Gatto e Topo
CAPITOLO 26
GATTO E TOPO
Tre giorni di calma, sono troppi da sopportare.
Frequentare le lezioni è troppo monotono.
Inoltre la sensazione di terrore che aleggia nei corridoi è insopportabile.
Quando ho esposto a John questa sensazione lui ne è rimasto indignato. Sostiene che sia normale essere spaventati quando a due passi da te i tuoi amici vengono usati come cavie per esperimenti.
È stato quest'ultimo termine, però, ad attirare tutta la mia attenzione.
Cavie da laboratorio.
Apre un'infinità di altre piste da seguire.
Non lo dici sempre tu? A volte le soluzioni più semplici sono quelle che vengono trascurate [1]
Quando apro la porta della stanza intuisco che John è fuori con Mary.
Quando è in casa lascia sempre le scarpe vicino alla porta, sotto alla scarpiera, mai dentro.
Inoltre, quando è presente, è solito indossare delle orribili pantofole grigio topo che lo fanno sembrare un nonnetto più che un universitario. Quelle pantofole sono ora abbandonate poco ordinatamente sul tappeto.
Quello che aleggia nell'aria, inoltre, è l'invadente profumo di Mary che ormai è sempre presente in questa stanza. Oggi però è più forte del solito, segno che lei è appena passata di cui e ne è uscita con John.
Però c'è anche qualcos'altro.
La casa non è vuota.
Odore di sigaro.
Non la smetterà mai con questa abitudine.
Osservo il tavolino in mezzo alla stanza, un bicchiere vuoto.
Ha cercato di versarsi da bere, prima di rendersi conto che in questa stanza non ci sono alcolici.
Queste tracce le ha lasciate di proposito.
Lo ha fatto per prepararmi alla sua entrata in scena.
È in camera ad attendermi.
-Ce ne hai messo di tempo ad arrivare, Sherly. –
Solo una persona potrebbe essere autorizzata a chiamarmi così [5]. E quella persona non è certo lui.
C'è qualcuno autorizzato a chiamarti così?
-Mycroft. – lo accolgo io senza nemmeno guardarlo, mentre appoggio sulla mia scrivania il libro di fisica.
-Come va lo studio? –
-Sappiamo benissimo entrambi che non te ne frega niente. Sei qui per un altro motivo. –
-Sveglio come sempre. – mi canzona lui tirando una lunga boccata dal sigaro.
-Qui è vietato fumare. – spalanco una finestra a sottolineare la mia irritazione.
-Oh, che gusto c'è a lavorare per il governo se non puoi concederti qualche lusso? –
La sua aria beffarda è eccessivamente fastidiosa.
-Ma veniamo alle cose importanti. – esordisce finalmente spegnendo il mozzicone bruno contro il muro della mia stanza, lasciando un irritante macchia di cenere nera.
Mi appoggio alla scrivania fissandolo il più intensamente possibile, come a sperare che, continuando ancora per un po', lui possa volatilizzarsi e sparire dalla mia vista, dalla mia vita.
-Possibile che ovunque tu vada ti porti dietro guai? –
Ci ha messo meno del previsto ad arrivare al motivo della sua visita.
Non ho niente da replicare. In fondo, per un osservatore esterno, potrebbe anche parere sospetto.
-Tranquillo, fratellino, non credo che sia tu l'assassino. –
Mi pare ovvio.
-Visto che sei così intelligente, perché non mi dici direttamente chi è il tuo sospettato? –
-E togliermi così tutto il divertimento? No, io voglio farti giocare al gatto e al topo mentre ti affanni cercando una soluzione. –
Sta bluffando. Lui non sa chi è l'assassino. Se lo sapesse ci godrebbe troppo allo spiattellarmelo in faccia facendomi così sentire inferiore a lui.
No, lui è qui per un altro motivo, un motivo che il suo orgoglio gli impedisce di rivelarmi apertamente.
Ma sa che siamo uguali e che capirò il messaggio.
Mi sta chiedendo di indagare.
Come se io non lo stessi già facendo.
Si avvicina alla porta e fa per uscire, prima che le mie parole lo trattengano per un altro istante.
-Tutto qui? Una semplice visita di cortesia? –
-Andiamo Sherly, credi davvero che potrei fare una cosa simile? Non deludermi. –
E così sparisce così come è arrivato.
***
Dopo aver accompagnato Mary a lezione ho cambiato percorso. Non andrò direttamente nella mia stanza. C'è qualcuno che ho bisogno di vedere.
Da quando ho avuto il coraggio di aprirmi con Sherlock sento il bisogno di lasciar andare definitivamente il mio dolore.
E il mio coinquilino, sebbene io abbia apprezzato i suoi sforzi e i suoi occhi comprensivi, non è la persona adatta.
Trovo con facilità la stanza di Susan – e Norah – nei dormitori di lingue.
Quando busso alla porta comincio a chiedermi se sia la cosa giusta da fare. Potrebbe non volere vedere nessuno, potrebbe trovarmi invasivo, inopportuno.
Però ora, ciò che sto facendo, lo sto facendo per me.
Egoisticamente ho bisogno di trovare conforto.
Non sono qui per conto di Sherlock. Sono qui perché, dietro quella porta, c'è qualcuno che sa cosa sto passando.
Susan ci mette un po' ad aprire la porta e quando mi vede mi gela con uno sguardo.
-Ho già detto alla redazione che non intendo parlare di ciò che è successo per lo stupido giornalino della scuola. Siete delle persone orribili. –
Tenta di richiudere la porta ma la fermo.
-Aspetta. Mi hai frainteso. –
Le leggo un'ombra di dubbio nello sguardo.
-Io...io sono qui per parlare. –
***
Sono seduto sulle squallide sedie di plastica della mensa, con davanti un vassoio che sembra contenere tutto tranne che cibo.
Scorgo nella fila di studenti che attendono di ricevere la loro cena un ciuffo castano. I suoi occhi si voltano verso di me.
Sorride.
Poco dopo è proprio qui davanti.
Scelgo sempre lo stesso tavolo, le poche volte che vengo in mensa. È un tavolo discosto da tutti gli altri e ignorato dai più.
Questo lo rende un perfetto punto di solitudine dove assumere il giusto apporto calorico giornaliero evitando la massa di esseri umani che condividono il mio stesso spazio vitale.
John è fin troppo nel tuo spazio vitale.
-Senti Sherlock, posso farti una domanda? –
-Mi sembra che questa sia già una domanda...- puntualizzo soffiando sulla forchettata di piselli che mi accingo ad ingerire pur contro la volontà delle mie papille gustative.
Lui alza gli occhi al cielo e si siede.
Allunga la forchetta sopra il mio vassoio con il prevedibile tentativo di rubarmi una patata arrosto.
Con un unico gesto fluido sposto il vassoio ostacolando così il suo furto.
Il suo sguardo è attonito.
-Se tu avessi voluto mangiare le patate avresti dovuto procurartele al carrello. –
-Ma c'era troppa fila. – si lamenta come se fosse una giustificazione logica.
-Non è un problema mio. –
Il suo è stato un gesto sconsiderato. Questo è il mio piatto. Non il suo piatto.
Non il nostro piatto. [1]
John lascia cadere il discorso e torna alla sua famosa domanda.
-Più di una settimana fa mi avevi chiesto la password del mio computer. Si può sapere a che cavolo ti è servita? – [2]
Oh già, mi ero dimenticato di informarlo sugli sviluppi dell'indagine di quel giorno.
-È stato solo un buco nell'acqua. O meglio, ho trovato una via più rapida per giungere allo stesso risultato. –
I suoi occhi lasciano intendere che non gli basta come spiegazione.
-Ho usato il tuo accesso ad internet per procurarmi l'indirizzo dell'obitorio della città, e successivamente sono andato a fare un sopralluogo per osservare la struttura e la posizione dell'edificio nel caso in cui si fosse rivelato necessario entrarvi. Poi però l'aver conosciuto Molly mi ha evitato di dover adottare metodi al di fuori della legge. –
Non gli lascio il tempo di replicare, sapendo che avrebbe qualcosa da contraddirmi e gli pongo io una domanda.
-Allora, tu invece che hai scoperto? –
Dopo essere uscito con Mary si è attardato in giro. Questo lo deduco da fatto che la ragazza aveva lezione alle dieci e John non si è visto fino ad ora, il momento del pranzo, e so bene che il martedì non ha lezione al mattino.
Questo significa che ha trovato altro di cui occuparsi.
In mensa è arrivato in compagnia di Susan Darling –dev'essere stato il primo a convincerla ad uscire dalla stanza, considerando soprattutto l'aspetto di lei – il che significa che si è visto con lei prima dell'ora del pranzo.
Escludendo a priori un collegamento del tipo affettivo\amoroso, direi che ha delle informazioni per il caso.
Lui inarca un sopracciglio ma non mi domanda come io abbia fatto ad intuire tutto. Ho notato che talvolta trova le mie spiegazioni irritanti. Altre volte invece le definisce incredibili.
Mi chiedo perché abbia questo cambio di reazioni nei miei confronti.
-Mi avevi chiesto di scoprire la fine della frase pronunciata da Susan al poliziotto, si da il caso che io ce l'abbia fatta senza la tua "scienza della deduzione" –
Il suo tono è leggero e il suo vizio di gesticolare quando parla lo porta ad essere un pericolo pubblico se tiene in mano forchetta e coltello.
-Oh, allora illuminami grande investigatore. –
Sono davvero curioso di ascoltare come si è comportato.
Sei curioso?
-Sono andato da lei e abbiamo parlato. Avere un...dolore in comune avvicina molto. L'ho fatta sfogare. Mi ha detto che Norah non si sarebbe mai suicidata perché aveva trovato la forza di amare la vita. Sua sorella era uno spirito libero e aveva molti progetti. Ciò che ha permesso a Norah di rinascere è stata la decisione di portare lei a termine i sogni della sorella. Tutti i viaggi che aveva intenzione di fare, i libri che voleva leggere, le persone famose da incontrare, i film da vedere...Ha detto che nulla al mondo le avrebbe impedito di farcela. Dunque perché suicidarsi quando si ha una convinzione così ferrea? –
Davvero un ottimo lavoro John. Un ottimo lavoro.
Ecco un altro tassello che puzzle che va ad inserirsi. Peccato però che siano ancora troppo pochi per riconoscere la figura che stiamo cercando.
-John, questo avvalora ancora di più la nostra teoria. C'è qualcuno che sta manipolando questi ragazzi. –
-Nostra? –
Nostra?
È stato solo un errore. La MIA teoria. E al massimo un po' la teoria di Molly.
Tu, il Grande Sherlock Holmes, hai commesso un errore?
Posso quasi sentire la vocina scoppiare a ridere. Ma ormai ignorarla non è troppo difficile. Lo faccio da tanto.
-Perché gioca con te? Pensi voglia essere catturato? – mi domanda John ignaro del mio dibattito interno.
Giocare...si il killer sta proprio giocando.
-Penso voglia distrarsi. – rispondo con una certezza quasi assoluta.
Quasi?
Diciamo al 98 %
-Spero sarete molto felici insieme- [3] mi canzona John.
Alle sue spalle compare Mary che si intromette nel discorso.
-Chi sarà felice con chi? – domanda sedendosi al nostro tavolo.
Spero che dall'occhiata che le rivolgo capisca che la considero un'intrusa.
-Oh niente, parlavamo solo del futuro ragazzo di Sherlock –
Questo commento, seppure pronunciato con gli occhi luminosi e il sorriso sulle labbra mi irrita particolarmente.
John non ha il diritto di parlare così di me ad un'estranea.
Non gli basta prendersi gioco di me attraverso le sue storielle?
Da quando gli ho proibito di scrivere sul caso attuale si è impuntato nel voler raccontare i miei vecchi casi e talvolta mi trovo a dover perdere tempo prezioso a raccontarglieli [4]
-È il tuo coinquilino giusto? Aspetta, ma è QUEL Sherlock? Sherlock Holmes? Quello su cui scrivi le storie? –
-Scusate, ma ho perso l'appetito. - Senza considerarli mi alzo e butto l'intero contenuto del vassoio nel cestino accanto al tavolo per poi andarmene.
Non intendo sprecare ancora la mia attenzione a quel tavolo.
***
-Si, deduco proprio che sia lui. – Scherza Mary osservando la schiena che Sherlock ci ha rivolto con poco garbo.
-Da cosa lo hai capito? Dalla chioma ribelle o dall'immensa loquacità? –
Lei ride e un lato di me vorrebbe fare altrettanto, ma il comportamento di Sherlock mi sta facendo sentire un po' in colpa. Ormai dovrei sapere quanto è difficile per lui capire l'ironia e dovrei comportarmi con più rispetto verso questi suoi "limiti". In fondo è un mio amico.
E gli amici rispettano l'uno i difetti dell'altro.
NOTE
[1] L'avversione da parte di Sherlock nei confronti di chi prende il cibo dal piatto altrui è leggermente ispirata a Sheldon Cooper di Big Beng Theory
[2] Capitolo 21 – Rabbia e Perdono
[3] Sherlock BBC
[4] Stavo pensando di far partire tipo uno "spin off" da questa situazione, scrivendo una serie di racconti come se fosse il blog di John in cui lui racconta i vecchi casi di Sherlock, magari riadattando in chiave "Sherlock adolescente" gli episodi dei libri o della serie tv. Mi piacerebbe un vostro parere
[5] Secondo voi a chi si riferisce? John o la signora Hudson in orfanotrofio
***
Angolo autrice: solo io mi sono divertita ad immaginare una mensa piena di ragazzi che mangiano parlando di scuola, ragazze e vacanze mentre in un tavolino isolato Sherlock e John parlavano di omicidi e litigavano per il pranzo? (ok, ho qualche problema)
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