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CAPITOLO 25

BIANCA

Avevo una strano turbamento addosso. Dovevo aiutarlo. Non potevo lasciarlo così. Per uno strano motivo quel ragazzo mi sembrava un altro veramente adesso.

Se ne stava andando.

Ci sarebbe andato a quegli incontri? Ne dubitavo seriamente... dovevo insistere. Quei gruppi erano preparati per affrontare emergenze simili. Omar ne aveva bisogno.

In quel momento la mia attenzione fu catturata dal plico di fogli che aveva disegnato per tutto il tempo.

Lo presi tra le mani, lo voltai e avvertii qualcosa nascere dentro di me. Qualcosa che non conoscevo, ma che era terribilmente irresistibile. Qualcosa che mi attirava verso quel ragazzo ancora di più. Che mi spingeva probabilmente verso un mare di guai, ma che desideravo conoscere più a fondo.

Il mio ritratto mi osservava dal foglio: ero io.

Per tutto il tempo aveva disegnato me, nei minimi particolari. E quel disegno era realistico, mi assomigliava davvero.

Solo l'espressione malinconica dei miei occhi era la sua.

Gli occhi... non avevo mai visto occhi disegnati così ben fatti...

Vi leggevo la tristezza per un affetto mancato, che per lui era l'essenziale.

Chi sei veramente Omar Fosco?

Che cosa nascondi nel tuo cuore ferito e silenzioso, mi trovai a chiedermi.

Se n'era andato guardandomi un'ultima volta portando con sè una parte di me. Non riuscivo a non pensare alle cose che aveva detto. Alle frasi che avevo difeso io.

I suoi silenzi bruciavano e non ero riuscita a comprenderli come avrei dovuto.

Non sapevo più cancellare le sue parole, non riuscivo a lasciarle andare.

Il suo modo spavaldo di fare solo per nascondersi... il suo sorriso che cercava a fatica di disegnare sul viso, ma che non arrivava al suo cuore... mi avevano stretto la gola in un nodo.

Forse mi sbagliavo su di lui. Non era un maschilista, spaccone, insolente e prepotente. Era soltanto ferito e deluso. Fragile e insicuro. Che era peggio...

La sua voglia di sparire in mezzo agli altri per celare tutte le sue ferite ora era palese.

I graffi e le ferite profonde del suo viso erano i sentieri che aveva percorso per cercare di arrivare a casa, dove avrebbe trovato la pace, ma quella casa non l'aveva trovata ancora. Consumato dal dolore che aveva dentro, avvolto in un tormento che non lo lasciava andare.

Non sapeva da dove cominciare, era questa la verità.

Rabbia e voglia d'amore non lo avevano portato da nessuna parte.

Era venuto lì con la speranza distrutta, dovevo aiutarlo prima che toccasse il fondo. Ma forse da sola non gli sarei bastata. Aveva bisogno di più aiuto di quello che potevo dargli io anche se non aveva il coraggio di chiederlo.

Doveva riprendere il comando della sua vita prima che perdesse completamente il controllo, ma come avrebbe potuto farlo con l'anima spezzata? Era questo che aveva: l'anima spezzata. Ora che avevo parlato con lui riuscivo a riconoscerla.

Non aveva soltanto bisogno di essere sostenuto.

Aveva una pistola alla testa; stava solo contando prima di premere il grilletto.

Due nuvole nere erano dentro i suoi occhi... le avevo viste. E le sue reticenze a parlare... erano invece piene di parole. Parole che nessuno si fermava ad ascoltare. Doveva guardare dentro di sé quei lividi che la vita gli aveva lasciato. Quel vuoto a cui non sapeva dare un significato, che aveva taciuto, ma che c'era ed aveva colmato solo con il dolore. Che gli bruciava nelle vene, che lo aveva spinto a credere che la vita fosse contro di lui senza conoscerne il perché.

Ero riuscita a sentirlo.

Forse non avrei risolto niente, ma comunque ci sarei stata. E questa era la cosa che voleva da me la signora Lisbo e che sapeva non sarei stata in grado di negargli: che non lo avessi lasciato solo a gestire qualcosa che era più grande di lui. Non lo facevo mai, con nessuno...

In quel momento Giorgio spalancò la porta con prepotenza...

"Dov'è?" tuonò guardandosi attorno.

Sobbalzai.

"Dov'è chi?" sospettavo a chi volesse riferirsi.

Aveva saputo dell'accordo tra me e la Lisbo, ci avrei scommesso.

Non mi andava di parlarne.

Feci per uscire dall'ufficio e lui mi si parò davanti impedendomelo.

"Lo sai benissimo di chi parlo" i suoi occhi erano spiritati. Non lo avevo mai visto così.

Misi la giacca.

"Scusa, ma sto uscendo" mi avviai alla porta scansandolo.

Mi seguì e un'altra volta mi bloccò il passaggio.

Lo schivai ancora, aprii la porta sul retro ed uscii all'aperto sperando non mi rincorresse.

Non ero fortunata.

Mi tallonò.

"Non puoi, almeno te ne rendi conto?" sbraitò alle mie spalle.

Che voleva da me? Era impazzito?

"Non ho niente da dirti, Giorgio. Scusami, ma devo andare ora"

Dovevo recuperare le mie cose, tornare nel mio ufficio e andarmene, ma prima dovevo liberarmi di lui. Scrollarmelo di dosso!

Non sapevo da che parte andare.

Mi voltai, ma un'altra volta mi impedì il passaggio...

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