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Prendersi cura

Gabriel Fulton era appena uscito dalla stanza del compagno, quando sentì il cellulare vibrare. Lesse il messaggio di Amber, aggrottò la fronte ed emise un respiro profondo.

I piccioncini litigavano di già!

Era certo che lei provasse qualcosa per James, ma il suo passato e quel lavoro "particolare" le impedivano di lasciarsi andare ai sentimenti. Vista la confusione del giovane cognato, pensò che lei avesse deciso di allontanarsi per dargli tempo di riflettere.

Rientrò nello studio. Benedict stava meglio: i parametri erano nella norma e avevano avuto qualche minuto per scambiarsi poche carezze. La ferita migliorava e questo lo tranquillizzava. Domani avrebbero ripetuto la TAC, sperando che l'ematoma si fosse riassorbito, almeno in parte.

Certo, biascicava un po' le parole, ma baciava ancora con ardore!

Il medico ridacchiò, assaporando quel bacio rubato alla vista delle infermiere.

Si accomodò e riordinò le cartelle di alcuni pazienti, ma qualcosa lo disturbava: una fastidiosa sensazione che l'amica corresse un qualche pericolo. Wallace diventava un animale quando qualcuno toccava Margot.

Cercò di concentrarsi sul lavoro, togliendosi la giacca e arrotolandosi le maniche della camicia per mettersi più comodo. Quel senso di benessere durò poco, infatti James entrò come un tornado. Era scuro in volto e stringeva forte le labbra temendo di urlare.

Gabriel non fece in tempo a calmarlo che il giovane esplose.

"Amber se n'è andata seccata dal mio comportamento! Mi ha detto che mi ha aiutato perché ti doveva un favore." Si lasciò cadere sul divano accanto alla borsa dei vestiti. "Non posso crederci! Eppure, io..." si interruppe sbuffando.

Il medico nascose il divertimento, si abbandonò sulla poltrona e si massaggiò la guancia rincarando la dose.

"Da non credere! Che donna strana... non è attratta dal tuo fascino?"

James lo osservò incupito, nel tentativo di capire se Gabe si stesse prendendo gioco di lui.

"Ma dico, sei serio? Mi sono preoccupato per lei! Ho piantato Margot per le offese che le ha rivolto. E se ne va così?" Si alzò di scatto e si diresse verso la finestra, spalancandola con rabbia. "Mi manca l'aria, Cristo!"

Gabe ridacchiò. "Respira stupido! Per fortuna che era soltanto un'amica. Adesso affermi che hai lasciato tua moglie per lei! Vedi di chiarirti le idee!"

Emory riprese fiato, appoggiando le mani sul davanzale. Presto lo studio fu invaso dal freddo. Parlò con la schiena rivolta alla stanza. "Credevo che ci tenesse a me, lei mi piace, lo ammetto."

Si girò d'improvviso per guardare il cognato e confessare la sua confusione. "Sono in un vero casino, hai ragione: Benedict è in rianimazione, tu che mi sopporti a malapena e Amber che mi lascia così. Non ci capisco più niente."

Si passò la mano sui capelli sfregando con troppa forza.

Fulton lo raggiunse e lo tirò indietro, chiudendo le imposte. "Dobbiamo morire di freddo per questo?" lo spinse a sedersi mentre concludeva il discorso.

"Concedi a quella povera ragazza la possibilità di capire. Questa situazione si deve sistemare; la nostra amica fatica a rapportarsi con i sentimenti."

Il giovane crollò sul divano e replicò dispiaciuto. "Se solo si confidasse, non mi racconta nulla di sé."

Gabe cercò di consolarlo, vedendo quanto ci tenesse. "Amber vuole lasciarti spazio perché tu possa rimanere con Ben, sa che sei sotto stress."

James sembrò calmarsi e iniziò a sfogarsi raccontandogli la storia del presunto protettore.
"Credi che dica la verità?" chiese con uno sguardo desolato.
Il rosso rispose alzando le spalle. "Ne dubito, non ho mai visto nessuno con lei. Ma per ora devi lasciarla stare."
L'avvocato sospirò. "Forse hai ragione, devo tenerla tranquilla. Sa che mi occupo di Benedict, che adesso è un mio dovere!" detto questo si alzò, deciso a continuare la sua missione.

Gabriel allargò le braccia e tornò a sedersi. "Prima mettiti in ordine e non dire nulla a tuo fratello di Amber. Domani ha la TAC, fa che resti sereno."

Lui annuì in silenzio e, raggiunto il piccolo bagno dello studio, si rinfrescò.
Mentre lo aspettava, Gabe tentò di finire il lavoro, ma si sentiva inquieto a causa dell'instabilità del cognato e delle sue azioni avventate. Ciò che lo preoccupava di più era l'atteggiamento indulgente di Ben nei confronti di James. Pur non condividendo la visione del compagno riguardo al minore, evitava di esprimere il suo dissenso per paura di offenderlo. Decise quindi di troncare l'argomento e restare in attesa degli sviluppi della situazione.

Più tardi raggiunsero la stanza di degenza camminando affiancati, ma senza scambiarsi una parola. Trovarono Benedict assopito, che ronfava tranquillo. Il fratello si preparò a rimanere per la notte e, nonostante le proteste di Gabe, si accomodò sulla poltrona e gli prese delicatamente la mano.

Il loro amato paziente si mosse, ma continuò a dormire. Gabriel sorrise, gli accarezzò la fronte e abbassando la voce si rivolse al più giovane. "Ragazzo, lo sai che ci sono. Torno più tardi. Cerca di riposare, la giornata è stata lunga anche per te."

Lasciò la camera in silenzio e camminò pensieroso per il corridoio. Non chiamò Amber per rispettare la sua decisione. Rifletté che entrambi avevano ammesso di piacersi! Scosse la testa ridacchiando, tutto sembrava così precario e incerto tra loro da essere quasi comico.

Dopo aver cenato in fretta, verso la mezzanotte, Fulton tornò dagli Emory e li trovò che dormivano: James, era abbandonato con il capo reclinato di lato sulla poltrona e lo teneva ancora per mano.

Il dottore sorrise per quel gesto infantile; non si sbagliava a chiamarlo ragazzino.

Gli tornarono in mente le parole di Ben, che gli aveva confidato quanto il fratello minore avesse sofferto per la perdita dei genitori e quanto lui stesso si fosse preoccupato di perderlo.

Sospirando rassegnato e tormentato dai dubbi per ciò che non sapeva, controllò i parametri vitali del paziente, firmò i fogli di degenza e verificò la tenuta della medicazione. Al suo tocco, Ben si agitò leggermente. Gabriel gli posò un bacio sulle labbra, cercando di rassicurarlo e calmarlo.

Poi si concentrò anche sul più giovane. Gli sistemò il braccio, che aveva preso una posizione innaturale. Gli toccò delicatamente la nuca e premette due dita sul collo per controllare i battiti, che erano accelerati ma regolari. Rassicurato, lo coprì con un plaid, sperando che il calore gli portasse un po' di conforto.

Nemmeno James si mosse e lui soffocò una risata: doveva essere un tratto di famiglia, dato che anche il compagno sprofondava in un sonno quasi da catalessi!

Uscì senza fare rumore. Si diresse verso lo studio e si lasciò cadere sul divano, che ormai era diventato il suo letto. Un paio d'ore di riposo in quella notte turbolenta sarebbero state più che sufficienti. Rimase a fissare il soffitto per un po', mentre tornava con il pensiero al primo incontro con James.

La villetta si presentava ordinata, curata in ogni dettaglio. Parcheggiarono e Ben sembrava un po' agitato. Gabriel gli accarezzò il polso, un gesto silenzioso per rassicurarlo prima di varcare la soglia. Spesso gli aveva parlato del fratello minore, ma quell'appuntamento era stato rimandato più volte. Avevano deciso di rivelargli la verità gradualmente, anche se Ben era ormai certo che avesse capito le sue intenzioni e il suo orientamento sessuale.

"Fratellino scendi! Voglio farti conoscere un amico." Benedict lo chiamò, appoggiandosi al corrimano della scala che conduceva al piano superiore. Un ragazzetto magro, dai capelli scuri e disordinati, scese saltellando e si fermò davanti a loro. Aveva appena compiuto diciassette anni, ma ne dimostrava di meno.

Il giovanetto lo osservò con attenzione, sospettoso. I suoi occhi grigi, identici a quelli di Ben, lo scrutavano in silenzio.

"Sono Gabriel Fulton, ma tutti mi chiamano Gabe, piacere!" Gli strinse la mano con fermezza, e James rispose con lo stesso vigore.

Ben gli scompigliò la capigliatura con una risata, per metterlo a suo agio. "Ti ho già parlato del mio amico, ma ti avverto che è un medico. Quindi, fai il bravo, o ti farò infilare un ago nel braccio."

L'adolescente lo fissò con uno sguardo torvo, il viso tirato in un'espressione di diffidenza. Il compagno gli aveva confidato che odiava gli ospedali, e soprattutto gli aghi. Il volto preoccupato del ragazzino lo colpì più di quanto si aspettasse, scatenando in lui una tenerezza istintiva.

"Non ti farò nulla, prometto." Gabe alzò le mani in segno di resa, cercando di trasmettergli un senso di sicurezza.

Il ragazzo lo studiò a lungo, come se cercasse di capire se fosse sincero. Poi, lo sguardo si distese e si sciolse in una risata.

"Ben scherza, ma si preoccupa sempre per le persone che ama. Ha paura che soffrano. Lo farà anche con te." Con quelle parole, il ragazzetto abbassò la guardia e Gabriel avvertì un peso che diminuiva: la tensione si era finalmente sciolta.

Il giovane si rilassò, appoggiandosi al fianco del maggiore e un piccolo luccichio comparve nei suoi occhi

In quell'istante, Gabe capì che tra loro c'era qualcosa di speciale. Non era solo il fratello minore di Benedict, ma un ragazzino insicuro che aveva bisogno di protezione e affetto.

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James si svegliò ai primi rumori dell'infermiera nella stanza, il suono lieve della sua presenza segnava l'imminente arrivo del mattino. Il buio della notte stava svanendo, lasciando posto alla luce tenue dell'alba.

Ben riposava ancora e lui si sciolse con lentezza dalla stretta che li teneva uniti, cercando di non disturbarlo. Si alzò con un lungo sbadiglio, sentendo la muscolatura rigida, con un gesto distratto ripose la coperta sul letto.

Il suo sguardo corse ai monitor. Tutto procedeva senza intoppi, i parametri stabili. Si stiracchiò per sciogliere la tensione e fece qualche passo nella stanza, massaggiandosi le braccia intorpidite.

Si diresse verso la finestra, guardando fuori. Il giardino sottostante, immerso nella luce nascente, era più tranquillo di quanto si sentisse lui in quel momento. Poi, notò una figura di donna che si muoveva nel viale, il modo in cui quella ragazza camminava, la silhouette familiare, gli ricordò Amber.

La reazione dell'amica, la sera precedente, lo sconcertava ancora. Era come se una parte di lei lo avesse voluto allontanare, eppure le riconosceva una gentilezza che non riusciva a ignorare. Quando tutti lo accusavano e la pressione sembrava schiacciarlo, lo aveva sostenuto.

Della sua professione di escort gli importava poco, convinto che, con la giusta motivazione, sarebbe stata in grado di lasciarsi alle spalle quel lavoro degradante. Sapeva che, con una persona premurosa al suo fianco sarebbe cambiata. La determinazione si fece strada in lui più forte che mai: doveva trovare il modo di rimanerle accanto, anche se ciò gli fosse costato la reputazione di avvocato di successo.

Per come lei lo aveva aiutato, sentiva di avere un obbligo morale: aprirgli il proprio cuore e incoraggiarla a fare lo stesso, così da condividere quel passato che ancora la teneva prigioniera. Solo così avrebbe potuto aiutarla a uscire dalla gabbia invisibile che si era costruita intorno.

Rifletteva che la sua vita, in quel periodo, era un disastro che non aveva fine. Margot si era rivelata egoista e vuota, incapace di amarlo. Amber, invece, si ritraeva al primo gesto di affetto. Gabe lo sommergeva con rabbia e gelosia, mentre Ben soffriva più di tutti per la salute malferma. Ogni giorno, la sensazione di essere intrappolato in una spirale senza via d'uscita cresceva.

La sua priorità era quella di darsi da fare al più presto per risolvere i suoi problemi e soprattutto aiutare Benedict a guarire.

Il fratello aprì gli occhi, quasi ne avesse percepito i pensieri.

"Ancora qui?" mormorò, biascicando le parole e sbadigliando.

"Sì, resterò fino a che non guarirai." rispose il giovane, voltandosi per tirare le tende della finestra.

Il maggiore gli sorrise, ma il suo sguardo era come sempre velato di preoccupazione.

"Troppo peso per te, non va bene."

"Invece va benissimo, smettila di preoccuparti." replicò lui avvicinandosi per aiutarlo a tirarsi su. Ben indicò l'acqua accanto al letto.

"Hai sete? È un buon segno, forse puoi fare colazione. Vado a chiedere."

Uscì quasi di corsa, trovando Fulton nel corridoio con il camice in mano. Vedendolo così di fretta si allarmò subito temendo per Ben.

Il giovane alzò le braccia per tranquillizzarlo.

"Calmo, va tutto bene!  Pensi che il nostro paziente possa mangiare e bere qualcosa?" chiese lui  con urgenza.

La faccia sorpresa del cognato era da incorniciare. "Lo controllo e poi decido. Tu stai meglio?" rispose il dottore osservandolo con occhio clinico mentre si vestiva.

"Un po' acciaccato! E tu, hai dormito, rosso testardo?" ridacchiò lui sapendo che non gli piaceva che lo chiamasse così.

"Smettila." Lo rimproverò Gabe allungando così tanto il passo che James faticò a stargli dietro.

"Ehi, come sta il mio ragazzo?" esordì il medico appena entrato nella stanza. Il paziente gli rivolse un sorriso radioso e Gabriel non poté trattenersi dal baciarlo.

James, imbarazzato, abbassò lo sguardo e si avvicinò al davanzale, fingendo interesse per il panorama. Seguiva il parere di Amber che gli aveva consigliato di concedere alla coppia un po' di privacy.

Gabe lo richiamò ridendo. "Gli ho dato soltanto un bacio casto, che diamine! Puoi girarti."

Fulton sembrava soddisfatto dei progressi di Benedict e iniziò la visita con leggerezza. Lui rimase alla finestra, innervosito dal suo lavoro di medico.

"Vuoi uscire?" gli chiese il cognato, consapevole della sua avversione per l'ospedale.

"No, va tutto bene." rispose il più giovane agitando la mano in segno di diniego.

"Devi davvero superare questa paura degli aghi. Ricordi quando sei arrivato qui coperto del sangue di tuo fratello? Che differenza può fare ora?" brontolò il dottore cercando di sdrammatizzare. "Non vedo strumenti di tortura in questa stanza," scherzò, temendo che James si agitasse.

L'avvocato alzò le spalle, mentre Ben si lasciò andare a un sorriso divertito.

Fulton esaminò la ferita sulla testa del compagno, ma questi iniziò subito a lamentarsi. Lo sgridò: «Non cominciare anche tu, stai tranquillo! Siete proprio difficili voi Emory.»

Benedict fece una smorfia e cercò di difendersi. "Faccio il bravo sempre, io." affermò sconsolato.

Gabe rise e replicò dandogli un buffetto sulla guancia. "Allora, visto che sei bravo, posso darti da mangiare."

"Hai sentito?" esclamò il più giovane che non aspettava altro. "Vado a prenderti la colazione." Si avviò verso la porta ma il medico lo fermò.

"C'è ancora la TAC da fare, ma il nostro professore sta parlando molto meglio rispetto a ieri. Sono fiducioso,"

Esultante, l'avvocato uscì e tornò poco dopo con un vassoio pieno di cibo. Il profumo del tè caldo riempiva l'aria.

Appena Gabe lo vide, esplose: "Non vorrai dargli così tanto da mangiare! Non ha bisogno di essere rimpinzato!" roteò gli occhi e si sedette accanto a Benedict, accarezzandogli la mano rassegnato dalle intemperanze del minore.

"Il resto è per me. Io non mangio?" rispose il giovane con un sorriso ironico.

Il dottore si arrese con una smorfia indulgente. "Bada solo a non soffocarlo, assicurati di procedere con calma," disse mentre si alzava a malincuore. "Devo andare, ho altri pazienti da curare."

Lanciò un'ultima occhiata a entrambi, scuotendo la testa prima di uscire.

Ben rise e James si unì a lui. Condivisero il tè e i pochi biscotti, godendosi quel momento di normalità in mezzo alle preoccupazioni.

Passarono la mattinata in serenità, chiacchierando. Lui incoraggiava Benedict a scandire le parole, aiutandolo con pazienza a migliorare.

All'improvviso, Ben chiese di Amber. Non vedendola, si era preoccupato, ma lui evitò di raccontargli quanto era successo prima con Margot e poi con lei durante la cena in mensa, cambiando argomento.

Più tardi, Fulton tornò per portare il paziente alla TAC, spiegando che ci sarebbero volute circa due ore. James ne approfittò per prendersi una pausa.

Il giovane avvertiva un senso di affaticamento dovuto allo stress accumulato, decise di tornare nello studio di Gabe e indossare abiti puliti.

Mentre si cambiava, il pensiero di Amber gli tornava spesso alla mente, nonostante i suoi sforzi per mantenere la calma e concentrarsi sul fratello. Non riusciva a soffocare del tutto il dispiacere per la sua assenza. La voglia di parlarle, di confidarle tutta la stanchezza che provava e il disagio che sentiva, era quasi dolorosa. Sperava, in cuor suo, di poter ricostruire un rapporto equilibrato tra loro.

Indossò la camicia e la giacca, si fece coraggio e la chiamò, deciso a scusarsi. Ma trovò solo un messaggio in segreteria: si trovava da un'amica per alcuni giorni.

James, deluso ma sollevato nel sapere che non fosse sola, le lasciò un vocale, raccomandandole di stare attenta, poiché non credeva alla storia del protettore. Si sentì motivato e si diresse verso la mensa.

Si avviò a passo lento e si chiese se lei si trovasse da Lise. Doveva essere una persona speciale, considerando la difficoltà della donna nel legarsi con qualcuno.

Entrando nel ristorante interno la cercò con gli occhi, ricordando i momenti passati insieme in quel luogo. Il pensiero della moglie non lo sfiorò nemmeno; di Margot non gli importava più nulla. Con rassegnazione, consumò un pranzo leggero, toccando appena il cibo che aveva davanti. Il rumore dei piatti e il mormorio delle conversazioni lo aiutarono a distrarsi per un po'.

Una mezz'ora dopo, raggiunse di nuovo la stanza di Benedict.

James vide il cognato e gli corse incontro, il cuore in gola. "Allora? Come sta?" chiese, l'ansia palpabile nella voce.

Il medico gli rispose con un ampio sorriso. "L'ematoma si sta riassorbendo, entro un paio di giorni starà meglio, a parte la ferita."

Gabe gli batté una mano sulla spalla. "Ha funzionato tenerlo stretto a te. Ora lo mettiamo in una camera di degenza con due letti, così sarete più comodi entrambi."

Il giovane non riuscì a trattenere le lacrime di sollievo. Sentì una manata affettuosa sulla nuca.

"E smettila..." brontolò Gabriel ridendo.

James abbassò lo sguardo, preso dalla vergogna per quella dimostrazione di debolezza, ma sentiva un peso enorme sollevarsi dal petto. Le preoccupazioni e le paure che lo avevano tormentato cominciavano finalmente a svanire.

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