Capitolo 1
«Sì mamma...»
«Sei sicura? Hai preso tutti i quaderni?»
«Sì mamma tranquilla, non ho dimenticato nulla» le dissi sorridendo e dandole un bacio sulla guancia.
Mia madre mi accarezzò la guancia dolcemente e mi fece uscire di casa per farmi prendere l'autobus che, fortunatamente, si fermava sotto casa mia.
«Ci vediamo a pranzo» le urlai dal ciglio della strada salutandola con la mano.
Era il mio primo giorno in una nuova scuola, avevo solo undici anni e andare in una nuova struttura scolastica, senza nessuno che potessi conoscere, mi metteva non poca agitazione.
Presi il pullman che arrivò circa cinque minuti dopo e lanciai uno sguardo alla casa, notando mia madre che mi osservava, sbirciando dalla finestra. Lei era sempre stata una donna molto apprensiva con me, forse anche un po' troppo a volte; non avevo mai avuto un padre, mia madre non me ne aveva mai voluto parlare, da quanto sapevo non mi aveva mai neanche vista. Aveva sempre dovuto prendersi cura di me da sola, e per questo le volevo un bene dell'anima.
Arrivata nella scuola, vidi in che aula sarei dovuta andare, 32B diceva il foglietto; la cercai per qualche minuto e una volta trovata entrai, andandomi a sedere in uno dei posti liberi ad inizio aula, vicino ad un ragazzino timido con i capelli rossicci.
«Piacere, io sono Daphne» dissi cercando di essere il più solare possibile.
«Axel» rispose tenendo la testa bassa e continuando a fissarsi le scarpe. Era abbastanza timido a quanto pare, e forse anche un po' a disagio.
Le prime tre ore di lezione andarono piuttosto bene, avevamo fatto due ore di matematica e una di epica greca, i miti che ci aveva spiegato il professore sull'Antica Grecia erano davvero magnifici.
Alle 11:00 in punto la campanella suonò in modo assordante, era ora della ricreazione e, come tutti gli studenti della scuola, andai in cortile cercando disperatamente di fare amicizia con qualcuno.
Mi sedetti all'ombra di un albero mangiando con calma il mio panino. C'erano ragazzi che giocavano allegramente, altri che si rilassavano un po', qualcuno parlava con degli amici e qualcun'altro era steso a terra con un gruppo di ragazzi che scherzando gli tiravano calci e pugni. Fermi un attimo, cosa?
Se c'era una cosa che non avevo mai sopportato erano i bulli, li consideravo degli esseri ignoranti, che non sapevano fare altro che prendersi gioco dei più "deboli", solo per non accettare la realtà dei fatti, quella di essere essi stessi deboli ed insicuri.
Cercai di sporgermi per vedere chi fosse la vittima presa di mira e notai un groviglio di capelli rossi nascosti dalle braccia che cercavano di riparare la testa. Axel? Che fosse davvero lui?
In quel momento successe qualcosa dentro di me, una sorta di scarica elettrica mi attraversò le braccia e la schiena e con un moto di coraggio mai avuto prima andai verso quel gruppetto di ragazzi, a fare cosa ancora non ne ero troppo sicura.
«Lasciate stare il ragazzo» dissi alzando la voce.
Il gruppetto si girò verso di me e iniziò a ridere fastidiosamente; quello che supponevo fosse il leader si avvicinò a me e disse:
«Senti bambina, sarà meglio che ti levi velocemente dalle scatole, o toccherà anche a te la stessa sorte di questo essere inutile»
«Ho detto che dovete lasciarlo stare» dissi non scomponendomi di una virgola.
«Se no che fai?» disse quel ragazzo spingendomi e facendomi cadere per terra.
A quel punto accadde qualcosa di imprevisto, la giornata da soleggiata divenne nuvolosa in un millesimo di secondo e un forte vento iniziò a pervadere l'aria. Era come se potessi sentire la potenza dei fulmini, di cui erano cariche le nuvole, nelle mie mani.
Un urlo rabbioso fuoriuscì dalla mia gola e una scarica di saette colpì il terreno, ad un millimetro di distanza dai bulli, senza mai colpire il povero Axel.
I ragazzi mi guardarono spaventati e corsero via terrorizzati, non mi rendevo ancora conto di quello che fosse realmente successo. Ero stata davvero io ad evocare quei fulmini? Come avevo fatto?
Scacciai via quei pensieri e mi avvicinai ad Axel che era ancora a terra chiuso a riccio.
«Stai bene Axel?»
«Sì... grazie» rispose balbettando e scappando via anche lui.
Ero rimasta sola, tutti erano corsi via spaventati e mi avevano abbandonato, per cosa poi? Una cosa che neanche io ero riuscita a controllare.
Un suono bizzarro rimbombò nel cielo, una strana aurea azzurra mi avvolse facendo risplendere le striature azzurro-grigie dei miei capelli e una saetta iniziò a volteggiare in aria, a pochi centimetri dalla mia testa. Poi una voce.
«Identificata»
Mi girai nella direzione da cui proveniva la misteriosa voce e vidi il professore di epica Greca che mi guardava sorridendo. Solo che invece delle gambe che aveva prima... era un corpo da cavallo quello? Avevo sicuramente le allucinazioni.
«Daphne, non aver paura di me, io sono Chirone e sarò il tuo allenatore»
«Chi? Chirone? Allenatore?» chiesi sempre più confusa.
«Certamente, sei stata appena riconosciuta, ora dovrai venire al Campo con me» disse come se fosse la cosa più naturale del mondo.
«Ma... lei è un cavallo!» affermai sconvolta.
«Centauro prego» puntualizzò lui leggermente offeso.
«E come mai prima nessuno è riuscito a vederla nella sua vera forma?» dissi incrociando le braccia.
«I semplici umani non vogliono mai vedere la realtà dei fatti, perciò creano una versione che più coincide con la loro idea di normalità. Ora tu sei stata riconosciuta, non appartieni più al mondo degli umani»
Sgranai gli occhi preoccupata da quella sua ultima affermazione.
«Tranquilla, tua madre sa tutto, a momenti sarà qui, l'ho chiamata poco fa» continuò cercando di rassicurarmi.
«Io con lei non vengo da nessuna parte» dissi sbattendo i piedi sul terreno e facendolo tremare leggermente.
«Ma guardati, hai lo stesso caratterino di...» disse bloccandosi sull'ultima parola.
«Di?» lo incitai a continuare.
Chirone prese un respiro profondo e con un sospiro amaro pronunciò delle semplici e pungenti parole.
«Di tuo padre Daphne, tu sei una Semidea»
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro