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Io e Te

CAPITOLO 36

IO E TE


-Vuoi delle risposte? – ho sempre odiato questo suo essere sempre un passo avanti a me.

Ma se voglio capire, ora devo stare al suo gioco.

Osservo per qualche attimo il cellulare tra le mie mani.

Poi rispondo al mittente:

-Dimmi dove. –

-King's College Chapel –

Mi affronterà qui, nell'università. Qui, dove sono morte tutte le sue vittime.

Non ho tempo di preoccuparmi.

Voglio sapere.

Prima, però, devo fare una cosa.

Mi siedo alla scrivania e prendo un foglio. Ora devo fare uno sforzo. Non sono bravo con le parole, non lo sono stato mai. Ma devo farlo.

Devo farlo per John. Perché lui non si merita tutto questo, perché lui è una persona buona.

Perché John è semplicemente perfetto.

Io si, combatto dalla parte degli angeli, ma non sono uno di loro. [1] Lui è l'angelo. Un angelo senza ali che ha vegliato su di me da quel giorno che sembra ormai lontano.

Se dovesse accadere lui come reagirebbe?

Al solo pensiero mi si stringe lo stomaco. Mi si stringe il cuore.

Perché, hai un cuore?

Me lo ha regalato John.

E ancora non so bene come si usi.

Prendo un respiro profondo e comincio a scrivere:

"Mio caro John, se stai leggendo queste parole..."

***

-Ce ne hai messo di tempo. – La sua espressione è sempre la solita.

Pura follia.

Eppure, è così bravo che non si nota nemmeno. Così, sotto la vista di tutti, passa inosservata.

Ma ora siamo solo io e lui, sotto la luce della luna, sopra una delle torri della Cappella di King's College.

È strano il mondo visto dall'alto. Sembra tutto così...piccolo.

C'è vento. La temperatura percepita è molto bassa. Meno sei gradi.

Non mi è mai piaciuto l'inverno. Avevo freddo, là nel sottopassaggio, con la neve che si trasformava in fanghiglia marrone dopo essere stata calpestata a lungo.

Ma qui l'inverno era diverso.

Qui l'inverno era John con una tazza di the in mano. Qui l'inverno era il terribile albero di Natale di Molly in salotto.

-Sono qui per una cosa sola! – la mia voce è ferma.

Hai paura Sherlock?

La paura è un sentimento, io non so cosa siano, i sentimenti.

Stai mentendo.

Lo so, ma a volte è necessario.

-C'è tutto il tempo. – ride il mio avversario avvicinandosi di tre passi.

-Prima, voglio che tu sappia un'altra cosa...- la sua risata è spaventosa.

Cosa c'è di più urgente della verità?

-Voglio metterti in guardia. – continua lui.

Ora è ancora più vicino, quasi mi bisbiglia nell'orecchio, come se fosse un amico che mi rivela un segreto.

Reprimo l'istinto di spostarmi. Devo assecondarlo.

-Io non farei mosse azzardate, se fossi in te. –

Ma di cosa sta parlando? Stringo i denti per non farli battere dal freddo.

Dal freddo, o dalla paura?

Meno sette gradi.

Eppure sto sudando.

-Molly...e John. – assapora l'ultimo nome come se fosse dolce. Molto dolce.

I miei muscoli si irrigidiscono.

-Sono sotto il mio controllo. Mossa sbagliata e...pouf! –

Urla l'ultimo suono aprendo di scatto le mani.

-E non ci saranno più. –

È fiero di sé. Si sta divertendo.

-Dimmi ciò che voglio sapere! – mi sento sospeso su un filo, qualsiasi mossa è troppo pericolosa per poter stare tranquilli.

-Dopo, però, dovrai fare una cosa per me. – sbatte gli occhi, come una ragazza che tenta di convincere il suo ragazzo a seguire i suoi ordini.

***

Quando bussano alla porta sono ancora in pigiama. Mi sono appena alzato e già percepisco nell'aria qualcosa di strano.

C'è qualcosa che non va. Qualcosa di opprimente.

Ma cosa?

Il cielo è scuro. Il vento di stanotte ha portato dei nuvoloni grigi sopra Cambridge.

Se ci fosse qui Sherlock direbbe con esattezza fra quanto comincerebbe a cadere la pioggia.

Bussano di nuovo con insistenza.

Qualcuno, là fuori, è nervoso.

Il mio senso di oppressione aumenta.

Sono le sette le mattino. Chi potrebbe essere?

Attraverso la mia stanza e mi trovo nel salottino. Strano che Sherlock non sia sul divano. Sono così abituato a trovarlo lì praticamente a qualsiasi ora del giorno...

Con un'occhiata di sottecchi osservo la sua porta. È ancora chiusa, forse sta dormendo profondamente. Non l'ho mai visto dormire. Chissà come dev'essere vederlo rilassato, finalmente libero di non pensare ai problemi del mondo.

Mi affretto a raggiungere la porta, così che i battiti insistenti non lo sveglino.

Quando apro, davanti a me trovo l'ultima persona che mi sarei aspettato di vedere.

-Posso entrare? –

Il commissario Lestrade è visibilmente sconvolto. Gli occhi si muovono agitati da una parte all'altra, senza mai fissarsi su niente. E ha il fiato corto, come se avesse corso.

Le mani sono prigioniere di un tremore insistente.

-Si, si, certo. – balbetto senza capacitarmi di cosa stia accadendo.

Fuori un fulmine illumina il cielo, seguito a ruota da un tuono che fa tremare i vetri.

-Non hai qualcosa da bere? – cos'è successo di così grave da far bere il commissario durante il servizio?

-No, mi dispiace, solo del the, ma bisognerebbe metterlo su. –

-Forse è meglio che tu lo faccia. Ti farà bene. –

A me?

Sherlock?

Guardo nuovamente la sua stanza.

Perché rimane chiusa?

Sherlock?! Svegliati, degnaci della tua presenza, c'è un problema, non posso risolverlo senza di te.

-Siediti. –

Greg Lestrade lo fa prima di me, lasciandosi cadere a peso morto sulla poltrona.

Io lascio l'acqua sul fornelletto e mi avvicino.

Sta frugando nelle tasche del cappotto grigio.

Tira fuori una busta di carta un po' sporca.

-Lo hanno trovato questa mattina i miei colleghi. Appena ho saputo la notizia sono accorso, non potevo no...-

All'improvviso comincia a singhiozzare.

Io sono sempre più agitato.

Hanno trovato chi?

Cos'è quella busta?

Sherlock? Sherlock!? Sherlock!

-È per te, gliel'hanno trovata addosso. –

Addosso a chi?

La teiera comincia a fischiare. Fuori la pioggia comincia a battere contro i vetri.

Sherlock svegliati. Vieni di qua. Aiutami a capire, come fai tu, che mi spieghi tutto e tutto diventa ovvio.

Sulla busta, sul retro, c'è scritto

"Per John" in una calligrafia minuta, un po' storta.

Io conosco questa scrittura.

No, non è vero, stai mentendo.

Il commissario non mi guarda.

Si è alzato. Sta versando il the in una tazza.

"Mio caro John, se stai leggendo queste parole vuol dire che è andato tutto come avevo previsto e non come avevo sperato..."

Una goccia salata cade sulla carta. Si spande leggermente.

Acqua? Piove forse anche dentro?

Non è pioggia, sono lacrime.

Sono le mie lacrime.

"Questo è il mio biglietto. È questo che la gente fa, no? Lascia un biglietto..."

Lascia un biglietto quando?

"Ci sono delle cose che devi sapere, prima che...devi sapere che sono costretto a farlo per te e per Molly. Non ho altra scelta. Ricordatelo sempre. Devi sapere che non c'è giorno in cui io non ringrazi che la tua sveglia, quel giorno, non abbia suonato. Sei entrato nella mia vita forse per caso, ma ricordati, anche un orologio rotto segna l'ora giusta due volte al giorno, ma non è certo una coincidenza, è che è così e basta. Quindi io e te siamo diventati amici perché doveva essere così e basta. Perché tu sei il contrario di me e quindi riuscivi a farmi stare bene. Perché dove io dicevo no, tu dicevi sì. E quindi andava tutto bene. Mi stavi facendo diventare una persona migliore, perché tu sei La Persona Migliore che io abbia mai incontrato. Mento se dicessi che non soffrirò a farlo, ma non mento se ti dico che preferisco che sia, piuttosto che tu, a morire.

E ricordati, qualsiasi cosa accada, saremo sempre io e te, contro il resto del mondo.

Addio.

SH"

Cos'è il dolore?

Il dolore è urlare, disperarsi, piangere e strapparsi i capelli?

No, il mio dolore è qulla porta che non si aprirà più.

È la ruvidezza della carta sotto i polpastrelli.

È quella t un po' storta che Sherlock non scrive mai bene.

Il dolore è il vuoto totale e assoluto che una persona sente dentro quando gli viene strappata l'altra metà di sé.

Saremo ancora io e te contro il resto del mondo.

                                                                                            THE END?

NOTE:

[1] Sherlock BBC


RINGRAZIAMENTI

Già, è proprio finita, ancora non riesco a capacitarmene, eppure è così. Per questa avventura John e Sherlock ci salutano qui (soprattutto Sherlock)

Non è stato facile scrivere questa storia anche se, leggendola, sembra una trama semplice e lineare, senza grandi colpi di scena...si sono susseguiti cinque mesi durante i quali giravo ovunque con un taccuino tascabile per segnarmi ogni idea che mi raggiungesse nei momenti meno opportuni, come durante la verifica di inglese o in piena notte.

Devo dire che le ore più proficue sono state quelle di religione, ovvero le ore buche, contando che non faccio religione...

Parole, pause riflessive, momenti di blocco e nuove idee, tutto questo si è susseguito per terminare qui. È stata una sfida e ho cercato di svolgerla al meglio delle mie capacità.

Ma questa pagina titola "ringraziamenti" quindi vediamo un po' di ringraziare qualcuno: ve l'ho detto spesso nel corso delle pubblicazioni dei singoli capitoli, il vostro appoggio è stato fondamentale per continuare a far vivere Sherlock e John tra queste pagine, attraverso i vostri commenti positivi, le vostre precisazioni e i vostri consigli avete fatto sì che questa storia potesse espandersi, quindi grazie davvero.


Cosa aggiungere potrebbe un narratore

a quanto già narrato dall'attore;

a me non resta altro che sparire,

fare un bell'inchino e poi svanire.

Come Cyrano che confessa e muore a piedi del suo grande eterno amore,

anch'io finito il mio cammino mi accascio e vado verso il mio destino.

Che è quello di chi inizia e già finisce,

sboccia e dopo un attimo appassisce,

di chi vive soltanto un paio d'ore,

sperando in un applauso e dopo muore.

[Chiedimi se sono felice - Aldo, Giovanni e Giacomo]

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