Ovviamente
- Quanti anni hai? – mi chiede John dopo qualche attimo di imbarazzante silenzio.
- Diciotto. – rispondo semplicemente.
Uno starnuto mi coglie alla sprovvista e nei suoi occhi si fa strada una preoccupazione mista a disappunto.
- Rischi di ammalarti seriamente. –
- Irrilevante. –
La situazione si sta facendo insensata. Secondo i calcoli il ragazzo dovrebbe alzarsi, fare gli scalini e sottrarsi alla mia vista. Sedersi su una panchina al riparo della stazione e attendere il treno che, con un po' di ritardo, lo porterà nella sua scuola di ricconi dove comincerà il suo primo giorno al college.
Si, le mie deduzioni mi hanno portato a capire che John Hamish Watson gode di un certo benessere finanziario, basti guardare la divisa finemente stirata, la valigia nuova di zecca e le scarpe che, anche se un po' sporche di fango, si intuiscono essere nuove e di marca.
Dev'essere intelligente. Deve essere al terzo anno di scuola, quindi intorno ai diciotto anni, però sta andando a Cambridge per la prima volta, prima deve aver frequentato un college qui a Londra. Il fatto che si stia sposando per quest'anno scolastico potrebbe essere la giustificazione all'aver vinto una borsa di studio.
Le borse di studio vengono assegnate per due motivi: buone prestazioni sportive o alti risultati scolastici.
È troppo gracile e scoordinato per poter appartenere alla prima categoria.
Posso dedurre tutto questo, ma perché non riesco a capire perché questo ragazzo stia qui sotto, con me, invece che avviarsi verso il suo ricco e allegro futuro?
Spero che ciò che lo muove non sia solo pietà, pena per questo povero ragazzo di strada che non ha nessuno.
La solitudine è ciò che ho. La solitudine mi protegge.
- Da quanto... - sembra imbarazzato nel voler porre la domanda.
Sfrega più volte le mani contro i pantaloni. Non sono sporche, ne sudate. È solo un movimento per ingannare il tempo.
- ...da quanto vivi qui? – correda la domanda con un sorriso, come a voler dare meno peso al nostro dialogo.
Ora comincia davvero a scocciarmi.
Non ho intenzione di condividere il mio passato con uno sconosciuto.
- Tra 29 minuti arriverà il tuo treno. –
Deve aver capito che non ho il minimo interesse nel continuare questa conversazione.
Ho da fare. Lascio la coperta in un angolo del sottopassaggio, dietro ad un cestino dell'immondizia, mi tiro su il colletto del cappotto sgualcito e salgo gli scalini a passo lento.
La pioggia comincia subito a farsi strada tra i miei capelli. Posso guardare il lato positivo e pensare che in fondo una "doccia" non può farmi male.
Sento dei passi dietro di me.
Ho già memorizzato la cadenza di John, il suo passo confuso.
Zoppica. Come ho fatto a non notarlo prima?
Incredibile quale sia l'effetto del sonno sulla mia mente. È intollerabile.
Il mio intelletto ha già rivolto troppa attenzione al ragazzo, è ora di passare a questioni più importanti.
So che mi ha raggiunto, ma tengo lo sguardo basso per non incrociare i suoi occhi.
Sento un click e poco dopo vengo isolato dalla pioggia, protetto dalla cupola di un ombrello.
Tra di noi la mano di John che tiene saldamente il manico.
Senza parlare mi sposto così da essere nuovamente sotto la pioggia.
- Sei incredibile. – sembra quasi ridere lui.
È forse un complimento?
Incoerenza. Perché dovrebbe fare un complimento?
Perché dovrebbe fare un complimento a ME?
Perché dovrebbe fare un complimento a me ORA?
Genere umano. Assolutamente senza senso.
- Perderai il treno. –
- I corsi cominciano domani. –
Capisco. Oggi non è il primo giorno di scuola. Stava solo andando ad ambientarsi.
La sua è stata una risposta semplice.
Pragmatica. Sufficiente a spiegare molte cose.
Ma quelle cose io non voglio vederle.
- Prendi quel treno. –
Il mio tono è brusco. È così che io voglio che appaia.
Niente rapporti umani. Sono solo una distrazione.
Distacco da ciò che non mi riguarda.
E John Watson non mi riguarda.
Non ancora.
Raggiungo un cestino e il mio occhio critico lo analizza in un attimo. Trovo ciò che mi serve.
Un giornale.
Di oggi. Giornata fortunata. È incredibile pensare a quante cose gettino via le persone.
Non sanno capire il valore delle cose.
Per loro sono più importanti i sentimenti. I sentimenti sono solo un difetto chimico, un errore di programmazione.
John continua a seguirmi. Posso sentire i suoi occhi azzurri che seguono ogni mia mossa con sguardo analitico.
È abituato a osservare. Ma in una maniera del tutto diversa dalla mia.
Devo solo capire cosa osserva.
Indifferenza.
Sì, le persone odiano l'indifferenza.
Le persone vogliono sentirsi al centro dell'attenzione, vogliono essere ammirate, lusingate.
Se vengono ignorate si scocciano.
Se ne vanno.
Io devo ignorare John Watson.
Omicidio in Wynford Road.
In un millesimo di secondo la mia mente si focalizza sulla pianta della città.
Percorso più lungo a piedi: 0,8 miglia. Diciassette minuti.
Considero le opzioni.
Percorso più breve: svoltare in Caledonia Road. 0,7 miglia. Tredici minuti.
Più che fattibile.
Dettagli del caso: ragazzo di diciassette anni trovato morto in casa sua. Viveva solo in affitto nell'appartamento indipendente di proprietà di un'anziana signora. È stata lei ad avvertire la polizia quando si è resa conto che non sentiva rumori. Il ragazzo non mostra segni che possano indicare la causa della morte. Sembra essere tutto nella norma, tranne il fatto che le sue funzioni vitali sono palesemente arrestate.
Scorro l'articolo raccogliendo solo le informazioni fondamentali.
Quando mi rendo conto che certe deduzioni sono decisamente squallide mi appresto a trovare l'ispettore incaricato dell'indagine.
Scoppio a ridere.
Lestrade potrebbe fare di meglio.
È intelligente, ma non si applica. Come potrebbe dire una professoressa alla madre di un ragazzino di seconda media.
Sarà divertente piombare sul luogo del delitto e far infuriare il mio ispettore preferito.
Con la coda dell'occhio capisco che John è ancora al mio fianco.
Non molla.
Punto a suo favore. Ancora una volta non si è comportato come un essere umano nella media.
- Dove siamo andando? – domanda come se la nostra fosse una scampagnata tra amici.
- Dove STO andando. – lo correggo. Siamo fermi a un semaforo.
Il verde scatterà esattamente fra tre, due, uno.
Troppo facile.
Le macchine di fermano e lascio che le strisce pedonali vengano calpestate dalle mie suole bucate e da quelle intonse di John.
- Wynford road. – cedo rispondendo a John.
- Oh bene. – solo una parola.
Non riesco a capire.
Io NON riesco a capire.
Perché mi sta seguendo? Perché, perché, perché?
Altri secondi di silenzio.
Stridore di gomme. Se la macchina avesse frenato due millesimi di secondi dopo l'acqua sulla strada avrebbe attenuato l'attrito, risultato: il bambino che stava attraversando la strada ora non sarebbe così allegro.
La madre guardava una vetrina. Il fischio delle gomme attira la sua attenzione.
Panico nei suoi occhi. Corre in mezzo alla strada e prende il figlio tra le braccia.
Sentimenti. Sentimenti ovunque.
- E perché andiamo proprio lì? –
Ancora una volta una domanda semplice. Lui si guarda attorno curioso.
Sfrega ancora una volta la mano sui pantaloni. Se lo facesse più spesso potrei etichettarlo come un tic nervoso ricorrente. Invece dev'essere un movimento sporadico, che fa solo quando è insicuro della situazione.
Perché questa situazione lo rende insicuro?
Anzi, riformulo: se questa situazione lo rende insicuro perché si ostina a seguirmi?
Oh.
Io lo rendo insicuro.
Non so come reagire a questa nuova deduzione.
- Omicidio. – rispondo accettando il fatto che ormai ci sia.
- Che cosa?! – la sua voce è improvvisamente cambiata.
- Ora prenderai quel treno? Se ti sbrighi e corri lo prenderai. Parte tra 5 minuti. Ma sarà in ritardo di due. Quindi ce la puoi fare. Se corri. –
- Perché stiamo andando su una scena del crimine? –
Ha rallentato il passo.
Io non rallento.
Ancora una volta mi sorprende. Invece di fermarsi del tutto, guardarsi in giro fino a trovare la strada per tornare alla stazione di King Cross, riaprire il suo ombrello e sparire dalla mia vita, riaccelera cercando di dissimulare lo zoppichio e si porta di nuovo al mio fianco.
La pioggia sta aumentando intensità. 8 millimetri all'ora.
Ormai ho i capelli completamente fradici.
John ce li aveva già, per lui non fa differenza.
- Per indagare, no? – calco sull'ultima parola come se fosse ovvio.
Perché lo è.
Ripenso ai dati del caso.
Le parole stampate del giornale si sono stampate nella mia mente. Basta solo ritrovarle.
Nessun segno di asfissia, avvelenamento, contusioni, tagli, emorragie...niente.
Possibile?
Di sicuro si saranno lasciati sfuggire qualcosa.
Lastrade e la sua squadra sarebbero perfino capaci di non notare una ferita di cinquanta centimetri solo perché si trova sulla schiena e considererebbero il sangue sparso in giro come un fatto anomalo.
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