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Errare è Umano

CAPITOLO 30

ERRARE È UMANO

Sento i passi di John dietro di me. Ormai sembra essersi dimenticato di zoppicare. Almeno da tutta questa storia abbiamo ricavato qualcosa di positivo.

Una persona normale ora percepirebbe il vento sul viso, il verso lontano di una civetta, le stelle sopra di sé...per me tutte queste cose sono banali, sono solo delle possibili distrazioni da quella che è una linea rossa chiara nella mia mente che mi sta conducendo verso i dormitori di Psicologia.

Raggiungiamo la meta più rapidamente del tempo che avevo calcolato e per una volta aver sbagliato mi rasserena.

-Tu parti dal primo piano, io dall'ultimo. Il primo che lo trova lo trascina nella hall. –

John non ha il tempo di rispondermi, ma gli è tutto chiaro.

Su due piani opposti cominciamo la ricerca della preda.

Ma i cacciatori non siamo noi.

Una dopo l'altra mi passano davanti porte identiche se non per un unico particolare: i nomi scritti sulle targhette.

È un peccato che le stanze siano assegnate casualmente e non secondo un determinato e logico ordine.

L'ultimo piano non da risultati e scendo in fretta le scale per recarmi al quarto. Se John sta tenendo il mio stesso ritmo dovrebbe già essere al secondo piano.

Potrebbe anche averlo trovato.

E invece...ci incontriamo al terzo piano, entrambi col fiato corto ed entrambi speranzosi di trovare la soluzione sul viso dell'altro.

Soluzione che non c'è.

-Magari...magari...- il discorso di John e inframezzato da i tentativi di riprendere fiato.

-Magari ci è solo sfuggito il nome. Deve essere qui da qualche parte. –

Impossibile, ho letto con attenzione ogni targa, se ci fosse stato l'avrei visto. Se si dovesse trovare ai due piani inferiori, allora sarebbe colpa di John non averlo trovato.

Cominciamo a sentire delle porte aprirsi.

La nostra incursione notturna deve aver svegliato alcuni degli studenti.

Capiamo che è meglio non farci trovare qui, la nostra storia non parrebbe molto convincente a degli universitari svegliati nel bel mezzo della notte.

Ci troviamo nuovamente all'aria aperta.

Questa volta non c'è bisogno di correre. Non c'è bisogno di fare nulla perché non c'è nulla da fare. Non sappiamo cosa fare.

Nicolas Riley è studente di questa università e allora perché diavolo non si trova nel dormitorio della sua facoltà?

***

Sherlock è devastato. Lo si capisce dai suoi occhi che mandano lampi, dal suo passo agitato.

Non credo di averlo mai visto in questo stato.

Io non so cosa pensare. Per me credere che lui abbia sbagliato è inconcepibile.

-Dimmi che sai cosa fare. – mi pento subito delle mie parole che non potranno certo dargli conforto, anzi, ma orma ho parlato.

-No John, non lo so, non lo so. Non conosco ogni cosa! –

La sua frustrazione mi contagia.

-Però è quello che sei riuscito a farmi credere finora! Perché ti chiami Sherlock Holmes e sei la definizione di intelligenza! –1]

-L'intelligenza non è tutto, non posso leggere nel pensiero dell'assassino e scoprire come farà ad uccidere Nicolas Riley. –

Non so come facciamo a trascorrere la notte, le ore si susseguono lente, consapevoli che l'inevitabile potrebbe avvenire da un momento all'altro.

Per un po' vaghiamo nella notte per il parco. Senza parlare. Non c'è niente da dire.

Poi torniamo nelle nostre stanze. Ognuno per conto suo.

Quando mi chiudo dentro mi lascio scivolare lungo la porta, arrivando a sedermi sconsolato a terra.

Posso immaginare Sherlock seduto a gambe incrociate sul suo letto. Gli occhi chiusi eppure più sveglio che mai intento a visitare il suo palazzo mentale, alla ricerca di un minucolo dettaglio che è sfuggito persino a lui.

***

Trappola. Trappola. Trappola...

Non posso fare a meno di pensarlo, ci hanno teso un tranello.

Ma ancora non riesco a capire quale sia stato.

Se stanotte un altro studente troverà la morte sarà solo colpa mia.

Ho creduto, per un istante, di aver raggiunto il nostro avversario, ma è stato solo un miraggio, lui è ancora troppo distante. Troppo furbo.

Troppo furbo per me.

Sono sicuro che il nome fosse quello, non è stato questo il mio errore.

Il mio sbaglio è stato fidarmi troppo di me stesso.

John me l'ha detto. Sono solo una persona presuntuosa.

Io sono Sherlock Holmes e credo di sapere tutto.

Invece...

Sento un bip provenire dalla stanza di John.

Pochi secondi dopo lui apre la porta.

Il suo sguardo è confuso. Più del solito almeno.

Nella mano destra tiene il cellulare teso verso di me.

Si avvicina fino a passarmi l'apparecchio. Sul display è aperto un messaggio dal mittente sconosciuto:

"Non deludermi. Eppure ti ho lasciato un indizio."

Non riesco a trattenere la rabbia e sto per lanciare il cellulare.

Ma John mi blocca. Non perché non vuole che io gli rompa il telefono, o forse sì, anche un po' per quello.

No, lui mi ferma perché ha ancora fiducia in me.

Lui ha fiducia in Sherlock Holmes. Crede che quel ragazzo possa ancora avere un'intuizione brillante.

Quel ragazzo, però, ora non sono io.

Lo sguardo che gli rivolgo è carico di disperazione e vedo quella rassegnazione riflessa sul suo viso.

La notte passa così. Seduti sul divano. Vicini.

Non sono mai stato così vicino a una persona. Guardiamo nel vuoto davanti a noi.

Consapevoli che, là fuori, il mondo è crudele.

***

-Ashely Rooth, studentessa di psicologia del secondo anno. Il killer di Cambridge ha colpito ancora e pure questa volta non c'è alcuna traccia che possa lasciar intuire come agisca. La ragazza è stata trovata su una panchina lungo il fiume Cam. "Apparentemente sembrava solo una ragazza con gli occhi chiusi, seduta a godersi il primo sole del mattino" ci racconta Scott Afrey, il ragazzo che ha rinvenuto il corpo questa mattina. Nessuno riesce a dare una spiegazione al perché Ashley si trovasse lì. La sua compagna di stanza afferma di non aver sentito nulla durante la notte e che, quando alle otto del mattino si è svegliata, Ashely non era più nella stanza. La polizia ha dichiarato No Comment ad ogni nostra domanda. Tutto quello che possiamo dirvi è cercare di mantenere la calma. –

Sherlock mi accoglie così quando entro nel salottino condiviso. Verso le cinque del mattino ho tentato di dormire un po', ma l'ansia era troppa. Ora, seppure io non sia per niente lucido, la gravità della situazione mi travolge.

-Mi ha teso una trappola e io ci sono caduto come il pesce abbocca all'amo. –

È arrabbiato con sé stesso, ma non è più nelle condizioni catastrofiche in cui l'ho lasciato questa notte.

Spero che si rianimi e torni ad essere il ragazzo determinato e presuntuoso che ho conosciuto ormai più di un mese fa.

Questo caso non è stato ancora chiuso e lui può evitare che altre vittime rimangano coinvolte.

-Non potevi saperlo, Sherlock. – lo penso davvero. Ma lui non condivide la mia affermazione.

***

Oh si che potevo John. Me l'ha detto lui stesso "Ti ho lasciato un indizio".

E anche più di uno. A ripensarci ora è tutto così chiaro.

Il primo errore è stato dare per scontato l'identità della vittima fosse il nome sentito al molo. Sapevo che mi stavano imbrogliando ma mi sono affidato cecamente a ciò a cui ho assistito.

Non avrebbe mai potuto essere Nicolas Riley la vittima perché già Sofia Pacini era una studentessa del quarto anno. Finora non si era mai ripetuto. Era ovvio che la vittima avrebbe dovuto essere qualcuno del secondo anno. Era l'unica soluzione ammissibile.

E questo è stato il primo errore evidente.

Il secondo è stato dare per scontato che il nome da me sentito corrispondesse ad uno studente che vive qui nel dormitorio: gli studenti non sono tenuti ad alloggiare all'interno dell'università, possono vivere anche indipendentemente in città.

Così ci si ricollega ad un altro punto.

Se Nicolas Riley non vive nel dormitorio, perché il nostro avversario ha fatto in modo che noi arrivassimo lì?

Ci ha davvero dato un indizio. Ha fatto in modo che noi ci trovassimo nel dormitorio di Psicologia perché ci stava dicendo che la vittima sarebbe stata una persona di quella facoltà.

Ma sono stato troppo impulsivo, mi sono fatto guidare dalle emozioni e non ho riflettuto.

Ho pensato di aver sbagliato tutto e sono tornato a casa in preda alla rabbia.

Se io non avessi fatto insinuare in me il dubbio avremmo potuto notare qualcosa di strano nell'edificio, avremmo potuto capire come agiscono e avremmo evitato che un'altra ragazza innocente trovasse la morte.

-No John, ti sbagli. Io avrei potuto saperlo, ma per la prima volta mi sono comportato da essere umano e questo mi ha condotto all'inevitabile errore. Ecco perché non bisogna permettere al cuore di guidare la propria testa. –

NOTE:

[1] Dialogo riadattato preso dalla 3 x 01 Sherlock BBC

***

Angolo autrice: questo è un intervento che ci tengo molto a fare, ho riletto da capo tutta questa storia e mi sono resa conto che anche se ogni volta rileggevo ogni capitolo prima di pubblicare, mi sono sfuggiti errori grammaticali come GLI al posto di LI e viceversa, oppure anche l'inversione di CUI con QUI e altri errori orribili, tra cui pure la mancanza di qualche acca.

Io sono una persona molto pignola con la grammatica, lo sanno tutti coloro a cui ho mai lasciato una recensione, quindi mi vergogno un po' quando noto che nella mia stessa storia ci sono gli errori che condanno agli altri...c'è però una spiegazione che trascende da me: ho una leggera forma di disortografia che mi porta a lasciarmi sfuggire questi errori (una volta in un tema a scuola ho scritto accabbatoio invece di accappatoio) quindi vi prego di essere clementi e anzi, ogni segnalazione di errori del genere mi aiuterà a tenere sotto controllo la storia perchè io davvero spesso non li vedo proprio :)

Grazie per avermi ascoltata, ci tenevo a dirvelo...

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