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La rabbia di Gabe

L'ambulanza arrivò al Saint Bartholomew molto prima di James.

I paramedici avrebbero avvertito Gabe di ciò che era accaduto. Infatti, la loro unione civile, celebrata davanti al giudice, riconosceva Benedict come compagno, garantendogli tutti i diritti legali acquisiti.

James parcheggiò l'auto in preda all'angoscia e corse dentro. Raggiunse l'accettazione, dove fu indirizzato al pronto soccorso. Varcò la porta a vetri che portava agli ambulatori, ma fu fermato e sgridato da una solerte infermiera, che lo riaccompagnò nella sala d'attesa. 

Lo fissò con cautela e gli chiese se fosse ferito; in effetti, il suo aspetto era spaventoso: la camicia era sporca e le mani insanguinate. 

"Mio fratello ha sbattuto la testa: il sangue è il suo. Il dottor Fulton è mio cognato, credo sia con lui," balbettò senza fiato.

Lei annuì comprensiva. "Aspetti qui, vedrà che appena ci sono notizie, il dottore la informerà."

Fece un sorrisetto di circostanza. "Vada a ripulirsi nel bagno," disse, alzando la mano per indicarne la posizione.

Lui sospirò, consapevole di non poter restare in quelle condizioni e si diresse verso la toilette per sistemarsi. Quando entrò, l'unico specchio rifletteva il suo volto pallido e tirato. Si lavò come poteva, ma si accorse dell'acqua colorata di rosso e barcollò.

Si rese conto di essersi comportato da idiota! Benedict lo aveva avvertito di non accettare provocazioni, ma lui ci era cascato come un pivello, mettendo in pericolo la sua vita.

Si strinse le tempie, sperando che il cognato lo perdonasse.

Quando tornò, la saletta appariva incolore e deserta. Si sedette ad aspettare su delle sedie scomode, incapace di distogliere gli occhi dalla porta a vetri, cercando di scorgere Gabriel. Non riusciva a darsi pace per il susseguirsi degli eventi: dal bacio forzato a Margot, alla corsa angosciata nella notte da Amber, alla discussione del mattino e, infine, all'atroce incidente a Villa Wallace.

Benedict rischiava la vita per colpa sua. Nascose il volto tra le mani e abbassò la testa sulle ginocchia, pervaso da un senso di nausea. Lo stomaco era sempre stato il suo punto debole.

Suo fratello era tutto ciò che gli rimaneva della sua famiglia. Ben non aveva esitato un secondo a mettersi in mezzo per proteggerlo dalla furia di Henry. Il cuore gli accelerò in petto, ricordando la morte dei genitori; in quel periodo si era aggrappato a lui che non si era sottratto al suo ruolo di primogenito.

Non si rese conto del tempo che passava. Udì dei passi provenire dagli ambulatori e sollevò la testa, scorgendo la figura robusta di Gabe che con due falcate lo raggiunse, togliendosi la mascherina con un gesto di stizza. Indossava una protezione verde con il copricapo.

James fu percorso da un brivido e la nausea aumentò.

Gabriel si liberò del berretto guardandolo dritto in faccia.

Il giovane si alzò incerto, ma non indietreggiò quando si accorse della collera che gli attraversava lo sguardo.

"Come sta?" sussurrò, abbandonando le braccia lungo i fianchi, gli occhi che gli bruciavano per la tensione.

"Piccolo idiota viziato!" esplose il dottore, il corpo teso. "Ti riempirei di schiaffi per la tua stupidità e per aver disobbedito ai miei ordini, trascinando Ben nei tuoi problemi."

Frastornato dalla sua furia, James non riuscì a connettere e chiese di nuovo: "Come sta?"

Gabriel parve calmarsi, ma fu acido. "Ora è stabile, ma ha un taglio sulla nuca e un ematoma subdurale che deve riassorbirsi. Abbiamo dovuto sedarlo." Si avvicinò al giovane e lo aggredì. "Tutto questo per la tua idiozia!"

James non rispose e abbassò lo sguardo. Vederlo perdere le staffe in quel modo lo devastava. "Mi dispiace per quello che ho fatto, ma almeno è vivo," balbettò affranto.

Il cognato si irritò e infierì con parole aspre. "Ti dispiace? Poteva morire per la tua imprudenza! Ti approfitti del suo affetto senza riflettere!"

"Lo so che è stata colpa mia. Non dovevo trascinarlo con me. Ben mi aveva avvertito di non rispondere alle provocazioni di Henry," ammise l'avvocato massaggiandosi la nuca con la testa china.

Gabe strinse così forte la mascella che al giovane parve di sentire i denti stridere. Le sue mani erano a pugno, le nocche bianche. 

Non si trattenne e gridò furioso.

"Ben ti ha sempre protetto perché ti ama sopra ogni cosa! Anche più di me. Avresti dovuto esserci tu al suo posto! Sai che penso? Tu volevi rivedere Margot e il recupero dei vestiti era solo una scusa. Sarai contento del casino che hai causato."

Gabriel aveva perso la calma e lo afferrò per la giacca, stringendolo con forza.

James impallidì, mentre il cognato continuò.

"Ora te ne vai. Dammi la chiave di casa e non farti vedere fino a quando non lo deciderò io."

Lui singhiozzò, incalzato nella morsa dell'uomo, spaventato da quell'imposizione che lo allontanava da Benedict. Tentò di aggrapparsi alle sue braccia robuste.

"Posso vederlo cinque minuti? Ti prego, è mio fratello!"

Il medico si liberò dalla presa e lo spinse via. "Ti avevo avvertito che ti avrei cacciato alla prima stupidaggine! Ora lui riposa, e non ho intenzione di farlo soffrire! Sai che è stabile e questo deve bastarti."

"Non so dove andare," mormorò il giovane, sapeva di aver perso la sua fiducia e ora ne pagava le conseguenze. Ma almeno Benedict era al sicuro.

James si frugò nella tasca della giacca, prese la chiave elettronica e gliela porse.

Il cognato la afferrò furente. "Ora fuori di qui. Non è un mio problema ciò che farai! Hai già combinato abbastanza casini per oggi. Vedi di crescere."

"Gabriel..." lo implorò smarrito, "almeno quando si sveglia, digli che gli voglio bene e che sono con lui."

Il cognato gli concesse un breve cenno del capo e tornò dentro al pronto soccorso.

Lui si fermò in piedi al centro della saletta, svuotato e senza più forze. La testa gli faceva male e lo stomaco era bloccato. Non poter riabbracciare Ben era una punizione insopportabile.

Si accasciò sulla sedia davanti alla porta a vetri, sperando che Gabe ci ripensasse. Rimase lì per quasi un'ora, ma non uscì nessuno. Chiuse gli occhi e aspettò.

Attraverso la finestra, le prime luci della sera filtravano pigramente. Incerto su cosa fare, si attardò, inconsapevole dello scorrere del tempo.

*********

Il giovane sussultò quando un tocco gentile si posò sulla sua spalla, girò il capo sorpreso.

"James, vieni, andiamo." disse Amber che lo scrutava con attenzione. "Stai bene?" gli chiese, sedendosi vicina.

Al giovane uscì una risposta rauca: "Come mi hai trovato? Perché sei qui?"

Lei gli mostrò il cellulare, dove c'era un messaggio che Gabriel le aveva inviato. "Mi ha raccontato quello che è successo."

Lo prese sotto al braccio e lo aiutò ad alzarsi. "Usciamo, Benedict sta meglio, lo vedrai domani. Devi riprenderti anche tu."

Lui la fermò trattenendole la mano. "Gabe non vuole che lo veda!"

"Gabriel è spaventato. Ha avuto paura di perderlo. Lo ama e l'amore non lascia spazio ad altro, nemmeno a un fratello," sorrise, gli occhi verdi lucenti. "Non ti ha abbandonato; mi ha chiamato ed è un buon segno. Dagli il tempo di calmarsi."

L'avvocato annuì e la seguì senza opporsi, lanciando un'ultima occhiata all'ingresso che lo separava da Benedict.

Amber lo tranquillizzò. "Va tutto bene, vieni a casa mia fino a quando la bufera non sarà passata."

"Perché ti occupi di me? Mi conosci appena!" rispose lui abbattuto per quei giorni convulsi.

"Non preoccuparti, James,  credo di conoscerti meglio di chiunque altro. È vero devo molto a Gabe, ma tu adesso, hai bisogno di aiuto. Sei stravolto."

L'uomo non rispose, lasciandosi andare alle sue cure. Amber lo osservò con preoccupazione, notando il modo in cui la sua vulnerabilità si manifestava nei lineamenti del viso e nel suo sguardo smarrito.

 L'affetto che provava nei suoi confronti la guidava, facendole comprendere che il suo compito era offrirgli supporto, non giudizio. 

Lasciarono l'ospedale e fu lei a guidare la Ford scura, era arrivata in taxi sapendo che doveva riportarlo a casa.

Il giovane avvocato si abbandonò sul sedile, non prestando attenzione alla strada e al traffico. Amber si accorse della sua stanchezza, si voltò senza distrarsi e gli accarezzò la mano per rassicurarlo.

Finalmente giunsero nel parcheggio sotto lo stabile e lo aiutò a scendere.

"Non mi sento bene..." sussurrò il giovane stringendosi le mani sullo stomaco.

Lei prese il trolley e lo spinse, sfiorandogli la schiena. "Forza, cerca di resistere. Ancora qualche gradino e ci siamo."

James si trascinò con fatica per le scale. Non ebbe nemmeno il tempo di aprirgli la porta che si liberò della giacca e corse in bagno.

Lo sentì vomitare, preoccupata, si tolse in fretta il cappotto, posò il bagaglio e andò a vedere. Lo trovò inginocchiato sul pavimento, con il volto rivolto al water che tremava.

"Sono qui," disse agitata. Bagnò un asciugamano con acqua tiepida, si chinò e glielo appoggiò sul collo. Lui rabbrividì ed ebbe altri conati. Lo tenne stretto per le spalle, temendo che sbattesse la fronte.

Aspettò che si riprendesse. "Va meglio?" chiese con una leggera apprensione.

"Sì, sto bene," mormorò rauco.

Amber lo fece girare con lentezza, ma lo lasciò seduto sul pavimento, slacciandogli la camicia macchiata dal sangue secco del fratello. James spinse la nuca contro il muro per sentire il fresco.

"Scusa, che idiota che sono..." borbottò con gli occhi chiusi.

"Stai tranquillo. Rimani fermo finché non ti passa."

Ne approfittò per rinfrescargli la fronte e il volto pallido, gli sistemò i capelli disordinati. Quando riprese colore, lo aiutò ad alzarsi.

"Sei stabile?" gli chiese con una dolcezza inaspettata.

"Sì, credo di sì," rispose incerto.

"Devo lavarti via le tracce di sangue. Non puoi rimanere così." Gli consigliò di appoggiare le mani al lavandino, gli tolse la camicia e la maglietta. Rimase a torso nudo e gli passò una spugna sulle braccia per pulirlo.

"È di Benedict," singhiozzò lui esausto. "Se gli succedesse qualcosa, io..." Non riuscì a finire la frase, sopraffatto dall'emozione.

Amber gli accarezzò la guancia. "Hai passato una giornata devastante. Devi riprenderti, soprattutto per tuo fratello. Stai tranquillo, perché c'è Gabriel con lui."

James annuì, scosso dai brividi.

"Vado a prendere un pigiama, aspettami qui."

Tornò poco dopo e lo rivestì, lo trascinò nella piccola camera degli ospiti. Lo fece distendere sul letto.

"Non so se mi merito tutte le tue attenzioni." Protestò lui afferrandole la mano per tenerla stretta, desiderava sentire un contatto fisico tra tanto dolore.

La giovane non si sottrasse, si sedette vicina per fargli compagnia.

"Scusami ancora," disse James, "so di farti soffrire a causa della mia situazione. Mi domando perché sia successo tutto questo! Margot mi deve delle spiegazioni."

"Ti chiarirai, ma ora cerca di dormire un po'. Ti ho portato il trolley con le tue cose."

Il giovane chiuse gli occhi spossato. "Grazie, troverò una soluzione," sussurrò vinto dalla stanchezza.

Amber aspettò che il suo respiro si facesse regolare e, in breve, lo vide addormentarsi.

Non riuscì a trattenere una lacrima. Quel giovane le ricordava la fiducia che Damien le aveva concesso quando era una ragazza inesperta e che lei aveva tradito per inseguire la propria ambizione.

Più lo frequentava, più vedeva il suo vero essere: un uomo che lottava contro le proprie insicurezze, forse cresciuto troppo solo, durante l'adolescenza. Si asciugò la guancia umida, gli rimboccò la coperta e abbassò la luce.

Uscì dalla stanza con il cuore in gola; non doveva lasciarsi andare ai sentimenti, convinta di non meritarseli.

"Starai bene, James, ma non con una come me." mormorò affranta.

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