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Straordinario



CAPITOLO 4

STRAORDINARIO

- Ancora tu? –

- Anch'io sono contento di vederti Greg. –

La situazione che passa davanti ai miei occhi è assurda. Anzi no...è tutto assurdo da questa mattina. Fin dal momento in cui è suonata la sveglia.

La partenza. Finalmente è arrivato questo giorno. La casa era vuota, cosa normale. Ormai ci sono abituato, d'altronde come posso pretendere che i miei genitori, avvocati di grido, passino tanto tempo a casa? Devono seguire i corsi di aggiornamento, gestire cause in altri paesi e tante altre cose che non ho nemmeno voglia di ricordare.

Però la partenza per Cambridge avrebbe segnato una grande svolta nella mia vita. Andare lontano, dove nessuno mi conosce, dove nessuno può chiamarmi "figlio di papà" perché non sono a conoscenza della mia condizione.

Ero in ritardo, come sempre, e lo zoppicare non aiutava di certo. Poi è successo qualcosa che ancora non riesco a spiegarmi, sono inciampato su un ragazzo.

E da quel momento ho fatto tutto senza una vera spiegazione logica.

C'era solo qualcosa dentro di me che mi spingeva a seguirlo. Qualcosa che mi diceva che lui era quello di cui avevo bisogno, la svolta decisiva.

Non Cambridge, no. La risposta è in Sherlock Holmes.

In quegli occhi di ghiaccio, in quegli zigomi alti, in quei capelli spettinati e indescrivibili. Nel suo modo di pensare, di parlare. Di porsi.

Dal momento stesso in cui me lo sono trovato davanti ho capito che esercitava su di me un certo fascino.

E ogni secondo che passava rivelava qualcosa di straordinario.

Straordinario per me vuol dire "qualcosa che è fuori dall'ordinario" e Sherlock corrisponde perfettamente a questa descrizione.

L'ordinario per me è vivere in una casa enorme, frequentare un college prestigioso (ma fino a oggi meno prestigioso di Cambridge), avere dei genitori e non vederli mai, se non ogni tanto nei week end. Giocare a croquet e far parte dei gruppi di discussione a scuola.

Sherlock vive sotto una stazione. Ed è solo.

Ed è un genio.

Poi, senza rendermene quasi conto siamo arrivati qui.

Due ragazzini su una scena del crimine.

Siamo davanti al portone di una villetta a schiera dove è stato tirato un nastro a strisce bianche e rosse.

Un uomo sulla quarantina coi capelli grigi tagliati a spazzola e un naso pronunciato si stava infilando un paio di guanti di lattice quando alla vista di Sherlock Holmes è letteralmente sbiancato, per poi tramutare il suo umore in nervosismo e forse anche una tonalità di rabbia.

- Ti farò arrestare prima o poi! – sbotta quello che ho capito essere l'ispettore, rivolto al ragazzo.

- No, non lo farai. –

Si fissano per un attimo, poi Sherlock parla nuovamente, sempre con quel suo fare saccente e sicuro di sé.

- E sai perché? Perché tu hai bisogno di me. –

Il fatto che Lestrade ci metta così tanto a replicare indica che Sherlock ha colpito nel segno.

Ma come può essere possibile che un equipe di polizia abbia bisogno della consulenza di un ragazzo di strada?

E poi sono a conoscenza della sua condizione?

Dubito che un poliziotto possa passare sopra al fatto che un ragazzo fuggito da un istituto viva sotto un ponte.

- Cosa abbiamo? – domanda Sherlock superando il nastro bianco e rosso.

Un donna della squadra, dalla pelle un po' scura e i capelli ricci e neri storce il naso. Sta per dire qualcosa ma poi sembra ripensarci e non apre bocca.

Lestrade non risponde. Mi sta fissando.

- Da quando ti porti un seguito Sherlock? –

Non so bene cosa risponderà il ragazzo. Per un attimo sia gli occhi dell'ispettore sia quelli di ghiaccio di Holmes mi fissano.

Istintivamente mi sfrego la mano sui pantaloni, così, giusto per fare qualcosa.

Credo anche di avere stampato in faccia il sorriso più ebete della mia vita.

Ma è tutto così surreale.

- Ah. Sì. Lui. – scandisce Sherlock.

Mi sento come se uno schiaffo mi avesse colpito in piena faccia.

Lo sguardo di Lestrade si fa all'improvviso compassionevole e si addolcisce.

- Su, entra, fuori si gela e la pioggia sta peggiorando. –

Questa volta la donna nell'angolo non riesce a contenersi.

- Non bastava Sherlock Holmes. Ora facciamo entrare pure i suoi amici. Ispettore devo ricordarle che questa è una scena del crimine. Non un pub! –

- Donovan stia al suo posto. Non accadrà niente se per una volt...-

L'ispettore viene interrotto da Sherlock.

- Lui non è mio amico. Io non ho amici. –

Lascia andare il guanto in lattice che si è infilato e si volta, salendo le scale.

- Se riesci a sopportarlo hai tutta la mia stima, figliuolo. Un giorno mi racconterai perché giri con lui davanti a una bella tazza di the. –

Seguo l'ispettore con una piccola risata. Ma sono turbato da quello che ha detto Sherlock poco fa.

Com'è possibile non avere amici?

Certo, la sua condizione non è molto semplice, ma il fatto che lui l'abbia detto in quel modo, come se l'avere amici fosse un difetto, una debolezza, mi ha preso alla sprovvista.

Quando supero la porta di una soffitta i miei pensieri vengono spazzati via.

Seduto su una sedia c'è un ragazzo. Ha gli occhi spalancati ed è completamente pallido.

Dal rigor mortis potrei affermare che è morto da poco più di 24 ore.

- ...di 24 ore. –

Lestrade, Sherlock e la donna che risponde al cognome di Donovan mi guardano interdetti.

Solo dopo qualche secondo realizzo di aver espresso i miei pensieri ad alta voce.

- Scu...scusate io non... -

- 27, per essere precisi. – puntualizza Sherlock continuando a girare intorno al cadavere in modo a mio parere insopportabile.

- Sei uno come lui? – mi domanda Donovan cono disprezzo.

Che strana domanda da fare, ma noto che anche l'ispettore è interessato alla risposta.

- No io...no. –

Balbetto. La mia situazione è sempre più imbarazzante.

E fuori luogo.

E assurda.

E potrei andare avanti all'infinito con altri aggettivi terribili, ma preferisco precisare:

- Studio medicina. Vorrei diventare medico. –

- Il consulente e il dottore. Che bella coppia. – quello di Donovan è un po' troppo pungente per essere sarcasmo.

- Consulente? – domando senza capire.

Sherlock si ferma e mi fissa.

- Consulente investigativo. È il mio lavoro. –

Donovan soffoca una risata in maniera teatrale, ma il ragazzo non la considera minimamente.

- L'ha inventato lui. – mi sussurra Lestrade.

- Infatti. – assentisce Sherlock, per poi aggiungere – Sono il primo al mondo. –

Sperando che non mi senta domando all'ispettore: - Perché vi appoggiate ad un diciottenne per risolvere i vostri casi? -

Capisco subito che non è una domanda molto gradita all'ispettore, soprattutto con la collega nei paraggi che sembra disprezzare il "consulente investigativo" ancora più di Lestrade, ma lui deve avermi preso in simpatia e mi risponde alzando gli occhi al cielo.

- È lui che ha trovato noi ormai un paio di anni fa. Dapprima lo vedevamo osservare a distanza. Pensavamo fosse solo un ragazzino con gusti un po' strani. Poi ha cominciato a darci dei suggerimenti. Erano semplici frasi come: "se fossi in lei indagherei sul postino". Era bravo a mettermi la pulce nell'orecchio e ogniqualvolta io facessi come lui mi aveva detto trovavamo il colpevole nel giro di 24 ore. Poi siamo arrivati a questo punto: farlo indagare sulla scena del crimine. Non so bene nemmeno io chi sia Sherlock Holmes. Ogni volta mi prometto di indagare su di lui, ma qualcosa mi spinge a non farlo. Non so bene spiegare cosa sia. –

Il racconto di Lestrade viene interrotto dal principale protagonista.

- Caso risolto. –

Donovan inarca un sopracciglio e attende che il grande investigatore ci illumini.

Dei passi sulle scale attirano la nostra attenzione e vedo un uomo scarno coi capelli neri tenuti fermi col gel entrare con due pesanti borse tra le mani; il corpo avvolto in una tuta blu.

Nel vedere Sherlock ha la stessa reazione vista nell'ispettore poco fa.

- Grazie per averci degnati della tua presenza Anderson. Puoi metterti comodo e goderti lo spettacolo. –

- Ma...-

Lestrade interrompe la polemica del P.M della scientifica:

- Questa volta ha ragione lui. Sei in ritardo Anderson. –

Sherlock osserva il suo pubblico. Fa un profondo respiro come se stesse per entrare in scena davanti ad una platea di spettatori e la sua teatralità mi irrita. Come se per lui fosse un gioco.

- Marck Dever, diciassette anni, figlio unico, brutti rapporti coi genitori. Vive qui per l'ultimo motivo. Non ci sarebbe altra spiegazione plausibile al perché sopporti questo posto caramelloso...tende rosa, pareti violette...L'altra sera deve aver partecipato ad una festa, probabilmente con un gruppo di amici che non sarà difficile rintracciare, basterà guardare la rubrica del cellulare e i messaggi. Si sa come sono le feste dei giovani al giorno d'oggi. Musica, alcol e droghe. –

Calca sull'ultima parola e fa una pausa ad effetto.

- Ne inventano sempre di nuove e sono sempre peggio. I ragazzi le ingeriscono come niente e bam. –

Accompagna il suono con un battito di mani.

Ancora questa teatralità insopportabile.

Anche gli altri sono snervati e Lestrade è l'unico ad avere il coraggio di parlare:

- Vuoi spiegarti con parole comprensibili anche a noi comuni mortali? –

Credo che Sherlock abbia borbottato qualcosa come "sempre la stessa storia" ma non potrei affermarlo con certezza.

Alza gli occhi su di noi e ci spiega:

- L'accoppiata di due droghe differenti deve aver provocato una reazione allergica al suo organismo. Una reazione particolare, un acceleramento del battito cardiaco con successivo arresto. L'arresto deve essere avvenuto quando già era a casa, gli amici devono averlo lasciato qui in stato confusionale, ma era vivo. Se Anderson sarà così gentile da svolgere il lavoro per cui è pagato profumatamente potrebbe settare l'analisi del sangue sulla ricerca di particelle di sostanze psicoattive. –

Il silenzio cala sulla sala.

Mi chiedo se Sherlock non si stia aspettando degli applausi.

Mio malgrado devo ammettere che sarebbero meritati.

- Straordinario. Sì, straordinario. –

Mi lascio sfuggire. Anche questa volta volevo solo pensarlo e invece ho parlato.

- Oh andiamo Lestrade, questa volta ci saresti arrivato pure tu. Magari dopo aver ricevuto i dati della scientifica. –

- Se tu mi avessi lasciato il tempo probabilmente sì. – risponde Lestrade amaro.

- Con calma. – sbotta Anderson – Le analisi non sono ancora state fatte, solo dopo potremo vedere se il nostro prestigiatore ha indovinato pure questa volta. –

- Indovinato? Dedotto vorrai dire. –

Sherlock è palesemente offeso.

- Mandami una cartolina, Anderson, quando avrai la prova che avevo ragione su tutto. Ho da fare. –

Sherlock si sfila i guanti e li lascia cadere a terra, prima di eclissarsi uscendo dalla porta.

- Stai attento. –

La voce di Donovan mi raggiunge quando sto per seguire il ragazzo.

- Dice, dice a me? – domando impacciato, come sto facendo da tutta la mattina.

- È pericoloso. Perché credi che lo faccia? Non riceve un compenso per questo, non viene pagato. Lo fa perché si diverte e prima o poi non gli basterà più. Sarà lui a commettere l'omicidio e noi come pedine dovremo indagare. – [1]

Le parole di Donovan mi gelano il sangue, ma c'è una convinzione nella sua voce che mi fa capire che questa volta non è solo cattiveria, c'è del puro timore.

- Perché, perché dovrebbe compiere un omicidio? –

- Perché è uno psicopatico. E gli psicopatici si annoiano. –

NOTE

[1] Dialogo simile a quello presente nel primo episodio della prima stagione di Sherlock BBC

AGGIORNAMENTO 17\03\2019

visti tutti i commenti che avete scritto in cui precisate che non è uno "psicopatico" ma un sociopatico iperattivo, ci tengo a precisare che 

a. È Donovan a dire che lui è uno psicopatico, ovviamente con accezione dispregiativa perchè lo sta criticando e sotto sotto lo detesta, quindi non è una affermazione scientifica ma è un suo personale commento

b. In realtà pure la dicitura "sociopatico iperattivo" sarebbe scorretta perchè in realtà la diagnosi esatta dovrebbe essere di "autismo ad alta funzionalità", ovvero, in poche parole, la sindrome di Asperger 

Grazie per l'attenzione e buona lettura a tutti :)

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