12. Ritrovarsi uno
Dopo più di quattro anni, posso godere di nuovo della mia reale forma. Tuttavia, soltanto ora mi rendo conto di quanto siano estreme le percezioni, tutto è amplificato e totalizzante, mentre la mia mente sembra ricercare i confini a cui si era abituata nel corpo di Sebastiano. È assurdo! In quel corpo mi sentivo represso, costretto a privarmi di una buona parte di ciò che sono; ora, invece, mi sento sopraffatto da ogni sensazione.
E poi c’è lui.
Luce è seduto sulle mie gambe, in effetti costretto dalla mia presa, mi stordisce e mi inebria in un modo che non ricordavo. Non appena mi sfiora il collo con la lingua, il fuoco avvampa e aizza un desiderio a lungo sopito… negato. Eppure, ritrovo in un respiro la complicità delle nostre sfide, lotte fittizie per un dominio che non ci interessa.
«Ma chi possiederà l’altro prima è da vedere», replico, accarezzando la lunga treccia e seguendone il percorso che gli disegna sul petto. «Perché la esibisci così?» gli domando, facendola scorrere sulla palma.
«Non lo immagini?» sogghigna divertito, lasciando la presa sui miei capelli. «Oscena ostentazione di ciò che sono, che non voglio nascondere o negare».
La stringo e le faccio compiere un paio di giri attorno alla mano, arrivando a sfiorargli le labbra con le mie; il suo respiro caldo mi accarezza, mi solletica e mi fa desiderare di rubarglielo, di farlo mio e, invece, mi ritrovo a seguirne il ritmo.
Nati per essere in sincronia, perfetti ingranaggi di un sistema complesso creato dal caos.
Con calcolata forza strattono la treccia e affondo i denti nella sua carne per saggiarne la pelle morbida, sfuggendo al suo tentativo di mordermi il labbro. Mi godo il mugolio che sfugge al suo controllo, sorridendo soddisfatto.
«Non ostenta ciò che sei», mormoro, succhiando con avidità il sapore ben più intenso di quanto ricordassi, dolce e fruttato, con una nota piccante che pizzica sulla lingua e ne chiede ancora. «Ma quello che siamo insieme. Cosa volevi dimostrarmi? Che mi avevi sostituito e ti divertivi lo stesso?».
Cogliendomi alla sprovvista, Luce scatta in piedi e mi allontana da sé. I suoi occhi tramutano il fuoco in ghiaccio, provocandomi un brivido intenso, un misto tra timore e lussuria che scivola sulla sua espressione dura.
«A me risulta che l’unico a esser stato sostituito sono io».
«Oh, andiamo!» sbotto alzandomi. «Ti ho sostituito con te stesso in pratica», puntualizzo abbassando lo sguardo sul suo petto, ritrovandomi a sollevare un angolo della bocca, divertito all’idea di provocarlo. «Ma ammetto che la tua versione umana ha un paio di argomentazioni a suo favore».
«Di cosa stai parlando?» chiede confuso, lasciando che una leggera increspatura turbi la perfezione del suo viso.
«Le tette, Luce. Le donne umane hanno quella splendida cosa che a noi manca e che ho scoperto piacermi davvero molto», proseguo gongolante per la sua incredulità. «Anche a loro piace, almeno, a Sara piacevano diverse cose che le facevo».
«Sei serio?» dice sbattendo più volte le palpebre. «Ci ritroviamo dopo un tempo interminabile, ti racconto come stanno le cose aprendoti gli occhi alla verità e… e tu pensi alle tette?!».
Sconcertato, Luce si volta ritraendo le ali e si avvia con passo pesante e cadenzato nella direzione opposta. È confortante scoprire che non è cambiato poi così tanto. Ne approfitto per guardarmi un attimo attorno e constato che anche il Nihil non è mutato, almeno in apparenza; al suo interno non è possibile scorgere dimensioni, si è immersi in una luce bianca dai riflessi caldi, che di tanto in tanto formano venature dorate intente a guizzare vispe prima di sparire.
Il Nihil. Il nulla.
Nessuna parete, né pavimento o soffitto, tutto permane qui secondo il volere o il capriccio di Luce. L’ho visto far impazzire creature infernali senza muovere un dito, restandosene pigramente seduto a stravolgere, in un susseguirsi continuo, le leggi del Nihil. Nel mentre, io intrecciavo la sua lunga chioma splendente, architettando modi diversi per farlo mio, per indispettirlo e poi assuefarlo a me, almeno quanto lo ero a lui.
Lascio fluire il potere, notando che qualcosa è diverso: il Nihil sembra essersi espanso. Mi acciglio, poi realizzo che Luce vuole rifugiarsi nella sua stanza, l’unica dove esiste qualcosa. Sottili striature ambrate si delineano e si rincorrono, quasi a voler indicare l’ingresso celato alla vista. Distendo le ali, un fremito mi attraversa per quel semplice gesto e provo eccitazione per ciò che una manciata di anni or sono avrei dato per scontato. Un movimento deciso attraverso cui mi assicuro di raggiungere Luce con un balzo, per incatenarlo in un abbraccio, senza lesinare nel trasmettergli l’euforia che provo e a stento mi spiego, premendolo con forza sull’erezione che grida d’essere liberata.
«Hai già cambiato idea? Ne approfitto per cominciare io».
Non si oppone mentre gli mordicchio l’orecchio, anzi, si abbandona tra le mie braccia con un sospiro, che si fa più pesante non appena libero il suo membro, duro e pronto a reclamare soddisfazione. Basta il contatto della nostra pelle a riportare vivide le sensazioni del mio essere privo di reali confini, quasi stessi stringendo a me l’immensità dell’universo e perdersi in essa fosse il più sublime dei piaceri. Richiamo le ali, pennellate di oscurità plasmate da propaggini di energia addensata, che vengono riassorbite dal corpo invadendone le fibre, sicché piccoli spasmi involontari mi costringono a socchiudere le palpebre e un rantolio roco mi risale la gola.
Luce approfitta del momento per liberarsi e piantarmi addosso gli occhi, animati da un baluginio famelico a cui rispondo inumidendo le labbra. Calo con lentezza lo sguardo sulla sua bocca carnosa e immobile, sui bordi perfetti che la disegnano invitanti, ma freno l’impulso di avventarmici. Discendo lungo il collo, il pomo d’Adamo appena accennato non tradisce imbarazzo, mentre ne riscopro i pettorali definiti e poi giù lungo il ventre liscio. Con perfetto tempismo fa scivolare a terra i pantaloni, offrendomi la sua nudità in segno di sfida.
Chi cederà per primo?
Il pensiero mi strappa un ghigno, l’eccitazione è fuoco liquido che striscia nel basso ventre fino al membro pulsante, che accomodo, ancora nascosto sotto quest’inutile stoffa, concedendomi così un vantaggio. Sposto la mano sul fianco di Luce e riporto gli occhi sui suoi, con l’unico desiderio di non perderli mai più; sulla pelle setosa scivolo lesto, fino a stringergli le natiche per far scontrare le nostre erezioni. Accompagno il sorrisetto beffardo che mi riserva a un ringhio roco e lui allaccia le mani dietro il mio collo.
«Hai fame?», mi tenta sensuale. «Luce di Dio,» mi richiama con tono risoluto, bloccandomi, «capisci che ho bisogno di riunirmi a lei, vero?».
Sara.
Cerco di arretrare, ma le sue dita affondano decise, mentre le ali mi precludono ogni fuga. Certo, è una parte di lui, ma è la mia Sara, quella piccola donna tenace, combattiva, eppure così insicura e fragile; guardo Luce e non riesco a vederci lei, non ora.
Sospira e diviene un abisso, in cui però non vuole farmi sprofondare.
«Non ti priverò di lei, se è questo che vuoi. Tuttavia, dovrò starle lontano e, sia chiaro, ciò farà male sia a me che a lei, è inevitabile». Mi libera e la sua mancanza mi travolge, scuotendomi dolorosa. «Finché lei vive, non posso assumere altre forme», chiarisce allargando le braccia e un sorriso dolceamaro. «Consideralo il mio ultimo regalo per celebrare la tua libertà».
«E poi che ne sarà di lei?»
«Purché non sia un Angelo a ucciderla, tornerà da me e il mio spirito sarà di nuovo integro».
«L’alternativa?»
Luce ha fatto qualcosa di impensabile, eppure ha reso possibile l’inconcepibile. Posso avanzare supposizioni, ma necessito di certezze per prendere una decisione.
«Riunirmi a lei in quel corpo, più o meno…»
«Luce?»
«Non l’ho mai fatto, Kehe!»
«Ridillo», lo incito, annullando la breve distanza.
«Cosa?»
«Quel nome…»
Buio. Sulle sue labbra suona così bello e... perfetto.
«Kehe», ripete con dolcezza, sfiorandomi il viso con incertezza. «Il suo corpo potrà contenere la mia essenza, ma potrebbe risentirne e modificarsi in un modo che non posso prevedere».
Chiude le palpebre e le sento: le sue emozioni mi attraversano e si fondono con le mie.
«Stai parlando della mia donna», gli faccio notare per indispettirlo.
«E della mia anima», replica atono.
«Non sei geloso?»
«Di lei?» scuote la testa, accennando un sorriso. «Felice, lusingato… triste».
Lo zittisco chiudendogli la bocca con la mia, la lingua lo cerca, lo brama affondando tra le sue labbra, intrecciandosi in un piacere umido e famelico.
Uno.
Noi siamo uno.
«Vivrà?» gli domando ansimante, senza annullare del tutto il contatto.
«In me.»
«Ricorderà?»
«Ricorderemo».
«Mi perdonerà?»
Luce sorride e rifulge più del Sole. Mille Soli non potrebbero eguagliarlo. Mai.
«Ti ama e ti perdoneremo sempre».
Riprendo a baciarlo e lo costringo a indietreggiare fino al grande letto circolare, su cui abbiamo giaciuto in forme diverse. Lo intrappolo sotto di me, tenendogli i polsi sopra la testa e stuzzicandogli i capezzoli, fino a sentirlo dimenarsi e la sua erezione fremere contro la mia. Geme appena muovo il bacino. Mi allontano, fissandolo un istante per bearmi del suo desiderarmi.
Ho perso, ma mai sconfitta potrebbe essere più appagante e agognata.
Sguscio tra le sue gambe e lo stuzzico con la lingua, seguendo il contrarsi eccitato dei suoi muscoli, per poi assaporarlo fino in fondo. Affonda le dita tra i miei capelli, giocandoci e istruendomi sul ritmo che più lo aggrada.
Il suo piacere è il mio, senza confini fisici si compenetrano in queste onde che disegno col mio muovermi, si fondono fino a plasmare le nostre forme per soddisfarci. I suoi mugolii riempiono il silenzio e la mia testa, mentre lascio che si riversi in me con un’ultima vittoriosa esultanza.
«Primo».
Sfioro ancora una volta il glande con la punta della lingua, raccogliendo le ultime gocce che mi concede, e libero il mio membro.
«Oh no, Luce», lo avverto per poi mordergli un capezzolo, trattenendolo tra i denti per tirarlo appena. Inumidisco la mia pelle con la saliva lasciata su di lui, giocando con le prime secrezioni vischiose. «Ho solo ripartito con giustizia le cose».
L’occhiata complice che mi lancia sancisce un tacito consenso, per quanto inutile ormai, e affondo in lui… perdendomi.
Ritrovandomi.
Senza più peccato, resta solo la purezza di un atto che ci unisce e appaga.
Capitolo HOT, direi, ma spero non vi risulti eccessivo. Inoltre, ora dovrebbe essere chiara la questione Sara/Luce.
Piccola nota: KEHER significa "buio" in ebraico, potremmo definirlo un vezzeggiativo che Luce, Ohr, riservava a Uriel nel privato.
Anche per oggi è tutto, ma siete pronti alla fine?
Se vi è piaciuto, lasciate una stellina. ❤
Grazie.
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