10
"Nome?" una voce fredda chiese con fare severo.
Battei le palpebre diverse volte, la stanza era buia se non per una piccola luce molto distante da me. "Cosa?" mormorai, mossi le braccia ma scoprii di essere bloccata da delle specie di manette. "Dove sono?"
"Nome?" la voce insistette con un tono più annoiato.
Mi guardai attorno, ma non riuscivo comunque a vedere niente. "Cosa sta succedendo? Perché sono qui?" domandai iniziando ad agitarmi.
"Nome, prego." un botto improvviso mi imbolizzò, era come se avessero dato un pugno a qualcosa, probabilmente un tavolo o una parete.
"Renata." mormorai impaurita non capendo cosa diavolo stesse succedendo. D'un tratto sentii una scarica attraversarmi il corpo. "Ouch."
"Nome completo."
Sospirai. "Renata Barnes." risposi infine, magari dandogli retta mi avrebbero lasciata andare. In cambio, però, ricevetti una scossa più forte che mi fece tirare un urlo di dolore. "Ho risposto! Renata Barnes!"
"Non mentire." mi richiamò la voce. "Nome."
Scossi la testa. "Siete pazzi, vi ho appena detto il mio nome!" cercai di liberarmi, ma non ci riuscii. Mi piegati in due sentendo un'altra scossa, veniva dai miei polsi e si estendeva lungo tutto il mio corpo. "Renata Barnes!" urlai dolorante iniziando a piangere. "È questo il mio nome!"
"Nome completo."
"Renata Barnes!" continuai a piangere, strinsi i denti, quella sensazione era orribile. "Basta! Per favore!"
Ma la voce non faceva altro che ripetere la stessa domanda all'infinito, mi chiedeva un nome, il mio nome. Ma più glielo urlavo e più forte diventavano le scosse, la situazione peggiorava se provavo ad ignorarlo.
Andammo avanti per non so quanto tempo, mi sembrarono ore infinite, avevo il viso sudato e gli occhi stanchi, la voce raspa e le mani tremanti.
"Basta." mormorai poggiando la testa contro la sedia alla quale ero legata. "Basta."
"Nome completo." sentii di nuovo, era come un disco rotto, possibile che non volesse smetterla?
"Io-" mi fermai improvvisamente. Qual era il mio nome? Iniziai a respirare irregolarmente, mi sembrava impossibile ricordarlo. "Non lo so." sussurrai riprendendo a piangere. "Com'è possibile."
Nessuna scossa, le luci si accesero e fui finalmente capace di vedere l'uomo seduto dietro una scrivania dall'altra parte della stanza. Questo stava indossando un camice bianco e aveva in mano una penna che stava rigirando tra le dita. "Ripeti."
Deglutii a fatica. "Non ricordo." piagnucolai. "Per favore, non voglio un'altra scossa."
Lui annuì alzandosi dalla sedia e raggiungendomi a passi lenti. "Capisco." mormorò osservandomi attentamente. "Se te lo dico io, risponderai alla mia domanda?" chiese con voce più calda, lo guardai impaurita ma annuii leggermente. "RB303." disse semplicemente.
"RB303?" mormorai confusa, esisteva davvero come nome? Eppure non mi sembrava di averlo mai sentito nella mia vita.
"Qual è il tuo nome?"
"Eh?"
"Qual è il tuo nome?" ripeté con uno sguardo severo.
Sbattei le palpebre, non riuscivo capire cosa diamine stesse succedendo. Dov'ero? Chi era quest'uomo? "RB303?" la mia risposta suonò più come una domanda, ma lui annuì accontentandosi. "Ora posso sapere cosa sta succedendo?" ero disperata.
"Domani non ricorderai questo incontro, serviva solo per farti capire il tuo nome." spiegò liberando i miei polsi. "È meglio che vai a riposare, domani penseranno a ripristinare la tua memoria con nuovi ricordi."
Corrugai la fronte. "Farà male?"
Mi guardò dispiaciuto. "Se sei sopravvissuta oggi, allora ci riuscirai anche domani."
**
Peter era nervoso, quel tipo di nervosismo che lo faceva tremare tutto. Quel giorni avrebbe dimostrato agli Avengers di essere un supereroe come loro oppure, in caso contrario, di essere un fallito.
Tutto dipendeva da Renata e da come si sarebbe comportata. "Hey." Peter entrò nella sua stanza, lei si stava pettinando i capelli lunghi, sembrava che non li avesse mai tagliati in anni. "Sei pronta?"
"Credo." mormorò lei girandosi a guardarlo, Peter rimase sorpreso dal suo aspetto così semplice che riusciva, tuttavia, a renderla completamente diversa. Tony aveva dovuto comprarle dei vestiti nuovi visto che era più bassa e minuta rispetto alle altre ragazze, Wanda si era proposta di prestarle qualcosa di suo, ma si resero conto molto presto che la ragazzina era davvero bassa per la sua età. "Non sapevo cosa mettere." Si lamentò lei legando i capelli in una coda alta.
"Penso vada benissimo." Annuì Peter osservando i pantaloni rosa che aveva messo assieme ad una maglietta a maniche corte, era sicuro che fosse tutta roba di marca quindi non avrebbero dovuto sospettare di lei. "Penso che le ragazze si trucchino di solito." Mormorò poi guardandola.
"Mhm." Renata si guardò intorno per poi andare allo specchio e pizzicarsi leggermente le guance facendo apparire un leggero rossore. "Così va bene?"
"Perfetto." Sorrise lui. "Andiamo!" Le fece strada verso l'ascensore. Rimasero in silenzio per qualche minuto, erano entrambi ansiosi di questa uscita al di fuori della torre. "Il sig. Stark ci ha dato delle regole." Parlò Peter mentre scendevano verso l'uscita.
"Va bene." Rispose Renata per niente sorpresa, immaginava che non sarebbe stato così facile avere la fiducia di quelle persone ed era disponibile a seguire le loro regole se la potevano far uscire da quella camera.
Peter tirò fuori il cellulare pronto a leggergliele. "Non puoi allontanarti da me, questa è la prima." Le mostrò i spara-ragnatele poste sotto le maniche della sua felpa facendole capire che non sarebbe stata una buona idea rimanere bloccata di nuovo. "Non puoi parlare agli estranei a meno che non li conosca io." Continuò ad elencare. "Non possiamo uscire dalla città, non puoi ferire le persone che incontreremo e, cosa più importante, non puoi dire da dove vieni e parlare di me o degli altri supereroi."
"Perché no? Le persone non sanno che lavori con loro?" Domandò lei confusa dalla sua ultima regola.
"No, nessuno sa che sono Spider-Man, è il modo migliore per evitare di mettere in pericolo le persone a me care." Le spiegò cautamente. "Se ti chiedono... dì che sei mia cugina!" Esclamò avendo un'idea. "Basta che dici che sei mia cugina e stai vivendo con me per un po' perché i tuoi genitori stanno facendo un viaggio di lavoro."
"E a chi dovrei dirlo? Non posso parlare con nessuno, ricordi?" Sorrise lei mentre uscivano dall'ascensore pronti ad uscire dalla torre.
"A proposito di questo..." lui passò una mano tra i capelli. "Ho invitato dei miei amici, spero non ti dispiaccia." Il sorriso di lei sparì e Peter ebbe paura di aver rovinato tutto. "Pensavo che conoscere altre persone della nostra età potesse farti bene."
"Ma io non sono come voi." Si fermò lei d'un tratto. "No Peter, voglio tornare indietro." Scosse velocemente la testa. "Non voglio mettermi in imbarazzo davanti ai tuoi amici."
"No no no." Lui la prese per mano. "Ti prometto che non ti lascerò da sola." Cercò di farla ragionare. "Se ti sentirai in imbarazzo torneremo a casa, va bene?" Le propose.
Renata ci pensò su, cos'aveva da perdere? Probabilmente niente. "Va bene." sospirò annuendo. "Andiamo."
**
Camminarono per qualche isolato, i primi minuti furono un silenzio totale, finché Peter non notò lo sguardo perso della sua amica mentre osservava il paesaggio attorno a sé disorientata. "Puoi chiedermi qualsiasi cosa." l'aveva rassicurata, da lì in poi venne investito da una quantità immensa di domande.
Alcune di queste erano alquanto complesse, come si poteva spiegare il sistema economico ad una ragazza che non era mai uscita di casa? D'altra parte alcune sue domande erano molto semplici, Peter stesso si stupì di quanto faticasse a comprendere la vita moderna.
"Quindi avete tutti un telefono?" chiese Renata osservando l'ennesima pubblicità di un iPhone su un palazzo.
"Sì, penso che non esista persona senza." rispose Peter, notò il broncio della castana e cercò di migliorarle l'umore. "Magari un giorno lo avrai anche tu."
"Forse." lei alzò le spalle cercando di fingere disinteresse.
Ma lui sapeva che dentro era una ragazzina come qualsiasi altra e che in quel momento avrebbe voluto acquistare un cellulare tutto per sé. Fosse stato per lui gliel'avrebbe comprato ad occhi chiusi, Tony gli aveva dato una carta di credito proprio per far sì che potesse acquistare ciò che più le piacesse, ma non poteva dimenticare il fatto che quella ragazzina in fondo era un'assassina.
"Ecco i miei amici." Peter indicò un ragazzo e una ragazza poco distanti da loro, Renata li osservò attentamente, ma non riuscì a farsi un'idea su di loro visto che le davano le spalle. Dopo aver attraversato l'ennesima strada, raggiunsero i due che finalmente si accorsero della loro presenza. "Hey, ragazzi."
"Peter!" un ragazzo bassino, dalla pelle abbronzata e gli occhi leggermente a mandorla lo abbracciò. "Amico, pensavo vi foste persi ormai." disse per poi girarsi verso Renata. "Ciao." lei non sapendo cosa fare gli fece un breve gesto con la mano.
"Sì, scusate, ci siamo fermati un paio di volte per farle vedere la città." spiegò Peter come se niente fosse.
"Mhm." gli occhi di Renata andarono a posarsi sulla ragazza che li stava osservando silenziosamente, sentì improvvisamente le sue guance arrossire violentemente sentendosi a disagio sotto il suo sguardo. "Michelle." disse questa allungandole la mano con fare amichevole.
La ragazza deglutì, la situazione sembrava decisamente troppo per lei. "Renata." mormorò insicura, sicuramente non poteva presentarsi come RB303 e rischiare di spaventarla.
"Non ti ho mai vista da queste parti." commentò Michelle spostando una ciocca dei suoi capelli ricci dientro l'orecchio.
"Io..." improvvisamente parlare sembrava più difficile del previsto, mandò uno sguardo impaurito a Peter che le sorrise.
"È mia cugina, i suoi genitori sono fuori città per un po' di tempo e hanno chiesto a me e May di ospitarla con noi." spiegò cautamente, sapeva che Michelle non era una ragazza stupida e che sapeva distinguere una bugia dalla realtà. Ned sapeva che Renata era un'ospite alla torre degli Avengers, ma non sapeva niente della sua vera identità.
Michelle emise un leggero sbuffo. "Almeno non sarò più l'unica ragazza in giro con voi due sfigati." commentò incrociando le braccia al petto.
Renata corrugò le sopracciglia per poi girarsi verso Peter. "Perché vi sta definendo privi di fortuna?" domandò confusa.
"È un insulto." lui alzò semplicemente le spalle. "Lo dice spesso, è il suo modo di dirci che ci vuole bene, immagino."
"Ah."
"Quindi cosa facciamo?" Ned sorrise emozionato, uscire con il suo migliore amico e la ragazza che viveva insieme agli Avengers sembrava un sogno.
"Beh, potremmo andare a fare shopping per passare il tempo." propose Peter. "Renata avrebbe bisogno di nuovi vestiti."
"Fantastico." Michelle alzò gli occhi al cielo.
"Ma non sembra divertente." commentò Renata ad alta voce, chiaramente confusa. Tutti la guardarono stupiti. "Nel senso, preferirei fare qualcos'altro?" cercò di nascondere la sua timidezza.
Un'assassina timida? Non pensava fosse possibile.
"Wow." borbottò Michelle. "Allora non sei una viziata figlia di papino." Renata non era sicura fosse un insulto, soprattutto perché non sapeva l'identità di suo padre.
"Certo che no!" la difese Peter, so sentiva quasi protettivo nei suoi confronti, nonostante fosse attratto dalla riccia. "Cosa te lo fa pensare?"
"I pantaloni di Louis Vuitton, la maglia di Gucci e le scarpe dell'Adidas?" rispose questa a tono.
"Oh." Renata osservò i suoi vestiti. "Sono regali, non li ho scelti io." borbottò non capendo il perché non le piacessero.
"Non è viziata." rimarcò Peter. Che coraggio dare proprio a Renata della viziata, non ha mai fatto niente nella vita, non ha vissuto come noi. Questi erano i suoi pensieri, ma, d'altronde, non era colpa di Michelle. Non poteva saperlo. "Che ne dite se le mostrassimo la città?"
"Oh sì!" Ned batté le mani. "Potremmo portarla all'Empire State Building, alla Statua della Libertà e a Central Park!" esultò.
Renata sorrise leggermente alla sua gioia, sembrava gentile quasi quanto Peter. "A me va bene."
"Andiamo, ti farò da guida turistica." Michelle sorrise poggiando il braccio sulle sue spalle. "Sicuramente so di più di questi sfigati in fatto di storia."
"Ok..." mormorò lei incerta, quel contatto così imprevisto l'aveva spaventata, ma nonostante ciò non voleva allontanarsi da lei. "Perché li chiami sfigati?" domandò poi.
Michelle emise una breve risata. "Io e te andremo molto d'accordo, me lo sento."
Era possibile per un assassino avere degli amici?
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