CAPITOLO 43
OMAR (prima parte)
Vagabondai senza una meta fino a che non fece buio e rientrai a casa.
Subito accesi la luce e mi diressi in cucina puntando al frigo una volta arrivato. Avevo bisogno di bere, di annegare il malessere che avevo addosso.
Lo aprii ed afferrai una bottiglia di birra.
Fanculo Bianca e quello che mi aveva detto!
Lei non sapeva un bel niente di me! Non lo sapeva nessuno!
Stupido, mi apostrofai. Come avevo potuto credere che potesse aiutarmi davvero?
Era uguale agli altri...
Le sue ultime parole tornarono a torturarmi la mente...
"Io ti sto vedendo, Omar! Ti vedo!"...
Nessuno si era più accorto di me dopo mia madre. Lei non doveva!
La stappai e ne ingurgitai a lungo una sorsata dirigendomi al divano per crollarci sopra e scomparire per un po', quando mi accorsi che mio padre era lì seduto a guardarmi.
Mi bloccai all'istante.
Merda, ci mancava lui adesso!
"Scordo sempre di cambiare la serratura" feci pungente sprofondando mollemente sulla poltrona per stargli distante, senza nemmeno salutarlo.
"Hai l'aria di chi ha avuto una brutta giornata" commentò come risposta, "Che ti è successo?"
Sorrisi forzato guardandolo.
"Sta finendo peggio, fidati" replicai sarcastico continuando a bere come risposta.
Non gliene fregava niente di cosa mi era successo, come sempre...
E fanculo lui, aggiunsi con la mente... insieme a tutti gli altri...
Che cavolo voleva da me?
Sospirò.
Lui con quella cazzo di aria di superiorità che mi metteva la nausea, continuò una vocina in me.
"Ho fatto venire l'impresa di pulizie della Digital Marketing" fece sospirando riferendosi alla sua agenzia, "Questo posto sembrava un porcile" mi rimproverò.
"Vuoi l'applauso?" lo puntai truce.
Era venuto solo per quello: per trovarmi in difetto e ricordarmelo.
Non ce la facevo più...
Bevvi fino a soffocare. Lo odiavo, con tutto me stesso.
Lui sorrise di quel suo sorriso falso, che mi mandava in bestia.
"Vedo che non hai perso le tue solite abitudini: alcol, botte e ancora alcol. Non sai fare altro" mi riprese nuovamente severo.
Mi si accapponò la pelle.
"Anche tu... sempre pronto a giudicare. Non sai fare altro"
Trangugiai un altro sorso di birra fulminandolo cogli occhi.
Mi ci spingeva la gente come lui a non fare altro...
Basta! Basta!
"La gente giudica quello che vede, Omar. Io non sono un'eccezione. Giudico quello che vedo"
Lo gelai con lo sguardo un'altra volta.
Non sei un'eccezione, è vero... Sei uno stronzo infatti... come sempre...
Avrei potuto dirglielo, ma mi trattenni. Non avevo le forze per uno scontro più acceso. Non ne potevo più. Desideravo solo che scomparisse...
"Fammi capire..." feci invece offensivo, "Non sarai venuto a controllare quello che faccio o come tengo la casa, spero"
"A controllare mio figlio, se mai" rispose, "Visto che tengo a te"
Sbuffai un riso derisorio.
Lui?!
Teneva a me?! Ma se non gliene era mai fregato niente! Solo per farmi sentire una merda era venuto...
"Tu tieni a me? Ma fammi il piacere!"
"Non mi pare di averti mai dimostrato il contrario. Sei tu che non vuoi il mio aiuto"
"Tu non stai cercando di aiutarmi. Questa è la mia vita, papà. Tu non hai il diritto..."
"Sentiamo... di cosa? Di interessarmi a te?"
"Scrupoli?" chiesi aspro.
"Necessità" replicò, "Mi hanno giusto appena detto che il Centro, che ti ha affidato il tribunale, non si occuperà più di te"
Una fitta allo stomaco si accese in contemporanea.
Come faceva a saperlo già?
Battei una mano sul ginocchio.
Lo sapevo! Era per quello che era lì... era quella notizia che lo preoccupava, non io!
"Le notizie inutili corrono in fretta a quanto pare. I tuoi tirapiedi non hanno perso tempo" risi sarcastico continuando a bere.
Ero sfinito. Di tutti e di tutto...
Aggrottò la fronte.
"Non giocare con me, Omar. Che hai combinato stavolta?"
Si stava alterando. Lo conoscevo.
Vaffanculo!
"Enne... i... e... enne... ti... e! Niente!" spalancai le pupille prendendolo in giro nel dirlo. Sfidandolo di proposito.
La sua irritazione aumentò.
"Credo proprio che tu stia oltrepassando il limite, Omar" alzò la voce.
"Lo oltrepasserò sempre, se non la finirete tutti di spingermi a farlo con le vostre stronzate"
"Cerco solo di farti ragionare, Omar... sei fuori controllo. Io non so più che fare con te"
"Vattene, allora!" gli urlai contro, "Vuoi fare una cosa per me... sparisci!!"
"Non parlarmi in questo modo, Omar! Sono preoccupato per te, io..."
Abbassai gli occhi pieni di rabbia. Non lo lasciai continuare.
Diedi un pugno al bracciolo della poltrona per sfogare la tensione.
"Vorrei che ti fossi preoccupato così tanto anche per la mamma quando era da sola e stava male..." ringhiai.
Chiuse gli occhi.
Sapeva che avevo ragione. Non c'era mai, pur sapendo che non stava bene ed aveva bisogno di lui.
C'era un silenzio pesante tra di noi ora. Non aveva più parole.
Meglio! Non era così innocente come voleva far credere agli altri...
"Parli senza sapere, Omar. Non smetterai mai di attaccarmi per questo..." Si alzò per sfuggire le sue responsabilità. Quelle che gli ponevo di fronte.
Ci stava male lui ora?! Fatti suoi! Era la mia rivincita...
"Io non ti sto attaccando... è il tuo rimorso che lo fa quando te lo ricordo"
Si voltò e mi guardò triste.
"Io amavo tua madre, Omar..."
"Tu l'amavi?!" sbuffai canzonatorio, "Peccato sia morta senza saperlo... Ti ricordo che c'ero io solo con lei, non tu! Un bambino, papà! Nemmeno all'ultimo eri con lei. Sapevi che sarebbe potuto succedere l'irreparabile, ma tu hai preferito non esserci nel caso fosse accaduto"
Mi fissò, ma non disse nulla. Trafitto da quella verità.
"E dimmi... tu dov'eri, eh? Con la tua amichetta Vittoria?"
"Io non conoscevo ancora Vittoria... non avrei mai tradito tua madre..."
"E dove allora? Ad una immancabile assemblea della Digital Merketting, o ad un pranzo di lavoro, o magari ad un inutile incontro con degli insulsi clienti, eh? Non ce n'è mai fregato un cazzo, papà. A nessuno è mai fregato un cazzo della tua agenzia" mi issai con la bottiglia in mano e gli andai di fronte per costringerlo a guardarmi, "Non eri con lei!" la mia voce uscì stridula nel dirlo, "E sapevi che stava male, da un po' ti rammento. Aveva bisogno di te! Cazzo, di te!"
Alzò gli occhi angosciati su di me.
"Lo sai bene che il mio lavoro ha delle responsabilità" tentò di discolparsi ancora.
Non servì. Continuai, ormai ero un fiume in piena.
"E' per questo che il tuo lavoro fa schifo! Le tue responsabilità lo fanno! Tu mi fai schifo!"...
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