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Capitolo 2

«Arcieri, in posizione!» gridai con tutta la forza che avevo in corpo.

Da quando ero stata insignita "Capitano delle Guardie del Cielo" avevo imparato a essere inflessibile e a farmi rispettare da tutti.

Purtroppo nell'Olimpo le cose ultimamente non stavano andando bene; da quando l'Ofiotauro era sparito dall'acquario magico, costruito da Poseidone ed Efesto, le cose si erano messe davvero male. Sicuramente qualcuno doveva averlo aveva rapito.

L'Ofiotauro era una creatura mistica con il busto di mucca e la coda di un serpente, che viveva nelle profondità degli abissi. Da quando gli Dei capirono la sua reale importanza decisero di proteggerlo in una sorta di bolla magica, collaudata insieme dal Dio del mare e dal Dio delle fucine.

Chiunque possedesse l'Ofiotauro, e decidesse di sacrificarlo, avrebbe avuto in mano un potere tale da distruggere l'intera umanità e tutta la stirpe divina, un potere più grande di tutti gli Dei Maggiori e dei Titani messi insieme. Una vera catastrofe dunque.

Il sospettato principale era Ade, scacciato dai troni divini e bandito a vita dall'Olimpo per la sua inestinguibile sete di gloria; non mi sorprenderebbe infatti che il vero colpevole sia lui, e che abbia commesso questo crimine per vendicarsi dei torti subiti dai suoi fratelli e riprendersi il trono che di diritto gli spetta.

Ovviamente Ade aveva continuato a negare ogni singola parola mossa contro di lui; affermando perfino di non aver mai visto l'Ofiotauro, se non in una qualche visione divina tantissimi secoli fa. Sinceramente non mi sarei mai fidata di lui, ne' dei suoi figli.

Il Cielo e gli Inferi ormai erano in lotta l'uno contro l'altro e la situazione era molto precaria, a breve infatti si sarebbe rischiata l'espansione della guerra anche nel mondo terreste e si sa, umani e creature divine non sono mai state molto in sintonia. Tranne quando si trattava di far nascere noi Semidei.

«Centauri, siate pronti ad attaccare» comandai con decisione.

Come segni di assenso ricevetti un assordante scalpitio di zoccoli e urla che definirei belliche.

«Naiadi e Driadi, difendete il territorio con tutte le vostre forze»

Una folata di vento e dei lievi schizzi d'acqua mi colpirono i capelli mossi, striati di un azzurro-grigio sin da quando ho memoria.

Mi misi in posizione di difesa sguainando la mia spada Astrapi, che in greco vuol dire fulmine. Una spada fatta di bronzo celeste, con un impugnatura argento e un cristallo azzurro a forma di saetta su di essa.

Sentivo il peso della responsabilità incombere su di me, non avrei condotto i miei soldati a morte certa per nulla al mondo. Sentii dei rumori strani provenire dal bosco, che avessero deciso di attaccare proprio da quel punto?

Riflettei un secondo sulla strategia migliore per difenderci, quando mi accorsi che avevo mandato pochi soldati in quella zona, eravamo parzialmente scoperti su quel fronte. Dovevo correre subito ai ripari, non avrei mai accettato una sconfitta per un errore così banale, per una semplice distrazione.

I miei occhi brillarono di una strana luce argentea, come succedeva ogni volta che dovevo combattere, sentii l'adrenalina scorrere lungo ogni muscolo del mio corpo, il potere della Folgore Divina scorre nelle mie vene in fondo.

Non dobbiamo perdere questa guerra, anzi, non possiamo perdere questa guerra, anche perché io non perdo mai.

Io sono Daphne, e sono figlia di Zeus.

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