Partenze e addii
CAPITOLO 6
PARTENZE E ADDII
Una musichetta irritante arriva dalla tasca dei pantaloni di John e lui estrae un cellulare in tutta fretta.
Guarda il display e sbuffa:
- È mia madre. –
Sta per rispondere quando mi guarda e con aria complice mi chiede:
- Quanto ci vuole in treno da King Cross a Cambridge? –
- 46 minuti senza ritardi. – rispondo.
Lui preme la cornetta verde e si posa il cellulare su un orecchio mentre si tappa l'altro con la mano libera.
- Ciao mamma! –
Vorrei tanto sentire la voce dall'altro lato ma non posso, quindi mi accontento di ricostruire il dialogo solo con le battute di John.
- Si tutto bene, il treno era in ritardo, quindi non sono ancora arrivato. Mancano circa un paio di minuti però. –
Bugiardo.
Alza gli occhi al cielo.
- Si mamma. Ti chiamo io dopo. Si, si ho capito. Ok. No non ho dimenticato nulla. Si, va bene. Saluta papà. Ciao! –
- Che scocciatura le mamm...-
Si interrompe. Mi guarda di sottecchi e si rende conto di ciò che stava per dire.
Veniamo salvati dalla cameriera che ci consegna le nostre ordinazioni.
- Sei proprio sicuro che io assomigli a questa? – mi domanda facendo colare la schiuma dal cucchiaino.
Non rispondo.
Osservo il mio cappuccino.
"Che scocciatura, le mamme" davvero sono una scocciatura?
Sentimenti Sherlock. Attento ai sentimenti.
Riacquisto subito l'autocontrollo.
Lucido.
Cappuccino: 70 % latte scremato. 29 % caffè. 1% zucchero.
Va tutto bene.
Sono ancora in grado di farlo.
- Sherlock? –
Non guardo Watson, ma rispondo alla sua domanda.
- Oh sì, secondo me siete identici. –
Nessuno dei due ride alla battuta.
Non è il momento di ridere.
- Il prossimo treno è alle 8.50, tra circa 10 minuti. –
- Sherlock. –
- Non lamentarti. Questo non è il tuo posto. Che vorresti fare? Vivere sotto un ponte, condividere la mia coperta pidocchiosa e mangiare un giorno no e l'altro pure? Avevi bisogno di cambiare aria per un po'. La tua vita ricca e perfetta è un po' opprimente non è vero? Ma credi davvero di poteri adeguare a questa? –
Così Sherlock. Duro.
Freddo.
Apatico.
Senza emozioni.
Tutto ciò che è emozione contrasta con la fredda logica che io pongo al di sopra di tutto [1]
- Alle otto e cinquanta hai detto? –
- Si, probabilmente farà ritardo. Lo fa sempre. –
John annuisce.
Finiamo la colazione.
Avrei ancora fame. Un cappuccino e un toast non bastano certo a saziare un senzatetto, ma ho già approfittato fin troppo.
John paga per entrambi e usciamo.
Le nuvole si stanno diradando e il cielo è particolarmente azzurro. Ci saranno circa 12 gradi. Il vento fresco abbassa la temperatura percepita di un grado.
Camminiamo né con passo lento né rapidi.
Camminiamo e basta.
Non parliamo.
Non c'è niente da dire.
Siamo due sconosciuti. Mi sto solo premurando che arrivi in orario in stazione.
Tragitto "Drink, Shop & Do" fino a "King Cross" equivalente a 6 minuti. Col passo che abbiamo ora potremmo scendere a 5 minuti e qualche secondo.
E così è, dopo il tempo intuito siamo davanti ai binari della ferrovia.
Un tabellone appeso alla colonna poco distante da noi indica, a caratteri arancioni luminosi, che il treno per Cambridge arriverà tra qualche minuto.
Watson si passa la mano sui pantaloni. Ancora.
Imbarazzo.
Devo andarmene?
Resta.
Devo andarmene. Sì. Non sopporto gli addii.
Resta.
Perché la mia voce interiore deve sempre avere ragione?
- E così...medico? –
Domando.
Odio le domande di cui conosco già la risposta. So già che Watson vuole diventare medico. L'ha detto.
E anche se non l'avesse detto l'avrei intuito.
Non appena siamo arrivati sulla scena del crimine ha automaticamente assunto un atteggiamento più...
Professionale?
Si, potrebbe andare bene.
Osservava il cadavere con occhio clinico.
E ha perfino quasi indovinato l'ora del decesso. Certo, non ha notato che il freddo nella stanza causato dalla finestra rimasta aperta aveva rallentato il processo di decadimento del corpo. Ha così approssimato per difetto il tempo trascorso.
Da 27 ore a 24.
Errore da principiante.
Ma tollerabile.
Anderson avrebbe fatto di peggio.
E guardando la posizione di Anderson direi che Watson potrebbe tranquillamente fare carriera.
- Già. – assentisce John.
Perfino lui si rende conto di quanto sia squallida questa conversazione.
Meglio stare zitti, a volte.
Sento il leggero tremare della banchina molto prima degli altri, ma quando il treno appare all'orizzonte pure John si rende conto del suo imminente arrivo. Afferra la borsa marrone e fa un passo avanti.
Il treno si ferma con stridore di freni.
Saranno circa 145 decibel.
- Allora... -
- Addio. – taglio corto io.
- Sì, addio. –
John sale sul treno. Lo vedo poco dopo comparire davanti ad un finestrino.
Saluta con la mano, ma io non posso vederlo.
Sto già andando via.
NOTE
[1] Parte di frase da "Il Segno dei Quattro" di Arthur Conan Doyle
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