Capitolo 2
Arrivo davanti alla sede della Vulnus alle nove meno venti. Ero così nervosa all'idea di arrivare in ritardo che sono in larghissimo anticipo. Oggi è una giornata grigia, ma dentro di me il sole splende raggiante come nei più bei mattini di primavera. Non c'è quasi nessuno nella via, se non sporadici impiegati, che camminano stretti nelle giacche di metà stagione verso altri uffici della zona.
Spero di fare una buona impressione a Salvatore Giglio, e che non mi veda come una ragazzina idiota che ha realizzato uno dei suoi sogni.
Una figura maschile si avvicina in lontananza, ma la riconosco subito. Non è una delle persone con cui ho fatto i ben tre colloqui che mi hanno portata qui, ma uno dei giocatori della Vulnus, più precisamente Filippo Longo.
Indossa solo un paio di jeans e una maglia a maniche corte, da cui sbucano i bicipiti scolpiti come nel marmo. Ha gli occhi neri puntati su di me, e un sorriso che affiora sulle labbra, lasciando scoperta una trafila di denti bianchi. Non l'avevo mai visto da vicino, neanche nelle poche volte in cui ho avuto la possibilità di assistere a delle partite dal vivo. È ancora più bello di quanto non appaia da dietro lo schermo della televisione, o dalle foto di Instagram.
Mi tremano le gambe, non credevo che mi sarei mai emozionata tanto nel vedere uno dei giocatori della squadra così da vicino. Come starò quando dovrò effettivamente lavorare con loro? O addirittura parlare con loro?
Devo solo superare il primo impatto, poi tutto sarà più naturale. Almeno, è ciò che spero.
«Pippo, ciao!» lo saluta qualcuno alle mie spalle.
Mi volto, perché riconosco la voce con cui ho parlato al telefono ieri pomeriggio. Davanti a me, mi ritrovo Salvatore Giglio, che era presente al terzo colloquio per il posto – anche se non ha spiccicato parola e ha fatto parlare tutto il tempo un collega.
Se mi aspettavo di trovarmi davanti un cinquantenne in giacca e cravatta, in ogni caso, devo ricredermi. Dimostra almeno dieci anni in meno e ha un aspetto giovanile, curato. È vestito in maniera informale, con una felpa e dei jeans, e porta uno zaino su una sola spalla. Raggiunge Longo, con cui scambia una stretta di mano.
Si accorge di me e mi fa cenno di avvicinarmi. «Elena, è in anticipo.»
«Temevo di fare tardi.» Mi stringo nelle spalle con un tremolio nella voce, le guance mi stanno andando a fuoco.
Lui mi tende la mano e gliela stringo. È una presa solida ma non mi stritola le dita e anche io, a mia volta, cerco di essere il più ferrea possibile. Una volta Gaia ha detto che stringere la mano con le dita molli fa pensare di essere delle persone che si fanno mettere facilmente i piedi in testa. Anzi, lei aveva utilizzato il termine "pippe", per poi spiegarsi quando io e Ludovica l'abbiamo guardata mal trattenendo una risata.
«Ti presento Filippo Longo. Lei è Elena Corsi, la nuova stagista dell'ufficio stampa.»
«Piacere.» Ha una bella stretta, la sua mano è calda. «Sono di corsa, ci vediamo.»
Filippo entra nella sede, sparendo subito dalla nostra visuale. Salvatore Giglio mi fa un cenno invitandomi a superare l'ingresso, cosa che faccio all'istante. Cerco di non crollare su me stessa, l'emozione sta prendendo il sopravvento.
Una volta all'interno, mi guardo intorno soffermandomi, senza sapere perché, sulla moquette grigia. Tutti i colori sono smorzati in una scala di grigi. Eppure i colori sociali della Vulnus sono il bianco e il verde!
«Sono contento che alla fine abbiano deciso di assumere lei» commenta Giglio. «Tra i vari candidati è stata quella che mi ha colpito di più, nonostante fosse la meno qualificata.»
Il cuore mi sprofonda nel petto. La meno qualificata.
«Non si demoralizzi! Ha molto da imparare, ma sono certo che se la caverà.» Mi rivolge un sorriso di incoraggiamento. Dev'essersi accorto che le sue parole hanno affossato le mie già poche certezze. «Allora, entro la fine della giornata le verrà dato un badge che le permetterà di accedere a tutti i luoghi della Vulnus, inclusa la palestra di allenamento, la sede e il Palavulnus.» Mostra il suo tesserino, che porta appeso al collo, a una ragazza all'ingresso, che lo fa passare attraverso i tornelli. «Lei è con me, è la nuova stagista dell'ufficio stampa.»
Supero anche io i tornelli e lo raggiungo. «Se ero la meno qualificata, perché sono stata scelta?» sussurro, sperando in una risposta soddisfacente.
Giglio abbassa la testa per mormorare al mio orecchio. «Preferisco parlarne a quattr'occhi.»
Sembrerebbe una frase ambigua, se lui non fosse così serio. Mi guida attraverso una serie di corridoi, questa volta rimanendo in silenzio. Mi fa entrare in uno studio semplice, con una scrivania, un computer e un telefono fisso di fronte alla porta. Sulla destra c'è un'altra scrivania, sgombra e più piccola. Immagino che questa qui sia la mia.
«Accosti la porta.»
Annuisco, sollevata. Che non mi abbia chiesto di chiuderla mi mette più a mio agio. Non sembra che mi abbia assunta per approfittare di me. Per un momento, per un brevissimo momento, è stato ciò che ho temuto.
Lascia lo zaino sulla scrivania, vicino al telefono fisso, ma non prende posto, rimanendo in piedi davanti a me. «Il motivo per cui tra tutti ho preferito lei è stato il suo curriculum.»
«Ma è vuoto.» Questo è il mio primo lavoro, escluse saltuarie ripetizioni di latino; fino allo scorso anno erano i miei a pensare alle spese universitarie. Ma ora che sono fuoricorso ho deciso che deve essere una mia responsabilità. Fino ad oggi non ho mai lavorato. Non avendo neanche una laurea, il mio curriculum è ancora da riempire.
Ho alcune competenze, ma nessuna esperienza in nessun campo.
«Esattamente. Ma ha una buona padronanza dell'inglese, oltre che del francese, fondamentale per parlare con i nostri giocatori stranieri. Questo, però, è solo un requisito minimo.»
«Immagino che anche gli altri candidati avessero una buona conoscenza dell'inglese.» Che mi sembra più utile del francese, visto che i time-out si fanno solo in inglese e che quindi tutti i giocatori devono parlarlo.
«Ma gli altri erano tutti laureati o laureandi in Scienze della Comunicazione o Marketing. Lei no, e proprio per questo volevo lei: è stata molto intraprendente a proporsi, e volevo sapere per quale motivo l'ha fatto.»
Perché sono tifosa della Vulnus da quando sono nata.
Sorride, forse perché immagina come avrei ribattuto, visto che è stato uno degli argomenti che è venuto fuori durante il colloquio a cui ha presieduto. «Proprio il fatto che lei sia una tifosa e che tenga alla squadra mi ha fatto propendere per spingere sul suo nome. Volevo qualcuno che fosse legato a questi colori e che non li vedesse come un'opportunità per la carriera. Per fortuna hanno tenuto conto della mia opinione quando hanno dovuto scegliere.»
«Mi ha assunta perché sarei stata fuori ruolo?»
«No, io ho voluto proprio lei perché le capacità possono essere apprese da chiunque. Il cuore da dare alla squadra no, quello lo hanno in pochi. E lei è stata scelta per il suo cuore.»
Arrossisco dall'imbarazzo. «Be'... Grazie?» esito, incerta, dondolando da una gamba all'altra.
«Ho creduto in lei, non deluda le mie aspettative. Questa mattina ci occuperemo di organizzare i nostri compiti da qui a domenica, nel pomeriggio andremo insieme dalla squadra.» Si siede alla sua scrivania e prende una sedia che sistema accanto a sé. «La avviso che passeremo poco tempo in questi uffici, molto del lavoro è da fare in campo, insieme alla squadra. Ora le mostro cosa c'è da fare sul sito della società. Va bene?»
Prendo posto al suo fianco. «Sissignore.»
«Niente "signore", può chiamarmi Salvatore.»
Messaggio ricevuto.
Nikola tira giù un bestemmione per aver sbagliato il quinto tiro libero consecutivo, attirandosi un'occhiataccia del coach, mentre io e Pippo scoppiamo a ridere.
«Quando hai la palla, attento alle penetrazioni di Pippo e ai movimenti del Fabbro» mi consiglia il coach, alludendo ad Andrea Fabbriani. «Niko, lavora sui blocchi, dobbiamo creare lo spazio per andare al tiro. Lascia stare quei liberi, oggi non ti entrano.»
«L'importante è che entri altro» ridacchia Filippo a bassa voce. Quando Niko gli passa accanto per iniziare l'azione da capo, aggiunge: «Dai, che stasera fai canestro con Sasha».
«Prendetevi in giro quando abbiamo finito!» li rimbrotta Colucci da lontano. Almeno non ha sentito tutto, altrimenti ci avrebbe rimproverati sul serio.
Per il resto dell'allenamento, nessuno dice più nulla che non abbia a che fare con il basket, poi ci andiamo a cambiare e ognuno se ne torna a casa.
Nel parcheggio, Filippo raggiunge subito la mia auto e, non appena sblocco le portiere, si siede al posto del passeggero. «Stamattina ho visto una ragazza con Salvatore. Me l'ha presentata e mi ha detto che è la nuova stagista dell'ufficio stampa.»
«Com'è?»
«Carina.»
Accendo il motore e parto. «Carina significa cesso.»
«No, è carina, ma l'ho vista per poco e... Non ho guardato bene alcune cose.» Sorride sornione, so a cosa sta pensando.
«Non le hai visto il culo, vero?» lo prendo in giro e lui si gratta la barba scura sotto il mento.
«No, ma avrei voluto. Ero di fretta, dovevo passare in sede a prendere della roba. In realtà potevano mandarmela loro, ma ero curioso di vederla. Ieri ho sentito Salvatore che le dava appuntamento a oggi per lavoro e ne ho approfittato.»
«Dovrebbero presentarla anche a tutta la squadra, credo. Con il ragazzo che c'era prima l'avevano fatto. Hai capito perché si è dimesso?»
«Si era innamorato di me, ma non era il mio tipo. Ci è rimasto così male che è scappato in Messico!»
Rido anch'io insieme a lui. Non escluderei che sia andata davvero così.
Chissà com'è questa ragazza. Da quando sono alla Vulnus ci sono sempre stati solo uomini – o al massimo delle signore di mezza età – a svolgere i lavori a contatto con la squadra. Sarà strano avere una ragazza con noi persino nei viaggi per le partite in trasferta... Spero che sia professionale e che non voglia approfittare della vicinanza per altri motivi, anche se a Filippo non dispiacerebbe per niente.
Mi tremano le gambe. Non mi tremavano così tanto dal primo esame universitario. Spero di essere all'altezza e di fare una buona impressione alla squadra anche se per loro, con tutta probabilità, sono soltanto quella che deve accompagnarli alle interviste e contattarli per conto di Salvatore.
Lo seguo all'interno dell'impianto, tra i corridoi che portano alla palestra, alla sala attrezzi e agli spogliatoi. Ludovica ha trascorso una buona mezz'ora a cercare uno per uno tutti i giocatori per scoprire se sono fidanzati, sposati o impegnati in qualsiasi relazione. Non ha risparmiato commenti, soprattutto quando ha visto Filippo Longo, che secondo lei è un "gran bel pezzo di ragazzo". E anche single, come ha tenuto a precisare.
Sbuchiamo nella palestra, proprio mentre la squadra si sta allenando. La puzza di sudore si sentiva a mano a mano che ci avvicinavamo, quindi avrei dovuto immaginarlo. Però vederli con i miei occhi mentre si muovono con il solo suono dei palleggi sul pavimento è tutta un'altra cosa rispetto a quando li ho visti farlo al Palavulnus strapieno di tifosi o in televisione.
Salvatore saluta l'allenatore, Ferdinando "Nando" Colucci, poi batte le mani, richiamando l'attenzione della squadra. «Ciao, ragazzi!»
Daniele Palanca passa il pallone tra le gambe di Jérémy Arnaud, Mike Cooper lo prende e schiaccia appendendosi al canestro.
Dovrò faticare per contenere l'entusiasmo: se trovo esaltante una giocata in allenamento, non oso immaginare come mi sentirò durante le partite.
I ragazzi scambiano il cinque con Salvatore poi qualcuno di loro si accorge di me. Cerco Longo con lo sguardo, perché è l'unico a cui sono già stata presentata, ma sta sussurrando qualcosa a Daniele Palanca.
Salvatore mi incoraggia con uno sguardo ad avvicinarmi. «Ragazzi, lei è Elena Corsi. Elena, immagino che tu sappia chi sono loro.»
Ovviamente so chi è ognuno dei presenti, ho anche seguito il mercato per conoscere in anticipo i nuovi giocatori. Non mi aspettavo che mi sarebbe stato utile in questa occasione.
«Dovremmo stringerti la mano, ma siamo sudati come cammelli» commenta Filippo Longo, facendomi l'occhiolino.
«Sì, cioè, non fa niente, va bene lo stesso» farfuglio e rido per la battuta, cercando di essere spontanea. Non mi mette a disagio essere insieme a una ventina di uomini, tra squadra e staff tecnico, quanto il fatto che si tratta dei giocatori per cui mercoledì avrei fatto il tifo. E per il fatto che non avrei mai creduto di poter parlare con loro.
«Ci vediamo tra poco con Daniele e Nikola, ancora non mi hanno detto chi di voi ha l'intervista prima della Supercoppa. Dovremmo registrarle entrambe, intanto.»
Daniele Palanca si passa una mano nel ciuffo riccio che gli ricade sulla fronte, scrutandomi con curiosità. Visto dal vivo, i suoi occhi chiari scintillano ancora di più di quanto non sembri in televisione. "Questo è un gran fregno", ha detto Ludovica.
Perché sto pensando a quello che mi ha detto Ludo?
«D'accordo. Pala e Niko, andate a cambiarvi.»
Nikola Tomic mi passa accanto con la mano aperta in modo che possa battere il cinque, mentre Palanca mi sorride soltanto, senza dire nulla.
«Li aspettiamo nella sala conferenze.» Salvatore saluta tutti con la mano e mi fa cenno di seguirlo fuori.
«Buon lavoro e benvenuta, Elena!» grida Colucci, mentre sono ancora sulla porta.
«Grazie, coach!» Mi giro giusto per il tempo di ringraziarlo, poi seguo il mio superiore fino alla sala conferenze.
Lui si siede a uno dei posti in prima fila ed estrae dei fogli volanti dal suo zaino. «Allora, qui ho cinque domande a testa da fare a Nikola e Daniele. Vuole pensarci lei e farmi vedere come se la cava?»
Così, subito, senza neanche aver visto come si fa?
«Ehm...» Esito, facendo un passo verso di lui, che sventola i fogli nella mia direzione. Mi stiro la mano sopra la maglia a fiori. «A loro andrà bene? Non è meglio farne uno a testa?»
«A loro deve andare bene tutto quello che dico io. Ma se ne facciamo uno a testa, loro potrebbero pensare che chi ha le domande fatte da lei valga di meno. Ma lei non vale meno di me, ha solo meno esperienza, come è normale che sia. Quindi, Elena, lei fa entrambe le interviste, mentre io supervisiono.»
Se un mese fa mi avessero detto che oggi avrei lavorato per la Vulnus e che avrei avuto modo di parlare con due giocatori della rosa, non ci avrei mai creduto.
Ancora non ci credo.
«Li prenda, almeno li legge prima che arrivino.» Sventola ancora i fogli, che afferro dalle sue mani.
«Oh, sì, giusto, mi scusi.» Scorro con lo sguardo le domande, un po' delusa dalla banalità. Quali aspettative hanno per la stagione, come hanno lavorato durante la preparazione... «Sono le stesse per entrambi?»
«Sì, così possiamo mettere nel podcast quella che poi ci chiederanno dai piani alti. Ecco Aldo.»
Sulla soglia compare un uomo bassino che porta con sé una telecamera e un cavalletto. Salvatore fa le presentazioni, e così vengo a sapere che Aldo è il cameraman principale tra quelli che lavorano per il canale ufficiale della squadra. Subito dopo di lui ci raggiunge una donna, che scopro essere la microfonista Marzia.
Marzia sistema i microfoni sul tavolo della conferenza stampa, in modo che dall'inquadratura di Aldo non si possano vedere, mentre io torno a guardare i fogli con le domande.
«Che ha da sbuffare?» mi chiede Salvatore.
«Mi sentirei in difficoltà a fare la stessa domanda due volte, so che non sarei naturale.» Non lo preciso, ma spero che capisca che se devo fare una bella figura – come mi ha implicitamente augurato – devo sentirmi quantomeno a mio agio.
Lui non replica, si avvicina ad Aldo e gli fa: «Riesci ad allargare l'inquadratura in modo che ci stiano sia Tomic che Palanca?».
«Certo.»
Salvatore si rivolge di nuovo a me. «Allora faccia un'intervista doppia. Riesce a gestirla?»
«Sì.» Ho fatto delle interviste per il giornale del liceo, questa non sarà poi così diversa... Anche se il contesto non è proprio lo stesso. E anche se dal liceo sono passati alcuni anni.
Nell'ultimo colloquio che avevo fatto per essere selezionata mi era stato chiesto se avessi mai fatto delle interviste... Ora capisco perché.
Qualcuno bussa alla porta aperta. Daniele Palanca sta ancora battendo con le nocche quando mi giro a guardarlo, mentre dietro di lui Nikola Tomic gli mette le mani sulle spalle e si slancia in avanti, sbucando come un fungo alto due metri.
Vicino a loro con il mio metro e sessantasei sembro una nanerottola.
«Piccolo cambio di programma: Elena intervista entrambi insieme» li informa Salvatore.
«Ah, a proposito...» Tomic si avvicina e mi porge la mano. «Niko, piacere.»
Palanca lo imita all'istante, e stringo la mano prima dell'uno e poi dell'altro. Nikola è il figlio di un ex giocatore della Vulnus: suo padre ha vinto una Supercoppa con la squadra quando ero piccola, era uno dei giocatori che mi piacevano di più. Era un tipo solare sia in campo che fuori, e il figlio sembra fatto della stessa pasta.
Prendo una sedia che sistemo fuori dall'inquadratura di Aldo e rileggo al volo le domande.
Via, si inizia.
Spazio autrice
Eccoci anche a questo capitolo, con Elena che ha avuto il suo primo incontro ravvicinato con il resto della squadra. Se l'è cavata?
Baci a tutti e grazie per la lettura,
Snowtulip.
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