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CAPITOLO 40

OMAR

Pareva turbata.

Camminava accanto a me taciturna. Anch'io lo ero: aver ancora stretto quel corpo tra le mia braccia mi aveva scatenato una scossa elettrica su tutto il corpo. Le nostre labbra si erano trovate così vicino che avrei anche potuto assaggiarle di nuovo...

Ma forse Ivan le aveva raccontato di mia madre. Me lo suggerivano i suoi occhi tristi che teneva chinati a terra e mi guardavano appena. Magari era per quello che era turbata invece.

Mi aveva tolto un peso dicendoglielo in fondo, se lo avesse fatto. Non avrei trovato la forza di parlargliene io: era un dolore ancora troppo grande e lo sarebbe stato per sempre.

Era ormai mattina inoltrata quando percorremmo le strade principali di Firenze in silenzio. Un silenzio che faceva rumore e ci concedeva il tempo per risistemare le nostre emozioni e tenerle a bada.

Fu lei a parlare per prima.

"Mi dispiace per tua madre, Omar. Mi rincresce tanto" catturò i miei occhi, "Non lo sapevo"

Avevo visto giusto allora. Non era stato il nostro contatto a impensierirla. Che pretendevo? Non avevo niente di buono per cui valesse la pena agitarsi. Un po' mi dispiaceva, ammisi dentro di me avvilito...

Era terribilmente sincera.

La parte migliore di me rimase intrappolata in quel verde smeraldo che mi fissava con pura tristezza. Non riuscivo a farne a meno e non ero in grado di spiegarmi il perché...

Non volevo rispondere, desideravo solo mi seguisse in un posto. Ora ne ero convinto fino all'osso...

Sapevo dove andare...

"Voglio farti vedere una cosa" risposi.

"D'accordo" mi seguì.

Raggiungemmo un vecchio palazzo, entrammo nell'androne approfittando di una signora che uscendo ci lasciò aperto il portone e salimmo fino all'ultimo piano. Percorremmo il pianerottolo finale quindi spalancai la porta bianca che avevamo di fronte e ci trovammo sul tetto, nel punto più alto di Firenze. Un luogo sconosciuto ai più, banale... ma che per me aveva un valore particolare.

Santa Maria del Fiore e Palazzo vecchio si stagliavano nel mezzo in lontananza con la loro infelicità... quella che sapevo riconoscere e che avrei portato continuamente nell'animo.

Era così che vivevo quella città e quel luogo che custodiva i miei fantasmi. Quelli che mi avrebbero tormentato per l'eternità, ma che sarebbero sempre rimasti con me a farmi compagnia. I miei più intimi amici. Anime che si fondevano e confondevano con la mia. Nessun altro sarebbe stato in grado di sentirne la voce. Quella voce silente e angosciante che lasciavano nella mia testa.

Bianca si avvicinò al muretto di cinta e vi posò le mani, guardando distante. Seguii il suo profilo delicato con lo sguardo raggiungendola.

"Allora?" le chiesi, "La vista è come quella che vedi dalle tue finestre?"

Si voltò verso di me e i suoi occhi imprigionarono i miei. Il mio riflesso rimase incatenato un'altra volta a quel verde.

"C'è qualcosa di diverso... non so dirti cosa. È come se ci fosse dell'altro qui, non riesco a spiegarlo, ma è come se lo percepissi. C'è un'aura particolare intorno, insomma. Non so se ti è mai capitato... A volte riesco a sentirla..." guardò il mio viso incatenato al suo, "E' una sciocchezza... lascia stare" fece subito con un gesto della mano.

Chinò il capo timida quasi vergognandosi di ciò che aveva appena confessato. Quasi sentendosi sciocca.

Quello che provavo era lo stesso per me. Capivo cosa volesse dire invece. Firenze aveva un altro sapore in quel luogo. Ed era come se vedessi quella città con un altro spirito lì. Che vivesse il dolore che vi avevo nascosto. Che quel posto trasudasse di altro.

Mi fissò un attimo dopo, ma non aggiunse altro.

Pareva incerta, come se avesse voluto chiedermi qualcosa, ma non sapesse in che modo.

"Come l'hai scoperto? Questo posto intendo" mi domandò poi.

Poggiai i gomiti anch'io e mi sporsi in avanti.

Non sapevo da dove cominciare, né se lo volessi davvero. Diglielo significava svelarle una parte di ciò che avevo nel cuore. Svelare la parte più dolorosa.

Guardai lontano e mi feci serio. La mente e i ricordi mi pedinarono.

Ormai conosceva la parte più profonda di me. Quella che dava un senso così buio alle mie giornate. Non serviva a niente tenerglielo nascosto.

"Quando è morta mia madre" rivelai.

Chinai il capo.

Si voltò verso di me con la tristezza nel cuore, ma lasciò che continuassi.

Sentivo i suoi occhi su di me.

Mi rivolsi un'altra volta verso l'orizzonte. Era sempre troppo penoso comunque parlarne e probabilmente lo sarebbe stato perennemente. Era quello che avevo dentro.

"Quel giorno... non ce la facevo a stare in chiesa... con la bara, il prete... mio padre che si tratteneva dal piangere, l'odore dei fiori... era tutto assurdo. Lei non poteva essersene andata per sempre. Aveva detto che mi voleva bene, non poteva avermi fatto una cosa del genere" ammisi triste.

Chinai a terra il capo un'altra volta. Quasi non potessi più sostenerne il peso.

"Sono scappato. Non so nemmeno come ho fatto ad arrivare sin qui. C'ero stato solo poche volte: ci viveva una vecchia zia di mia madre. Era molto legata a lei... forse è stato per questo" mi strinsi nelle spalle, "So solo che ci sono arrivato e ci sono rimasto tutta la notte sperando che fosse stato solo un brutto sogno e che arrivasse lei a riprendermi, come aveva fatto tante volte a scuola. Stavolta magari per sgridarmi perché l'avevo fatta preoccupare, persino a castigarmi, a dirmi che non mi avrebbe letto Peter Pan prima di addormentarmi... ma che arrivasse lei" sorrisi amaro, "Ed invece..." il mio pomo d'Adamo tentò di ingoiare quel dolore, ma la saliva non scendeva... non ce la faceva, "All'alba è giunto mio padre e non ha detto niente. Mi ha preso in braccio e mi ha portato a casa. Nemmeno una parola... non ne aveva più"

Bianca mi posò una mano sul braccio, costringendomi a voltarmi verso di lei. I suoi occhi erano velati come i miei.

"Omar..."

Non c'era bisogno dicesse altro, erano quegli occhi a parlare per lei.

Le posai anch'io la mia mano sulla sua e i nostri sguardi si incatenarono.

A sorpresa mi abbracciò gettandomi le braccia al collo. Non sapevo come comportarmi. Nessuno mai lo aveva fatto con quello struggimento. Rimasi sospeso con le mani distaccate, senza toccarla. Quasi avessi avuto paura di farlo.

Non potevo!

Sapevo mi avrebbe coinvolto di più.

Io non...

Ma prima che concludessi la frase il mio cervello agì d'impulso e le mie mani circondarono la sua schiena fino a stringerla in vita per attirarla a me e nascondere il mio viso tra i suoi capelli.

Non dovevo lasciare che le lacrime avessero la meglio.

Ero sempre stato male prima che lei varcasse la mia vita... ma ora... tra quelle braccia... provavo qualcosa d'altro... qualcosa che non avevo mai provato, né che avrei mai immaginato.

Ero così certo di sapere cosa dovessi sentire dentro di me! Solo dolore, non potevo permettermi altro. Ma ora? Perché vicino a lei non riuscivo a sentirlo del tutto?

Ma forse c'era ancora qualcosa di diverso dentro di me, qualcosa che non credevo possibile. E che non pensavo di meritare: un soffio di vita, quasi mi fosse di nuovo concesso di sperarlo davvero, come mi aveva detto Bianca.

Tra le sue braccia mi sentivo al sicuro.

Lei metteva sottosopra il mio mondo, tutto l'inferno che avevo vissuto. Ora quell'inferno aveva un motivo... doveva portarmi da lei perché ne uscissi.

Avevo sempre pensato che quei sentimenti, quelli che provavo in quel momento, fossero solo storie e che non fossero stati scritti per me, ma non era così...

Avrei potuto morire dentro i suoi occhi, annullarmi per il resto della mia vita. E sarebbe stato tutto dolce, delicato, garbato... non mi avrebbe fatto male.

Bianca aveva accettato il mio tutto seguendomi: la parte buona, la parte cattiva, la via di mezzo che avevo dentro. Tutto.

Non aveva avuto paura di ciò che ero. E quello che più mi aveva emotivamente coinvolto era che lei credeva in me, anche se non mi conosceva a fondo. Voleva che provassi ad emergere da quel fango che mi incatenava sul fondo perché non era sbagliato, come avevo sempre creduto io. Era giusto come per chiunque altro.

Me lo aveva fatto percepire dentro e non riuscivo più a dimenticarmi di quel dubbio.

Ero così confuso... in bilico...

Non potevo provare quelle cose... io non...

Ci staccammo un poco, ma non lo fecero i nostri occhi. Le guardai le labbra e lei guardò le mie. Un impulso irresistibile di baciarla...

***

A domani... 

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