Blog e Valigie
CAPITOLO 12
BLOG e VALIGIE
- Non riesco a credere che l'abbia scritto tu! –
Al sentire le parole di Mary non so se essere lusingato o mortificato. Significa che non si aspettasse che potessi essere capace di scrivere bene? O è solo felice per aver scoperto questa mia capacità?
O ma insomma! Sto diventando troppo paranoico, quella persona mi ha contagiato fin troppo.
-Ma dimmi...questo Sherlock, esiste veramente? –
Dopo una giornata di lezioni che sembrava non terminare mai è suonata l'ultima campanella, suono di libertà, facendo riversare fuori dalle aule centinaia di studenti pronti a godersi il sole del venerdì. È il sole migliore, quello che sembra urlarti da lassù: tranquillo, da ora tutto andrà alla perfezione; domani niente scuola!
Eppure io e Mary non siamo a fissare il fiume dal ponte o a passeggiare nel parco.
Ho scoperto con piacere che frequentiamo lo stesso corso di scienze quando me la sono trovata seduta nel banco accanto a me.
Ero talmente perso tra i miei scarabocchi che non ero nemmeno stato in grado di accorgermene.
Solo dopo minimo una decina di minuti mi ero reso conto degli occhi verdi che mi fissavano dall'alto di un naso all'insù.
Avevo cercato di coprire il foglio con una mano, ma sapevo perfettamente che orami era troppo tardi, che lei aveva letto le mie bozze.
Già, perché sebbene ormai una settimana fa io abbia avuto il mio ultimo incontro con Sherlock Holmes lui continua a vivere indissolubile nella mia testa che da giorni macchina una storia intrigante da pubblicare sul blog.
Un blog ancora del tutto anonimo, con un unico commento.
Quello di Sherlock.
Sul foglio davanti a me, con la mia calligrafia tremolante, prende vita una parte del passato di Sherlock, quello che mi ha detto dell'istituto e della sua morte presunta. Però so benissimo che non posso pubblicare questo, sono cose troppo personali e scriverle su internet vorrebbe dire dissacrarle. E non mi posso permettere di fare ciò.
Non posso e non voglio.
Mary aveva insistito così tanto chiedendomi chi fosse "Il ragazzo dalla mente brillante fuggito a sette anni da un orfanotrofio" (mi complimento ancora con lei per la sua capacità di sintesi del mio poema strappalacrime sulla vita di Sherlock prima del nostro incontro) che alla fine avevo ceduto e le avevo rivelato del blog.
Era rimasta colpita e mi ero sentito orgoglioso delle mie capacità e così eravamo finiti nella mia stanza davanti al computer a scorrere la pagina del mio primo, e finora unico, racconto su quel ragazzo strabiliante.
Non so cosa rispondere a Mary. Sherlock Holmes esiste veramente?
Non lo so più nemmeno io. Io vorrei che esistesse per convincermi che nella vita tutto è possibile, anche l'incredibile, però lui era così rassegnato parlando di sé che mi ha quasi convinto a considerarlo morto pure io. E questo è assurdo.
Alla fine, capendo che sto facendo passare troppo tempo prima di rispondere, decido di lanciarmi in ciò che sono bravo a fare: filosofeggiare per creare una trama:
-Dipende se ci credi o no. –
Mi piace la risposta. Non ho ne mentito ne tradito la volontà di Sherlock.
-Misterioso. Mi piace. – commenta semplicemente lei, finendo di leggere la pagina.
-Allora io decido di crederci. –
Mi fa l'occhiolino e si alza dalla sedia.
-Devo tornare a casa per il week end, i miei vogliono assolutamente rivedermi, come se fossi stata via per anni! Sono qui da una settimana e qualcosa come tre giorni. –
Non ha per niente voglia di tornare a casa, glielo si legge in faccia. Però è un dovere al quale non deve sottrarsi.
-E' stato un piacere John...e secondo me il tuo blog merita più attenzioni, sei bravo. Continua a scrivere, vedrai che attirerai l'attenzione. –
Sono contento che io abbia già trovato un'amica sincera. I miei amici di Londra sono scomparsi da un giorno all'altro. Basta andare a vivere a quaranta minuti di distanza ed ecco che sembra troppo difficile mantenere i contatti. Pietoso.
Accompagno Mary alla porta e la osservo sparire dietro l'angolo delle scale.
***
-Sapevo che mi avresti trovato. –
Odio quando ha ragione.
Lo odio. Lo odio. Lo odio.
Però...ha ragione. Ha dannatamente ragione. L'ho trovato perché ho bisogno di lui. E lui sa pure questo.
-Finalmente ammetti di aver bisogno di me. –
Decido di mantenermi calmo, non ho bisogno di lui, ho bisogno di quello che lui può darmi.
-Quando? –
Domando impaziente abbreviando il più possibile la nostra conversazione.
Lui si volta dandomi le spalle e si avvicina ad una teca di cristallo, si abbassa e tira fuori una bottiglia di Cognac e due calici.
-Non bevo. –
Gli comunico.
-Troppo costoso eh? – mi punzecchia lui rimettendo a posto uno dei due bicchieri di cristallo.
L'altro viene presto riempito dal liquido dalle sfumature marroni e aranciate dall'odore pungente.
-O forse è che a stomaco vuoto è difficile sopportare il peso dell'alcool. –
Non riesce proprio a trattenersi.
È tornato a fissarmi.
Abbiamo gli stessi occhi, i suoi solo leggermente più piccoli e affilati.
Più cattivi?
Ti osservano.
Mi controllano.
Ti proteggono.
Con fare da intenditore fa girare il liquore nel bicchiere prima di portarselo alle labbra.
-Ti ho chiesto quando, Mycroft. –
Non intendo stare ai suoi giochetti di provocazione.
Lo può fare.
Può e vuole farlo.
E sta adorando questo momento. Io, il povero Sherlock, costretto a chiedere aiuto al mio fratello maggiore.
Colpa di John. Tutta colpa di John.
Colpa...o merito?
O non ha importanza, il risultato è sempre quello.
Io che cerco mio fratello...non che sia stato difficile. Basta un elenco telefonico per trovare l'abitazione civile di una persona.
Certo sarebbe stato tutto molto più difficile se si fosse trovato nella sede del Governo, ma ho avuto fortuna.
Inoltre credo che lui sia l'unico Mycroft Holmes sulla faccia della terra, figuriamoci dunque quanto sia stato facile trovarlo a Londra.
Dev'essere ricco.
Molto ricco.
La casa è un attico all'ultimo piano di un grattacielo.
Le pareti sono tappezzate da finestre immense che gli lasciano libera visione sulla città intorno a noi.
Mi sembra, però, che tutto questo acciaio e vetro stonino.
Londra è una città che profuma di pagine ingiallite, che si colora di tonalità antiche e che va al tempo dei vecchi orologi da taschino, quelli che ticchettano rumorosamente.
È una città romantica.
Romantica?
ROMANTICA?
Scuoto il capo scacciando quei pensieri così...sentimentali. Così personali.
-Mycroft. – scandisco il suo nome. Esigo una risposta. Solo una. Poi potrò andarmene.
-Un paio di giorni saranno sufficienti. Giusto il tempo di contattare un po' di persone e cancellare qualche dato. E puf. –
In un colpo svuota il residuo rimasto nel bicchiere.
Prima che anche l'ultima goccia sia svanita nel suo stomaco ho già imboccato la porta e sono davanti all'ascensore in attesa di uscire da qui.
Al piano terra il portiere mi guarda con disprezzo.
Lui che nemmeno voleva farmi entrare. L'ho dovuto costringere a chiamare in camera mio fratello per fargli confermare che fossimo davvero parenti.
Ma come dargli torto. Un topo bagnato che chiede di entrare in uno dei luoghi più "in" di Londra.
***
-Allora ci vediamo domenica prossima? – Charles è un ragazzo paffuto e piuttosto basso che frequenta con me il corso di storia.
Abbiamo stretto amicizia ormai da qualche giorno, trascorrendo insieme anche il momento del pranzo e quando questa mattina mi ha proposto di unirmi a lui e i suoi amici per una partita di golf non ho potuto rifiutare sebbene io non avessi mai giocato a golf prima. Anche se devo ammettere che ricorderò per sempre il fatto di aver sguazzato in uno dei laghetti del campo alla ricerca della pallina, rimanendo a mollo fino alla vita per circa dieci minuti, con tutti i ragazzi che mi gridavano di lasciar perdere.
Ma era una questione di principio, io rivolevo la mia pallina.
Non mi è dispiaciuto nemmeno vagare in mezzo ai rovi del confine per recuperare, questa volta, la mazza che, chissà come, mi era sfuggita dalle mani compiendo un doppio axel sopra le nostre teste per poi sparire chissà dove.
E ancora mi chiedo "dove" visto che è stata irrimediabilmente perduta.
Niente di tutto questo, però, mi impedisce di rispondere al mio amico:
-Certo! – con un sorriso a trentadue denti.
Sono pronto ad un'altra sfida e la prossima volta darò il meglio di me.
Sento suonare il cellulare.
Incredibile pensare che da quando sono qui l'unica a chiamarmi è mia madre, cosa che accade circa tre o quattro volte al giorno.
Non ho intenzione di passare il mio rientro al collegio parlando al telefono con lei, dunque lo rinfilo in tasca cercando di sopportare il suo trillo malefico.
Sono già davanti alla porta della saletta comune quando suona di nuovo.
Devo rispondere, devo rispondere o se rimando ancora sarà peggio.
E così, mentre con la mano destra cerco le chiavi tra le tasche della felpa e dei pantaloni, con la sinistra sorreggo il telefono accanto all'orecchio.
-Pronto? –
La serratura si sblocca e apro la porta.
Sento la voce di mia madre nell'orecchio. Ma non ho la forza di rispondere.
-John? John?- dice lei sempre più impaziente.
Quasi mi cadono le chiavi.
Nel salottino una valigia sta distesa aperta sul tavolino.
Su di lei c'è un ragazzo chinato.
Una zazzera di riccioli neri indomabili.
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