CAPITOLO 45
BIANCA
Qualche giorno dopo...
Non ero tornata a casa quella sera; avevo un'inquietudine addosso che non avevo mai vissuto prima.
Ormai i giochi erano fatti: stavo per partire per Roma.
Era ormai buio, non c'era più nessuno da quelle parti. Avevo camminato senza una meta un po' e alla fine quello mi era parso l'unico posto in cui rifugiarmi: su una panchina isolata. Davanti ad un piccolo piazzale con una chiesa dall'aspetto sobrio, con una facciata spoglia e nuda come mi sentivo io. Triste per lo scontro che avevo avuto con Omar di cui non sapevo darmi pace e di cui mi sentivo responsabile e che continuavo a ricordare.
Non mi andava di tornare a casa ed affrontare Celine. La sua solita euforia mi avrebbe solo infastidito. E speravo di non trovarla al ritorno: era venerdì. Di solito passava la notte col suo ragazzo. Almeno era quello che auspicavo.
L'alterco con Omar mi bruciava ancora sulla pelle, ma ancor più sul cuore.
Era stato duro con me... insensibile...
Mi aveva detto cose molto brutali, offensive, che non meritavo, ma che mi ero cercata.
E cosa ancora più penosa... in quel tempo trascorso non mi aveva cercato, né lo avevo fatto io. Erano ormai passati giorni.
Non ci eravamo più sentiti ed avrei voluto sincerarmi che non avesse fatto sciocchezze nel frattempo e non ne potevo farne a meno.
Continuavo a pensare non solo alle sue parole sprezzanti verso di me, ma alle sue labbra ad un soffio dalle mie. Alla scarica di adrenalina che mi aveva accelerato i battiti del cuore in quell'istante e che non avevo potuto controllare.
Accidenti a me! Non avrebbe dovuto succedere...
A me non sarebbe mai toccato l'amore, non serviva a niente rimuginarci sopra comunque. E poi Omar non avrebbe mai pensato a me in quel senso. Era stato chiaro: non voleva legami amorosi. Almeno per il momento....
Ma come avrei potuto aiutarlo senza coinvolgermi emotivamente? Non ne ero capace, continuavo a ripetermi.
E lui non capiva. Non capiva che non sarei rimasta distaccata come avrei dovuto se avessi continuato a rimanere a Firenze. E questo non sarebbe stato un bene per lui. Non sarei riuscita ad essergli di aiuto come era il mio compito.
Andare lontano era l'unica cosa che potessi fare, mi ripetei per convincermene. Dovevo!
Ma poi... ero così sicura che fosse anche quella giusta, mi chiesi dentro a me stessa. Questa era un'altra questione che mi pesava dentro.
Poco importava che fosse giusta per me o meno, lo era per lui, mi dicevo. Era quello che contava.
Che sarebbe successo tra di noi se fossi rimasta? Ero in grado di affrontare le conseguenze in un caso e nell'altro?
Non lo sapevo. Non lo sapevo davvero...
Ero così confusa.
Avrei desiderato stargli vicino, averlo accanto nonostante tutto comunque... eppure nello stesso tempo... volevo andarmene... dovevo andarmene...
Seduta guardavo le mie mani intrecciate in grembo senza vederle, continuando a ripetermi quelle cose. Senza udire nulla perché niente aveva più un senso per cui valesse la pena prestargli attenzione.
Solo i miei pensieri.
Non la poca gente che passava vociando, né i rumori della notte e della strada che arrivavano in sottofondo. Niente.
Non avevo toccato cibo quella sera. Avevo lo stomaco chiuso.
Continuavo a pensare solo a lui. A quel ragazzo che stava catalizzando le mie emozioni.
Perché doveva sempre essere tutto così complicato?
Fosco avrebbe potuto essere uno qualunque, ma non Omar. Anzi non dovevo proprio imbattermici in quel ragazzo. Mai.
La mia vita sarebbe proseguita come sempre. Magari pallida, ovvia, banale, ma l'avrei sopportata ormai. Mi ci ero abituata.
Sospirai.
Ne sei sicura, mi chiese il mio inconscio.
Ah, al diavolo!
Dovevo smetterla di meditare su di lui una buona volta. Ci stavo soltanto male.
Eppure... quegli occhi...
Mi alzai e mi voltai un'ultima volta indietro prima di andarmene. In quella città avrei lasciato una parte della mia vita... e avrei lasciato per sempre Omar.
Il mio sguardo si fermò sulla panchina dove mi ero seduta un attimo prima più del dovuto.
Mi pareva quasi di vederlo... lì seduto. Col suo sorriso cupo da spaccone a disegnare sul foglio come quel pomeriggio. A disegnare me...
Mi sarebbe passata, continuai a ripetermi.
Abbandonai i ricordi e tentai di tornare alla mia vita.
Non avrei smesso di esistere solo perché non avrei più incontrato Omar, mi convinsi. Era stato solo una parentesi della mia vita e come tale dovevo viverlo.
La notte avvolgeva tutto ciò che avevo intorno ora e lo ricopriva di tristezza. Imprimendo nel lato vulnerabile di ogni cosa le tracce della sua presenza.
Non c'era più nessuno da quelle parti della città silente. Nei dintorni solo silenzio.
Un silenzio da ascoltare. La morte di un altro giorno che mi comprimeva l'anima.
Mi strinsi nel giubbotto e continuai a camminare, nemmeno sapevo dove.
La mia mente un'altra volta frugò tra i pensieri più nascosti che uscirono fuori con il minimo sforzo senza che io potessi accorgermene.
Il giorno dopo avrei accettato quello che la vita aveva scritto per me distante da quelle luci che tentavano di indicarmi la via... ma soprattutto distante da Omar...
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