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John e la Schiuma del Cappuccino


CAPITOLO 5

JOHN E LA SCHIUMA DEL CAPPUCCINO

Potrei andarmene e liberarmene una volta per tutte.

Eppure è successo qualcosa in quella sala.

- Straordinario eh? –

John mi guarda interdetto. Gli occhi azzurri un po' spaesati, ma sono così da questa mattina, da quando alle sette e ventisette secondi e qualche decimo mi ha calpestato.

- L'hai detto tu. Prima. "Straordinario" –

I suoi occhi si fanno più fermi, meno tremolanti. Ha capito di cosa sto parlando.

Ma non ha capito il perché.

- Lo pensi davvero? – gli chiedo guardandolo con un sopracciglio inarcato.

Lui si rilassa. Chissà a cosa stava pensando.

Possibile che le persone o mi odino o abbiano timore di me?

Nei secondi che John impiega a rispondere comprendo il mondo attorno a me.

Ha smesso di piovere.

I miei calcoli sono stati errati di 1 millimetro all'ora. Si perché l'intensità che ha raggiunto oggi è stata al massimo di 9 millimetri orari. Uno in più e sarebbe stato rovescio.

Ho sbagliato.

Appunto questo dato per evitare che si ripeta.

Quanto è passato da quando siamo qui?

Dall'intensità della luce che filtra tra le nuvole capisco che devono essere le otto e mezza. Secondo più secondo meno.

Esistono gli orologi.

Quella fastidiosa vocetta nella mia testa. Dovrò trovare un modo per estirparla prima o poi.

Sento lo stomaco brontolare.

Dopo tutto questo, solo dopo tutto questo, John risponde.

Credo che il mondo si muova su un'altra dimensione, una dimensione più lenta della mia.

Questo non è il momento di elaborare un trattato, voglio sentire cosa dirà il ragazzo, mi interessa davvero.

- Sì. Lo penso davvero. Hai intuito tutte quelle cose solo...solo guardandolo! –

Nella sua voce l'entusiasmo è sincero e provo uno strano calore a sentirglielo dire, così, in quella maniera. Con due fossette che si formano agli angoli della bocca quando sorride.

- Oh. – riesco solo a commentare. Sono sorpreso.

- Va tutto bene? – mi domanda lui.

Premura.

La premura è un sentimento?

- Sì. È che sei il primo che lo pensa. –

- Sul serio? –

La sua ingenuità è interessante.

Sì. John Watson è interessante.

Siamo di nuovo in Caledonia Road.

- Dove stai andando ora? – mi domanda John sempre seguendomi.

- Ti riporto in stazione. -

Watson si ferma, interdetto.

- Grazie mamma. Ho altri programmi. –

- Se i tuoi programmi sono quelli di seguirmi come un cagnolino allora è confermato. Ti riporto in stazione. –

- Non paragonarmi a un cagnolino! –

- E allora tu non comportarti da tale! –

Dev'essere una scena bizzarra agli occhi degli altri.

Un ragazzo ben vestito con la divisa di un College, con una valigia in mano e un ombrello nell'altra che bisticcia con un ragazzo dal cappotto grigio di lana logoro e una sciarpa blu sporca di fango.

Occhi che ci guardano.

Passi. Una donna ci passa a pochi centimetri.

Lavora in un supermercato, pensa che oggi si licenzierà. Lo pensa tutti i giorni. Non lo fa mai. Ha paura di quello che potrebbe venire dopo. Non ama il rischio. Le piace la sicurezza.

Ancora. L'ho fatto ancora!

Ho un quoziente intellettivo fuori dalla media e lo uso per scannerizzare una commessa frustrata.

Mi ha occupato ben 12 secondi questa analisi. E non l'ho nemmeno voluta io.

Il mio stomaco brontola. Dev'essere la terza volta che si produce in questo tono basso, baritonale.

John deve averlo notato.

- Io non ho ancora fatto colazione. E tu? –

Sa benissimo la risposta ed è questo che mi colpisce.

Il suo voler fare ironia ora. Ora mentre stiamo litigando.

Mentre stiamo litigando lui mi fa...mi fa ridere.

Che cosa strana.

Non è una vera risata, forse non sono più capace di ridere. Però stringo leggermente gli occhi e sorrido.

John fa un cenno col capo. Dall'altro lato della strada si trova il "Drink, Shop & Do", quello che da fuori sembra un bar pieno di gente che ordina frettolosamente cappuccini e brioche per mangiare e bere quasi in piedi, per poi correre al lavoro.

Non ho soldi. Ma credo che John sappia pure questo.

Non voglio accettare. Non ho bisogno della pietà di nessuno.

Ed è proprio questo il punto cruciale, quella di John non è pietà.

È solo voglia di un caffè. Pura e semplice voglia di un caffè.

Quindi, per farla breve, un attimo dopo siamo seduti in angolo tranquillo del bar, con le gambe infilate solo ad un tavolino in acciaio comodamente seduti su due sgabelli rossi e perfettamente puliti.

Pulito. Che strana sensazione.

Per la prima volta mi sento fuori posto.

Però dall'altro lato c'è John, perfettamente a suo agio, anche se è seduto davanti ad un sociopatico straccione.

Tento di imitare il suo comportamento.

Ha persino smesso di passarsi la mano sui pantaloni.

Siamo in silenzio. Una giovane cameriera ha già preso le nostre ordinazioni e da quel momento non c'è stata più nessuna parola.

John ha ordinato un latte con la schiuma e una brioche al cioccolato.

Credo che la scelta gli si addica. Soprattutto il latte. È la schiuma la cosa particolare.

John sembra una persona "morbida", gentile. E la schiuma rispecchia questa sua caratteristica.

- A cosa pensi? – mi chiede ad un tratto.

Che strana domanda. Nessuno mi chiede mai cosa penso.

Che sciocco.

La mia vocina ha ragione. Io non conosco nessuno, come posso pensare che qualcuno si interessi a me?

- Pensavo che mi ricordi la schiuma del cappuccino. – rispondo con sincerità.

E John ride.

E allora rido anch'io.


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