•|Alla sera*|•6
Mi sveglio con un senso di tranquillità raro che m'avvolge dolcemente, in un quieto calore che trovo assai piacevole, dunque mi volto verso la fonte di questo delicato sentore di leggerezza e trascino il viso verso l'esterno, trovandomi ad affondare in una morbida peluria che pare bollire a contatto con la mia pelle troppo fredda. Ad essere onesto non mi sento affatto bene, la testa mi fa fin troppo male, tanto che ogni volta che il mio cuore batte il suono sale amplificato sino alle mie tempie, tuttavia l'odore di menta che mi stuzzica le narici mi rilassa, lasciando che il mio corpo ancora debole venga scosso da una scarica capricciosa di brividi elettrici, ciò mi porta ad arricciare le dita dei piedi, con lo stomaco ribelle, intendo a destreggiarsi nel mio torso in una danza freneticamente goduta dal sottoscritto, ancora intontito dal sonno che non sono riuscito a scrollarmi di dosso.
Il mio torpore mentale però non si degna di avvinghiarsi a me per lungo tempo, infatti i miei pensieri cominciano a muoversi freneticamente, riportando a galla i ricordi traumatici dello scorso giorno e solo allora, un po' titubante, timoroso nel non trovarti al mio fianco, mi costringo a sollevare i pallidi veli che celano i miei rubini lucidi, mi allontano un poco dall'ammasso morbido di un inconfondibile smeraldo che riconosco essere te, mi sforzo di metterti a fuoco e noto il tuo testone animale abbandonato sul lettino dove riposo. Arrossisco incontrollabilmente nel realizzare che fino a poco fa avevo il viso sepolto nel tuo collo, ma allo stesso tempo una gioia inesprimibile, di una travolgenza che non sono capace di comprendere m'assale muta, lasciando che il mio muscolo vitale corra e salti nel mio petto irregolare, lasciando diffondere nella piccola stanza bianca il rumore fastidioso del macchinario al quale sono collegato, immagino che abbiano dovuto reintegrare il sangue perduto e probabilmente hanno deciso di monitorare il mio battito in caso di qualche complicanza.
Sospiro piano, calmo le mie emozioni giocose ed inspiro lentamente, lasciando che il fastidioso rumore cessi nell'accogliente silenzio che ci circonda, dunque mi abbandono al folle desiderio che è nato in me di guardarti riposare, assaporare con questi miei occhi sanguigni i lineamenti mutati di un volto che ancora riconosco come tuo. Forse perché della fatal quïete tu sei l'immago a me sì cara, vieni, o Sera! E quando ti corteggian liete le nubi estive e i zeffiri sereni, e quando dal nevoso aere inquiete tenebre, e lunghe, all'universo meni, sempre scendi invocata, e le secrete vie del mio cor soavemente tieni. Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme che vanno al nulla eterno; e intanto fugge questo reo tempo, e van con lui le torme delle cure, onde meco egli si strugge; e mentre io guardo la tua pace, dorme quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.
Non nego che come mi sono ricordato della mia permanenza con i villains una strana paura, un incontrollabile disgusto m'hanno colto impreparato, con una fragilità che non mi sarei aspettato dalla durezza della mia determinazione, tuttavia la tua immagine vicino a me è calata come la sera, la quale con la sua dolce serenità acquieta ogni brusio, allo stesso modo la tua presenza ha cullato il mio tormentato spirito, con una facilità disarmante alla quale ancora devo abituarmi ma che già so, apprezzerò con estremo diletto. Ora non posso far altro che mordere freneticamente il mio labbro inferiore, chiedendomi se rischiare di disturbare il tuo meritato risposo o meno, tentando di lasciar sfumare il desiderio ardente che mi sta pregando di accarezzarti con queste mie tremanti dita, mi arrendo, lascio che la mia mano bramosa si distenda nell'aria, che solchi la bianca distesa delle coperte e quando sta per infrangersi nel tuo manto silvestre vengo sorpreso dalla porta della stanza che cigola fastidiosamente.
Ritraggo velocemente l'arto con un mugugnio infastidito all'abbattersi violento della luce con la mia vista, poi dopo che una figura indistinta s'è chiusa la porta alle spalle, lasciando che le tenebre tornino a regnare, riconosco mia madre che silenziosamente mi si avvicina, con andatura rilassata e senza la sua solita vociona fastidiosa, poi indica brevemente te, che giaci addormentato al mio fianco, bisbigliando: «Sai, sono riuscita ad entrare solo ora visto che il lupacchiotto è fuori gioco, ha vegliato tutta la notte, ma alla fine è crollato anche lui. Hanno anche provato a sedarlo ma nulla ha funzionato, quando si sveglia prova a farlo ragionare che sennò non possono controllare che stia bene» sorride un poco passando le lunghe dita tra la mia ispida chioma per poi cingermi in un contatto caloroso, è raro da parte sua dunque mi abbandono a tale senso di protezione, tipico solo delle madri, questa volta senza protestare come sono solito e ancora ella parla.
«Katsuki sai, sembra che Izuku in questo momento non riconosca nessuno al di fuori di te, perciò cerca d'essere onesto e cordiale. Prima Inko è entrata nella speranza di stringere il suo bambino, tuttavia non le ha lasciato muovere un singolo passo, ha ringhiato minacciosamente mostrando i denti, dunque ella è prevedibilmente scoppiata a piangere. Spero che quando si riprenderà si degnerà di chiederle perdono...» io sorrido stranamente contro il suo petto bisbigliando che tu la ami troppo per non farlo, a questo punto, soddisfatta e forse un po' allarmata dai movimenti che hai cominciato a fare nel sonno, mamma si defila velocemente, lasciandomi a rimurginare.
Non riesco ancora a capacitarmi di come io sia potuto andare in calore solo per l'emissione dei tuoi feromoni dominanti, non m'era mai successo prima e sebbene io provo sentimenti destabilizzanti verso di te, una cosa simile non dovrebbe essere possibile,poi però non posso fare a meno di ripensare alle parole che il medico mi disse molto tempo fa, spiegandomi come in verità non fossi affatto sterile nonostante la mancanza dei miei cicli di calore, tuttavia sembrava proprio che il mio corpo non reagisse ad alcun alpha, ancora rammento di come egli, sorpreso, fece scivolare la montatura metallica lungo il suo naso dicendomi con un sospiro che, sebbene alquanto raro, era probabile che ad un certo punto della mia vita avessi già incontrato il mio compagno destinato e che il mio omega doveva averlo riconosciuto, rifiutandosi d'accoppiarsi con chiunque altro ed ora, mentre seguo i tuoi movimenti irrequieti, mi chiedo se forse sia il fato ad averci legato silenziosamente, nonostante tutti i nostri sforzi dallo sfuggirli. Ad esser sincero sono piuttosto sicuro che il codardo, tra noi due, sia stato io che terrorizzato dai sentimenti che cominciai a nutrire verso di te, t'allontanai e forse, sebbene io non abbia mai voluto pensarci, non volevo accettare la possibilità che tu non fossi la persona con la quale avrei condiviso il resto della mia vita. Dunque in un egoistico slancio ho fatto del mio peggio per distanziarmi dal calore che il tuo sorriso è sempre stato abile di sprigionare in me, tentando di evitare il grande dolore che mi figurai nel futuro, eppure ora mi sembra tutto così sciocco, privo di significato e solo un comportamento imperdonabile, frutto della mia inadeguatezza, la quale comincia nuovamente a risalirmi lo stomaco, io scuoto la testa, sono certo che dopo un paio di giorni riuscirò ad accettare il mio lato sottomesso.
Ti desti finalmente, con lo sguardo vivo che si fissa subito nel mio, risvegliandomi dal cammino inquieto che ho cominciato a percorrere nella strada del rimpianto che, crudelmente, pare distendersi infinita dinnanzi ai miei piedi traballanti, in un auspicio di profondo dolore che sarò costretto a fronteggiare da ora fino al termine della mia vita, sperando stoltamente nell'espiazione che tu, mio amato, puoi concedermi o negarmi, senza lasciarmi modo di trovare fra noi quel controllo che ho sempre avuto il terrore di perdere, ma che il luccichio nei tuoi smeraldi mi spinge quietamente a cederti, in una muta resa che sarebbe dovuta avvenire molto tempo addietro se non fosse stato per il mio assurdo orgoglio, giunto alla mia insopportabile caparbietà, i quali m'hanno spinto per il sentiero sbagliato, illuso dalle immagini evanescenti di promesse vuote. Ero troppo stupido, troppo preso dai miei drammi adolescenziali per comprendre che la fuga non avrebbe mai potuto essere una soluzione alle problematiche che hanno furiosamente continuato ad imperversare dentro di me per tutti questi anni, alimentate dal fuoco delle gelosie mai pronunciate e da timori celati alla luce, voci sussurrate che saggiamente sussurravano al mio orecchio di quel cieco amore che ora avverto distintamente, narrandomi di una fragilità che ho fatto del mio meglio per rifiutare, eppure mi è sufficente scontrarmi con il tuo aroma per abbracciare docilmente la mia condizione di sottomissione, almeno per ora, purché si tratti di te posso abbandonare ogni segno di ribellione, ma solo perché non potrei sicuramente sognarmi di arrancare nella vita che ci aspetta senza percepirti con me.
Lo so, sono stato crudele ed estremamente cieco in questi anni ombrosi che t'ho tirato addosso senza considerazione, ciò nonostante sono qui che ti chiedo perdono e di permettermi di mostrarti tutta la sincerità della quale sono capace, del dolore che come veleno si è addentrato profondamente nel mio organismo lasciandomi comprendere la futilità dei miei precedenti pensieri e nonostante la durezza delle ultime vicissitudini, non posso fare altro che essere lieto che si siano verificate, nonostante i segni che porto nell'animo e nel corpo, ferite indelebili che mai m'abbandoneranno, ma senza le quali non avrei il coraggio d'esser me stesso in questo istante, nell'afferrarti il muso sorpreso dal mio gesto, che si rivela dolcemente inaspettato. Perdonami, ho bisogno di sentirti, asseconda il mio capriccio nel appoggiare la mia fronte contro la tua e lasciami esporre quelle colpe che non ho neppure il diritto di pretendere che vengano perdonate, mentre nella ansia sussurro quelle scuse che avrei dovuto aver il coraggio di rivolgerti molto tempo fa, anche se sospetto tu abbia già inteso il pentimento dietro i miei modi addolciti, eppure non è abbastanza per me.
«Mi dispiace Deku, per ogni cosa... ero così stupido e tu, dannato nerd, perché hai lasciato che sfogassi la mia frustrazione per il mio secondo sesso su di te? Non hai mai meritato la durezza delle mie parole e neppure è stato corretto il modo nel quale, confuso e terrorizzato, ho lasciato calare su di noi il peso di una disperazione che non potevo comprendere» respiro piano, beandomi del tuo peso sulle mie gambe, del tuo sguardo attento fisso nel mio, tremante e continuo il mio discorso: «Hai rischiato così tanto ogni volta che i villains m'hanno strappato via la libertà, sia quando hai provato ad evitarlo che quando hai architettato quel folle piano per salvarmi e non credere che sia così cieco da non essermi accorto della tua firma in quell'azione troppo organizzata, è solo che sono un codardo e non sono riuscito a confrontare l'inquietudine che m'ha seguito per tutto il periodo delle medie, cercando rifugio in qualcosa che non poteva portare a nulla, se non una smania incontenibile di cessare il mio comportamento indegno. La tua gentilezza negli anni è stata dolorosa per entrambi, penso, dunque non posso far altro che chiederti perdono nel modo più sincero a me possibile e sperare che tu abbia cuore di assecondarmi in questo mio ennesimo capriccio» a questo punto ti lascio andare, non cerco più il conforto che il contatto con il tuo corpo mi provoca, sento quasi di non meritarmelo.
«Non faccio altro che causare problemi, troppo irrequieto per accettare la mia disgustosa vulnerabilità e certe volte torno a domandarmi se non sia vero quello che hanno sempre detto di me, di come forse per il mio sconsiderato agire, io non sia più adatto ad esser un criminale che un eroe schierato dal lato della giustizia. Non sono neppure stato capace di ammettere le mie colpe prima di questi sconvolgenti cambiamenti, i quali mi hanno travolto con prepotenza negli ultimi due mesi, perciò mi dispiace, ma credo che tu abbia mal riposto l'ammirazione che ti sei ostinato nel rivolegrmi. Dimmi Deku, cosa sono, se non un fallimento in ognuna delle cose che ho tentato, se non la pura violenza e cattiveria?» singhiozzo, non vorrei lasciar andare le lacrime che mi bruciano gli occhi, ma davvero sono troppo dirompenti perché io riesca in qualche modo a frenare la discesa di tutte quelle gemme lucide, pertanto ti lascio forzatamente seguire il lento percorso d'una delle mie gocce di tristezza, che però camuffo martoriando il mio labbro inferiore. Respiro affannosamente, non ti mento, se potessi ora me la darei a gambe, non sopporto il silenzio che mi rivolgi, mi sta dilaniando e sta lasciando troppo spazio a pericolosi pensieri che hanno cominciato a darsi battaglia nella mia mente caotica, sono così terrorizzato che non ho neppure la decenza di provare a sostenere il tuo sguardo, non desidero che tu scorga quanto reale sia il buco che avverto ora nel mio petto ed è lo stesso motivo per il quale quasi urlo quando riconosco davanti agli occhi le tue bracci colme di cicatrici che tanto mi feriscono, segni indelebili del tuo ammirevole sforzarti.
Deglutisco e piego il viso verso di te, non so resistere alla tentazione di trovare traccia delle tue emozioni nella tua ritrovata espressività umana e mi beo delle tue dita che, delicate come petali di vellutate rose, sfiorano la mia pelle scurita dagli urti di cui sono reduce, mi sorridi lasciando crudelmente che non possa nasconderti il battito accelerato del mio cuore ancora giovine, acerbo, ma sicuramente più maturo del ragazzino incosciente che spero di potermi, un giorno, lasciare finalmente alle spalle, come lo spettro di un me che non desidero mai più rivedere nel mio riflesso. Poi ti chini su di me, un lampo d'indefinito ardore si riflette nei tuoi boschi rigogliosi mentre trattengo il fiato, teso nel percepire il tuo caldo respiro contro le mie labbra tremanti, bramose di te, però non ricerchi quel contatto che percepisco necessario, anzi, è la tua voce gentile, ma più calda di quanto l'abbia mai sentita ad avvolgermi: «Kacchan non dire queste cose, non avresti mai la crudeltà necessaria per piegarti alle ombre di questo mondo sino a divenire un malvagio. La mia ammirazione per te non è altro che il frutto di quanto m'è concesso vedere con questi miei occhi e perdonami per averti abbandonato nella sofferenza in questi ultimi tempi di mia titubanza, ma volevo che tu realizzassi le tue reali spoglie non diaboliche come credi, ma candidamente angeliche e trovo un certo conforto nel sapere che, questa tua adorabile arrendevolezza l'hai mostrata solo a me» mi sfiori con il naso bollente mentre io sussulto, livido d'imbarazzo, dimmi, godi nella mia trepidante attesa di te?
«Vedi, io ti amo, l'ho fatto sempre con un innato calore che mi ha accompagnato sin dalla tenera età, con una consapevolezza indissolubile a trattenermi dal tentare vaghe pratiche come l'allontanare i miei pensieri da te, ho come sempre saputo che saresti stato tu il mio compagno destinato e di fatti non sono stato così sorpreso come potresti credere quando ho appreso d'esser un alpha, tuttavia ho taciuto questa informazione perché conoscevo il tuo senso d'inadeguatezza in questa società che continuamente, da te, richiede fin troppo. Perciò dimmi, di cosa dovrei perdonarti se, non una macchia d'odio ha oscurato il battito candido del mio cuore per te? Ora però ho bisogno che tu mi ascolti e risponda alla mia domanda: vuoi lasciarmi legarti a me, eternamente, d'ora in avanti? Se lo farai sappi che ti toccherà venire a patti con una mia controparte oscura che mi rifiuto di mostrare, ma che però esiste e dalla quale, a tempo debito, ti narrerò» io ti osservo rapito, deglutisco ignorando il rumore robotico che ormai martella le nostre orecchie dolorosamente, riflesso del mio tremendo batticuore che temo possa portarmi ad un inatteso svenimento, ma non mi tiro indietro, per una buona volta mi concedo di crogiolarmi nella gioia di un istante e ti afferro il viso, baciandoti con una violenza tale che di certo non s'adatta ad un romantico primo bacio, tuttavia non ti ritrai, anzi, mi azzanni il labbro inferiore lasciando che sanguini, assapori crudelmente le mie carni ed io, ansante, ti permetto di scontrarti con la mia umida lingua che ha fame di te. Siamo come due fiamme che danzano sensuali tra le ombre della notte, rischiarandole con il loro giunto calore ed io mi abbandono a te completamente, spingendoti contro la mia carne urlante che segni con la tua forte presa, possiedimi, lo desidero, mordimi, marcami e tarpami queste maledette ali giacché nelle mie mani la libertà non è altro che una dolorosa lama, prendi ogni briciola del candore del quale hai parlato e donami quella gioia che sono certo di poter sperimentare solo come schiavo delle emozioni, che non m'hai dato possibilità di sperimentare, perché so che t'amerò anche al tuo peggio, coperto di sangue, non più uomo ma furente bestia che più non riconosce altri che me, unico oggetto del tuo desiderio.
«Mordimi» sospiro contro la tua bocca seducente, aggrappandomi disperatamente alle tue spalle larghe e forti, tu ringhi, facendo reagire il mio omega che gode nella tua autorevolezza e gemo incontrollabilmente quando accarezzi con la lingua bagnata la pelle che nasconde la mia ghiandola del legame, mi mordo il labbro inferiore inarcando la schiena quando i tuoi denti affilati cominciano a farsi spazio nella mia carne, io spalanco gli occhi nel buio, ansimo perso nei fiotti di piacere che cominciano ad assalirmi quando sfiori l'organo situato nella mia collottola, dunque per tentare di soffocare la voce acuta che sento risalire la mia gola, azzanno anche la tua muscolatura, cosa che ti porta a spaccare la mia ghiandola, sigillando un legame inscindibile che concludo assaporando anche la tua, ormai frantumata. Quando ci stacchiamo i nostri occhi brillano di libidine, il mio camice si sfrega contro la mia intimità eretta, che in un piccolo scatto incontra la tua, ciò mi provoca un lamento incontenibile, il mio omega vorrebbe davvero percepiti dentro di sé, ma sappiamo entrambi che non è un qualcosa che possiamo concederci date le mei pessime condizioni, ma ecco il mio calore tornare a farsi sentire, appestando la stanza, tu grugnisci rosso in viso, perso quanto me nel desiderio che riusciamo a limitare stringendo i nostri membri insieme, l'uno contro l'altro, con te che muovi vigorosamente la tua mano destra, con me che mi avvinghio disperato a te, con la mente annebbiata e continui gemiti, i quali fuggono al mio controllo quando l'orgasmo ci pervade, facendoci tremare insoddisfatti ma placati delle nostre pulsioni.
«Kacchan, ti amo...» dici piano, facendo scivolare le tue dita fra i miei capelli umidi, io sorrido contro il tuo petto, beandomi dei nostri odori ormai uniti che mi rilassano terribilmente e reciproco quelle poche parole dalla grande importanza, con un'onestà che ti spiazza mentre sprofondo nel reame di Morfeo, cullato dalle tue braccia forti e la tua voce gentile che mi prega di riposare, affinché io possa guarire presto.
Alla sera:
Si tratta di uno dei più celebri sonetti di Ugo Foscolo, insieme a "in morte di fratello Giovanni", "A Zacinto" e "Alla musa".
Questo in particolare parla della sera come metafora della morte, esprimendola non come angoscioso termine della vita umana, ma come tranquillo termine di tutti i turbamenti che il giorno (vita) provoca all'autore, il quale ha un carattere molto turbolento e uno spirito guerriero che si placa solo con il silenzio notturno, il quale gli permette di vagare in numerosi pensieri, in poesia e attendere trepidante l'arrivo della morte. La quale non ha un'interpretazione religiosa, ma una una sfumatura materialistica, come di una semplice fine, senza nulla a seguirla, cosa che per altro sottolinea uno dei temi principali del componimento, ossia la caducità della vita, la sua brevità.
In questo punto della storia trovo che tale sonetto calzi perfettamente, soprattutto poiché Katsuki per la prima volta sperimenta una vera e propria calma nel suo animo, che duri o meno, questo lo scopriremo più avanti, ma comunque anche il concetto stesso della morte in relazione al legame potrebbe rivelarsi estremamente azzeccato, a voi riflessioni e congetture.
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