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Amber

James fissava la finestra sprofondato nella poltrona: pioveva e le gocce scendevano lente sul vetro, disegnando strani percorsi.

In quei giorni, Londra si presentava cupa e grigia, un'atmosfera che amplificava la sensazione di inquietudine che lo pervadeva.

Soffiò annoiato, il pomeriggio sembrava non passare mai, afferrò la penna e iniziò a giocherellare preso dal pensiero della moglie e di quello che li aveva allontanati.

"Mi dispiace Margot, non lo sapevo."

Sussurrò stringendo il volante dell'auto che li avrebbe riportati a casa.

Non gli rispose, i risultati dello spermiogramma non lasciavano spazio a una futura gravidanza.

Era sterile, i suoi spermatozoi erano "pochi e lenti," sentenziò l'andrologo categorico e la prospettiva di un'inseminazione artificiale scemò con la rabbia di lei.

"Non voglio gravidanze multiple." urlò sconvolta dalla proposta del dottor Clarke.

James si zittì, incapace di reagire alla notizia, mentre avvertiva la sensazione di non essere un buon partner.

Lei voleva la famiglia, un figlio da crescere, un nipote per quel padre oppressivo da cui non riuscì mai a staccarsi. Henry Wallace era il suocero che li ostacolò da sempre.

Quando arrivarono a casa, salì la scala che portava alle camere senza voltarsi. La guardò con il cuore che si spezzava.

"Sono stanca, vorrei riposare." disse in un soffio, si voltò, la mano stretta sulla balaustra.

La lasciò andare sperando che si calmasse, rispose rassegnato.

"Ti raggiungo dopo, sistemo alcuni appunti e salgo da te."

Gli rivolse uno sguardo gelido.

"Voglio restare da sola. Puoi dormire nella stanza degli ospiti?"

Si sentì frastornato e non sapendo come consolarla, acconsentì per lasciarla tranquilla.

"Vedrai...troveremo una soluzione."

Lo liquidò con un sorriso ironico, si girò lasciandolo attonito in fondo alla gradinata.

Quel ricordo bruciante lo infastidì. Urtò la penna, che cadde. La seguì con gli occhi mentre rotolava sotto la lussuosa cassettiera dello studio. Non si preoccupò nemmeno di recuperarla.

Sbuffò, sistemò la sedia, piantò i gomiti sulla scrivania e cercò di studiare un caso di fallimento industriale che sempre più spesso gli sottoponeva il suocero.

Henry Wallace era un uomo dispotico che amava l'unica figlia sopra ogni cosa, e lei seguiva ciò che le diceva.

Essere avvocato nella compagnia del padre di Margot divenne un peso insostenibile, non era quello che si era imposto come crescita professionale.

L'attenzione scemò in fretta, non trovava verso di concentrarsi, afferrò la valigetta e chiamò Gwen.

"Vado a fare due passi. Oggi non è giornata, torno a casa. Ci sentiamo più tardi." La segretaria annuì non chiedendogli nulla. Gli fu raccomandata dalla moglie, e spesso, pensava che gli tramasse contro.

Indossò il cappotto scuro e scese di sotto. Finalmente aveva smesso di piovere.

Appena fuori respirò a pieni polmoni, si sentiva un carcerato con un'ora d'aria. Camminò lungo il marciapiede affollato, pensando a quegli ultimi mesi.

Margot, dopo il responso dell'andrologo, iniziò a ignorarlo. Corse dal padre a consolarsi come faceva sempre, e Henry, che non aspettava altro, rese tutto più complicato.

Lasciò passare del tempo, troppo, e non fu più in grado di chiarirsi con la donna che ancora amava.

Non poterle dare quello che desiderava lo fece chiudere in sé stesso, non ne parlò nemmeno con il fratello Benedict.

Lavorò nell'ufficio della compagnia con una assiduità malata, in parte per non affrontare la situazione in cui si trovava.

Rimase a casa attaccato al loro matrimonio, perché sperava di recuperare il rapporto.

Sospirò, si alzò il bavero. Il bisogno di sgranchirsi le gambe era impellente, continuò a camminare senza meta.

Infilò le mani nella tasca del cappotto, sentì il ruvido della carta, ne trasse un biglietto beige:

"Amber."

Un nome solitario e sul retro un numero di cellulare.

Fu Alfred, l'amico del college alla facoltà di legge a lasciarglielo, quando lo incontrò al drink bar Colebrook Row e gli snocciolò le sue doti.

"Una escort con una grande carrozzeria, discreta e che ci sa fare. A volte passa la serata qui."

Aveva ascoltato divertito privo di interesse, ma ora...

Si rigirò il foglietto fra le mani, e si incuriosì.

Con la moglie il sesso era finito da tempo.

Il brivido nell'inguine, la voglia di appagare la sua libidine, di capire quanto valesse come uomo, divennero un bisogno impellente.

Strinse la mascella ricordando tutte le offese ricevute.

Wallace non gli perdonò quella che riteneva una mancanza di virilità.

Glielo gridò in faccia, non riuscendo a trattenere la rabbia per aver riposto le sue ambizioni nella persona sbagliata.

"Sei una delusione James! È impossibile che tu non lo sapessi! Nessuna donna ti avrebbe voluto al suo fianco conoscendo il tuo stato! Hai mentito per sposarla e arrivare ai miei soldi."

Desiderava un erede, un riflesso di sé stesso di cui potersi vantare. E lui aveva tradito quelle aspettative.

Nel momento in cui apprese il responso del dottor Clarke non lo considerò più come l'avvocato rampante laureato a pieni voti a Oxford.

Cercò di convincerlo della sua buona fede, ma la cosa si radicò e instillò nella figlia il dubbio che sapesse di essere sterile fin da prima del matrimonio.

E questo la travolse.

Se Henry Wallace cercava un pretesto per allontanarlo, beh, alla fine c'era riuscito.

Allora perché non darglielo?

Gli tremò la mano digitando il numero.

Due squilli e gli rispose una voce leggera e dolce.

"Amber?"

Chiese già in difficoltà.

"Sì, sono io."

Ci fu un breve silenzio.

"Ho un invito di Alfred. Mi chiamo James."

"Capisco, 344 Main Street, terzo piano."

Sentiva martellare le tempie. Non era un santo ma tradire Margot? Sarebbe stata una mossa da manuale. La scusa che lei lo trascurasse e finisse per consolarsi era un cliché, che non giustificava il fatto che fosse la prima volta.

Salì nell'auto con il cuore in gola, la testa offuscata e nei pantaloni la sensazione di un formicolio fastidioso.

Il rimorso gli premeva nel petto quando entrò nel parcheggio davanti all'edificio lussuoso.

Scese, si aggiustò il cappotto e si avviò verso l'ingresso del palazzo.

Suonò al citofono e salì consapevole che stava commettendo un errore, ma la voglia di fare sesso, di sentirsi uomo gli martellava in corpo.

L'atrio era ampio e ben tenuto, pochi gradini di marmo bianco portavano all'ascensore. Lo prese diretto al terzo piano. Uscì e individuò subito la porta socchiusa.

Lo aspettava.

Entrò guardandosi intorno, poi la vide.

"Amber?" chiese guardingo, osservando la giovane donna.

"Sì. E tu sei James?" sorrise discreta, "puoi tralasciare il cognome, non è necessario."

Annuì sorpreso per la delicatezza del suo muoversi.

Indossava una vestaglia trasparente che lasciava intravvedere una négligé di pizzo nero che le avvolgeva il seno.

Inclinò il capo per farsi seguire, si voltò mettendo in mostra il tanga che delineava il sedere tornito. Ancheggiò sui tacchi a spillo, i capelli neri, sciolti sulle spalle si muovevano al suo passo.

Gli indicò il divano nel piccolo salotto.

Era splendida ed eccitante, presto gli avrebbe fatto perdere la testa, tanto che il formicolio fra le gambe aumentò.

La donna si fermò al centro della stanza, occhi verdi lo scrutarono attenti, il volto dai tratti gentili era rilassato, la bocca disegnata da labbra rosee e delicate. Si domandò perché facesse un lavoro del genere.

"Vuoi accomodarti?" Con una leggera inflessione francese, lo distolse dai pensieri

Deglutì, sentiva la gola secca, si avvicinò al divano bianco vicino alla finestra. La casa era pulita e moderna, inondata dal profumo di lavanda: una pianta, sul balcone, ne abbelliva la stanza.

"Siediti," gli disse aiutandolo a sfilarsi la giacca, "voglio mettere in chiaro un paio di cose."

Lui non replicò, allargò le dita nel bracciolo di pelle osservando quel volto delicato ma risoluto.

"So cosa cerchi, so quello che vuoi." iniziò la donna appoggiandosi alla spalliera. "Immagino tu abbia una moglie, visto che hai la fede."

Stava giocando con l'anello, e lei se ne accorse.

"Beh, io.. è la prima volta." balbettò cercando una scusa che si rivelò inutile.

"Lo vedo." le rispose increspando le labbra. "Puoi venire quando desideri, ma solo per il sesso, niente carezze, né baci. Non sono tua amica o la tua confidente."

Accavallò le gambe, lasciando intravedere le cosce sode.

L'imbarazzo di James nel vederla si fece incontrollato.

"Sei ancora in tempo ad andartene." mormorò la giovane, inclinando la testa di lato.
Sapeva come trattare i clienti e questo lo infastidì, senza capirne il perché.

Socchiuse gli occhi e allargò il collo della camicia, il nodo della cravatta lo soffocava.

"Ho solo bisogno di staccare, null'altro."

"Bene, ora che lo sai rilassati, mettiti comodo, " e aggiunse garbata, "uso il preservativo, sai, non ti conosco. In seguito, se il rapporto continua, vedremo."

"Non preoccuparti, sono pulito." replicò seccato.

"James fa parte delle regole, non prenderla sul personale." sottolineò lei.

Si passò una mano sulla nuca sfregando con troppa forza.

"Scusami, hai ragione." biascicò sentendosi in difetto.

Amber si alzò e gli fece cenno di seguirlo fino alla camera da letto.

Si sollevò incerto e lei se ne accorse.

"Non pensarci troppo, stai solo assecondando il tuo desiderio."

Tentò di rassicurarlo con un'affermazione banale, sapendo che faceva parte del suo ruolo.

James era consapevole di ciò che stava per fare e non aveva nessuna giustificazione. Il cuore gli pulsava tradendo l'impazienza.

"Metti lì i tuoi abiti, posso aiutarti se vuoi."

Non rispose, paralizzato dalla sua forte sensualità. Dopo Margot, non c'erano state altre donne nella sua vita, decise di lasciarle l'iniziativa. Era abile e attenta, lo svestì con una maestria inaspettata.

Le sue mani lo accaloravano mentre gli sfilava un indumento alla volta, lo accarezzò sfiorandogli il cavallo dei calzoni. Gli morse il collo e lo leccò vogliosa.

Lui perse la ragione, quasi barcollò e si ritrovò ansimante con un'erezione che gli faceva male.

Annaspò quando gli sfilò la camicia scoprendogli il petto. Non lo avrebbe mai baciato sulle labbra, ma sapeva come sfruttare al meglio la bocca lussuriosa. Con la lingua lo stuzzicava ovunque sentisse piacere.

La giovane si fermò maliziosa, era brava, dannatamente eccitante. Rimase con i boxer che gli tiravano così tanto da gemere.

Con gesti sensuali, si tolse quel poco che la copriva: il corpo era asciutto, i seni tondi e sodi con i capezzoli turgidi.

Si avventò su di lei preso dalla smania, la baciò affamato, assaggiò la pelle accalorata, la succhiò più volte sbavandole contro. Il desiderio che lo torturava divenne irrefrenabile, il risultato di mesi di litigi e rinunce con Margot.

Allungò le mani sul petto, due pesche vellutate che lo sorpresero, le strinse con prepotenza e lei sussultò per la troppa foga.

Non si sottrasse e accettò la sua irruenza. Con movimenti lenti, si dedicò per liberarlo dai boxer.

Il contatto con l'aria, sulla voglia turgida, lo fece trasalire.

Ammiccò sensuale, si sedette sul bordo del letto e gli posò dei baci vogliosi appena sopra l'inguine. Scese sul membro teso, già bagnato di precum.

La mano della donna scivolò sotto al cuscino e prese il preservativo. Non le staccò mai gli occhi di dosso e lo srotolò con lentezza per infilarlo sul pene sensibile.

Ansimò per il dolore che gli procurò l'eccitazione di quel gesto.

Il verde profondo e luminoso del suo sguardo lo misero in affanno.

Lei sorrise nel vederlo smarrito, si lasciò cadere all'indietro, accavallò le gambe per poi aprirle, mostrando la vagina rosea con un filo di peluria riccia, appena accennata.

Affascinato, rimase senza aria, perdendo la cognizione del tempo.

Si toccò impudica, scese con la mano fino alla parte esposta, portando le dita bagnate alla bocca e succhiandole avida. Sollevò il bacino e mostrò l'apertura pronta ad accoglierlo.

James reagì d'istinto, le fu sopra e la penetrò con forza, tanta era la voglia di possederla. Troppa. Lei gemette.

La sentì calda e stretta, spinse impietoso pensando solo a sé stesso, al calore che gli avvolgeva il membro ingrossato e che presto lo fece gocciolare di piacere.

Era da tanto che non provava nulla del genere e, sentendo che accompagnava la sua foga, non si chiese cosa le accadesse. Non si preoccupò delle sue gambe magre che lo cingevano sulla schiena cercando di attutire le spinte. Notò soltanto che abbandonava il capo di lato.

Non possedeva alcun controllo, fu aggressivo mentre la giovane mugolava. Non attese che provasse lo stesso desiderio. Avvertì che si aggrappava alle sue natiche e questo gli bastò.

Amber lo assecondava, gli rendeva un'euforia di possessione che non provava da tempo. Le bloccò le mani sopra la testa e la forzò senza darle pace.

Per un breve istante si rese conto che non era amore, ma solo sesso, uno sporco insano rapporto con una donna a cui non dava alcun rispetto.
Si assolse pensando che fosse abile a gestire uomini come lui.
Avvertì la sua stretta diventare possente, gli premeva nell'inguine, tanto che le uniche parole che gli uscirono furono un'imprecazione, quando raggiunse l'orgasmo riempiendo di sperma il preservativo.

Non cessò le sue spinte, preso da un risentimento che non scemava, ma era la moglie che aveva in testa. Fu lei a fermarlo.

Gli accarezzò il collo e la nuca, la voce flebile ma sicura. I suoi occhi verdi erano malinconici.

"James, calmati, hai finito."

Mezzo intontito non capiva nemmeno dove fosse.

Lo spinse di lato con lentezza. La lasciò fare, mentre gli sfilava l'ingombro sul pene avvizzito. Ebbe vergogna, fissò il soffitto respirando a scatti.

"Stai bene?" le chiese osservandolo preoccupata.

Lui si morse le labbra d'istinto e si alzò, rimettendosi in ordine.

"Mi chiedi se sto bene dopo quello che ti ho fatto? Sono un coglione allupato. Scusami." Esordì  contrariato per ciò che aveva combinato.

"Non devi scusarti, lo fanno tutti." Lo guardò ironica, facendolo sentire un ingenuo sprovveduto.

 Avvertì la nausea salirgli dallo stomaco, come poteva accettare di essere trattata così? Sibilò risentito.

"Mi dispiace lo stesso, lasciamelo dire."

Afferrò i vestiti e andò nel bagno, si pulì in fretta. Alzò lo sguardo sullo specchio, vedersi riflesso gli fece schifo.

Ma non per Margot, ma per Amber, per quel rapporto sessuale che le impose.

Uscì, la trovò avvolta da una vestaglia azzurra con delicati fiorellini.

Nel vederlo confuso, rise.

"Hai i capelli arruffati! È la tua prima volta, poi non ci farai più caso."

Era calma, troppo, e lo mise a disagio.

"Grazie, ma non mi piace essere così."

Indicò il letto dove l'aveva presa in quel modo aggressivo.

"Ti senti in colpa per aver tradito tua moglie? Ti passerà." Si irrigidì per la sua reazione inaspettata.

"Non si tratta di lei, ma di me e di quello che ho fatto."

Lo guardò sorpresa, sembrava spaventata da quella gentilezza. Si alzò di scatto e ribadì seccata.

"Sono una escort, non ti devi scusare, se torni, vieni per scopare, nulla di più. Ero stata chiara su questo."

Si voltò, il viso arrossato.

Sconvolto dal suo tono, perse la pazienza.

"Ok, finiamola qui."

Gli buttò il compenso sul tavolo, mentre la donna, si incamminò verso la cucina senza degnarlo di uno sguardo.
Uscì sbattendo la porta, con l'intenzione di non tornare mai più. 

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