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Chapter 38 - Romantic

Fuori dalla boutique, inspirai a pieni polmoni l'aria mondana di Parigi e sorrisi al clima ottimale che pervadeva l'atmosfera. Jake mi prese per mano.

- Perché mi tieni la mano? - domandai, sperando che le immagini degli eroi classici che adoravano tenere la mano alle mie protagoniste ottocentesche preferite svanissero dalla mia mente. Il romanticismo del gesto mi gettava in allarme.

Lui mi guardò stranito, poi abbassò lo sguardo sulle nostre mani, rendendosi effettivamente conto che erano unite.

Invece di sfilare la sua dalla stretta, rinsaldò la presa.

- Hai una manina piccola e morbida, mi piace tenerla. - fece spallucce.

Disarmata dalla spontaneità delle sue parole, mi trovai in difficoltà su quale posizione assumere.

- Non corrucciarti, è solo una mano. Mica ti lego ai ferri del letto. - sdrammatizzò.

- Sì, ma da un punto di vista esterno c'è un significato preciso dietro. - insistetti.

- Non rompere il cazzo e cammina. - tagliò corto, alzando gli occhi al cielo.

Liberarsi dalla sua stretta era impossibile, per come la vedevo io, ma il mio punto di vista era carente di forza di volontà, perciò la mia opposizione risultava abbastanza scarsa. Sotto sotto, adoravo il calore che le sue dita mi trasmettevano.

Percorremmo mano nella mano due boulevards, immensi in larghezza, per tutta la loro lunghezza e ricordai che Napoleone li aveva fatti costruire per agevolare il passaggio dell'esercito durante le parate militari da eseguire in seguito ad una vittoria sul campo di battaglia; mi tornò alla mente anche la sfortuna che aveva inizialmente avuto il rivoluzionario imperatore: la prima sfilata vittoriosa era stata eseguita dall'esercito nemico. Strana la vita.

- Ehi, vuoi un gelato? - mi chiese Jake, di punto in bianco.

Soppesai la domanda. Non andavo matta per il gelato né per i dolci in generale, ma in quel momento vinse la prospettiva del gelato fresco e, possibilmente, artigianale.

Accettai.

- Ottimo! - esultò Jake.

Mi trascinò dall'altra parte del viale con la mano che racchiudeva dolcemente la mia ed entrammo in una gelateria costruita all'interno di un edificio storico, con l'insegna scritta in grafia elegante.

- Bienvenue. - sorrise la gelataia, una ragazza bionda con i lineamenti sottili e gli occhi dell'azzurro più chiaro che avessi mai visto.

- Vogliamo due coni da tre gusti con biscotto e cannuccia al cioccolato. Il primo al limone, fragola e fior di latte; il secondo al cioccolato, nocciola e pistacchio. - ordinò Jake, in inglese.

La bella ragazza gli chiese di ripetere il primo gelato, presumibilmente quello destinato a me, perché era rimasta un attimo stordita dal cambio di lingua e aveva fatto in tempo solamente a prendere nota del secondo.

- Perché non mi hai chiesto quali gusti volessi? - domandai sottovoce a Jake, mentre la ragazza componeva il mio gelato.

- Non ti piacciono i gusti che le ho detto?

- No, mi piacciono, ma... Sono capace di ordinare anche da sola. - sussurrai.

Jake non rispose.

Pagò i gelati e li prese, porgendomi poi il mio, poi parlò una volta fuori dalla gelateria.

Notai che la ragazza aveva scelto i biscotti a forma di cuore e che aveva infilzato due cannucce a ciascuno. Sorrisi.

- In caso non te ne fossi accorta, sto provando a dimostrarti quello che ti ho detto. - spiegò il ragazzo accanto a me.

Mentre formulavo il pensiero, mi si presentò l'espressione "il mio ragazzo" e rimasi un po' scossa. Da quando la mia mente si permetteva di creare categorie di cui non desideravo l'esistenza?

- Cioè?

- Cioè che ti amo. Non tengo a mente le preferenze di tutti. - disse semplicemente.

Storsi il naso e feci una smorfia.

- Tecnicamente, mi stai dimostrando che non sono "tutti", ora come ora.

- Be', pensavo fosse evidente che sei speciale. C'era bisogno di dimostrare anche quello? - sbuffò Jake.

Ridacchiai. Mi era mancato metterlo in difficoltà nei semplici passaggi di logica congiunta all'espressione linguistica.

Leccai il gelato per un po' e fui contenta che mi piacesse, perché sarebbe stato un peccato buttare via un gelato così costoso, contando che era stato Jake, il quale non era di certo ricco, a pagarlo.

- È stata una cattiva idea offrirti il gelato. - osservò Jake, ad un tratto, osservando i movimenti della mia lingua.

Inarcai un sopracciglio, perplessa. Perché avrebbe dovuto essere una cattiva idea?

- Mi vengono in mente troppe cose a guardarti. Cose che la tua lingua può fare a cose che non sono gelati. - spiegò.

Nuovamente, non capii. L'istinto mi consigliò, però, di non insistere, perciò feci quel che mi riusciva meglio durante le situazioni difficili: dirottare l'attenzione a qualunque altra cosa. Trascinai Jake con me davanti alla vetrina di una libreria. Si vendevano anche articoli di cancelleria e souvenirs, perciò rimasi qualche minuto ad osservare ogni oggetto in esposizione e a cercare di capire cosa ci fosse all'interno, per decidere se valesse la pena entrare oppure no.

Jake teneva la mia mano sinistra fra le sue e mi massaggiava il dorso con le dita, disegnando forme casuali ed arbitrarie. Provai un senso di relax del tutto nuovo.

- Entriamo? - decisi, infine, arrendendomi a porre fine a quella dolce tortura, che mi avrebbe portata all'estasi se non l'avessi interrotta.

Jake mi seguì senza protestare.

Curiosai tra le file di libri in francese, alcuni dei quali ricondussi a titoli noti per via della copertina o dell'autore, e mi persi a guardare colori diversi dello stesso quadernetto o della stessa penna. Mi affascinava la cancelleria: traboccava di creatività, perché con tutti quei colori, con tutti quei strumenti, tutte quelle superfici, c'era una possibilità di scelta immensa. Tutte le porte erano aperte.

Non mi accorsi nemmeno di aver perso di vista Jake finché non lo vidi passarmi accanto per fermarsi alla cassa e pagare qualcosa che non riuscii a vedere. Era stato abile a celarlo.

- Cos'hai comprato? - gli chiesi, uscendo mano nella mano dalla libreria.

Una passante di età avanzata sorrise combattendo contro le rughe e vidi i suoi occhi illuminarsi quando ci inquadrò. Si voltò con una soddisfazione palpabile.

Era una fonte di gioia così grande vedere un ragazzo e una ragazza camminare mano nella mano? Scossi la testa e mi ripromisi di indagare sulla questione in futuro.

- Non te lo dico. - mi rispose Jake, con tono provocatorio.

- Perché no?

- Non adesso. Te lo dirò, prima o poi. - rise.

Strinsi gli occhi a due fessure e lo trafissi con uno sguardo soltanto.

Lui, in risposta, si fermò e mi si avvicinò. Sapevo quali intenzioni aveva ancor prima che ne manifestasse i segnali. Appoggiò la fronte alla mia, perché era più alto di me, e mi guardò intensamente con quei suoi occhi color nocciola che viravano al color rovere. Mi sarebbe piaciuto trovare la forza, o anche solo la voglia, di resistere.

A volte, però, per quanto si tenta, è impossibile. È come se, tra l'intenzione morale e l'azione reale, ci fosse uno spazio orizzontale di pochi passi, ma profondo come un abisso e vincere quei pochi passi comportasse cadere nell'abisso e risalire, aggrappandosi con le unghie ad ogni singola scanalatura di roccia. E la cima non era neanche lontanamente visibile.

Così, non feci nulla per vincere quella distanza. Restai con i piedi saldi nella terra dell'azione reale, dominata dall'istinto immorale in quel momento, e lasciai che a vincere i pochi centimetri che ci distanziavano fosse Jake. O, meglio, le sue labbra.

Mi baciò con la tenerezza di un angelo, ma prese coscienza del contatto in fretta e caricò l'assalto di impetuosità e passione.

Una piccola consapevolezza fece capolino nella mia mente, a quel punto: eravamo in mezzo ad uno dei viali più belli e antichi di Parigi. Perché ricambiavo con ardore il bacio di Jake, invece di respingerlo in nome della purezza che mi aveva sempre caratterizzata?

Che mi fossi ingannata da sola per anni credendo di essere felice nella mia castità sacra?

Ero scombussolata. Scombussolata, ma felice. I baci erano qualcosa di unico e quelli di Jake assolutamente stupefacenti.

La lingua di Jake chiese il permesso di entrare in azione e la mia lo assecondò, trasformando qualcosa di puramente passionale in un cercarsi e ricercarsi continuo, giocoso e stuzzicante. Mi trovai con l'insana voglia di ridere.

Jake si staccò per guardarmi e trovò un ampio sorriso sulle mie labbra. Baciò il mio sorriso senza esitazione.

- Allora, sono bravo con le dimostrazioni? - domandò poi.

- Sopprimi il tuo ego, non ha bisogno di essere alimentato. - sussurrai.

Sospirò sonoramente, un po' per quello che avevo detto e un po' perché era contento (così mi sembrava, almeno) e cercò di nuovo la mia mano, per stringerla più di prima.

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In tutto questo Saint non ha ancora risposto alla dichiarazione di Jake, già.

Love you 🌹

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