4 ♣ Mila
Ho davanti il maniaco di casa. E credo di averlo ucciso.
«Non può essere», mi chino terrorizzata su di lui, «forse l'ho colpito troppo forte, se ha battuto la testa sono fottuta...».
Mi pare che ancora respiri, menomale è ancora vivo.
Ma che diavolo ci fa per terra, dietro al tavolo, sotto al lavandino, mezzo fradicio e mezzo nudo e mezzo vestito elegante a quest'ora di notte? Possibile che questo tizio sia anche un alcolizzato oltre a un maniaco?
E dopo le prime congetture idiote, lo spavento si dissolve e riacquisto il controllo dei nervi.
Lo fisso.
Svenuto nella semioscurità pare un disegno. Aveva ragione Tempo delle Mele, è un figo. Sarà la posa svenuta, la giacca aperta sulla camicia slacciata che scopre il petto scolpito e bagnato, saranno questi capelli umidi e lunghi spettinati sul volto simmetrico, sarà che gli farei una foto e lo userei per lo sfondo del desktop se non fosse violazione dell'immagine, ma questo tipo è figo davvero. Solo che è esaurito. Oppure disperato. Ha una da dimenticare, una che si è sposata. Forse proviene proprio dal suo matrimonio, a giudicare dai pantaloni scuri e dai mocassini che porta.
«Pazzo», gli dico sottovoce, «sei proprio un pazzo ad andare al matrimonio della donna che ami. Però mi fai anche un po' pena. Vorrei aiutarti a tornare nella tua camera ma sarai alto almeno due volte me e peserai il doppio di me, perciò, maniaco alcolista masochista, mi dispiace per te, ma resti qui e io me ne torno al letto. Senza il mio bicchiere d'acqua, perché per prenderlo dovrei camminarti sopra. Buonanotte».
Mi muovo e la sua mano mi afferra la caviglia.
Lo guardo con occhi spalancati e quasi tremo.
Lui stringe la presa: «Chi cazzo sei tu? Mi hai quasi spaccato il labbro».
«Sono la nuova inquilina.» Cerco di liberare la caviglia ma questo non molla la presa.
«Perché hai i capelli azzurri?», farfuglia.
«E tu perché dormi sul tappeto del tinello con i vestiti bagnati addosso e una sbronza evidente in corso?»
Lui stringe di più. «Pazzo, hai detto che sono stato un pazzo ad andarci, hai ragione. Ho fatto una cazzata.»
Okay, figura di merda, ha sentito tutto. Gli ho dato del maniaco alcolista masochista, e pure un destro da pugile.
«Mi aiuti ad alzarmi, per favore? Non ti mordo.»
Molla la caviglia e apre gli occhi, due perle prasio e lucenti puntate su di me, e sono magnetici al punto che mi sembra mi stia attraversando con lo sguardo. Allunga una mano perché io l'afferri, non voglio farlo, ma devo, sono io che l'ho steso.
Lo tiro in piedi e lui barcolla e mi finisce addosso. Ha ragione, le sue labbra carnose sanguinano, sono gonfie, è tutta colpa mia. Provo l'impulso di toccarle e per reazione lo spingo indietro e la sua schiena colpisce il tavolo.
«Vuoi uccidermi, per caso?», si lamenta con una smorfia di dolore sulla faccia.
Prima che mi senta definitivamente in colpa, mi arriva intorno al collo il suo braccio e mi vedo a camminare con lui, o dovrei dire ondeggiare, fino alla sua stanza.
«Come sapevi che era questa?», dice sulla porta.
Ha capito che non ho esitato, ora scoprirà che ho spiato. Davvero un bell'inizio.
Non sembra aspettare una risposta, entra e si aggrappa a me fino a raggiungere il letto, poi atterra supino sui suoi vestiti appallottolati.
Gli osservo il viso per un momento e resto di sasso: sta piangendo.
Dio, quel viso meraviglioso sta proprio piangendo. Fissa il muro al lato del letto e due lacrime gli rigano la pelle e sembra un bambino che soffre in silenzio e non emette nessun suono ma spacca in due l'aria col suo strazio.
La crocerossina che è in me vorrebbe abbracciarlo, adesso; se non fosse che in me non c'è mai stata una crocerossina.
Si ricorda di me e, come per conservare un briciolo di dignità, ficca la faccia nel cuscino.
Ci parla dentro: «Chiudi la porta, fatina».
Non me lo faccio ripetere, per stanotte ho già fatto abbastanza danni.
♣♣♣
Mi colpisce in faccia una luce potente e spalanco gli occhi come chi riemerge dall'apnea. Li apro così tanto che il sole mi ferisce e col braccio mi copro il viso. Devo ricordarmi di comprare delle tende. Ma considerato che ho ancora sei scatoloni di roba da sistemare, le tende saranno l'ultimo dei miei problemi. E mi ricordo di essere in una casa nuova ad abitare con degli estranei, e l'idea di dover ricominciare mi annienta. In due anni ho cambiato tre stanze, non ne posso più, spero che questa sarà l'ultima. Se c'è una cosa che ho imparato a fare bene da quando mi sono trasferita a Roma sono i traslochi. Ho una carriera assicurata nel facchinaggio.
Allungo il braccio verso la sveglia che ho dimenticato di programmare, per fortuna ho il cervello tarato sulle otto, non ho perso nemmeno un minuto sulla tabella di marcia.
Dieci minuti dopo, ancora mezza nuda e mezza addormentata arrivo in cucina per elemosinare il bicchiere d'acqua che rimpiango dalla scorsa notte, e mi trovo davanti Martina e Monica di ritorno dal turno in ospedale, - perché ha ancora addosso la divisa - , che ridono sedute a tavola, davanti a ciambelle piene di zucchero e a cappuccini a portar via.
Quanto le invidio, io non ho comprato niente e dovrò accontentarmi dell'acqua.
Monica mi fa un saluto a palmo aperto. «Ehi, stellina, buongiorno, dormito bene nella tua nuova camera?»
Martina allunga verso di me una ciambella e non mi pare vero.
«Vuoi?», dice a bocca piena.
«Le ho prese per tutti», sorride Monica.
«Grazie mille», l'agguanto come un'affamata e la mordo senza neanche prendere fiato.
«Lei è la nostra salvezza, tre volte alla settimana, quando torna dalla notte, ci porta la colazione», mastica Martina, che piazza la mano sulla busta della pasticceria.
Subito Monica gliela sfila da sotto al naso e la solleva per aria. «E no, Marti, questi sono per quando si svegliano i due matti. Uno per uno. Non fare l'ingorda.»
«Mauro non è rientrato, uno avanza», dice col musetto imbronciato.
Monica ride. «E va bene, però fai a metà con Mila.»
«A, no, no, grazie. Troppi zuccheri, io passo.»
Finisco di dirlo e mi fissano attonite.
Martina sta già addentando la seconda ciambella mentre dice: «Che nome strano Mila, ma di dove sei tu?».
«Sono di Palestrina. Ma mi chiamo così per via del cartone animato. Avete presente?»
Mi fissano mute e io comincio a canticchiare in falsetto: «Mila e Shiro, due cuori della pallavolo, Shiro e Mila--».
Mi cantano sopra e in coro: «Amore a prima vista è!», e scoppiano a ridere.
Divento rossa. «Mia madre era fissata con quel cartone e mi ha chiamata così. Lei ci giocava davvero a pallavolo. Io non ho mai visto le puntate, conosco solo la canzone perché mamma me la cantava al posto della ninnananna».
E mi domando come mi sia venuto in mente di confidarmi.
Monica, la più adulta, con la faccia da chioccia madre, mi guarda benevola: «E brava la mamma che ti ha chiamato come Mila della pallavolo».
Sì, mamma era davvero eccezionale.
Martina sorseggia il cappuccino e si rivolge a Monica a voce bassa, dopo essersi guardata intorno e come se io non fossi più qui: «L'hai sentito? Che ti ha detto? Come stava?».
Monica agguanta un arancio e inizia a sbucciarlo. «E come stava, stava di merda. Era ubriachissimo. Ma lo capisco, poveraccio, la donna della sua vita gli ha dato 'sto colpo di grazia.»
«Coglione lui che c'è pure andato, io ci andavo col cazzo a quel matrimonio!», ringhia Martina.
Forse stanno parlando di lui, dell'alcolizzato per amore. Per un momento mi tornano in mente i suoi occhi che piangono nel cuscino, e mi si chiude lo stomaco.
Martina sospira forte: «Ma come fa uno a ridursi in questo modo per una stronza del genere, dico io».
Monica ridacchia. «Vuoi dire per la fotocopia di Chiara Ferragni col doppio delle tette e la metà degli anni? E già», la sfotte, «per una così ma come si fa!», e poi ride.
Martina si stranisce. «Guarda che la troia di Samuele ha venticinque anni, mica sedici».
Monica la fissa con occhi spalancati. «Ma che cazzo ti strilli, parla piano che ci sente», e le sventola la mano davanti per mandarla a quel paese.
Parlare di lui le rende inquiete come due adolescenti, mentre risatine sommesse accompagnano le loro mosse successive: pulire il tavolo dalle briciole, passarmi un bicchierino di caffè avanzato, lanciarsi occhiate divertite, finché tutte e tre sussultiamo quando dal corridoio sentiamo una porta richiudersi. Loro si fanno sssttt col dito sulla bocca, fingono di interessarsi al tinello e ai bicchieri, e intanto sentiamo l'inquilino Samuele alcolista ciabattare lungo il corridoio e parlare a vanvera, come uno che ancora non ha smaltito la sbronza, o il trauma.
«Mi scoppia la testa», si sente la sua voce in avvicinamento, «Non potete capire. Stanotte ho sognato la fata turchina della favola di Pinocchio e l'ho pure toccata, pareva vera», sbuca in cucina e si blocca appena realizza che la fata del sogno è proprio seduta alla sua tavola.
Avvampo e non mi muovo dalla sedia.
Martina e Monica si osservano accigliate e poi osservano lui.
«Che hai fatto alla bocca? Sei gonfio, col sangue pesto...», dice Martina.
Samuele si acciglia e passa due dita sulle labbra, subito tira un lamento: «Non... non lo so», si preme e poi osserva i polpastrelli.
«Samo, stai bene?», domanda Monica.
Lui le ignora e guarda me: «Fata Turchina, ma sei reale?».
Mi arrivano addosso le occhiate stranite di tutti e tre.
Potrei confermare ma sarebbe assurdo, perciò mi limito a rispondere: «Sì, non sono una fata, sono la nuova inquilina, e scusa per lo schiaffo, mi sono sbagliata».
Non riesco a impedirmi di fissarlo: sembra uscito da un catalogo di moda, i capelli lunghi di un biondo miele tenuti indietro con una mezza coda spettinata, un fisico da sportivo, tonico, asciutto, i pettorali scolpiti. È a torso nudo con indosso solo un paio di boxer blu che nascondono davvero poco, e ai piedi porta le ciabatte con Gatto Silvestro. Non so perché ma le sue ciabatte mi eccitano.
E pure lui, miseria ladra, mi fissa muto e mi studia.
Ora le due coinquiline mi odieranno a vita.
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