Parte 20 ~ Il seme della discordia
Psiche si tirò su il cappuccio del suo mantello. Il morbido tessuto ceruleo lo proteggeva dal vento ancora frizzante di aprile, ma, soprattutto, nascondeva il suo volto agli occhi dei viandanti che Psiche aveva incontrato lungo il cammino. Atene distava da Olimpia tre giorni di viaggio, e anche se Eros avrebbe voluto donare al giovane il suo cavallo divino, Psiche aveva preferito usarne uno normale, un mortale, proprio come lui. L'uso di altri mezzi a motore più comodi e veloci era, invece, stato escluso da entrambi; erano veloci, sì, ma Psiche non voleva dare nell'occhio.
Adesso stava percorrendo il sentiero che portava al bosco, quello in cui era solito rifugiarsi quando viveva a Olimpia. La città era vicina. Una piccola fitta al ventre indusse Psiche a fermarsi, a tirare le briglie. Aveva bisogno di riprendere fiato. Non era la prima volta che gli capitava da quando era montato in sella, ma lui si era detto che era colpa del viaggio a cui non era abituato. Ritornare nel mondo umano dopo un mese trascorso nel palazzo delle delizie del dio dell'amore non era un'impresa semplice, tutto gli appariva più smorto, privo dell'alito vitale che si respirava tra i giardini e le fontane e le brocche di latte e di miele. Eppure, lui era un umano e il suo mondo era quello fatto di campi, di boschi, di strade, di villaggi. Inaspettatamente provò una punta di risentimento per Eros: lo aveva condotto in un palazzo a cui lui non apparteneva e fuori dal quale, tuttavia, non credeva potesse sopravvivere. Adesso Psiche si sentiva fuori posto sia tra gli uomini che tra gli dei. L'unico posto dove si sentiva davvero a casa erano le braccia del dio che lo aveva strappato al suo mondo.
Scese da cavallo e ne approfittò per bagnarsi la nuca e la fronte con l'acqua fresca del lago, al suo polso risplendeva l'ametista che Eros gli aveva donato. Inspirò profondamente e si fece forza per rimettersi in viaggio. I profili delle case del villaggio, tetti in muratura, li scorse presto, così come i campi sterminati, un tempo ricchi di messi e adesso impoveriti. Spronò il cavallo ad accelerare fino a quando non raggiunse il piccolo sentiero tra i vigneti che portava alla sua fattoria. Sullo spiazzo antistante la sua casa scorse la sagoma di due uomini intenti a portare una mucca nella stalla, poi quella di una donna dal corpo esile sollevare a terra un recipiente di stagno. Un senso di dolcezza invase il suo cuore. Mamma, pensò. Scese subito dal cavallo e lo legò alla palizzata, poi a passo svelto si avvicinò alla donna, scoprendosi il volto.
La vide sollevare il capo, far ricadere il recipiente ai suoi piedi, e corrergli incontro. «Psiche», disse la donna, mentre le lacrime le riempirono gli occhi. «È più di un mese». Gli prese il volto tra le mani, lo squadrò cercando segni che rivelassero il suo stato di salute. «come stai, da quella notte...», le si strozzò la voce.
Psiche la strinse, ne sentì il profumo leggero di fiori di campo mescolato a quello di erba e di fatica. Non era il profumo soave di Eros,ma gli gonfiava ugualmente il cuore di affetto. «Sto bene, mamma. Come ti ho scritto ora mi trovo in un luogo tranquillo dove nessuno bada al mio aspetto».
La donna si strinse le labbra, ancora incerta. «Vieni, ne parliamo dentro».
Due dei suoi tre fratelli li raggiunsero dalla stalla, l'altro era, insieme a suo padre, seduto al modesto tavolo del salone. Nessuno di loro osò abbracciarlo, si limitarono a sedersi attorno al tavolo e a guardarlo con curiosità. Suo padre, però, gli rivolgeva, durante il suo raconto, occhiate di fuoco.
«E così hai trovato qualcuno disposto a sposarti, se così si può chiamare il concubinaggio», l'uomo disse, assaporando l'ultimo sorso di vino.
«Non è come credi tu», Psiche protestò, mentre sua madre gli rivolgeva uno sguardo mortificato. Non capiva perché una donna sensibile e buona fosse capitata con un uomo del genere e vi fosse rimasta. Le parole di Eros gli tornarono in mente: sua madre, in fondo, non aveva fatto nulla per impedire la sua unione con Prassitele. Le scacciò subito. No, sua madre ci teneva a lui, ne era sicuro.«Ma intanto, mentre tu fai la bella vita i problemi della fattoria restano, e a nessun dio interessa», l'uomo continuò.
«Non ho chiamato mio figlio per parlare di questo», sua madre trovò la forza di ribellarsi.
Psiche le strinse la mano, ma suo padre le aveva già rivolto uno sguardo torbido.
«Ho bisogno di un po' d'aria». Psiche si alzò, non sopportava più di stare nella stessa stanza con quell'uomo.
«Vedi di coprirti il volto durante il viaggio», l'uomo gli gridò dietro, «non voglio altri guai per colpa tua».
Psiche tentò di ignorare il nodo che gli stringeva la gola. Non era cambiato niente da quando aveva lasciato la fattoria: suo padre lo biasimava per una colpa che non aveva e di certo continuava ad accusare sua made di un tradimento mai avvenuto. Desiderò trovarsi ancora tra le braccia di Eros. Non credeva che gli sarebbe mancato tanto durante il breve viaggio che lo aveva allontanato da lui. E al dio dell'amore invece mancava? E se Eros stesse in quel preciso momento soddisfacendo i desideri di qualche altro giovane, uomo, donna o dio che fosse? Una morsa di gelosia che non aveva mai provato in vita sua gli strinse lo stomaco. Un'altra fitta al ventre.
Si accasciò su un tronco d'albero, e sfiorò l'ametista che aveva al polso, subito un senso di tranquillità lo invase. Fu lo scalpiccio di passi alle sue spalle a riscuoterlo. Uno dei suoi fratelli prese posto accanto a lui.
«Così ce l'hai fatta a lasciare questo posto...», esordì.
«A me è sempre piaciuta la fattoria, ma per te e per gli altri ero solo un peso», Psiche disse. Il ricordo dello scherno e delle umiliazioni subite gli fece tremare la voce. Si odiò per quello. Sfiorò ancora l'ametista nella speranza che riuscisse a calmarlo di nuovo.
Gli occhi di suo fratello, il maggiore, caddero sul suo bracciale. «Sono contento per te, sai, ma questa storia non mi convince».
«Non mi sono inventato nulla!»
Il fratello gli posò una mano sulla spalla. «Lo so, non ne saresti capace».
Era la prima volta che gli veniva rivolto un complimento, sembrava sincero e Psiche si rilassò.
Il ragazzo più grande continuò: «Sei sicuro che l'uomo con cui vive sia chi dice di essere? Il fatto che indossi una maschera e che tu non possa mai vederlo alla luce del sole non mi piace, potrebbe essere un dio malvagio che approfitta della tua ingenuità, del tuo corpo e che ti blandisce con regali preziosi».
Psiche si alzò indignato. Come osava suo fratello mettere in dubbio la parola di Eros. Ma l'altro continuò: «Mi hai detto di essere arrivato alla rocca di Kakia, ma di non averlo mai visto. Chi ti assicura che sotto le spoglie di Eros non si nasconda lo stesso Kakia? Pensaci, ha potuto così godere di te senza che tu protestassi».
«Smettila». Le parole di suo fratello lo colpirono come stilettate. Eros non gli aveva mentito, no. Psiche ne sarebbe morto. Pensare che fossero le mani di Kakia a toccarlo lo disgustava, così come lo disgustava l'idea che la sua storia d'amore fosse solo un incubo dalle apparenze fiabesche.
«Che succede qui?», sua madre disse, il volto contratto dal disappunto. «Torna dentro», ordinò al figlio più grande, e quello a differenza di suo padre le portava rispetto ed obbedì.
«Caro», lei continuò, rivolta a Psiche, «i tuoi fratelli sono un po' preoccupati».
«E tu?» Il parere di lei era fondamentale, e l'unico che Psiche considerasse davvero sincero.
La donna esitò. «Non voglio nasconderti le mie preoccupazioni, con te sono sempre stata sincera, anche se non ho saputo proteggerti a sufficienza, no, lascia che mi assuma le mie responsabilità. È difficile credere che un dio si innamori di un uomo. Provare attrazione? Prenderselo per qualche notte? Sì, ma l'amore dovrebbe essere totalità, fiducia, perché allora ti è proibito vedere il suo volto?»
«Te l'ho spiegato», Psiche mormorò. Non era quella la risposta che si aspettava da sua madre.
La donna gli prese il viso tra le mani. «Ti ho solo espresso le mie perplessità. L'importante è che tu sia felice, qui non lo eri». Gli baciò la fronte, e lo aiutò a sistemarsi nella sua stanza per trascorrere lì la notte.
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