CAPITOLO 2
OMAR
Da un'altra parte, quella stessa mattina...
https://youtu.be/0nP0__nALWM
Pii... piii... piiii...
Il suono fastidioso della sveglia che vibrava sul comodino si insinuò prepotentemente nei miei sogni comatosi.
A faccia in giù sul cuscino lasciai che terminasse il tempo per cui l'avevo programmata senza spegnerla.
Non ricordavo nemmeno di averla messa, nè che giorno fosse da tanto che avevo bevuto la sera prima.
La camera era illuminata a giorno ormai, le imposte erano ancora aperte.
I raggi del sole cadevano leggeri sulla mia schiena nuda su cui spiccava tatuata una grossa fenice colorata.
Solo un paio di jeans strappati e scoloriti mi fasciavano le gambe.
I piedi scoperti penzolavano fuori dal materasso, sopra una cassapanca di legno scuro.
A terra, ai lati, due sneaker bianche, gettate a caso che avevano visto giorni migliori.
Il silenzio regnava sovrano. Solo in sottofondo, lontano, il rumore di una strada trafficata e di un nuovo giorno che provava a svegliarsi.
Niente riusciva a trascinarmi fuori da quel torpore rassicurante...
La sveglia suonò di nuovo e come prima non la fermai.
Il suono di un russare improvviso vibrò nella stanza.
Parevo un cadavere a guardarmi da fuori se non fosse stato per quello: un corpo inerme; un lungo tatuaggio fitto di disegni floreali e scritte nere anche sulla spalla sinistra che si arrotolava giù sul bicipite sinistro rilassato e che scendeva fino al polso in linee e tratteggi.
Quel braccio quasi toccava il pavimento; come sfuggito al mio controllo, pendendo a terra attirato dalla gravità
Con la mano lambivo il pavimento.
L'altro braccio era ripiegato vicino al capo dall'altra parte: sul dorso della mano destra un teschio ed una scritta nera: NEVER QUIT, mai mollare. E più sopra un'incisione MUM tra foglie strappate e linee tondeggianti.
Dietro l'orecchio, nascosta, la zampa tatuata del mio adorato cane di quando ero più giovane e il suo nome che non avrei dimenticato.
Al pollice una fascia in acciaio lucido con un'incisione in nero, simile ai divaricatori di buchi che portavo ai lobi.
Sulle dita un piccolo cuore, un pugnale, il simbolo della pace e la lettera V sbiadite.
I capelli scuri corti sui lati con un ciuffo più lungo davanti completavano il tutto; un velo di barba incolta e disordinata sul mento mi dava un'aria trascurata e indisciplinata.
Gli occhi erano rigorosamente chiusi e malconci.
Piccole aree fittamente ricoperte da peli, disposte lungo il margine superiore dell'orbita oculare, rilievi arcuati scuri come i capelli, separavano le palpebre dalla fronte.
Sparsi qua e là sulla pelle del viso segni di lotta.
Solo un lieve alzarsi ed abbassarsi del torace suggeriva insieme al ronfo che esistevo ancora.
Un rivolo di bava mi colava dalla bocca semi aperta.
Una scena raccapricciante.
Il cellulare a terra, vicino ad una bottiglia di whisky vuota squillò più volte e poi segnalò una notifica: un messaggio.
Quindi si ammutolì.
Nemmeno lo avvertii, così come i successivi.
Solo il campanello insistente della porta, ad un certo punto mi costrinse ad aprire un occhio in una fessura.
Che diavolo era?
...
Le mie palpebre si aprirono e chiusero a più riprese.
Finché non tornai a ronfare.
...
Il campanello trillò ancora con insistenza.
Non era niente, mi convinsi.
Ero a casa... ero al sicuro...
Il mio cervello tentò di riavviarsi invano come un motore in panne.
...
Un momento... era una casa quella?
Feci leva sulle braccia e mi costrinsi a studiare intorno con circospezione.
Ripensai alla notte prima...
Non feci a tempo a concludere il pensiero.
Sprofondai un'altra volta nel mio sonno crollando sul materasso incapace di concludere il ragionamento.
...
Ancora un suono persistente e incessante riempì quel breve intervallo di silenzio.
Non avevo voglia di scocciature decisi lasciandolo rimbombare tra i muri.
"Omar! Lo so che ci sei. Apri!" gridò qualcuno al di là della porta.
Tentai di dare un nome a quella voce.
Chi cavolo era adesso?
"Omar!!!"
Mi concentrai a fatica.
"Omar!!!"
Claudio!?
Che tipo di turbe psichiche aveva a quell'ora, mi chiesi.
Ma non ce l'aveva una vita?
E comunque... che ora era?
"Omar!" batté coi pugni sull'uscio.
Non ebbi il tempo di appurarlo.
Se non mi alzavo non la smetteva... quello era fuori dal mondo sul serio... era capace di buttarla giù la porta...
"Arrivo!" decisi a stento, "Un momento!" mi costrinsi a rispondere con voce impastata.
A fatica mi alzai a sedere tra le lenzuola.
Una forte fitta mi colpì alle tempie come un pugno.
Dio, che male!
Provai a massaggiarle per lenire il dolore invano.
L'occhio destro si aprì a fatica incollato dal sangue e gonfio.
"Omar, vuoi aprire?"
Reggendomi sulle gambe traballanti scesi dal letto.
Un senso di nausea e vertigine mi investì non appena a piedi nudi toccai il tavolato di parquet.
Raccolsi a fatica il telefonino da terra per farmi spazio e poter passare.
La testa girò la stanza non appena mi rialzai.
Mi appoggiai con la mano al muro per non cadere.
Merda!
"Omar!" chiamò ancora concitato Claudio dall'altra parte della soglia.
Ogni suono era una fitta fortissima in testa.
Che cazzo! Ma non poteva finirla?
Gli avevo detto che stavo arrivando. Ci mancava lui. Non poteva lasciarmi nel mio limbo a dormire?
"Arrivo, dannazione! Vuoi darmi il tempo?" mi diressi all'ingresso.
Non avevo mai desiderato uccidere qualcuno come in quel momento.
Girai la maniglia a pomolo della porta blindata e questa si spalancò sotto la sua irruenza.
Nemmeno avevo dato i giri mi accorsi.
Aggrottai la fronte grattandomi la testa e mi scansai per lasciarlo passare...
***
Comincia oggi una nuova storia: Omar e Bianca sono i protagonisti.
Due personalità opposte come avete visto,
l'una forte e l'altra debole e rassegnata.
Ma staranno proprio così le cose?
E come potrebbero avere qualcosa in comune?
Sarà davvero una storia d'amore?
Non vi resta che leggere per scoprirlo se vi va...
Grazie a tutti!
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