Cosa so su Sherlock Holmes
CAPITOLO 7
COSA SO DI SHERLOCK HOLMES
Attendo sempre di svegliarmi e scoprire che si è trattato tutto di un sogno. Aprirò gli occhi e troverò sulla mia testa il soffitto di camera mia, la sveglia che suona. Mi sentirò eccitato per la partenza e alle sette e mezza prenderò il treno che mi porterà a Cambridge.
Penso che accadrà questo, ma un lato di me non lo vuole.
Non vuole che Sherlock Holmes non esista, che sia stata solo una proiezione della mia mente. Quel ragazzo mi ha fatto fuggire dalla mia realtà per quasi tre ore e sono state le tre ore migliori della mia vita.
Prima di posizionare la valigia nel vano sopra la testa avevo estratto un taccuino e una matita.
Mi piace disegnare, è un altro modo che ho per immaginarmi un mondo diverso, ma mentre penso mi accorgo che la matita sta tracciando dei segni guidata dalla mano. E quello che mi trovo davanti non è un disegno.
È un nome.
Sherlock Holmes.
Il nome è scritto un po' tremolante per via delle vibrazioni del treno.
Ispirato aggiungo delle parole prima del nome:
"Cosa so su Sherlock Holmes? "
Mi sembra un modo stupido per non farlo uscire così in fretta dalla mia vita.
Non abbiamo parlato molto, però abbastanza da aver capito alcune cose di lui, anche se nonostante queste "alcune cose" lui rimane un mistero per me.
Ha un intelletto assolutamente fuori dal comune, su questo non ci piove, ma gli mancano le basi della conoscenza. Probabilmente causato anche dal fatto che non ha frequentato la scuola a causa della sua "condizione".
Però qualcosa mi dice che anche se qualcuno glielo spiegasse lui lo considererebbe irrilevante. Ma spiegato cosa esattamente? Pardon, non ho messo un soggetto ai miei pensieri, ma è tutto così strano.
Ecco diciamo che Sherlock ignora perfino che la Terra sia tonda. E che giri attorno al Sole.
E quando ho provato a spiegarglielo è rimasto indifferente.
- Cosa cambia? –
Mi ha chiesto, e vedendomi interdetto ha continuato: - sapere che la Terra gira attorno al sole ha forse cambiato la mia vita? –
- No, non credo, però. –
Mi aveva fatto cenno di tacere e la conversazione era terminata lì.
Fisso di nuovo l'elenco che ho intenzione di fare, quindi fisso un foglio vuoto e avvicino la matita per cominciare a scrivere qualcosa:
"Conoscenza dell'astronomia: zero." [1]
E questo era già un inizio.
L'occhio mi cade sul fango che ho sulle scarpe. Sherlock ha immediatamente intuito da quale parte di Londra arrivassi semplicemente notando la particolare tonalità rossastra della terra rimasta incrostata alla suola, caratteristica delle zone a contenuto ferroso.
"Conoscenza delle geologia: pratica." [1]
"Capacità di usare la logica: ottima." [1]
L'ultimo punto è assolutamente indiscutibile.
Mi rendo conto dell'inutilità di ciò che sto facendo e chiudo il taccuino quasi ridendo.
È tutto così incredibile.
O meglio; è stato tutto così incredibile.
Ora mi attende la mia vita da studente studioso, dovrò ambientarmi nella nuova scuola, cercare di farmi degli amici...
Amici.
"Sherlock non ha amici"
Aggiungo all'elenco riaprendo di scatto il taccuino, come un riflesso incondizionato.
Scocciato dalla mia reazione mi affretto a buttare il taccuino nel vano dove c'è anche la valigia. Sherlock Holmes non può diventare un'ossessione.
È solamente uno psicopatico asociale con estreme manie di controllo.
Sì, andrà tutto molto meglio se smetterò di pensarci.
Devo essermi assopito durante il resto del viaggio perché al fischio dei freni del capolinea mi trovo un po' confuso.
Una voce metallica annuncia il nome della fermata e preso dall'eccitazione scarico la valigia, facendo attenzione a non dimenticare il block notes e l'ombrello.
Un cielo azzurro mi accoglie quando esco e vengo spintonato da diverse persone che camminano con gran fretta, mentre io sto come trasognato col naso all'insù.
La stazione è affollatissima e quando riesco a farmi strada tra il mare di persone guadagno l'uscita.
Tiro fuori dalla tasca il cellulare e trovo lo screen di google maps che mia mamma mi ha "premurosamente" inviato per assicurarsi che io trovassi la strada.
Come se non fossi capace di arrangiarmi da solo.
Il tragitto mi impiegherà circa una ventina di minuti e trovo l'idea di camminare in una città sconosciuta con questo sole assolutamente elettrizzante.
Più mi allontano dalla zona della stazione, circondata da parcheggi e cantieri, più la città si mostra nel suo splendore.
Sulla sinistra compare il Giardino Botanico dell'università e seguendo la strada che lo costeggia mi avvicino sempre più alla mia meta finale.
Quando scorgo un fiume scorrere in mezzo al prato verde capisco di esserci quasi e le due torri della cappella del King's College attirano la mia attenzione facendomi domandare come io abbia fatto a non notarle prima.
È tutto incredibile.
Un prato tagliato a strisce come un campo da calcio si estende per quelli che penso possano essere chilometri.
"Se Sherlock fosse qui indovinerebbe con un solo colpo d'occhio quanto è grande questo posto"
Lascio perdere i miei pensieri e proseguo.
So che l'intero complesso di Cambridge è costituito da 31 collegi, devo solo trovare quello dedicato a "Medicina Clinica".
Facile, no?
No.
Mi trascino ormai da più di mezz'ora da una parte all'altra dell'immenso parco. Ho costeggiato il Cam River, osservato da lontano l'immenso edificio che dovrebbe essere la biblioteca, ma non ho la minima idea di come io possa fare a trovare il Trinity College.
Per un po' sono assolutamente convinto che potrò farcela da solo, ma quando vedo due studenti passarmi allegramente a fianco ridendo e scherzando non posso fare a meno di lasciarmi sfuggire un flebile:
- Hey! – attirando così la loro attenzione.
Loro si fermano per ascoltarmi e al sentire la mia richiesta uno dei due esclama:
- Studente di medicina? Piacere di conoscerti, sono Jim Moriarty, frequento il tuo stesso corso. –
Non posso fare a meno di pensare di aver avuto un bel colpo di fortuna.
- Ci sei quasi, continua su questa strada tenendo il Cam River sulla destra. Non potrai non notarlo. –
Stringo la mano che lo studente mi sta porgendo.
- Jim, eh? Piacere, io sono John Watson. –
- Benvenuto a Cambridge, John. –
C'è qualcosa negli occhi del ragazzo che contrasta con la sua voce affabile e i suoi comportamenti gentili.
Ha una luce di mistero, come se nascondesse qualcosa.
Andiamo John, la tua è solo paranoia.
Per una volta ascolto i miei pensieri e raggiungo senza perdermi in pensieri di complotti quella che sarà la mia futura casa.
***
La stanza che mi hanno assegnato è piccola ma confortevole. La porta principale dà su un minuscolo salottino che fa da anticamera a due stanze diverse. La 221 A e la 221 B.
La mia è la 221 A come posso leggere dal cartellino della chiave.
Mi è stato detto che l'altra stanza è ancora vuota e questo mi dispiace, mi sarebbe piaciuto avere già un coinquilino, ma chissà, i corsi non sono ancora cominciati e qualcuno potrebbe sempre arrivare entro domani mattina.
La suoneria del telefono mi porta in mente una terribile considerazione: non ho mai chiamato mia madre!
Mi sento quasi Sherlock quando leggo sul display che si tratta davvero si lei.
D'altronde non sarebbe stato difficile intuirlo.
- Ciao mamma. Scusa, si è che...no aspetta. Si ma lasciami parlare. Si lo so, ti preoccupi per me. Si, lo capisco. –
So cosa sta per succedere. La solita ramanzina di quanto lei si preoccupi per me anche se è lontana, anche se non può starmi vicino, e via dunque i suoi sensi di colpa del dover lavorare.
Consapevole di quanto può durare questo tipo di sfogo appoggio con delicatezza il telefono sul tavolino in mezzo al salottino e prendo la chiave della mia porta.
Mi trovo davanti una stanzetta leggermente più grande del salottino, con un letto appena fatto al centro della stanza poggiato contro il muro dal lato corto.
Nella parete sinistra è ritagliata un'enorme finestra che si affaccia sul parco e posso perfino vedere il fiume, non potevo sperare di meglio.
L'altra parete invece è coperta da una libreria che copre ogni angolo del muro.
Accanto al letto, dalla parte dove non c'è il comodino, c'è una porta di legno verniciata di blu.
Ipotizzo la presenza del bagno ma non ho il tempo di aprirla, lancio la valigia sul letto e torno di corsa a riprendere il telefono.
Ormai sono diventato precisissimo. Mia mamma è giust'appena giunta al termine del suo monologo.
- È tutto bellissimo qui. – concludo dopo una breve chiacchierata
NOTE
[1] Tre frasi prese da un elenco molto più lungo presente in "Uno Studio in Rosso" (secondo capitolo) di Arthur Conan Doyle
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