. Era di nuovo quel bambino dall'infanzia negata, dall'animo soffocato...

Gli sorrisi con le lacrime agli occhi e chinai il viso.

Si sistemò meglio e chiuse gli occhi in attesa che iniziassi il mio racconto.

"Nel momento stesso in cui dubitate di poter volare, cessate anche di essere in grado di farlo."...

Le parole scorrevano così come le emozioni.

Era talmente strana quella situazione; pareva lo avessimo fatto sempre. Mi sentivo a mio agio in quell'istante; un'apparenza di normalità che in realtà non c'era.

Mi seguì a lungo, talvolta sorridendo fino a che non avvertii il suo respiro farsi regolare e profondo e il peso del suo corpo diventare più gravoso sulle mie gambe. Si era addormentato finalmente.

Sospesi la lettura e chiusi il libro.

Mi guardai in giro: non avevo nemmeno considerato quella casa quando ero entrata. La mia attenzione era rimasta concentrata su di lui.

Era semplice quello che avevo intorno: mobili moderni ed essenziali e alle pareti nessun quadro, nessuna foto... erano spoglie come l'anima di chi lo abitava.

Volsi lo sguardo al suo volto dall'espressione malinconica: gli angoli interni delle sue sopracciglia erano sollevati e gli esterni rivolti verso il basso, la bocca piegata all'ingiù.

Anche nel sonno non riusciva a fermare quello che aveva dentro.

Gli accarezzai il capo delicatamente e lui mi prese di nuovo la mano intrecciando le sue dita alle mie e le strinse forte, portandosi il mio braccio sul petto nell'illusione che riuscissi ad abbracciarlo e nel suo stato di incoscienza lo sentii parlare. Piangeva di nuovo...

"Mamma! Rispondimi!"

Stava rivivendo il passato. Non sapevo che fare....

"Non voglio andare papà... dov'è la mamma?... no, non voglio andare..."

Lo guardavo contorcersi desiderando con tutto il cuore fare qualcosa per lui senza sapere cosa.

"Bianca, ti prego..." nel sentirmi nominare una fitta mi si accese in petto, "No... non andare..." dovevo svegliarlo.

"Omar!" lo chiamai piano, "Stai sognando. Svegliati!"

Lui mi impugnò la mano di più, ma non aprì gli occhi.

"Ho freddo" iniziò di nuovo a tremare. Gli tirai le coperte fin sotto il mento, "Bianca... non ce la farò da solo, non lasciarmi" strinse le palpebre a trattenere un dolore che lo spezzava dentro, "Se non ho te... non ho nient'altro... non ho più niente... Ti prego non lasciarmi... voglio venire con te..."

Ero smarrita. Era il suo inconscio che parlava. Non era consapevole di ciò che stava dicendo lo sapevo, eppure quello era il suo desiderio profondo. Quello più sincero, quello che lo torturava.

"Omar... stai sognando" sussurrai ancora.

"No... portami con te se te ne andrai... non lasciarmi solo, non ho che te... ho bisogno di te... rimani con me... ho freddo..." tremò di nuovo, "Ho tanto freddo..." qualunque fibra del suo corpo scuoteva ad ogni respiro, "Stringimi tra le tue braccia... ti prego... tienimi con te? Ti prego.."

Dovevo fare qualcosa subito.

E non potevo andarmene quella notte, adesso più che mai.

Mi sfilai le scarpe e alzate le coperte mi adagiai accanto a lui, posando il suo capo sul mio petto. Lo sentii stringermi forte in vita e titubante posai le mie labbra sulla sua fronte accarezzando i suoi capelli con un tenero bacio.

"Sono qui, Omar! Sono qui!"

Come potevo alleviare quell'angoscia? Era anche colpa mia se si trovava in quello stato.

Ma la cosa che più mi aveva confuso e angosciato allo stesso tempo non era il fatto che mi sentissi in colpa, ma era ciò che provavo adesso che ero accanto a lui e che assomigliava poco ad un rimorso. Era come se mi fosse mancata una parte di me sino ad allora e lui la colmasse. E di quella parte di me che avevo ritenuto così superflua, ora non potevo più fare a meno. Ci avevo provato e riprovato, ma non ci ero riuscita. Avevo bisogno di stare accanto a Omar, come lui l'aveva di stare accanto a me. Non solo per aiutarlo, ma per me. Per me stessa...

La sua vulnerabilità era la mia e non me ne ero mai resa conto. Da quando lo conoscevo non facevo che pensare a lui, che riportare la mia mente a quel ragazzo il cui cuore poteva cadere da un momento all'altro e frantumarsi in mille pezzi.

Ed avevo bisogno che mi stringesse tra le sue braccia, di respirare il profumo della sua pelle, che mi tenesse con sé proprio come lui aveva bisogno di me. Mi ero sentita sola e insicura, sbagliata, malfatta... e forse lo ero sempre stata, ma con lui era diverso.

E lo sarei stata ancora sola, se non avessi avuto lui... lui tra le mie braccia... come quella notte...

https://youtu.be/KvzZBBnZ7UA

***

Hanno bisogno l'uno dell'altra e non lo sanno...

Ma forse il loro rapporto sta veramente cambiando.

Cosa accadrà al risveglio, quando si ritroveranno l'una tra le braccia dell'altro?

Aspettate...

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