la fine di tutto
•Jimin•
Passato
Mi svegliò la carezza di mia madre che vidi non appena aprì gli occhi.
Aveva stampato sulla faccia uno dei suoi soliti sorrisi.
- Su alzati pigrone, o farai tardi a scuola.
Io come risposta sprofondai il naso nel cuscino.
Sinceramente non mi importava poi così tanto di andarci, visto che l'unico posto in cui mi sentivo al sicuro era a casa con mia madre.
Avrei fatto di tutto per non andarci quella mattina, non mi andava di vedere nessuno, ma mia madre non poteva permettermi di saltare la scuola.
E così, dopo l'ennesimo richiamo di mia madre, mi alzai dal letto e scesi in cucina dove lei, stava preparando la mia colazione preferita, i pancakes.
Appena vidi quella meraviglia adagiarsi sul piatto, fiondai sulla sedia e iniziai a mangiare con voracità quella delizia.
Vidi di sfuggita il viso di mia madre che per un secondo, mi parve triste, forse sovrappensiero.
Notai l'ora segnata sull'orologio, 7:56, Era tardissimo!
Diedi velocemente una sciacquata ai denti, presi la cartella e diedi velocemente e di sfuggita un bacio sulla guancia a mia madre.
Se avessi saputo cosa sarebbe successo dopo quel bacio sfuggente, non l'avrei mai lasciata
Dopo appena 2 ore di scuola arrivò nella nostra classe la preside che, rivolgendosi a me, mi disse di seguirla.
I miei compagni, ovviamente, iniziarono a ridere di me e cantarono la loro solita cantilena: "Jimin il perdente è ancora più deficente" dicevano ridendo e prendendomi in giro; li avrei vuluti strozzare con le mie stesse mani in quel preciso momento, ma il mio professore mi guardò severamente.
-Non vorrai mica far aspettare la preside ancora?
Non me lo feci ripetere due volte e andai dritto dritto in presidenza preparandomi a un'altra punizione per qualcosa che non avevo fatto, ma di cui mi avrebbero accusato comunque.
Arrivato alla porta bussai preparandomi psicologicamente ed entrai non appena senti dall'altra parte la parola avanti.
Entrai senza esitazione, ormai conoscevo a memoria quel posto, per quante volte ci ero finito.
La preside mi invitò a sedermi su una delle sedie girevoli attaccate al tavolino.
Lei non seppe bene come iniziare il discorso, sembrava titubante....triste?
-Ti ho chiamato qui per una cosa che è accaduta stamattina.
-Stamattina? Dissi tra me e me (non potevo sapere)
Pensai subito che i miei "cari"compagni avessero detto un'altra stronzata delle loro e mi avessero di nuovo messo nei guai...ma purtoppo questa volta non era così.
La preside ricominciò il suo discorso visibilmente tesa.
-Jimin questa mattina è successa una cosa...non finì il discorso, che io la interruppi.
-Mi dica... cos'è che ho fatto questa volta? No perché io non mi ricordo di aver fatto nulla di male (come sempre del resto)
-No Jimin non è questo il punto... era visibilmente in difficoltà.
-E allora quale sarebbe? Mi dica...! uso un tono di sfida per spazientirla, lo so che era un mio superiore ma a me non importava poi così tanto ormai ,dopo tutte le punizioni ricevute, ero diventato un menefreghista incallito.
-NON È QUESTO IL PUNTO! Urlò.
-JIMIN TUA MADRE HA AVUTO UN INCIDENTE E ADESSO È RICOVERATA IN OSPEDALE! Si accorse un secondo dopo di averlo detto urlando e si mise una mano sulla bocca imbarazzata.
-Jimin... mi dispiace... non volevo dirtelo in questo modo... mi dispiace.
Le sue parole mi arrivarono ovattate e non riuscì a capire niente di quello che aveva detto, senti solo le gambe indebolirsi di colpo e il contatto con il pavimento.
COSA AVEVA DETTO QUELLA DONNA?! DOVEVA ESSERE UNO DEI SOLITI SCHERZI...
Di colpo riacquisì le forze e mi diressi fuori dalla porta, fuori dalla presidenza e successivamente, fuori dalla scuola correndo come un matto verso l'ospedale.
Le gambe mi bruciavano, non ero abituato a correre così tanto, ma non mi importava di niente, ne del dolore alle gambe, ne della fatica, dovevo raggiungere immediatamente l'ospedale.
Ci vollero 20 minuti di corsa per arrivare e per poco non rischiai di essere ricoverato anch'io a causa dell'enorme fatica, non dovevo avere un bell'aspetto.
Continuai a correre nonostante sentissi che avrei potuto vomitare la colazione da un momento all'altro.
E finalmente eccomi davanti alla stanza dove era mia madre, entrai.
Quello che vidi mi raggelò il sangue nelle vene.
Mia madre era attaccata a dei tubi che le permettevano di respirare.
Corsi da lei e gli strinsi forte la mano... non dava segno di svegliarsi.
Ad un certo punto entrò nella camera un dottore, che appena mi vide, rimase un pò sorpreso.
-Che ci fai qui giovanotto? Mi chiese guardandomi dal basso verso l'alto.
-Sono qui per vedere mia madre. Dissi io in modo preoccupato e poi aggiunsi:
-Come sta? Perché è attaccata a quella macchina? Perché non si sveglia più?
Un velo di compassione apparve sul viso dell'uomo, che continuò serio.
-Tua madre ha avuto un brutto incidente, ha sbattuto forte la testa e noi l'abbiamo operata d'urgenza ma... non siamo riusciti a risvegliarla dopo l'operazione.
-È in coma
Tante cose diverse mi vorticarono nella mente una dietro l'altra.
Ero stanco, confuso e ferito profondamente.
Non mi ressi più e le mie gambe stanche cedettero, facendomi collassare sul pavimento freddo.
-portatemi una barella
I suoni erano ovattati, non capivo neanche che mi stavano caricando su una barella e portando in un letto d'ospedale.
L'ultima cosa che vidi prima di svenire era mia madre attaccata ai tubi e poi persi conoscenza.
Aprì gli occhi, graffiati dalla luce del sole, e mi ritrovai in un letto d'ospedale.
Piano piano mi misi a riconettere tutto quello che era successo. Ricordai.
Ero debole, ma il desiderio di vedere mia madre era troppo grande e, con fatica, raggiunsi la sua camera.
La aprì.
Non c'era nessuno.
Disperato e sorpreso corsi dal dottore che mi aveva spiegato tutto il giorno prima e quando mi vide si incupì.
-Dottore! Presi fiato.
-dov'è mia madre?nella sua camera non c'è e... vidi il suo volto; i suoi occhi pieni di pietà.
-cos'è successo...? Dissi col fiato corto.
Il dottore prima mi guardò e poi rispose.
-Tua madre... non ha passato la notte.
Non so spiegare se quello che c'era sul mio volto era sorpresa o disperazione... probabilmente entrambe.
Iniziai a barcollare e, non so come, mi ritrovai sul pavimento, con la testa nascosta tra le gambe, a singhiozzare.
Il dottore si avvicinò preoccupato ma io lo scansai subito, non volevo essero toccato da nessuno...
Nessuno se non lei.
Dopo essermi ripreso, due infermiere mi accompagnarono nel posto in cui veniva tenuto il corpo, ormai senza vita, di mia madre.
Entrai quasi trascinandomi e quando la vidi lì, distesa, senza muovere un muscolo, bianca come il lenzuolo che la ricopriva, mi accasciai a terra, vicino a lei, tenendogli la mano fredda; morta come tutto il resto del suo corpo.
Da quel giorno la mia esistenza sarebbe stata vuota , senza significato, come il mio corpo, privo di cose al suo interno.
Quella fu la fine di tutto.
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