Uno stupido cappello
CAPITOLO 13
UNO STUPIDO CAPPELLO
-Sherlock? –
Non è possibile. Semplicemente non può essere qui, tutto quello che so contrasta con la sua figura alta e spigolosa che si è appena raddrizzata dopo essere stata sorpresa a frugare tra le cose nella borsa.
I capelli riccioluti sembrano più puliti dall'ultima volta che l'ho visto e anche gli abiti sono quasi in buono stato, il cappotto che conosco però c'è ancora, appoggiato tutto scomposto sulla poltroncina dell'anticamera.
-Come...come puoi essere qui? – domando forse con una nota un po' spigolosa che non dovrebbe esserci.
Dopo tutti i discorsi rassegnati che mi ha fatto, com'è possibile che sia qui? All'università di Cambridge? Nella mia stanza?!
-Anch'io sono felice di vederti, John. –
La sua voce è atona e dopo un secondo di silenzio passato a fissarci lui distoglie lo sguardo riportando l'attenzione sulla valigia e come se tutto fosse nella più totale normalità si rimette a frugare tra i suoi oggetti.
-Come può pensare che io metta certe cose... - borbotta tra sé.
La scena, vista all'esterno, deve apparire decisamente strana: un ragazzo pallido ed emaciato chino su un tavolino mentre si lamenta di chissà che cosa rivolto a non si sa chi, mentre un altro studente, con la faccia allibita e con un sopracciglio inarcato lo fissa fermo immobile, il cellulare caduto ai suoi piedi e una spalla rivolta verso dietro a seguire il braccio ancora appoggiato sulla maniglia.
-Accomodati pure. Fa come se fossi a casa tua. – dice dopo un po' Sherlock senza smuoversi.
-Questa...questa è casa mia! – sbotto alle sue parole, ma sono lo stimolo a farmi muovere, così chiudo la porta alle mie spalle e raccolgo il telefono.
Devo chiamare mia madre.
-Oh al diavolo. – esclamo lanciando il cellulare sul divano dove rimbalza di pochi millimetri.
-Sherlock...vuoi...vorresti farmi la cortesia di spiegarmi cosa...cosa ci fai qui? –
Sono contento di vederlo. Davvero. Eppure mi ha colto alla sprovvista e ci sono troppe cose da mettere in chiaro.
-Ho fatto richiesta di iscrizione e mi hanno preso. Tu come hai fatto ad essere qui? –
Nei suoi occhi leggo stupore, come se davvero non si capacitasse di come io possa non capire, ma non è questo ciò che volevo sapere e mi chiedo se lui se ne renda conto, se mi stia solo prendendo in giro o se davvero consideri tutto ciò...normale.
Ah già, ma stiamo parlando di Sherlock Holmes, come posso sperare che qualcosa sia normale?
Mi siedo sconsolato sul divano. Respiro.
Rilassati e ricomincia tutto da capo.
Intanto Sherlock sembra aver concluso la sua ispezione della valigia e si dirige verso la mia stanza.
La apre tutto deciso e sembra interdetto.
-Qualcuno ha dormito nel mio letto. –
Comincio a domandarmi se non si sia fatto di qualche sostanza stupefacente, non sarebbe qualcosa di tanto impossibile.
-Sherlock. Quella è la mia stanza. –
Lo osservo guardare attentamente le chiavi, fare dietrofront e dirigersi quasi meccanicamente verso la porto opposta alla mia. Appoggia la mano sulla maniglia e fa per entrare.
Assisto trattenendomi dal ridere a un ragazzo che sbatte contro la porta che rimane chiusa perché chiusa a chiave.
-Sherlock...le chiavi. – gli suggerisco lasciando che la mia frustrazione scemi.
-Ovviamente. – borbotta lui infilando la chiave nella toppa.
Improvvisamente capisco cosa gli prende. Non è a suo agio in una stanza come questa: l'ambiente impeccabile mette in soggezione un ragazzo vissuto per undici anni per strada, porte, mobili, tappeti, tende...per lui è quasi tutto nuovo. Certo, ha vissuto per sette anni in istituto, ma la vita di strada deve avergli cancellato i parametri per vivere in luoghi "civilizzati".
Gli devo concedere qualche momento per ambientarsi. Anche se lui è il grande Sherlock Holmes.
Forse, quando sarà più a suo agio mi dirà cosa diavolo sta succedendo.
***
Queste dannate porte!
Ho abbassato la maniglia e non si è aperta, perché diavolo dovrebbe essere chiusa a chiave? È una stanza dentro una stanza, a cosa serve sigillarla quando già c'è una porta chiusa da superare?
Sotto lo sguardo divertito di John infilo le chiavi nella toppa e finalmente riesco ad aprire la porta della camera 221 b.
Mi chiudo la porta alle spalle lasciando John dall'altra parte. Tutto il suo disappunto mi arriva con una sua esclamazione:
-Grazie per la considerazione! –
È contento di vedermi.
È chiaro.
Certo è un po'...spiazzato?
Stupito.
Ma felice.
E tu sei felice Sherlock?
Io non so cosa significhi essere felice.
Sono motivato.
Una camera rettangolare mi accoglie. È semplice ma pulita e ordinata.
Pulizia.
Ordine.
Da quanto tempo..?
Undici anni.
Solo ora mi rendo conto di quanto siano stati lunghi.
I miei occhi viaggiano rapidi, memorizzando ogni angolo. Lenzuola pulite. Profumo di detersivo nell'aria.
La scrivania va spostata.
Lì riceve la luce diretta del sole solo per poche ore al giorno.
La metterò sotto alla finestra, è il posto più logico per sfruttare la luce naturale al massimo.
Osservo l'armadio. Lo apro.
Dentro gli appendini di metallo tintinnano scontrandosi.
Osservo la borsa.
Osservo le grucce.
Osservo di nuovo la borsa.
Appendere i vestiti nell'armadio.
Perdita di tempo.
Appoggio la borsa sul fondo del mobile e chiudo le ante.
Sistemare le mie cose: fatto.
Le mie cose. Suona strano. Non c'è la mia coperta. Quella è sempre stata l'unica cosa mia.
Mycroft si è comportato da fratello maggiore, non solo da agente del governo.
Mi ha regalato una nuova identità, una vita vera.
E mi ha pure fatto la valigia comprandomi dei vestiti nuovi.
E un cappello.
Ancora con l'immagine del berretto fissa in mente apro nuovamente l'armadio e lo tiro fuori dalla valigia.
Ha due visiere. Perché mai un cappello dovrebbe avere due visiere?
È un berretto da caccia.
Questo non giustifica niente.
Tendo le braccia e lo osservo controluce.
È ridicolo.
Perché mai Mycroft avrebbe dovuto mettermi un cappello da caccia in valigia?
Me lo metto in testa.
Voglio vedere la reazione di John quando lo vedrà. È uno stupido cappello.
Apro la porta che sta sulla parete tra il letto e l'armadio e mi trovo in un piccolo bagno. C'è la doccia, un lavandino e un water. In un angolo un piccolo mobiletto.
Vuoto.
Ho qualcosa da metterci dentro?
No.
Mi appunto mentalmente di comprare del sapone.
Cos'altro tiene la gente in bagno?
Non ne ho la minima idea.
Non mi sento a mio agio.
Cosa ci faccio qui?
Sono fuori posto. Si, assolutamente fuori posto.
Comincio a camminare avanti e indietro per la stanza. Tengo le mani giunte dietro la schiena.
Sento il rumore di un fornelletto elettrico accendersi.
Sto fermo in mezzo alla stanza e ascolto i rumori, ciò che mi circonda.
Dalla finestra chiusa arrivano ovattate delle risate e il gorgogliare del fiume.
Gorgogliare. Acqua.
Acqua che bolle.
John deve aver messo su un the nell'altra stanza.
Non mi ha chiesto se lo voglio.
Lo sta facendo anche per me. L'acqua ci mette tanto a raggiungere la temperatura giusta,
Due dosi.
Mi piace il the? Non lo bevo da così tanto tempo.
Quello della signora Hudson mi piaceva.
Metteva tanto limone.
Sento che i ricordi dell'istituto stanno per raggiungermi. Li ho tenuti lontano per così tanto tempo, ma ora tutto questo mi riporta a qualcosa di familiare e non devo lasciarmi sopraffare.
Esco dalla stanza forse con troppa enfasi.
John mi guarda per un attimo.
Occhi che ridono. Bocca che ride. Ha visto il cappello.
-Hai preso qualcosa? –
Allude alla caccia.
-Non trovi che sia stupido? – domando io restando fermo sulla soglia.
-Cosa? – domanda lui senza capire.
Il bollitore comincia a fischiare e lui spegne il fornelletto.
È in un angolo della stanza, sopra ad una scrivania incastrata tra il muro e una libreria.
John deve amare il the per essersi procurato un bollitore e un fornelletto elettrico.
O forse è in dotazione nelle stanze. Possibile.
Certo.
Intravedo lo stemma di Cambridge sotto al beccuccio.
John lascia che l'infuso si diffonda nelle tazze.
Tira fuori le bustine e, dopo averle accuratamente strizzate schiacciandole con il cucchiaino sul bordo della tazza si alza per buttarle.
È meticoloso. Ordinato.
-Non sono bravo con l'ordine. –
John mi guarda senza capire.
-Io suono il violino quando penso, a volte non parlo per giorni interi e sono particolarmente disordinato. Due potenziali coinquilini dovrebbero conoscere i difetti reciproci – [1]
-O...Ok. – approva lui come sempre confuso dal mio modo di pensare e intervenire.
Si ferma un attimo nel tragitto dal cestino alle tazze. Mi osserva.
-Sherlock? –
-Sì?-
-Tu...tu non hai un violino. –
-No, affatto. Ma mi piacerebbe molto averne uno e se lo avessi lo suonerei mentre penso. –
-Capisco. –
Mi chiede quanti cucchiaini di zucchero metto nel the.
Non mi offre né lette né limone. La sua non è scortesia.
Nella stanza non c'è un frigorifero, non può tenere alimenti deperibili.
Ci sediamo sulle due poltroncine del salottino, poggiando le tazze sul tavolino basso.
Watson picchietta con le dita sul bracciolo della poltrona.
Mi guarda.
-Allora Sherlock, non credi che ora tu debba spiegarmi un po' di cose? -
[1] battuta riadattata presa dal primo episodio di Sherlock BBC
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