5. Lucifero
Dovevo uscire dal buio, ma non avevo idea di come fare. Non sapevo neppure dove mi trovavo e quella voce era sparita, proprio come era arrivata. Il silenzio divenne freddo, pian piano mi strisciò addosso e poi sotto la pelle. La paura si impossessò di me e cominciai a guardarmi attorno in modo convulso.
Buio.
«Come?», gridai con tutto il fiato che avevo. «Come devo fare?».
Silenzio.
«Aiutami, ti prego...», mormorai, lasciandomi cadere a terra.
"Torna da me".
La voce di Uriel squarciò l'oscurità che mi opprimeva l'anima. Sollevai di scatto la faccia, spalancando gli occhi, e restai ad ascoltare. Non giunse altro, eppure quelle parole erano così simili a una preghiera ed erano per me, ne ero certa. Negli anni passati con lui avevo capito quanto fosse forte e, allo stesso tempo, fragile. Sosteneva di non avere un cuore, eppure, ogni volta che parlava di Dio trasudava amore con un'intensità e una devozione inconcepibili. Come poteva non avere un cuore, se sapeva amare come nessun altro? Tuttavia, sembrava non capirlo, non rendersene conto.
Aveva rinnegato quell'amore per me e io, stupida, l'avevo condannato. Io! Come avevo potuto essere tanto egoista? Forse, se fossi rimasta nel buio, lui sarebbe potuto tornare dai suoi fratelli, forse lo avrebbero perdonato senza di me.
"No!", tuono la voce.
«Perché?», chiesi, intimorita dalla veemenza che mi riverberò nel corpo, quasi fossi un guscio vuoto divenuto la sua cassa di risonanza.
"Gli Angeli non perdonano".
«No, non è possibile. Cristo ha detto...»
"Gli Angeli non perdonano", ripeté deciso, ma con un tono più compassionevole. "Lo uccideranno, perché senza di te smetterà di combattere".
Il pensiero di essere la causa della sua morte fu una pugnalata al cuore, dolorosa, tanto che dovetti portare le mani al petto e stringerlo.
"Chiudi gli occhi", mi sussurrò con dolcezza e mi sentii avvolgere in un caldo abbraccio, delicato come una piuma. "Pensa a Uriel, al suo viso, a quel mare dorato dei suoi occhi in tempesta... sempre".
Sì, era quello il mio Angelo.
Un filo di luce dai riflessi vermigli emerse dal nulla, una corda tesa, una mano che sembrava cercarmi, chiamarmi.
"Afferrala, ora".
Mi aggrappai con tutta me stessa e fui trascinata, risucchiata. Fu come tuffarsi nel fuoco e mi mancò il fiato. Tutto divenne luce e io... niente.
Spalancai gli occhi e inspirai a fondo, con la gola e i polmoni che bruciavano. Non vedevo nulla, finché, pian piano, iniziarono a delinearsi i contorni delle cose e mi resi conto di trovarmi in una camera sconosciuta. Fui colta dalla confusione, mille domande si accalcarono nella mia mente, indistinte. Sbattei con insistenza le palpebre, poi rimasi impietrita. Un viso etereo si delineò davanti al mio sguardo, con occhi di un azzurro così intenso da sembrare irreali e che spiccavano ancor più su quella pelle di porcellana.
Era un Angelo, ma non il mio.
Deglutii a fatica, avevo paura persino di respirare. Nonostante ciò, cercai di parlare, ma il primo tentativo si risolse con un semplice movimento delle labbra, mentre ogni suono mi rimase incastrato in gola.
Lui socchiuse appena le palpebre e il suo sguardo divenne sgradevole. Mi fissava come fossi una strana e mostruosa creatura. Anche Uriel all'inizio mi guardava come fossi qualcosa di strano, eppure non mi aveva mai fatto sentire così.
«C-Chi sei?», farfugliai, spinta da un insolito moto di orgoglio.
L'Angelo inclinò di lato la testa. Ero passata da mostro a cavia da laboratorio, ma non ero certa fosse un buon segno.
«Saresti tu, quindi?».
La sua voce mi spiazzò, tanto da indurmi a saettare gli occhi intorno a noi, pur senza muovermi. Non era né maschile né femminile, bensì entrambe fuse in un eco armonico, caldo e delicato.
«Cosa?».
«La colpa di Uriel», chiarì subito con fermezza. «Com'è possibile che una misera creatura come te sia la causa della caduta di un Arcangelo e non uno qualunque?».
Quelle parole erano un ferro rovente che bruciava l'anima e potei solo distogliere gli occhi dai suoi, per trattenere dentro di me il dolore che mi provocarono.
«Eppure, soffri», sussurrò con clemenza e annuii con un cenno del capo. «Non temere, sono Aniel, la Potestà giunta per spezzare questo cerchio e con esso porrò fine alle tue sofferenze».
Strinsi il lenzuolo con forza. Era lì per uccidermi, ma non potevo permetterglielo. Uriel avrebbe smesso di lottare per la propria vita, se fossi morta. Riportai gli occhi sui suoi e ne fu sorpreso, la sua espressione e il suo ritrarsi furono eloquenti. Sfruttai lo spazio guadagnato e mi misi a sedere, trovando conferma dell'assenza del mio Angelo.
«Cosa vorresti fare?».
«Dov'è Uriel?».
«Si sta prendendo cura di lui Melahel», disse pacato.
L'ansia e l'apprensione, invece, crebbero in me; ricordavo quel nome, lo aveva pronunciato Haziel e Uriel aveva sottolineato essere un Trono. Era un guerriero, proprio come lui e, dunque, poteva essere in pericolo. Mi scordai di esserlo anch'io, forse persino di più dato che non avevo armi e non sapevo neppure combattere.
«Perché... perché lo fate? Perché non lo lasciate vivere e amare?», gli gridai contro, con le lacrime che mi riempivano gli occhi.
Non fece in tempo a rispondere, interrotto da due colpi secchi alla porta, verso la quale ci girammo all'unisono. Di nuovo prevalse la confusione e restai in silenzio, finché non realizzai che avrei potuto chiedere aiuto. Non appena formulai quel pensiero, Aniel mi scoccò un'occhiata intimidatoria che mi strozzò la voce.
Altri tre colpi, impressi con più forza, risuonarono nella stanza, ma l'Angelo sembrava incerto sul da farsi. Mosse un passo con cautela verso la soglia, mostrandosi alquanto diffidente.
«Ero stanco di aspettare fuori dalla porta».
Mi voltai di scatto e scoprii la creatura più bella e perfetta su cui avessi mai posato lo sguardo. Spalancai gli occhi, calamitata dai suoi, rubini splendenti in grado di illuminare l'oscurità più profonda. Se ne stava seduto comodo sulla poltrona nell'angolo della stanza, con le gambe accavallate e le mani adagiate in grembo.
«Tu, qui?», replicò contrariato l'Angelo al mio fianco.
Ero incapace di distogliere l'attenzione dal viso ammaliante di quella figura dai lineamenti delicati e femminili, ora attratta dalle labbra vermiglie, ora dal naso alla francese, per poi tornare agli occhi magnetici dal taglio felino. Se avessi dovuto descrivere la perfezione divina, lui ne era l'incarnazione.
«È da molto che non ci vediamo», gli rispose pacato, senza scomporsi.
Trasudava una rilassatezza e una quiete letali.
«Perché sei qui?».
«Mi annoiavo», rise, e quel suono inondò la camera come acqua fresca in un torrido pomeriggio estivo.
«Ho un compito da assolvere, se non ti dispiace...»
«Mi spiace», lo interruppe, deciso.
Il suo sguardo mutò in un istante, senza intaccarne la bellezza, ma palesando la sua forza; l'energia che emanò mi investì come un'onda, travolgendomi e facendo tremare ogni cellula del mio corpo.
«Non sono più questioni di tua pertinenza, Lucifero», gli sibilò contro la Potestà.
Nonostante quella reazione, colsi timore nella sua voce, mai quanto ne provai io all'udire quel nome.
«Lu-Lucifero?», balbettai incredula.
Lui mi sorrise, accomodando una ciocca sfuggita alla lunga treccia che gli ricadeva sul petto. Solo a quel gesto mi accorsi che i suoi capelli, di un biondo chiarissimo, risplendevano di riflessi argentei.
Restai a bocca aperta.
«Non importa, farò ciò che devo», sentenziò Aniel.
La sua voce mi stordì, non perché avesse urlato, piuttosto per l'intensità con cui riverberò e che fu tale da renderne irriconoscibile la sorgente, quasi provenisse da ogni dove.
«Sei davvero disposto a scontrarti con me?», gli chiese Lucifero, alzandosi con tranquillità e prendendosi persino il tempo di accomodare la camicia immacolata.
«Se sarà necessario».
«Vorrei rammentarti, però, che non sono Uriel», precisò, scoccandogli un'occhiata accompagnata da un lieve tendersi delle labbra, divertito.
I suoi occhi brillarono per un istante d'una luce feroce.
«Quando ti ucciderò, quindi, non potrai ascendere e resterai con me, dannato per l'eternità».
Aniel indietreggiò d'un passo e serrò la mascella. Era combattuto, potevo sentire la tensione attraversare l'aria in scariche elettriche che mi fecero rizzare i peli sulle braccia. I suoi capelli dorati ondeggiarono in aria come smossi da una leggera brezza, che tuttavia non sfiorò nient'altro nella camera.
«Allora?», lo incalzò Lucifero, senza mostrare alcun dubbio o ansia.
«Pagherai questa intromissione!», gli sibilo contro la Potestà.
Le tonalità diverse della sua voce stridettero tra loro, giungendomi fin troppo acute e fui costretta a chiudere gli occhi per un attimo, in cui udii un sibilo. Quando riaprii le palpebre, non vi era più traccia di Aniel e tirai un sospiro di sollievo. Mi occorse qualche secondo in più per realizzare di essere rimasta da sola col Diavolo in persona. Riportai su di lui l'attenzione, osservandolo avvicinarsi con movenze sinuose ed eleganti. Notai che, a dispetto del viso alquanto femminile, il corpo appariva quello di un uomo slanciato e tonico, seppur non molto muscoloso.
Il terrore mi precluse ogni azione e anche le parole erano sprofondate nell'angolo più nascosto della mia anima; incapace di distogliere lo sguardo dal suo, mi ritrovai a potermi chiedere soltanto cosa ne sarebbe stato di me.
Si fermò accanto al letto, si protese in avanti per chinarsi su di me e allungò una mano per scostarmi i capelli dal viso. Le sue dita lunghe e affusolate mi accarezzarono delicate e ogni mia paura si dissolse, restituendomi una pace assoluta e un senso di completezza che mai avevo provato.
«Andrà tutto bene», mi sussurrò.
La sua bocca si posò sulla mia e sgranai gli occhi, pur non riuscendo ad allontanarmi. In realtà, mi sfiorò appena, senza far nulla, chiudendo gli occhi come per gustare il momento. Mi trasmise un'accogliente sensazione di calore e il mio corpo si rilassò, contro ogni mia aspettativa. Non saprei dire quanto durò, ma quando si allontanò, sentii pungere sulla schiena nella zona tra le scapole, come se tanti aghi sottili mi solleticassero la pelle.
Mi sorrise, eppure, nei suoi occhi lessi una malinconia sconfinata, colma di tristezza. Mi si strinse il cuore e avrei tanto voluto cancellare quell'espressione, così inadatta al suo volto. Come potevo provare compassione per Lucifero? Ero sconvolta.
«Hai ancora il suo sapore», mi disse con tono sommesso, muovendo qualche passo all'indietro.
Feci per parlare, ma lui portò l'indice alle labbra per invitarmi al silenzio, poi volse lo sguardo alla porta e il suo viso s'illuminò. Era felice, perché?
«Resta sempre con lui, ha bisogno della sua luce».
Questo capitolo mi ha fatto penare non poco, non mi sembrava mai abbastanza, ma spero di essere riuscita a rendere le sue particolarità e che vi piaccia.
L'ho riletto un milione di volte, oramai credo di saperlo a memoria, ma di sicuro ci sarà ancora qualche errore. Segnalatemeli pure, nel caso, così sistemo ❤.
Se vi è piaciuto, lasciate una stellina di incoraggiamento e fatemi sapere cosa ne pensate.
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