CAPITOLO 44
OMAR (seconda parte)
...
Mi puntò feroce. Ferito dalle mie accuse.
"Non intendo più accettare il tuo comportamento, Omar. Né le tue battute irriverenti" la sua voce tremava di rabbia, "Hai venticinque anni! Non sei più un ragazzino. Comportati come tale... quello che fai e che dici è fuori del perdono di chiunque, persino del perdono di Dio!"
Dio non c'era! Non c'era mai stato!
Tornai a sedermi.
Bevvi ancora osservando la mia immagine riflessa sul vetro lindo del tavolino quadrato che avevo di fronte. Un vetro pulito alla perfezione, senza più segni di bicchieri e bottiglie, senza nemmeno un alone. Pulito e ordinato come mio padre. La tentazione di sputarci sopra era trascinante... su mio padre però...
Mi appoggiai allo schienale posandovi, con l'intenzione di fargli un torto, la bottiglia che stringevo in una mano. Il freddo creò un alone bagnato intorno alla base.
"Tu lasciami stare allora! Non ne posso più delle tue ramanzine. Sono stanco, papà. Stanco!"
"Non hai nemmeno lontanamente idea di quanto sono stanco io, Omar!"
"Bene! Quindi mi capisci..."
"Prima o poi non riuscirò a fare più niente per te... Non hai rispetto, né per me, né per gli altri. Avrei dovuto chiuderti in un collegio. A pane ed acqua dovevi stare! Altro che in un attico!" seguitò.
Se continuava a quel modo rischiava un infarto.
Dovevo ancora decidere se mi sarebbe dispiaciuto, o no. Finiva che gli rovinavo l'idea del bastardo senz'anima che aveva di me se avessi mostrato un briciolo di pietà. Non potevo dargli anche quella delusione...
Sorrisi tristemente beffardo.
"L'acqua arrugginisce" commentai ironico.
Il suo viso diventò rosso di ira del tutto.
"Non parlare in questo modo, Omar! Stai mettendo a dura prova la mia pazienza!" ringhiò tra i denti.
Gli mancava la bava alla bocca e pareva un cane rabbioso.
"Ti avverto... questa è l'ultima volta che mi interesso di te sul serio..." magari! "Poi dovrai arrangiartela da solo. E non sto scherzando!" tuonò.
Lo guardai con sufficienza.
Se pensava di avermi spaventato si sbagliava di grosso...
"Ok" risposi con un sorriso di scherno, "Che ti devo dire? Me ne farò una ragione!" allargai le braccia.
"Sta attento, Omar! Molto attento!"
Si allontanò infastidito ed esasperato.
Si aggiustò la cravatta e mi fissò un'ultima volta prima di avviarsi alla porta.
Con l'aria di superiorità. Drizzò la schiena e mi guardò dall'alto in basso. Assumeva sempre quella posa solenne alla conclusione dei suoi sermoni.
"Ti sembro uno che non fa sul serio, Omar? Ancora una cavolata e vieni a lavorare per me"
Che cazzo!
Subito drizzai la schiena.
"Porca puttana! Non puoi costringermi!" risposi scontroso, "Ti ho detto che mi fa schifo la tua agenzia del cazzo!"
La sua espressione non ammetteva repliche.
"Mettimi alla prova, Omar! Ci sto pensando seriamente... Ti farebbe solo che bene"
Vaffanculo!
Questa volta non ce la feci a sostenere il suo sguardo.
Sprofondai all'indietro.
Ok, mio padre era uno che faceva sempre sul serio. Glielo imponeva il suo rigore... ed era influente, ci sarebbe riuscito in qualche modo a ricattarmi. Non sapevo ancora come, ma ci sarebbe riuscito.
E il suo sguardo era più che inflessibile in quel momento, quella volta non avrei avuto scampo, temevo.
Mi puntò l'indice.
"Risolvi questa questione, Omar. Hai una condanna da scontare e mi aspetto che tu lo faccia! Hai capito bene?"
Non risposi.
Lo sapevo perfettamente che c'era una condanna a mio carico. Non c'era bisogno che me lo ricordasse ancora anche lui. Lo guardai dal basso all'alto con malessere.
"Hai capito?" gridò di nuovo.
Annuii abbassando gli occhi.
Stronzo, lo apostrofai ancora tacitamente.
"Ho capito!"
"Bene!"
In quel momento la suoneria del suo cellulare risuonò per la stanza. Afferrò il telefonino senza nemmeno controllare il display.
"Arrivo!" rispose portandoselo all'orecchio.
Con la mascella contratta mi voltò le spalle senza aggiungere altro.
Non una parola.
E mentre usciva, sbattè la porta tanto forte che il palazzo sembrò tremare...
Gli occhi mi si annebbiarono del tutto. Mi portai le mani alla fronte tirando indietro i capelli e caddi all'indietro, sfinito. La voglia di sbattere un pugno contro il vetro che avevo di fronte era forte, molto forte. Ma la spensi trattenendola dentro. Non sapevo nemmeno io come c'ero riuscito. Rimasi seduto, fermo, immobile a guardare il vuoto.
Mi sentivo scoppiare.
Dannato lui! Cazzo!
Avevo una rabbia addosso che non aveva limiti.
Quella era stata la spinta che mi avrebbe messo sulla via dell'unica cosa che sapevo fare bene.
Alcol, botte e ancora alcol, aveva detto...
Perfetto!
Cercai le chiavi di casa ed uscii di corsa con l'unico intento di arrivare in fretta al vecchio magazzino di pelli dove avrei trovato di certo Claudio... doveva organizzare al più presto un incontro per me. Sapevo l'avrei convinto nonostante il nostro ultimo scontro...
***
Questo non ci voleva...
E adesso? Che cosa intende fare?
Di nuovo è abbandonato a se stesso, deve reagire, ma in un altro modo.
Ci leggiamo domani per scoprire che farà...
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