CAPITOLO 41
BIANCA (prima parte)
Non potevo provare quelle cose, quell'impulso irresistibile di baciarlo.
Era sbagliato. Che stavo facendo?
Dovevo andarmene per un po' da Firenze mi ridissi. Ci avevo meditato tutta la notte. Adesso ne ero più che mai convinta. E dovevo farlo subito, non potevo aspettare.
Anche se per lui non sarebbe stato facile da accettare. Era l'unica cosa corretta che potessi fare.
Potevo inventare una scusa qualunque con mia madre. L'avrei convinta parlandole di un corso per l'università o qualcosa di simile e mi avrebbe lasciato andare senza troppe storie.
Ne avevo già discusso con la signora Lisbo: avevo comunque concluso la mia collaborazione in quella città; sarei andata a Roma per partire volontaria per una delle filiali del Centro, ovunque ci fosse stato bisogno di un Assistente sociale. Avrei deciso in un secondo tempo la sede. Mi bastava che Omar si rassegnasse al fatto che non sarei stata più disponibile in alcun modo da quelle parti. Certo nemmeno lei l'aveva presa bene. Più che altro non comprendeva la mia scelta; avrebbe voluto continuare a collaborare con me visto che mi aveva dato l'opportunità di fare un passo in avanti con Fosco. Ma le cose erano cambiate senza preavviso ed era indecisa, non sapeva più cos'era giusto per me dopo la vicenda di Giorgio. Di sicuro le cose si sarebbero complicate se fossi rimasta a Firenze, lo sapeva.
Feci un passo indietro e staccai i miei occhi dai suoi.
"Omar..." feci seria.
Restò in attesa.
Dovevo dirglielo, allontanarlo da me.
"Non ho cambiato idea... non possiamo più vederci. Devi andare alla Family House. La Lisbo ha firmato il tuo trasferimento già ieri sera. Non sei più assistito dal Centro. Te l'ho detto: è come se non ci fossi mai venuto..."
"Lo so... me lo ricordo e sai come la penso"
La sua espressione era ferma, non tradiva turbamenti.
Forse era pronto ad accettare anche il resto...
"Me ne andrò... tra qualche giorno, ho già chiesto il trasferimento a Roma e..."
Il suo atteggiamento cambiò subito.
"Te ne andrai? Che cosa?! Che significa? Non capisco" non mi lasciò terminare nemmeno il discorso.
"Mi destineranno una città loro. Una filale per l'Italia insomma, un altro Centro dove prestare aiuto e..." abbassai gli occhi.
Di nuovo non ascoltò altro.
"Per quale motivo?" si intromise all'istante, "Mi hai detto che potevo trovarti sempre..."
"E mi troverai sempre. Possiamo parlare al telefono quando vuoi, non sarà diverso"
Scosse la testa aggrottando la fronte.
"Sì che sarà diverso invece. Dimmi perchè?" chiese con le mani ai fianchi, "Perchè mi dici questo? Perché vuoi allontanarmi? Perché?"
Confrontarmi col suo sguardo era troppo penoso.
Aveva ragione, era quello il motivo, volevo allontanarlo, ma non vedevo altra soluzione. Se fossimo rimasti distanti subito sarebbe stata meno pesante per lui... e forse anche per me, meditai di nuovo demoralizzata.
Omar mi fissò duro, avvilito, angosciato.
"Omar... non c'è altra soluzione. Non è così terribile. Sei tu che lo pensi, ma non lo è. Fidati! Io non ti sto allontanando... tu..." provai ancora.
Scosse nuovamente la testa.
"Lo stai facendo invece! Chi decide di perdermi è perché non ha avuto il coraggio di vivermi, Bianca. È questa la verità. Preferisce allontanarsi come stai facendo tu! Sei tu che non capisci... ti credevo diversa"
"Omar, ti prego..."
Non mi lasciò dire altro nuovamente.
"Non racconterò mai di me a loro" continuò scuotendo il capo e allontanandosi un poco per ritornare, "Potrebbero anche essere i migliori, ma non mi sezioneranno come un caso qualunque. Io non lo sono e loro non sanno un cazzo di me! Né voglio che lo sappiano! Con te è diverso... tu..."
Era irritato. Agitato. Nervoso. Teso.
Dovevo calmarlo...
"Omar, guardami!" puntò i miei occhi, "Non è così. Ci sono psicologi, assistenti sociali... gente pronta a tenderti una mano. Ad aiutarti, probabilmente più preparata di me"
"Ma non sono te! Io voglio te!
"Perchè me? Perché Omar?"
"Perchè sì! Tu sai troppo di me ormai. Sto cercando di fidarmi di qualcuno per la prima volta... va bene? Non è facile per me. E tu... tu per puro caso sei arrivata al momento giusto. Non so nemmeno se lo rifarei oggi, ma ormai mi sono affidato a te perché ci ho creduto... ho pensato che fossi differente... Almeno non farmi questo!" si portò le mani alla fronte portandosi indietro i capelli.
Invece dovevo. Troncare sul nascere qualunque legame con me. Ne avrebbe sofferto meno. E ne avrei sofferto meno io, continuavo a ripetermi.
Non potevo fare niente di buono per lui. Mi stavo affezionando e un assistente non lo può fare. Deve rimanere distaccato se vuole aiutare. Possedere empatia, ascoltare e offrire supporto e comprensione sì, ma evitare di proiettare sui soggetti assistiti le proprie priorità, i propri sentimenti. Ed io, dopo quel bacio, lo stavo facendo. Stava catalizzando le mie emozioni. Pensavo a lui in maniera personale... per me. E non era giusto...
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