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Quando Raggiungi Il Cielo

In principio tutto gli era apparso surreale, quasi onirico. Le sue orecchie ancora risentivano dell' impatto del pallone sul piede di Akio, un suono compatto che echeggiava come uno schiocco. Era sul punto di provare a triplare i tre difensori per arrivare alla porta e forse ce l'avrebbe anche fatta, se non fosse stato per il fatto che il compagno di squadra era comparso magicamente lanciandosi all'attacco come un leone, e se chiudeva gli occhi era certo di poterlo sentire ruggire. Gli occhialini gli stavano cadendo grazie al sudore di cui ormai era impregnato, e dopo che passò la palla alla sua nemesi gli scivolarono totalmente. Yūto percepiva il loro nastro fasciargli il collo mentre le lenti appannate luccicavano sotto il sole di quel pomeriggio, che splendeva illuminando quella che sarebbe stata la loro ultima partita.
Era la fine ormai, e tutto dipendeva da quella testa calda che si era fidata di lui seguendo le sue istruzioni alla lettera; aveva contornato il tutto con qualcuna delle sue stronzate, ma ci erano riusciti, avevano creduto l'uno nell'altro ed era stato talmente assuefacente che non gli importava se non era lui a segnare il goal della vittoria, non gli importava neanche di vincere su Shūya. Voleva solo trascorrere quel momento al massimo con i propri compagni di squadra, e quando il pallone toccò la rete, rilasció tutta l'adrenalina che aveva in corpo in un urlo muto di felicità. Nel momento in cui Akio gli corse incontro lo prese al volo e lo sollevò più in alto che poteva, come se cercasse di fargli raggiungere anche il sole, e non gli sarebbe parso strano se ci fosse riuscito. Il ragazzo fece cozzare le loro fronti e con tutta la forza che aveva in corpo gli gridò:

-HEY CAPITANO ABBIAMO FOTTUTAMENTE VINTO. AVETE VISTO TOKYO ABBIAMO VINTO! -

Kōijirō, Jirō ed i restanti giocatori della Royal si raggruppano intorno a loro, Yūto faticó a mollare la presa sull'amico, anzi nonostante ogni muscolo del corpo sembrava voler esplodere, lo tenne stretto per le gambe, finche gli altri non glielo strapparono direttamente di dosso per spupazzarselo tutti insieme. E mentre la folla sugli spalti esultava e la squadra riceveva il tanto agognato premio, quel giorno rimase nella storia come l'unica volta in cui Akio lo aveva chiamato capitano.

Era da tempo che non ci pensava. Fu ironico che gli venne in mente quella mattina, e non lo trovò un brutto risveglio alzarsi con il ricordo che stava ancora gustando nel suo dormiveglia.
Il silenzio dell'appartamento lasciava spazio solo al rumore del suo passaggio mentre piano piano faceva tappa in tutte le stanze. Yūto se lo godette appieno, spaparanzandosi sul divano per intero. Aveva la casa tutta per sè e fino alle due poteva starsene tranquillo. Inutile dire che il silenzio a cui ambiva ormai da tempo risultava più chiassoso di tutta la musica che Akio era solito mettere. Guardò lo stereo, e senza neanche guardare il CD che c'era all'interno lo riavvio.
Riconobbe Animals dei Maron 5 e lascio che prendesse possesso della casa mentre lui si preparava. Guardò tutti i completi che aveva: per quell'occasione ognuno di essi sarebbe stato appropriato, ma dette uno sguardo a un appendino vuoto e cambiò idea, optando invece per qualcosa di più sportivo sempre rimanendo nei termini dell'eleganza, e si lasciò scivolare addosso una maglietta di cotone rossa ed un paio di jeans. La ferita che si era fatto quell 'inverno aveva lasciato la cicatrice. Passava biancastra per la sua gamba interrompendo la peluria del ginocchio; ci passò il dito sopra senza sentire il benché minimo dolore. Il medico gli aveva detto che probabilmente avrebbe avuto qualche problema alle articolazioni quando si sarebbe dovuto togliere il gesso, ma Akio si era premurato di aspettare almeno un'altra settimana prima di fargli muovere ancora la gamba, arrivando addirittura a legarla alla sedia con la cintura; si era davvero arrabbiato quel giorno. Akio era conscio a cosa andava incontro e non guardava mai le conseguenze, perché stranamente lui era consapevole delle proprie azioni; era sempre stato così irresponsabile e responsabile allo stesso tempo che non era mai chiaro cosa avesse per la testa. Eppure Yuto aveva smesso di provare a capirlo per limitarsi a viverlo.

-A parole sono bravi tutti. -

Ripeté la frase del coinquilino mentre finiva di infilarsi i pantaloni.
Kōijirō suonò il campanello proprio in quel frangente.

-Arrivo. -

-Yo Kidō. -

Si accomodó chiudendosi la porta alle spalle.

-Sakuma? -

-È in macchina.-

-Sicuro che sia una buona idea lasciarlo da solo? -

-La signora Fudō gli tiene compagnia, ha portato talmente tanti dolci che ora la mia macchina somiglia ad uno Starbucks. -

Rise al ricordo dell'abbuffata che avevano avuto l'anno precedente. Da quando lui ed Akio si erano messi insieme, aveva rivisto altre volte la signora. Ma nessuno dei due aveva detto chiaramente alla donna come si era evoluta la loro relazione. Yūto avrebbe voluto parlargliene, ma il suo ragazzo aveva liquidato il discorso presupponendo che sarebbe stato inutile, dicendo che sua madre quando doveva capire qualcosa la capiva e basta. Quando poi, un pomeriggio di inizio primavera, si erano dati un casto bacio nella veranda di casa Fudō, ella era entrata esordendo con:

-Ci sono tanti dolci che io posso fare ma quello che mi è riuscito meglio è sicuramente Aki. -

Si sfiorò le labbra, e cercò nella sua memoria il sapore di quelle dell'altro,  non riusciva a classificarlo ma indistintamente lo percepiva delizioso ed unico. L' avrebbe voluto assaggiare anche ora.
Dette uno sguardo agli occhiali appoggiati sul tavolo della cucina; rimiró quella crepa sulle grandi lenti verdi, prova dello straordinario cazzotto che si era preso in faccia qualche mese prima. Non li avrebbe mai riparati, ormai non ce ne era motivo.

-Non li prendi? -

Yūto si voltò e raggiunse l'amico fuori dall'appartamento.

-No, non ne ho bisogno. -

~°~°~°~°~°~

Nonostante quello fosse un caldo pomeriggio di inizio giugno, la sola cosa che sentiva era freddo. Una sensazione glaciale che non gli permetteva di muoversi, onde evitare di rompersi alla minima vibrazione; ciò gli permetteva di tenere sú quella sua solita faccia da schiaffi, che utilizzava più che altro come maschera per non far vedere agli altri la sua reale paura.
E la commissione d'esame non doveva sospettare una minima incertezza da parte sua.

-Signor Fudō. Prego può iniziare. -

Yūto aveva un buon odore di menta; non derivava dalla sua colonia o altro, era proprio il suo, come se gli fuoriuscisse dalla pelle. Si era trovato più volte a cercarlo, mentre gironzolava per casa in sua assenza, era qualcosa che trovava confortante come quando se lo sentiva addosso dopo aver fatto l'amore. E anche adesso, mentre discuteva la sua tesi di laurea, lo cercava nel completo blu che aveva rubato dal suo armadio.
Si sarebbe arrabbiato, e lui non aspettava altro.
Aveva la netta voglia di rivedere quella sua espressione stizzita, solo per deriderlo. E cercava di raffigurarsela mentre rispondeva alle domande con nonchalance. Aveva trovato fastidioso avere Yūto per casa il periodo in cui si era rotto una gamba, inabilitato a fare quello che voleva quando lui non c'era. Alla fine aveva deciso di sfruttarlo più spesso per ripetere, ed anche se l'altro cercava in tutti i modi di snobbarlo non c'era volta in cui aveva detto di no.
Il viso tagliente di Yūto si era sporcato di un accenno di barba, nel tempo della sua ripresa; aveva un colore più chiaro dei suoi capelli e gli pungeva il volto ad ogni bacio. Si era divertito a radergliela quando era ritornato a camminare, nonostante avesse trovato fascino anche in quel suo lato trasandato, che ritornava ogni tanto nel suo modo di fare. Istintivamente si toccò gli ormai corti capelli scuri. Era stata un decisione presa d'impeto, voleva solamente respirare aria nuova, evitando che passasse tra i ciuffi disordinati della sua chioma. Yūto non era stato della stessa idea, e lo aveva beccato più spesso di quanto pensasse ad acarezzargli i capelli e sospirare affranto quando gli si interrompevano sulla nuca.
In tutto quel lasso di tempo non aveva ancora ben realizzato quanto in realtà fosse felice: Yūto era in grado di dargli tutto solo respirando e non doveva far altro che sapere che lui provava lo stesso per sorridere inconsciamente. Questo riscaldó il suo modo di parlare mentre spiegava i concetti importanti della matematica, iniziando anche a gesticolare un po' troppo per un giapponese, ma la commissione d'esame avrebbe attribuito quel suo atteggiamento alla passione per la materia e non al fatto che in realtà stesse pensando alla persona che amava.
E il di cui pensiero era tutto ciò che aveva bisogno per scacciare il timore ed il freddo. Avrebbe conservato queste sensazioni fino al giorno della sua dipartita, quando sarebbe diventato troppo vecchio e stanco per provocare ancora ma non per vedere Yūto invecchiare con lui. Voleva vedere così tante sue sfaccettature da scaturirgli nuove emozioni che, era certo gli avrebbero fatto battere il cuore, e non sapeva cosa gli riservava ancora il futuro; però se Kidō Yūto sarebbe stato al suo fianco, avrebbe continuato a scalare montagne a mani nude.

~°~°~°~

Il campus aveva un insolito verde a dipingere il prato, un colore vivace che trasmetteva speranza ai neo laureati che stavano uscendo dall'edificio.

-Ditemi appena lo vedete. Che voglio urlare "ecco il nostro campione" . -

Jōsuke si era inginocchiato in maniera teatrale sul marciapiede verso l'entrata, attirando lo sguardo curioso dei passanti.

-Rialzati prima che qualcuno pensi che io ti conosca. -

Atsuya, dietro di lui, insieme al fratello tenevano un mazzo di fiori di dimensione sproporzionate per entrambi. Probabilmente Akio le avrebbe spaccate in testa a tutti e tre quelle rose, ma ne sarebbe valsa la pena per la faccia che avrebbe fatto.

-Probabilmente ti picchierá se ti vede così. -

-Non preoccupatevi. Aki farà il bravo fintanto che ci sono io. -

Sua madre era arrivata ed aveva già ingozzato tutti i presenti dei suo pasticcini, ignorando Shinobu che continuava a dirle di star facendo una rigida dieta.

-Suvvia ragazza mia, si sa che un buon nutrimento porta anche ad un buon davanzale. -

-Io non l'ho mai sentito... -

Jirō si stringeva a Kōijirō. Era ancora sotto terapia e benché il suo occhio avesse recuperato lucidità non aveva ancora ripreso tutti i riflessi.

-Merda, spero di riuscire a vedere la sua espressione quando vedrà cosa gli abbiamo preparato. -

-Non preoccuparti, te la descriverò in tempo reale. -

Yūto squadrava la piccola cerchia d'amici che si era radunata lì intorno. Saputa la data del suo esame, Akio non aveva rivelato il giorno a nessuno, ma gli era scappato una volta con lui e Kōijirō, probabilmente perché troppo stanco di reggere lo stress con il lavoro. Non voleva gente, e non voleva una festa. Aveva pianificato di tornare a casa a dormire, e basta. Se solo il collega di lavoro non gli avesse scombussolato i piani. Era bastata una chiamata a Shirou per scoprire data ed ora, ed un paio di telefonate ad altra gente per raccogliere un gruppo di persone disposte a rovinare i programmi post laurea di Fudō Akio. Erano tutti lì per lui, e provò una fitta di gelosia nel constatare che non era l'unico ad avere il lusso di voregli bene. Ma contrariamente a ciò che pensava, non era così sconfortante non avere l'esclusiva su un sentimento che il suo ragazzo meritava più di tutti.
Il vento gli scompigliò i capelli sciolti mentre i dread gli sbattevano sulla nuca. Chiuse gli occhi e respirò.
Erano passati circa due anni dall'inizio della loro convivenza e ne avevano passate così tante. Non aveva alcuna intenzione di fermarsi adesso. Quando li riaprì, i suoi occhi verdi furono l'unica cosa che vide, e brillavano così tanto che il verde del prato sfigurava in confronto. Aveva tolto la cravatta e teneva sotto braccio la giacca, mentre una corona d'alloro gli incorniciava il capo rendendo i suo capelli uno scompiglio di foglie.

-Eccolo, forza Kazemaru alza il cartello. -

- Smettila di tirarlo Kira, dobbiamo farci vedere. -

E più il rumore delle persone che cercavano la sua attenzione aumentava, più arrivavano ovatti alle orecchie di Yūto.
Sopra la scalinata, Akio guardava verso di loro, ma quello sguardo fiero e pieno d'orgoglio sapeva che era rivolto solamente a lui, e non poteva che rimanere incantato dalla luce che emanava il suo sorriso di vittoria.
Qunado le sue gambe si mossero Yūto fece altrettanto, e corse più veloce che poteva ansioso di toccarlo per avere la certezza che fosse reale, e al giungere del loro incontro lo prese al volo, sollevandolo come a mostrare la sua magnificenza, che spirgionava come se adesso il sole fosse lui. Akio lo strinse di rimando, e dopo avergli dato un casto bacio dall'inebriante sapore inarcó la schiena verso il cielo, e con tutta la forza che aveva in corpo urlò:

-YŪTO CE L'HO FATTA. CE L'HO FOTTUTAME FATTA . -

THE END

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