Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

IV

Se sognai qualcosa, finì con la pioggia.

Rinvenni appena mi resi conto di essere al riparo, o almeno così mi sembrava. Giacomo si sgranchì le dita vicino al mio viso, spruzzandomi addosso alcune goccioline trasparenti. Mugugnai per fargli capire di esser vigile, però lui non si fermò.

«Non sei più un ragazzino» ingiunse «dovresti limitare gli sforzi».

Diedi un colpo di tosse, e misi a fuoco la stanza. Nello stesso istante la testa iniziò a martellarmi dall'interno, talmente forte che lasciai cadere di lato e pensai di perdere i sensi di nuovo. Boccheggiai e invocai aiuto.

«Non fare il bambino!».

«Cosa... cosa mi avete fatto?» rantolai, la gola che bruciava come una pira.

«Noi?» Giacomo si portò una mano al cuore, fingendosi ferito «sei tu che sei stato piuttosto scortese verso chi ti ha ospitato; e il tuo stesso corpo lo sente».

Prima che potessi chiedergli a che diavolo si riferisse, sventolò davanti ai miei occhi per l'ennesima volta il nettare verde che mi aveva ammaliato. Non un'intera bottiglia questa volta, bensì una boccetta da tre o quattro sorsi, però fu più che sufficiente per evidenziare il concetto. Sentii le budella iniziare a ribollire, e senza volerlo capii di aver bisogno dell'Amore del Mare: era la mia ragione di vita, dovevo averlo dentro di me!

Giacomo non ebbe il cuore di negarmelo: l'ampolla di vetro mi cadde in grembo come un osso ceduto ai cani, e io da bravo mastino non persi tempo a stapparla e a lasciar scivolare il liquore giù per l'esofago. Appena ebbi finito, l'informatore mi lasciò il tempo di ricomporre quella poca dignità che m'era rimasta. A turbare la quiete seguì uno scampanellio nella tasca della mia giacca, adagiata sulla sedia poco distante.

«Hai ricevuto una mail, immagino».

Quando mi vide restio anche solo a muovermi fu lui a frugare nei miei indumenti. Invece di invadere la mia privacy, però, mi tese il cellulare perché potessi controllare di persona. Non so dire, neppure ora, se sapesse già quel che stavo per scoprire, ma il mio giudizio prudente è che fosse così. In un certo senso era come se avesse vegliato su di me fin dall'inizio.

Aprii la mail e lessi le informazioni che avevo ricevuto dall'assessorato alla pesca, che in cuor mio davo per certe e che confermarono i miei peggiori timori: negli ultimi mesi non un solo pesce aveva lasciato Merillo per arrivare nei mercati e nelle pescherie dell'entroterra; la mia fonte non poteva rivelare i dettagli, ma tutti i contratti erano stati prontamente stracciati dai pescatori da un giorno all'altro, senza dare motivazione alcuna.

E in maniera per nulla legale, citava in chiusura il testo prima dei saluti. Le vie legali erano già in movimento dunque, ma conoscendo la giustizia italiana i tempi sarebbero stati lunghi. All'arrivo delle autorità sarei stato già cibo per le sardine.

Misi da parte il telefono e mi lasciai andare contro la spalliera. Attesi un ghigno di soddisfazione o di superbia da Giacomo, che invece si mostrò preoccupato per il mio umore.

«Brutte notizie?» fece.

«Come se non lo sapessi» bofonchiai. Ogni parola risuonò come un tuono nelle orecchie, e desiderai altro Amore del Mare, certo che sarebbe stato un toccasana per il mio male. Il mio compare lo sapeva di certo, ma se ne aveva altro con sé non lo volle tirar fuori al momento. Per educazione aspettò che riprendessi a poco a poco il controllo delle mie facoltà e mettendomi seduto sul bordo del letto.

«Che ne avete fatto?» trovai il coraggio di chiedere «delle donne intendo».

«A cosa ti riferisci?».

Sbuffai. «Sai bene di che parlo».

«Ricorda che sei in un paese di gente semplice e arretrata» mi spiegò scuotendo il capo «è normale che siano diffidenti, specie le donne; però ci sono, specie le ragazze».

Stavolta risi apertamente.

«Seguimi, se non ci credi».

La rimessa che io ricordavo era solo un ricordo, svanito nella notte. Il telo che ne chiudeva l'accesso al mare era stato rimosso, e le barche di ritorno dalla notte sull'acqua vi rientravano pigramente. Le finestre erano state schiarite, anche se alla luce del sole era quasi impossibile sbirciare dentro. L'unico elemento intatto rispetto a quanto ricordavo era il catenaccio all'ingresso.

«E quello?» lo indicai, fingendo di vederlo per la prima volta.

«Abbiamo avuto problemi di furti durante la notte» spiegò Giacomo «per questo entriamo dall'ingresso marittimo; e in ogni caso non c'è molto da fare dentro».

Feci per chiedergli chi mai dovesse rubare in un paese dove tutti si conoscevano, come lui stesso in precedenza aveva sottolineato, ma poi lasciai cadere la questione. Se voleva suonarsela da solo l'avrei lasciato a strimpellare quel che voleva, in attesa che commettesse un passo falso e mi desse la possibilità di scappare.

«Che cosa volevi mostrarmi?».

M'indicò la finestra più vicina.

Mi avvicinai a passi lenti verso il vetro, osservando dei movimenti confusi all'interno. Incerto su quel che avrei trovato mi ritrovai di fronte all'infisso e provai a sollevarlo, senza successo. Insistetti, ottenendo solo di ferirmi lievemente i palmi delle mani e ricoprirmi di polvere: era come se la finestra non venisse pulita da anni.

La figura oltre la parete notò il mio movimento, e tirò verso l'alto l'apertura con un semplice strattone. Appena vidi in volto il mio soccorritore mi si colorarono le guance di rosso per l'imbarazzo.

«Dalla città, né?» chiese la giovane ragazza bionda, in perfetto accento ligure. I capelli lisci con la frangia le contornavano il capo come una corona, scendendo poi lunghissimi lungo i lati tanto che non ne vidi la fine. Non persi tempo però a studiarne il fisico, come facevo di solito con le ragazze, perché affogai nelle sue iridi blu, scure come il mare a cento chilometri dalla costa. La bocca mi si seccò: di certo non mi aspettavo un simile risvolto.

La ragazza abbassò la testa e scivolò sotto la finestra, sporgendosi per l'intera lunghezza del busto. Di certo dev'essere nel pieno dello sviluppo, pensai. Diciotto, venti anni al massimo, anche se attraverso gli occhi intravidi una maturità che andava ben oltre l'adolescenza. Con indosso una maglietta sottile, in ogni caso, constatai che aveva in tutto e per tutto le forme di una donna.

«Contento di vedermi immagino» rise «dalle tue parti mancano le ragazze?».

Guardai in basso ed osservai la stessa reazione fisiologica che la sola vista del liquore aveva scatenato in me la notte prima; compresi però come la ragazza avesse pensato a un complimento, e non tanto gentile, nei suoi confronti.

Mi affrettai a voltarmi di spalle, senza neanche pensarci. Non ero mai stato timido, però la circostanza mi rese estremamente sensibile. Ora mi è chiaro il perché, però in quel mentre potei solo sentirmi mortificato dalle risate della bionda, che alla fine ebbe le lacrime agli occhi.

«Può capitare dai» fece poi lei, asciugandosi le palpebre umide con l'incavo del gomito. Solo allora notai che aveva le mani unte di grasso scuro ed una chiave inglese nella destra. «Eva» si presentò, appoggiandosi con la vita sul bordo inferiore della finestra.

Mi presentai a mia volta, cercando di guardarla in viso, anche se la ragazza aveva qualcosa di strano rispetto a tutte le donne: se devo spiegarmi, mi sentii più maleducato a fissarne le iridi piuttosto che gli abbondanti seni.

«Edoardo non voleva essere volgare» intervenne Giacomo «era solo convinto che non ci fossero ragazze qui a Merillo».

Eva si piegò in due dalle risate, sempre studiandomi con la coda dell'occhio. «Forse il suo tipo sono pescatori e marinai».

«Non so di preciso di cosa si occupi qui Eva» mi spiegò l'informatore «né mi ricordo chi siano i suoi genitori, dato che non vivo qui, ma suppongo che abbia svariate colleghe lì con lei».

«Stronze più che colleghe» bofonchiò, e poi parlando alle sue spalle «con affetto, ragazze».

Rientrò nel caseggiato per permettermi di avvicinarmi e sbirciare all'interno: la penombra era pesante, nonostante l'assenza della parete sud, ma riuscii lo stesso ad indentificare alcune figure femminili. A dirla tutta, vidi quasi solo figure femminili intente a stringere bulloni e a strofinare grasso sulle filettature dei tubi. Un'altra giovane con un fisico scultoreo e lunghi capelli rossi e mossi azionava una manovella, mentre una più bassina dai capelli scuri lucidava una vasca di vetro vuota.

Vidi Eva per intero. La salopette di jeans sbiadita e logora ne esaltava le forme, oltre a essere già notevolmente alta di suo. Sotto di me distinsi un insieme di cilindri unti e scuri, che dedussi essere il motore a cui la bionda stava lavorando.

Altre figure indistinte tinteggiavano barche e rassettavano le reti insieme a degli uomini, questi tutt'altro che giovani. Alcuni di questi erano gli stessi che avevo seguito la notte prima, e ora apparivano ben svegli e intenti a trascinare qua e là casse e lastre di metallo dall'aspetto poco leggero.

Non mi riuscii di guardarli bene in viso, ma alcuni mi sembrarono rilassati e allegri. Forse anche troppo, considerata la fatica che dovevano fare con un paio d'arti in meno a testa. L'interrogativo era perché mai fossero entrati nella rimessa a tarda notte. E poi c'era il catenaccio: da quando uomini grandi e grossi dovevano nascondersi per godersi un goccetto fra amici e con delle ragazze?

In quel momento però il dilemma era lontano anni luce: ero troppo preso da Eva. Pensai che, ovunque avesse preso i geni, fosse stato un ottimo affare. Anche se la sua presenza non soddisfaceva a pieno le mie domande, mi fece passare di mente la pesca e il mercato ittico e mi travolse come un treno in corsa. Non dirò che arrivai al punto da avere la bava alla bocca o da comportarmi da sfigato come i pescatori costretti a lavorare a stretto contatto con loro, però di sicuro sembravo aver perso il mio savoir faire per strada.

Avessi prestato più attenzione a quelle vasche e alle pompe idrauliche, ora non mi toccherebbe ticchettare sui tasti del pc con la mano sinistra; però è anche vero che mi sarei perso tutte le meraviglie che seguirono.

«Sei un meccanico?» chiesi ad Eva.

«Più o meno; tu un giornalista».

Prima che potessi chiederle come l'avesse capito, fu lei a dirmelo posandomi sulle labbra un dito, leggero come una farfalla anche se unto. «Fai tante domande».

Entro sera non ero più interessato ad andarmene.

Passeggiai con Eva fino alla scalinata, parlando di tutto e di più finchè non mi resi conto di essere nel posto dove avevo passato le pene dell'inferno. Osservai la ripida salita, terrorizzato all'idea di tentare una volta la fuga. Mi fermai sul primo gradino, ma non osai andare oltre.

La ragazza mi sorrise, e mi chiesi se davvero non fosse stato il destino a portarmi lì.

«Com'è» le chiesi «vivere qui? Insomma, fra vecchi e barche».

Eva fece le spallucce e m'indicò la scala. «Non è male, ma capirei se tu volessi tornare in città». E fui davvero sul punto di dirle che temevo di essere aggredito da una forza invisibile nel caso avessi tentato di scappare, perché d'un tratto mi sembrava possibile tutto. Sembrava che lei potesse capirmi sul serio: lo so è una cazzata romantica ma non saprei come rendere meglio il concetto.

«Mi piace qui» feci poi. Eva sorrise e distolse lo sguardo, intuendo forse che non mi riferivo affatto al posto. «Ci sono però delle cose che mi non capisco, e di solito quando vado in allarme c'è sempre un motivo...».

Mi sarei aspettato di tutto, ma non quanto seguì.

La ragazza si gettò in avanti, chinandosi su di me nonostante fossi più in alto e premendo le labbra contro le mie in un casto bacio. Mai in vita mia ero stato tanto contento di essere zittito. Un dolce sapore mi fece scordare del pesce e delle donne scomparse. Avvertii i muscoli rilassarsi un po' ovunque, come investiti da un'onda calda. In tutto questo, fui almeno fiero di non mostrarmi volgarmente eccitato, anche se sarebbe stato perfettamente naturale.

«Hai un buon sapore» dissi, sentendomi un perfetto imbecille. Un quindicenne avrebbe saputo essere più sciolto, ma Eva non parve turbata. «Anche tu» fu tutto ciò che disse.

Mi prese la mano e c'incamminammo verso la rimessa delle barche, dove l'attendeva il turno del pomeriggio. Parlammo ancora del suo lavoro ed io trovai il coraggio di raccontarle di Sara, in particolare di com'era finita appena prima di cominciare.

Ci scambiammo un altro bacio una volta arrivati, ma stavolta con la bocca aperta; Eva dovette chinasi su di me per compensare la differenza di statura. M'issai sulle punte e spinsi in avanti, cercando di non fare ancor più brutta figura, e la ragazza mi strinse forte. I nostri petti s'incontrarono e fui in grado solo di concentrarmi sul battito del cuore, che pareva sul punto di scoppiare: mai avevo sofferto d'ansia, neanche con la camorra che minacciava di allargarmi il sorriso, eppure lì di fronte al mare contemplai per la prima volta la possibilità di morire di gioia.

Eva d'altro canto pareva essere molto a suo agio: le ragazze di paese in genere non dimostravano il proprio affetto così presto, o almeno non davanti a una cittadina di anziani bigotti; il suo cuore inoltre pareva battere appena.

Per me staccarmi dalle sue labbra fu come interrompere un sogno meraviglioso. Stavolta notai il sapore della sua saliva, ma ancora più intenso e deciso di prima, sicuro di averlo già assaggiato da qualche parte, e non troppo tempo fa.

«Ora devo tornare al lavoro» annunciò.

Annuii, incapace però di lasciarle la mano.

Ne volevo ancora, Cristo, chiunque ne avrebbe voluto. La ragazza piegò le labbra in una smorfia e mi poggiò una mano sulla spalla. «Sento che sei confuso, e lo capisco. I dubbi fanno parte della vita, ma ne verrai a capo, tranquillo».

«Eppure, nulla ha senso...» feci, mettendo insieme le parole come le figuravo in mente. Qualsiasi cosa pur di non lasciarla andare: giuro che mi sarei prostrato ai suoi piedi, se non peggio, se me lo avesse chiesto. «Uno zoologo venuto chissà per quale motivo e sparito nel nulla, il barista scomparso dopo aver tirato a sorte, e poi i contratti annullati, o tutta questa gente mezza mutilata...».

«Ascoltami» si chinò di nuovo. Dispiegai le labbra, attendendo un altro bacio, però Eva fermò i suoi occhi a pochi centimetri dai miei, i nostri nasi si sfiorarono. Le sue dita presero a frugare tra i miei capelli, annullando la presenza del mondo intorno a me.

«Tu hai una bella mente, una splendida mente, non come la gente di qua» chinò la testa indicando il molo «loro sono solo... come dire... sacchi di carne».

Arrossii per il complimento, ma Eva non batté ciglio.

«Per questo sei in grado di capire quel che voglio dirti: il modo in cui il pesce circola, viene impacchettato e portato nella terra, non è l'unico. E non mi riferisco agli allevamenti ittici, ma a una vera e propria inversione della direzione. Un nuovo stadio di equità e di libera scelta, non solo padrone e animale».

«Capisco» mentii, pur di non interrompere il contatto.

«Dimmi solo se intendi restare. E darci una mano, ovviamente».

«Come?».

Eva mi afferrò la mano destra e se la strinse al cuore. Non sentii alcun battito e neppure il calore del suo corpo, quanto piuttosto una maggiore attrazione da parte mia. «Verrà il momento in cui potrai dimostrare quel che hai scelto; ma fidati di me, c'è tutto l'amore che tu possa immaginare».

Mi baciò un'ultima volta le labbra. Nei mesi che seguirono avrei sentito la sua bocca un po' ovunque meno che sul viso.

«Vieni stanotte» disse, e poi si chinò per sussurrarmi nell'orecchio: «non ci sarà bisogno di acquattarsi nell'erba stavolta».

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro