III
Non sapevo se e in che misura c'entrasse la criminalità organizzata, ma per vederci chiaro avrei dovuto mettermi in proprio. Aspettai che tutte le luci sulla costa sparissero e che ogni rumore nella locanda si quietasse, quindi aprii lentamente la porta e solo di quel tanto che bastava per sgusciare fuori e mi confusi nell'oscurità.
La tuta nera era leggera per una temperatura che, nonostante la stagione estiva, sembrava aver raggiunto lo zero, però mi permise di attraversare il sentiero che fiancheggiava il porto senza essere notato. In giro a quell'ora meno gente di quanto mi fossi aspettato, mentre dal mare nessuna luce segnalatrice, nessun pescatore all'opera.
Mi avvicinai ad un gruppo di cittadini radunati intorno alla barca di Artemio. Nella tenue luce della Luna indicavano ora la radio ora gli indumenti, ma appena fui abbastanza vicino da poter ascoltare mi accorsi di non poter capire una sola parola del loro dialetto. Avevo scelto di abbandonare il registratore in città, ma a quanto pareva non l'avrei rimpianto.
Restai ad osservare i cinque uomini grandi e grossi scambiarsi epiteti in un linguaggio che non avevo mai sentito, nonostante mi fossero familiari sia la parlata del genovese che del savonese. Smisero di emettere versi e di parlare quando un nuovo figuro li raggiunse: lo riconobbi dalla capigliatura e dalla mancanza dell'orecchio. Li ascoltai blaterare e ridere di qualcosa, e per fortuna le prese per il culo si capivano in tutte le lingue; ad esse seguì un gioco che a quanto pareva era popolare anche in quello sperduto angolo di mondo, e che pure io facevo sempre da bambino.
I pescatori e il locandiere misero giù le mani, o almeno quelli che ne possedevano ancora una, e poi contarono in circolo fino a raggiungere il numero ottenuto sommando le dita che avevano mostrato. Il vincitore della conta fu proprio l'ultimo arrivato, che brontolò un insulto indistinto facendo piegare in due dalle risate ognuno dei presenti. Ricordavo che il perdente dovesse fare il portiere o un compito sgradevole, perciò non l'avrei mollato finchè non avessi scoperto l'impegno in cui si era imbarcato.
Prima di andare brindarono tutt'insieme come in un normale raduno fra amici, facendo girare in circolo una bottiglia di liquido verde che ormai conoscevo bene. Fin troppo, perché solo a vederlo sentii lo stomaco ribollire di desiderio, ma non solo. Una vampata mi bruciò le guance e per pochi istanti il freddo notturno si dissolse e la brezza marina divenne delicata come un soffio. La cosa più strana fu però l'improvvisa sensazione di scioglimento al basso ventre, con un rinnovato desiderio che non soddisfacevo ormai da mesi.
So che sembra assurdo, però fui tentato di saltar su e di entrare in possesso del liquore, indifferentemente da ciò che mi avrebbero fatto dopo. Dovetti compiere uno sforzo di volontà enorme per restare nascosto.
Quando venne il turno del locandiere, l'uomo non si accontentò di un sorso. Mandò giù tutto quel che poté e alla fine schiantò in terra la bottiglia ricevendo i complimenti goliardici dei suoi amici. Al posto della stizza comparve sulle sue labbra un sorriso bonario, quasi da estesi. Gli altri lo circondarono e lo tirarono via senza troppo impegno.
Detti loro una decina di metri di vantaggio e li seguì tenendomi al riparo dalla luce lunare e camminando basso per limitare il rumore dei passi, che in ogni caso risultarono mascherati dalle onde del mare.
L'inseguimento terminò abbastanza presto: giunsero alla rimessa delle barche, la cui porta scorrevole in metallo era bloccata da un catenaccio spesso almeno quanto il mio pugno. Difficile da scassinare, e meno che mai ci avrei provato con in giro tanta gente. Feci un rapido sopralluogo del caseggiato, trovando le finestre imbrattate di vernice nera dall'interno: della luce elettrica proveniva dall'interno e delle ombre in movimento trapelavano nonostante l'oscurazione. Completai il giro con la parete che dava sul mare, e al suo posto trovai un telo nero largo almeno sei metri e alto il doppio di me; i bordi erano inchiodati sulle pareti in metallo della rimessa, mentre la parte bassa del tessuto scivolava direttamente nel mare. Non sarebbe stato difficile rimuovere un paio di passanti; più complicato il sistemare successivamente.
Il trambusto dell'acqua richiamò la mia attenzione. Vidi il manto scuro gonfiarsi e agitarsi come un enorme pomo d'Adamo. Qualunque cosa ci fosse passato dentro, finì nel mare un istante più tardi. I flutti e gli schiamazzi non terminarono subito, almeno da quanto riuscii a sentire.
Dei suoni altrettanto intensi per essere distinti provenivano anche dal duro metallo dell'edificio, perciò mi limitai a poggiare l'orecchio e a cercare di memorizzare qualsiasi cosa si potesse dimostrare utile.
Udii un grugnito, poi una serie di sospiri rapidi e sempre più intensi, sovrapposti a versi gutturali e animaleschi. Potete immaginare a cosa pensai ma vi assicuro che non lo trovai eccitante; ero già in uno stato di rigore da tempo, per ragioni che non potevo assolutamente spiegarmi.
Poi seguì una voce acuta, che non apparteneva di certo al locandiere o ai suoi compari: «Sei stato... non è vero? Ora... un vero uomo». Quel che trovai impossibile da credere era che la voce fosse femminile.
Ne fui oltremodo sicuro, ma non mi riuscì di distinguere altro nella conversazione. Ebbi persino la sensazione che la giovane donna lì dentro stesse mescolando di proposito frasi in italiano e francese, o magari spagnolo.
Ci sono di mezzo cosche straniere? mi chiesi. Restai con la faccia premuta contro il freddo acciaio, mentre la temperatura precipitava ulteriormente, cercando di carpire nuove frasi che potessero darmi qualche nuova idea, ma già poco dopo seguirono dei mugugni soffocati, quindi altri spruzzi. I pescatori uscirono dalla rimessa scherzando ancora nel loro dialetto, quindi mi accovacciai per evitare che uscendo potessero notarmi.
Vedendoli allontanarsi mi accorsi finalmente di come mi si fossero irrigidite le membra, e decisi che la missione notturna finiva lì, a meno di non prendermi una polmonite.
E anche di un'altra cosa: il locandiere non faceva più parte della squadra.
Mi risvegliai con il profumo di salsedine nella testa e la frescura del mattino sul viso. A rendermi fu cosciente fu un oggetto traslucido che ondeggiava ad una spanna dal mio naso.
Mi tirai su a sedere terrorizzato, per poi repentinamente calmarmi appena mi ritrovai davanti Giacomo, sempre agghindato col vestito migliore, un ghigno stampato in faccia ed una bottiglia di Amore del Mare in mano.
«Ti vedo stanco» asserì «riposato male?».
Mi sfregai gli occhi, cercando di richiamare all'ordine le mie facoltà. Lui sa, mi dissi. Che mi avesse seguito o fatto seguire, sapeva della mia gitarella notturna.
«Si, succede quando cambi letto».
«È vero» annuì lui di rimando «l'ho sentito dire».
Poi mi tese la bottiglia.
«Di prima mattina?».
«Pensavo ti piacesse; e comunque è davvero poco alcolico».
Cercai di rifiutarmi, ma la testa cominciò a bruciarmi e lo stomaco a gorgogliare, per cui non ebbi scelta. Non che mi dispiacesse: era meraviglioso e mi fece andare in orbita come il primo orgasmo, ma una volta poggiate le labbra sul vetro non fui capace di smettere.
Dopo che ebbi vuotato la bottiglia ci recammo alla locanda per la colazione, ma oramai mi sentivo satollo come dopo un banchetto e abbastanza vitale da fare a nuoto tutta la costa. E comunque non mi aspettavo alcunché di speciale se non altro Amore del mare.
Il cameriere della sera prima invece ci servì dei cornetti traboccanti di crema e marmellata, caldi come appena sfornati e invitanti abbastanza da risvegliare il mio appetito. Mi chiesi se li avessero fatti sul serio sul posto o se non fossero giunti apposta per tenere buoni i miei dubbi, ma ciò non mi impedì di rifarmi la bocca.
Il gigante glabro arrivò infine zoppicando al tavolo e portò via i piatti, lasciando due bicchierini di Amore del mare, che adagiò entrambi di fronte a me. Detti un'occhiata oltre il bancone, e come mi aspettavo non vidi traccia del locandiere della sera prima.
«Come mai non c'è il proprietario?» chiesi.
Lui grugnì e mi osservò imbronciato; io però sostenni lo sguardo. «Malato».
«Oh, è un peccato» mi finsi sorpreso «volevo congratularmi per l'ottima colazione».
Per tutta risposta mi diede le spalle e borbottò qualcosa mentre tornava in cucina. «Dice che glielo riferirà» tradusse per me Giacomo «vedo che hanno intuito i tuoi gusti comunque».
Indicò i cicchetti color smeraldo.
«Vero» sorrisi «non posso resistere!». Levai il primo dei bicchierini e lo mandai giù in un sorso. Il secondo lo seguì un istante più tardi. Ignoravo allora che effetto avesse su di me o sugli altri, ma nel mio caso avrebbe avuto vita facile.
Ebbi improvvisamente la paura di finire come il locandiere. Qualsiasi cosa gli fosse accaduto, ora molto probabilmente non era in grado di raccontarlo, magari adagiato sul fondo del mare o rinchiuso in un sepolcro di cemento. Seduto lì nella locanda decisi di tentare il tutto per tutto, chiudendo la questione con il mio informatore o scappando per mettermi in salvo.
«Continuiamo la perlustrazione?» dissi, cercando di sembrare il più cordiale possibile «non abbiamo ancora visto la rimessa delle barche».
Tutto quello che ebbi bisogno di sapere, me lo disse senza aprire bocca.
I suoi occhi s'incollarono a me come blatte avide di sangue, e lo sguardo assunse un colorito scuro; senza abbandonare la compostezza si alzò ed evitò di guardarmi mentre andava a pagare il conto. Ebbi la certezza di non potermi fidare, e che mi avesse attirato a Merillo con l'inganno per farmi fare una fine orribile. Se c'erano di mezzo i boss che avevo mandato in galera, non sarei rimasto ad accertarmene
Giacomo si avviò verso la soglia, sempre senza degnarmi di uno sguardo. Mi attesi un rimprovero, o magari anche una confessione, ma lui rimase impassibile. Si accese una sigaretta, prima volta che glielo vidi fare da quando lo conoscevo, e parlò di fronte a sé, come rivolgendosi all'oceano.
«Perché affrettare i tempi? Lasciamo che le cose vadano come devono».
Anche senza capirne il senso, le sue parole mi fecero sudare freddo. Cominciai a temere sul serio per la mia vita: dovevo andarmene, e subito! All'ostello non avrei lasciato poi nulla di così importante, e il caso era ormai l'ultima delle mie preoccupazioni. Ci avrei pensato una volta al sicuro dietro la mia scrivania, mi dissi.
Giacomo si allontanò di fretta lungo la spiaggia senza aggiungere altro. L'osservai perdersi lungo il porto, per poi svanire dietro le case più vicine, diretto chissà dove.
Perché diavolo mi ha trascinato qui? mi chiesi ancora.
Senza quella soffiata ora sarei a casa mia, pensai. A piangermi addosso per Sara magari, ma sano e salvo.
Mi guardai attorno, non vedendo nessuno ma sentendomi ugualmente spiato da ogni angolo; finii col vedere in lontananza la scalinata di pietra che mi aveva condotto in quel posto i cui abitanti stavano andando alla deriva verso chissà quale disastro. In termini di vite quanto economico.
Oh, io non li seguirò certo.
Scattai, certo di avere chissà quante paia di gambe alle calcagna, sollevando ampie folate di sabbia al mio passaggio finchè non giunsi ai primi gradini della scalinata. Furono pochi secondi, ma i polmoni mi bruciarono come avessi corso un'ora: giunto alla base di roccia frenai e mi diedi da fare con le braccia; non osava alzarmi per paura di perdere l'equilibrio o di essere spinto giù dalla scogliera.
Feci solo pochi passi e venni schiacciato verso il basso, la guancia pressata contro il fresco suolo. Se fosse la paura di cadere o un altro tipo di forza lo lascio giudicare a voi, ma io propenderò per la seconda ipotesi, perché non c'è spiegazione che la psicologia possa dare per quel che accadde.
Avvertii delle fitte al basso ventre, come degli artigli intenti a scavare in profondità, e poi venni trascinato indietro fino alla base. «No! Lasciatemi andare, non dirò nulla!» gridai ai miei aguzzini. Appena la presa si allentò mi voltai sulla schiena, pronto a ricevere il colpo di grazia; tutto quel che ci tenevo a sapere era il volto dei miei giustizieri.
Invece non mi trovai di fronte chè una distesa di sabbia deserta per decine di metri. A rompere il silenzio solo il frastuono delle onde.
«Dove siete?» gridai, la voce tremante per il nervosismo.
Si sono nascosti, mi dissi, devo approfittarne ora.
Così mi voltai e ripresi ad arrampicarmi. A ripensarci ora non facevo che mentire a me stesso: dove avrebbero dovuto nascondersi, sotto la sabbia? Non andai lontano neppure al secondo tentativo: tre gradini e di nuovo la morsa crudele mi riportò al punto di partenza, stavolta con tanta violenza da mozzarmi le grida in gola.
Rotolai con la faccia nella sabbia, come un sacco di carne morente, e non ebbi neppure la forza di voltarmi.
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