Amybeth e Geraldine: "Una parte del mio Cuore" 5: Promise me...You'll come back
Una storia speciale dedicata al grande amore di una madre per la propria figlia, che toccherà realmente le corde del vostro cuore...
Auguri mamma!
Amybeth McNulty Geraldine James
"EPISODIO 5"
𝙐𝙉𝘼 𝙋𝘼𝙍𝙏𝙀 𝘿𝙀𝙇 𝙈𝙄𝙊 𝘾𝙐𝙊𝙍𝙀 💔
«Mamma...» Riempii un bicchiere d'acqua e lo poggiai dalla sua parte, vedendola salire non molto agilmente le scale. «Indovina cos'ho sognato...» Si posizionò vicino alla cucina, mi dava le spalle. Non mi guardava neanche per sbaglio, troppo occupata con la cena. Anche questa volta avrei fatto di tutto per accampare una scusa e non mangiare. Tutte le volte sentivo il cibo diventare veleno e lo stomaco accartocciarsi. «Mamma?»
Si voltò di scatto. «Sì, piccola?» Fece qualche passo e si appoggiò allo schienale della sedia.
«Perché non mi ascolti?»
«Lo sto facendo, piccola. Cos'hai sognato di bello?» prese posto di fronte a me e non staccò gli occhi dal mio volto.
«Eravamo su un'isoletta, solo io e te. Faceva tanto caldo e l'acqua era cristallina. Eravamo sedute sulla spiaggia sotto l'ombrellone. Volevo raccogliere delle conchiglie.»
«Un'isola?» Annuii sorridendole. «Che meraviglia...» Esalò poi. «Come potremo raggiungerla?»
Ci pensai un attimo e risposi. «Non è molto lontano... Potremmo diventare due piratesse e scovare un tesoro antichissimo! Ogni notte conteremmo le stelle nel cielo e... dormirei nelle tue braccia per proteggerci dal freddo.»
«Bene...» afferrò il suo cucchiaio e facendo una smorfia mi sforzai di bere a piccoli sorsi. «Sarebbe bello fare questo viaggio insieme, anzichè andarci tutta da sola. Ricordi quel gioco? Proviamo a farlo decollare.» Allungò il braccio, alzando e abbassando proprio come un vero aereo. Spalancai piano la bocca, ma prima di accogliere quel boccone mi ritrassi e lo spostai con una mano.
«Meglio di no... Vorrei non aver assaggiato un boccone prima...» restò con la posata a mezz'aria. La sua espressione era indecifrabile. «Ho la nausea, devo aver preso freddo. Ho bisogno di sdraiarmi.»
«Si, probabilmente è per questo...» Asserì anche lei. «Va a riposare.» lasciò cadere la posata con un tonfo sordo sulla tavola. Aveva un'aria insolitamente tesa, trascinò la sedia sul pavimento e si alzò sotto il mio sguardo.
«Ma tu mangia, ok? Non vorrai ammalarti, per favore...»
Scosse appena la testa. «Se non mangi tu, allora non né ho voglia...» Raccolse la tovaglia, senza curarsi di sparecchiarla come si deve, e i bicchieri finirono in mille pezzi. Ammucchiò il resto nel lavandino e aprì la manopola, respirando affannosamente. L'acqua sarebbe traboccata fuori. Restò in silenzio, girata di spalle.
«Buona notte... A domani», la salutai. Mi recai nella mia camera e mi stesi sul letto in posizione fetale.
In poco tempo le palpebre si appesantirono e caddi in un sonno profondo, fino a che qualcuno non iniziò a strofinarmi il braccio. Le sue mani vagavano sul mio corpo, dall'alto verso il basso.
«Deve avere tanto freddo... Il mio tesoro, la mia bambina.»
Riconobbi la sua voce, mentre mi scuoteva. Misi a fuoco faticosamente il suo viso pallido e stravolto, ancora abbacchiata dai postumi del sonno.
«Mamma?» mi tirai su e la fissai perplessa.
«Non hai freddo, vita mia?» chiese passandomi le mani sul braccio.
«Cosa c'è?»
Si girò verso il mio comodino e afferrò la tazza. «Questo è per te. Latte caldo. Ti farà bene.»
«Che succede?» domandai preoccupata.
«Ti sentirai meglio...» si limitò a dire, sedendosi e spingendomi la tazza vicino alle labbra. «Bevi. Ti sentirai meglio.» quel liquido caldo mi scivolò giù nell'esofago. Mi costrinse a fare un lungo sorso, che stava per andarmi di traverso. «Bevi un altro po'.» ordinò e ubbidii, nonostante il disgusto che il mio stomaco stava già provando. «Brava.»
La guardai bene, nonostante la poca luce presente, notando l'aria smarrita, i capelli sfuggiti dalla crocchia e gli occhi arrossati e vuoti.
«Mamma?» smisi di bere e allontanai la tazza.
«Sono qua.»
«Che ti prende?» portai le mani sulle sue guance bagnate.
«Vengo con te.» strillò donandomi una carezza gentile sulla faccia, rialzandosi. «Va tutto bene... E lo sarà anche per te. Starai bene! Non morirai!»
Sobbalzai indietreggiando verso il muro e anche lei si tirò indietro. Tremò, si tappò la bocca con la mano per soffocare i singhiozzi.
«Ho molta paura...» la tazza si sfracellò al suolo e si accasciò davanti a me.
Di colpo, avevo realizzato quell'amara verità... Stavo morendo. Non avevo chissà quanto altro tempo per porre rimedio ai miei sbagli... «Ho tanta paura...» Cercò di contraddirmi e di trasmettermi il suo ottimismo, afferrandomi le braccia. «Mi sento inutile.» Le chiusi il volto fra le mie mani e lei fece lo stesso, scuotendo il capo, ripetendo che non era vero. «Scusami, mamma. Mi dispiace... Se ti ho fatto arrabbiare.» accarezzai il suo volto in preda all'angoscia. «Se non c'ero. Scusa se mi sono vergognata di te.» continuai a singhiozzare e urlare con tutte le mie forze. «Scusami mamma! Come posso lasciarti così? Perchè non posso restare con te?».
«No...Tu non mi lascerai!» obiettò mettendosi subito in piedi. «Andiamo!» Agguantò le mie mani.
«Mamma...»
«Preparati! Prendi tutte le tue cose!» mi tolse il lenzuolo di dosso e mi tirò costringendomi a seguirla, anche se le mie forze si facevano via via più flebili. «Farai le valigie. Non resterai qui. Torni a Chicago! A Chicago!»
«No!»
«Ci andrai! Chiuso il discorso! Non ho cresciuto una figlia così codarda!»
«No. Io resto qui!»
«Devi andarci.» Sottolineò arrabbiata bloccandomi con le spalle contro il muro.
«Non farmi questo! Non ci andrò. Non voglio andare in nessun posto. Voglio stare con te, mamma.» Piansi facendo scivolare la schiena verso il basso. «Per favore... È il mio ultimo desiderio.»
«Ci andrai.» sentenziò a denti stretti. «Non ti ho dato al mondo e cresciuto per... vederti morire prima di me.»
«No...» sibilai con voce strozzata. «Non puoi costringermi! Ti prego...»
«E' colpa mia! Non mi sono presa cura di te abbastanza.» si buttò le mani nei capelli, arrivò al punto di strapparseli dal cranio per il dispiacere, infilando alla rinfusa i miei vestiti nella valigia. «Non sono stata in grado di farlo... Sono stata una pessima madre... Ma non posso curarti qui. Andrai a Chicago. Farai là il trattamento.» la guardai con la coda dell'occhio riordinare tutto. «E poi tornerai qui. Tornerai, piccola. Tornerai...»
«Non farlo» Sussurrai.
«Bambina mia... Il mio cuore non ce la farebbe a sopportarlo.»
«Non posso. Voglio restare qui. Non posso tornare in quella casa...»
«Altrimenti non ti perdonerò.» Riprese lei mentre tiravo su con il naso con il viso grondante di lacrime. «Mi taglierò le vene. Spargerò il mio sangue dovunque! Sulle pareti, sui mobili...Dappertutto!» fortificò la stretta tanto da farmi male ai muscoli. Poi uscì dalla stanza e in una frazione di secondi ritornò con in mano un frammento di vetro. «Promettilo.» lo avvicinò al polso. «Promettimi che tornerai. Dillo!»
Mi sembrò di aver esaurito l'ossigeno nei polmoni quando lei premette il pezzo di vetro, creando una striscia lunga, da cui fuoriuscì sangue.
«Lo capisci che se tu muori... Anch'io morirò insieme a te! Una madre non può seppellire il proprio bambino. Non può, Amybeth!» urlò contro il soffitto e continuò a piangere con la fronte aggrottata e la vena del collo gonfia. «Promettimi che tornerai, tesoro! O non ti perdonerò!» Buttò a terra il coltello e afferrò il mio volto. «Ti prego, promettilo... Promettilo!» sbatté le braccia afflitta, mentre il sangue scorreva da quella ferita. «Promettimelo. Non mi sono presa abbastanza cura di te. Questa è la mia punizione.» si agitò convulsamente mentre sentivo gli occhi riempirsi di lacrime. Il petto andò su e giù nel tentativo di prendere fiato dopo aver cacciato un altro urlo.
«Te lo prometto!» gridai a mia volta.
«Più forte!»
»Te lo prometto!»
«Ti prego!» Mi supplicò ancora giungendo le mani a mo' di preghiera e poi la strinsi fra le mie braccia e scivolammo entrambe sul pavimento.
Le accarezzai i capelli e lei singhiozzò con la faccia riversa sul mio petto.
«Ok, te lo prometto.» Ripetei parlandole in un orecchio mentre passavo le mani nei suoi capelli. «Te lo prometto.»
«La mia bambina...»
«Promesso.» le ripetei in un orecchio.
«Non mi sono presa cura di te.» ripeté continuamente fino allo stremo, mentre la fasciavo con la garza e guardavo nei suoi occhi l'inquietudine spazzare via ogni piccola gioia degli ultimi giorni. I nostri respiri si mescolarono in quella notte triste e infinita.
***
Ho guardato la sua anima diventare blanda, inglobata dalla sofferenza e da atroci rimorsi. Cos'era stato peggiore? Sentirsi dire da un uomo dietro la scrivania che non ti resta molto tempo da vivere? Oppure aver stritolato e fatto soffrire il cuore della donna che ti ha messo al mondo e più ti ama, cominciando ad affibbiarsi appellativi che non meritava affatto?
Quella debole creatura che per tutta la notte ti aveva guardata con gli occhi vitrei... in quel letto matrimoniale.
La mattina seguente ci incamminammo. Non era spuntato ancora il sole e le strade erano deserto come un cimitero. Il vento che stava soffiando ti penetrava nelle ossa.
Lei strascicava i passi, divorata da frequenti colpi di tosse, stretta al mio avambraccio per raggiungere la stazione, che non distava molto. Quando il sole apparì all'orizzonte, camminavamo parallele ai binari senza rivolgerci la parola.
Quando il treno giunse lì, spalancò le porte e, prima di salire, mi voltai ad osservarla. I capelli erano mossi dal vento, alcune rughe d'espressione affiorarono, testimoniando che il tempo scorreva inesorabilmente. Mi massaggiò le spalle teneramente, chiusi gli occhi e lasciai scivolare altre lacrime.
«Mamma... Non essere triste.» si strinse più forte al mio corpo e il bisogno di avermi lì faceva a pugni con la consapevolezza di dovermi lasciare. «Porterò con me tutto questo calore...» mi stampò un bacio sul collo. «Non aver paura. Sarò sempre qui, accanto a te. Lo prometto.» Alla fine, salii e m'inoltrai in quel vagone semivuoto e mi andai a sedere su uno qualunque, ruotando poi la testa contro il vetro. Lei era rimasta lì. Stavo per alzare il braccio a mo' di saluto, poi ci ripensai. Il treno sbuffò e si mise lentamente in movimento. La corsa diventò più forte e realizzai che stavo andando via e lei mi stava seguendo a piccoli passi. Mi tirai su dal sedile e appoggiai le dita sul finestrino. Battei le mani contro di essa. «Mamma...» Lei sollevò il braccio per sfiorarmi, premendo la mano sulle labbra. «Mamma...» Mormorai mentre il suo volto diveniva più minuscolo. «Mamma!» Urlai a squarciagola, colpendolo con una manata.
Lei si apprestò a correre insieme al treno. Lessi il labiale: «Amybeth!»
«Mamma!»
«Amybeth!» Le porte si chiusero di colpo nonostante avesse provato a bloccarle, ma era inutile.
«Mamma, per favore...» la supplicai vedendola sbattere le mani contro l'acciaio. Ma era troppo gracile. «Mamma! Non farlo... Mamma!» lei riprovò ancora e ancora, aumentando l'andatura.
«Amybeth... Amybeth!»
«Per favore, mamma... Ti prego!» Non si arrese, non aveva intenzione di gettare la spugna e continuò ad opporsi con tutta sé stessa a quella corsa forsennata. «Mamma!» gridai nell'oblio, nella disperazione più totale. «Non lasciarmi, mamma! Non lasciarmi la mano. Ho paura!» Lei dal suo canto non smise, nonostante fosse sempre più fiacca e stanca e le stesse per mancare il fiato. «Mamma! Mamma!»
«Amybeth!»
Ormai non ce la faceva più. Il mio cuore stava per sprofondare. Non volevo rivedere quella città che mi aveva dato tanto, che senso avrebbe avuto... Lottare ancora?
Mi sentivo al sicuro solo se mi avesse abbracciato ancora una volta, se avesse potuto distruggere quel finestrino che teneva segregata e scappare.
«Non lasciarmi, mamma!»
«Amybeth! Il nostro destino è così incerto.l»" Urlò forsennatamente a pieni polmoni, diminuendo il passo, con le braccia lungo i fianchi.
Piangevo a dirotto da minuti, prendendo ripetutamente a pugni il vetro, tanto da farmi male le nocche.
«Non lasciarmi, mamma!» continuò a chiamarmi, le lessi il labiale e mi sentii lacerata dentro, ma incapace di fare qualcosa per oppormi. «Mamma!»
«Amybeth!»
"Mamma!"
Poi si afflosciò sul terreno, le sue ginocchia cedettero, mentre il treno era irraggiungibile e la sua figura diventò più distante. Avrei potuto anche emettere l'ultimo respiro in quel momento. La consapevolezza fu come una fitta lancinante. «Mamma... Sto morendo, non è vero?" Continuai a battere la mano sul vetro, senza sosta per richiamarla. «Mamma! Sto morendo!»
Il treno si allontanò, le montagne si persero alle mie spalle e mi lasciai scivolare sul sedile. Ormai Chicago era una certezza inesorabile... ma ero terribilmente impreparata ad affrontarla. Piegata sul sedile come un cucciolo ferito, con il mento poggiato sulle ginocchia e gli occhi vitrei ascoltava il rumore infernale delle rotaie. Continuavo a riflettere, a farmi cullare da un motivetto che la mamma mi cantava tutte le volte per farmi addormentare senza incubi. La ferita sanguinava copiosamente e anche lo stomaco era in totale subbuglio.
«Resterò senza sangue, mamma... Avrò la pelle a pezzi, questo mostro mi sta divorando dall'interno» mi dissi a bassa voce, parlando tra me e me, spostando di tanto in tanto lo sguardo sul finestrino.
Le nuvole assumevano forme diverse, mi seguivano come avrebbe fatto lei e un aereoplano tagliò il cielo, lasciandosi dietro una scia bianca e luminosa.
«Tocchi le nuvole, Amybeth! Stai volando!» la immaginai aprire le braccia e sporsi in avanti, mentre il signor Gregor faceva funzionare la giostra.
E mi piaceva molto...
Avrei potuto anche sfiorarle, se con il seggiolino fossi andata più in alto.
«Arriva l'aeroplano! Arriva, Amybeth! Apri la bocca...»
Mi parve sentire quest'eco nella mia mente e vederla sollevare la forchetta con movimenti ondulatori, sul terrazzo della nostra casa.
«Mamma...»
Anche se intorno a me regnava la confusione e mi sentivo come se fossi stata sott'acqua, avevo isolato questi pensieri nella mia testa, per donarteli.
«Non stare in pena per me.»
Dovunque tu sia, percepisco la tua presenza o i tuoi passi, come quando mi hai insegnato a muovere i primi passi...
Non senza cadute... e qualche sbucciatura.
«Non straziarti più...»
Perché adesso... sto bene.»
FINE.
***
Grazie, un milione di grazie per aver apprezzato così tanto questa storia drammatica.
Questa è l'ultima parte della storia, nonché la più strappalacrime, è ufficialmente finita...
Se ve lo state chiedendo "no, Amybeth e Geraldine alla fine non si sono più riviste. Posso solo dirvi che è stato proprio straziante scrivere una simile parte.
Molto probabilmente, se non l'avete capito: Geraldine, alla fine, non è più tornata a casa. Ha continuato a vagare senza una meta e Amybeth potete immaginare bene cos'ha fatto dopo aver fatto ritorno a Chicago."
Come vi è sembrata? Lasciatemi qualche reazione.
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