Chapter 41 - Love
Quando si parla di riproduzione a scuola, e nel mio caso, in collegio, spesso si ricorre ad un incontro con una sessuologa (femmina perché meno propensa a fare battutacce) che parla dell'atto di fare l'amore come della cosa più bella e naturale che si possa fare quando si ama qualcuno.
La mia esperienza personale in ambito iniziò con una totale disapprovazione della versione rosea raccontata.
Faceva male.
La penetrazione era assolutamente, indubbiamente, inequivocabilmente dolorosa.
Le pareti della mia vagina erano strette, perché non abituate ad accogliere l'organo riproduttore maschile nella sua dimensione non indifferente (leggermente ampliata dal profilattico), e sforzarle con lo sfregamento fu un errore. Emisi un gemito strozzato, poi espressi il mio dolore con imprecazioni sommesse nei limiti della buona educazione. Salvo un paio.
- Aspetta che esco. - sussurrò Jake, preoccupato.
Era andato tutto bene finché si era trattato di baci e seduzione delicata, persino togliersi i vestiti è stato bello, perché non c'era più imbarazzo. Inutile fingere che Jake non conoscesse il mio corpo. Quella che non conosceva il corpo del partner ero io: potevo immaginare che fosse così grosso? Erano tutti così? Esistevano anche più grossi? Povere donne, quante pene soffriamo dall'alba dei tempi!
Jake era in difficoltà, perché non sapeva come rimediare al danno che, sebbene provocato da lui, non era stato causato volontariamente. Era poco probabile che avesse previsto la mia sofferenza acuta.
- Non doveva essere un'esperienza paradisiaca? - ironizzai, piegata in due dal dolore. E no, massaggiare il ventre non serviva a niente. Ma perché lo facevo?
Il ragazzo al mio fianco ebbe il buon senso di non fare battute, non deridermi e non raccontare aneddoti passati sull'argomento.
Quando capì che mi stavo tranquillizzando, mi accolse tra le sue braccia e mi cullò dolcemente, con carezze e baci a fior di pelle sulla fronte e sui capelli.
- Secondo te fa sempre così male? - domandai flebilmente dopo un po'.
- Non so dirtelo, Saint. Quello che so è che non devi arrenderti. Passerà e riproveremo, se vorrai, con calma e pazienza. - mormorò.
Strofinai la guancia sul tessuto del suo pantalone di pigiama. Il contatto mi rassicurò.
Jake aveva ragione: non potevo darmi per vinta. Il corpo umano è costituito di parti estremamente elastiche e, pian piano, avrei potuto raggiungere quella distensione necessaria a non provare più dolore, ma piacere. O, almeno, ci speravo.
Lanciai un'occhiata colma di dubbi a colui che, di fatto, mi stava coccolando dopo che non gli avevo ancora detto che lo amavo (lo amavo?) e che gli avevo rovinato un'occasione per fare sesso. I miei occhi gli chiesero se sarebbe rimasto abbastanza a lungo al mio fianco da guidarmi in quel percorso.
Le sue iridi chiare parlavano di sicurezza e tranquillità, il che mi diede conforto.
- Domani mi eviterai di nuovo? - chiese, con l'ombra di un sorriso.
Come faceva a voler ridere di una cattiveria simile? Al posto suo, mi sarei offesa a morte.
Mugugnai qualche verso incomprensibile contro la sua gamba.
- Eh? Dici di sì? Non ne hai abbastanza di negare quanto mi ami? - soppresse una risata.
Compresi perché non se l'era presa, finalmente: era sicuro di essere ricambiato, ma voleva lasciarmi il tempo di accettarlo e affermarlo. Il punto era che io non sapevo decidere se lo ricambiavo effettivamente oppure no.
Mentre le dita di Jake si impegnavano per attirare la mia attenzione sul massaggio della cute piuttosto che su quello delle tempie o del collo, immaginai la mia vita senza Jake. Conoscerlo mi aveva cambiata e sarei stata una stupida a non volerlo ammettere: solamente il fatto che avevo osato pronunciare una parolaccia era indicativo. Mi figurai andare a letto senza l'incavo tra la spalla e il petto modellato sulla forma della mia testa, giacere con la schiena fredda come la notte precedente e senza il solletico provocato dal suo naso contro il collo. Vidi l'immagine sbiadita in confronto alla mia quotidianità di allora: che ne sarebbe stato dei colori senza i nostri battibecchi, i baci rubati e le confessioni fatte di volta in volta, nei momenti più impensabili? Senza il suono della sua risata, della sua voce scherzosa e provocatoria, senza i suoi sguardi ora dolci e ora carichi di desiderio? Senza quella speciale intesa che si era creata fra di noi sin dal temporale del primo giorno in cui avevo messo piede all'istituto, quando avevo paura a restare sola?
Perché la mia vita prima di lui andava bene, ma con lui era molto meglio. Dalla soddisfazione alla felicità il balzo era notevole. E da sola non sarei riuscita a farlo. Mai.
Platone dava due definizioni dell'amore, ma ricordavo quella che mi era rimasta più impressa: una forza che era capace di trascendere la realtà fenomenica e andare oltre, approdando nella metafisica tanto amata dal filosofo greco.
- Mi canti qualcosa? - chiesi a Jake, di punto in bianco.
Lui allungò il braccio verso il comodino e afferrò il telefono, poi digitò qualcosa e iniziò a leggere.
- I found a love for me
Darling, just dive right in and follow my lead
Well, I found a girl, beautiful and sweet
Oh, I never knew you were the someone waiting for me...
Riconobbi la canzone e, anche se non fossi stata innamorata di lui prima di allora, mi innamorai in quel momento. Aveva scelto una canzone lenta, dolce e bellissima e si stava sforzando di essere intonato.
Visto che conoscevo il testo anch'io, cantai il ritornello insieme a lui. Sorrise mentre pronunciavamo le stesse parole.
Chiusi le palpebre e impressi il momento, nell'unicità dell'atmosfera, nella mente. Ebbi l'impressione, inoltre, che la sua voce fosse stata registrata più dal mio cuore che dal mio cervello.
- Allora, giudice di X Factor, ti è piaciut...
- Ti amo.
- Eh?! - sobbalzò Jake.
Finse di controllare che non avessi la febbre o che non l'avesse lui stesso e fece la prova dell'udito.
- Ti amo. - ripetei, ridacchiando - Ma smettila di fare lo scemo.
A quel punto, ascoltò le mie parole. Si chinò su di me e mi baciò con delicatezza. Le mie dita sfiorarono le sue guance e poi fecero presa quando il bacio iniziò ad acquistare importanza.
- Pensavo di dover inventare un ricatto per fartelo dire. - scherzò Jake.
Gli lanciai un'occhiataccia.
- Seriamente: è bastato cantare per aprirti gli occhi? - domandò - Dimmi che lo sapevi già, negli abissi della tua anima.
Annuii.
- Lo sapevo. Era difficile trovare il coraggio di dirlo ad alta voce. - ammisi.
- Non merito un Premio Archer per l'Intelligenza? - si vantò.
- Premio Archer? - scoppiai a ridere.
Mentalmente, mi scusai con Alfred Nobel anche a nome di Jake.
- Hai ragione, non te lo meriti. Sei stata troppo stupida per accorgertene per tempo. - mi rimproverò.
Roteai gli occhi, non sapendo come commentare tale intervento.
Jake tracciò i lineamenti del mio viso con l'indice e lo unì al pollice quando giunse al mento. Indirizzò il mio volto verso di sé.
- Quanto sei bella? - gli sfuggì un sospiro.
Chiusi gli occhi.
- Cosa faremo, Jake? - domandai.
Era fuori discussione amarsi per altre sei settimane e poi fermarsi. L'amore non aveva il tasto di accensione e spegnimento a comando.
Il ragazzo dagli occhi che più adoravo sul pianeta rivolse uno sguardo significativo alla luna là fuori.
- Non ti preoccupare di cosa faremo, una soluzione si trova sempre. Ora preoccupati del presente. Hai appena ammesso di amarmi...
- Oh, Cielo, non nutrirò il tuo ego smisurato, scordatelo. - lo bloccai.
Jake mi rivolse uno sguardo incuriosito.
- Sai che non mi aspettavo che fossi così acida dopo aver ammesso di amarmi? Pensavo che saresti diventata un concentrato di zucchero e miele.
Una risata lasciò le mie labbra.
- Sai cosa non mi aspettavo io, invece? Che azzeccassi tutti i verbi giusti!
Mi guadagnai una fulminata che avrebbe bruciato tutta Parigi, se non fosse stato che io mi sentivo già ardere come lava in eruzione sotto le sue iridi attente che del color nocciola tradivano la consueta dolcezza.
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Tra Premio Archer ed ego smisurato, Saint è riuscita a dire quelle magiche paroline finalmente... Vi aspettavate che lasciasse dannare Jake ancora per un po'?
- 9 🎉
Love you 🌹
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